Procreazione medicalmente assistita, legge 40 e referendum parzialmente abrogativi
di Giacomo Lucivero

Lo sviluppo delle tecnologie biomediche negli ultimi 20-30 anni ha determinato un notevole aumento della possibilità di interventi medici in fasi decisive ed estreme della vita umana quali la nascita e la morte. Le tecniche di fecondazione in vitro hanno trasferito negli asettici ambienti di un laboratorio i momenti più intimi della relazione uomo-donna finalizzati alla procreazione; la possibilità di esplorare fin dalle prime fasi lo sviluppo di un ovulo fecondato e di individuare eventuali alterazioni genetiche permette di superare la “fatalità” legata agli eventi naturali non controllabili. Questi progressi della biologia e della medicina hanno aperto problematiche nuove sul piano etico e hanno reso necessari interventi del legislatore per regolamentare questa materia che, se lasciata alla libera iniziativa del singolo cittadino, utente o ricercatore che sia, può portare a comportamenti aberranti sul piano sociale.

L’impianto generale della legge

In Italia la materia della “procreazione medicalmente assistita” è stata regolamentata dalla legge n. 40 del 19 febbraio 2004 che già nel primo articolo fissa i limiti entro i quali l’intervento medico nella procreazione è consentito. La procreazione assistita è consentita “al fine di favorire la soluzione dei problemi riproduttivi derivanti dalla sterilità o dalla infertilità umana” e “qualora non vi siano altri metodi terapeutici per rimuovere le cause di sterilità o infertilità”. Inoltre la legge “assicura i diritti di tutti i soggetti coinvolti, compreso il concepito”.
Le modalità previste dalla legge 40 prevedono che “il ricorso alle tecniche di procreazione medicalmente assistita è consentito solo quando sia accertata l’impossibilità di rimuovere altrimenti le cause impeditive della procreazione ed è comunque circoscritto ai casi di sterilità o di infertilità inspiegate”. Questa limitazione non permette il ricorso a tecniche di procreazione medicalmente assistita in altre condizioni di malattia quali ad esempio le malattie a trasmissione ereditaria, per individuare gli ovociti fecondati non affetti da alterazioni genetiche. Questa limitazione in maniera contraddittoria costringe la donna ad accettare l’impianto di tutti gli ovuli fecondati, salvo verificare in una fase successiva della gravidanza l’eventuale presenza di malattie genetiche nell’embrione. In questo caso la donna, secondo la normativa vigente, può optare per una interruzione volontaria di gravidanza.

È inoltre “vietato il ricorso a tecniche di procreazione medicalmente assistita di tipo eterologo” che faccia quindi ricorso, per la fertilizzazione in vitro, ad ovociti o spermatozoi estranei alla coppia.
L’accesso alle tecniche di procreazione medicalmente assistita richiede, ovviamente, un consenso informato. La legge prevede che “tra la manifestazione della volontà e l’applicazione della tecnica deve intercorrere un termine non inferiore a sette giorni. La volontà può essere revocata da ciascuno dei soggetti indicati dal presente comma fino al momento della fecondazione dell’ovulo”. Questo comma ha come finalità quello di impedire che ovuli fecondati non possano più essere impiantati nella donna, per un rifiuto intervenuto dopo la fecondazione in vitro. In sostanza tutti gli ovuli fecondati devono essere utilizzati per un impianto in utero e la donna dalla fecondazione in poi non ha più il diritto di negare il consenso precedentemente dato. Non è indicato dalla legge come gli operatori dovrebbero rendere obbligatorio per la donna l’impianto degli ovuli fecondati. Paradossalmente si dovrebbe prevedere un impianto “forzato”, una forma di “trattamento sanitario obbligatorio” analogo a quello previsto per i pazienti psichiatrici gravi, pericolosi per sé e per gli altri.
A tutela del nascituro “i nati a seguito dell’applicazione delle tecniche di procreazione assistita hanno lo stato di figli legittimi o di figli riconosciuti della coppia che ha espresso la volontà di ricorrere alle tecniche medesime”. Il disconoscimento della paternità non si può esercitare anche nei casi in cui, in violazione del divieto previsto dalla legge, si sia fatto ricorso alla fecondazione eterologa; la madre del nato a seguito dell’applicazione di tali tecniche non può dichiarare la volontà di non essere nominata. Il donatore di gameti, in caso di applicazione di tecniche di tipo eterologo non acquisisce alcuna relazione giuridica parentale con il nato.
La legge prevede sanzioni per chi utilizzi, a fini procreativi, gameti di soggetti estranei alla coppia (fecondazione eterologa); è, inoltre, punito con la reclusione da dieci a venti anni e con la multa da 600.000 a un milione di euro “chiunque realizza un processo volto ad ottenere un essere umano discendente da un’unica cellula di partenza, eventualmente identico, quanto al patrimonio genico nucleare, ad un altro esere umano in vita o morto”. In altre parole si vieta la possibilità di realizzare un processo di clonazione umana.
La legge vieta “qualsiasi sperimentazione su ciascun embrione umano”, senza però fornire una precisa definizione di embrione umano. La ricerca clinica e sperimentale su ciascun embrione umano è consentita a condizione che si perseguano finalità esclusivamente terapeutiche e diagnostiche “ad essa collegate volte alla tutela della salute e allo sviluppo dell’embrione stesso e qualora non siano disponibili metodologie alternative”. Sono inoltre vietati “interventi di clonazione mediante trasferimento di nucleo o di scissione precoce dell’embrione o di ectogenesi sia a fini procreativi sia di ricerca”.
La legge definisce limiti rilevanti all’applicazione delle tecniche sugli embrioni. Mentre è consentita la criopreservazione dei gameti maschile e femminile, previo consenso informato e scritto, “è vietata la criopreservazione e la soppressione di embrioni”. Possono però essere considerati embrioni gli ovuli fecondati nelle prime fasi di moltiplicazione cellulare, prima che si siano realizzati processi di differenziazione cellulare e, soprattutto, siano stati impiantati nell’utero della donna consenziente che, sola, potrà garantire lo sviluppo dell’embrione e il progredire della gravidanza? Altra importante limitazione riguarda il numero di embrioni che possono essere creati in vitro: le tecniche di produzione degli embrioni non devono creare un numero di embrioni superiori a quello strettamente necessario ad un unico e contemporaneo impianto, comunque non superiore a tre. Obiettivo di questa limitazione è quello di impedire che vengano ottenuti in vitro ovuli fecondati di numero superiore a quelli necessari per un singolo processo di impianto. Qualora un primo tentativo di impianto non abbia avuto esito positivo, la donna deve sottoporsi ad un nuovo ciclo di stimolazione ormonale per poter “donare” tre nuovi ovuli da fecondare in vitro, per un successivo tentativo di impianto. Tuttavia è previsto che “per grave e documentata causa di forza maggiore relativa allo stato di salute della donna, non prevedibile al momento della fecondazione, è consentita la criopreservazione degli embrioni stessi fino alla data del trasferimento, da realizzare non appena possibile”. Lo scopo del legislatore è stato quello di limitare a non più di tre il numero di ovuli fecondabili in vitro, da utilizzare in un unico e contemporaneo impianto, evitando quindi la fecondazione in vitro di un numero non controllato di ovuli e la loro successiva criopreservazione. Ad ogni ovulo fecondato devono essere garantiti l’impianto in utero e la possibilità di svilupparsi in embrione, feto, fino alla nascita. Non deve essere possibile quindi la creazione in vitro di ovuli fecondati, definiti embrioni, per i quali non si prevede, già dalla fecondazione in vitro, un successivo impianto e sul cui destino possano pesare incognite quali la soppressione o l’utilizzo in sperimentazioni su cellule embrionali.
La procreazione medicalmente assistita è certamente una problematica complessa e dalle rilevanti implicazioni morali, religiose, sociali, in una sola parola “umane” per quanto riguarda sia i soggetti che la richiedono che per il nascituro. L’impianto generale della legge recepisce il concetto della piena dignità dell’embrione, che non viene considerata inferiore a quella degli altri attori coinvolti nella procreazione; ne consegue il divieto di poter condurre sperimentazioni utilizzando cellule “embrionali” ottenute nelle prime fasi di moltiplicazione cellulare dopo la fecondazione in vitro dell’ovulo.

I quesiti referendari

I quesiti referendari sulla fecondazione assistita si propongono di rimuovere alcune limitazioni previste dalla legge 40 nell’utilizzo delle tecniche di procreazione assistita.

Il primo quesito (scheda celeste), abrogando quattro brevi commi, consentirebbe la ricerca scientifica sulle cellule staminali embrionali, cellule cioè capaci di trasformarsi (“differenziarsi”, con termine tecnico) in cellule specifiche di tutti i tessuti umani, quali cellule del sangue, cellule cardiache, nervose, muscolari, etc. Il comitato per il si al referendum, sul suo sito internet, sottolinea che le ricerche sulle cellule staminali embrionali “sono importantissime per arrivare alla cura di malattie diffusissime come il Parkinson, il diabete, l’Alzeheimer, i tumori. Il SI a questo quesito restituisce la speranza a milioni di persone”. È bene precisare che, oltre alle cellule staminali embrionali, nei differenti tessuti umani è possibile individuare cellule staminali, che possono differenziarsi in cellule tessutali mature quando “coltivate” in presenza di specifici fattori differenziativi. Le cellule staminali presenti nel midollo osseo hanno, ad esempio, reso possibili i trapianti di midollo osseo in pazienti affetti da leucemie, linfomi o altri tumori, dopo trattamenti massimali con farmaci citostatici o con irradiazione totale dell’organismo. Questi trapianti hanno permesso la guarigione in una percentuale crescente di pazienti. Fino ad oggi sono stati effettuati trapianti di cellule staminali presenti nel sangue di funicolo ombelicale prelevato alla nascita, ma non con cellule staminali embrionali. Sicuramente lo studio dei processi di differenziamento delle cellule staminali embrionali potrà fornire nuove conoscenze che potranno avere delle ricadute importanti nello sviluppo di nuovi approcci terapeutici in numerose malattie. Questo però non si realizzerà in tempi brevi e pertanto i pazienti affetti dalle malattie precedentemente indicate, ma anche da numerose altre, non possono essere indotti a pensare di poter trarre vantaggi immediati dalla ricerca sulle cellule staminali embrionali. In realtà il quesito referendario affronta il tema, ugualmente rilevante sul piano morale e sociale, della libertà della ricerca scientifica, senza limitazioni aprioristiche di ordine morale o religioso ed è su questo che i cittadini sono chiamati ad esprimersi. Una informazione incompleta o semplicistica, che prospetti alla popolazione generali effetti miracolistici sull’uso di cellule staminali, può determinare, in assenza di una precisa normativa sulla fecondazione in vitro e sull’utilizzo degli ovuli fecondati e degli embrioni, situazioni quali quelle denunciate in un recente (aprile 2005) articolo pubblicato sulla rivista “The Lancet”, forse la più antica e prestigiosa rivista di medicina pubblicata al mondo. Nel marzo del 2005 un gruppo di eminenti scienziati russi ha chiesto al Parlamento di introdurre una legge che vieti l’uso clinico di cellule staminali ricavate da embrioni e feti abortiti, in presenza di un commercio massiccio e non regolamentato di trattamenti con cellule staminali in cliniche private e, addirittura, saloni di bellezza. Nonostante le ricerche sulle cellule staminali siano ancora in una fase preliminare in tutto il mondo e studi clinici nell’uomo sono rari, dozzine di cliniche private a Mosca offrono trattamenti con cellule staminali per malattie quali il morbo di Parkinson, la malattia di Alzheimer, il diabete, l’impotenza e numerose altre. Anche saloni di bellezza offrono trattamenti con “cellule staminali” utilizzando annunci pubblicitari quali “l’immortalità è quasi possibile” e proponendo ai loro clienti “iniezioni di giovinezza”. Anche in Italia, dove la cultura scientifica non è molto diffusa, come la vicenda Di Bella ha recentemente dimostrato, una mancata regolamentazione dell’uso di cellule staminali embrionarie, potrebbe determinare, in mani spregiudicate se non delinquenziali, situazioni analoghe a quelle denunciate in Russia. In conclusione se il divieto di prelevare, a fini di ricerca scientifica, cellule staminali da ovuli fecondati non impiantati, previsto dalla legge 40 è antistorico e basato solamente su pregiudizi ideologico-religiosi, una inadeguata regolamentazione sulle modalità con cui queste ricerche devono essere condotte, può comportare rischi da evitare.

Il secondo quesito referendario si propone di eliminare dalla legge 40 quei limiti e divieti che riservano l’utilizzo delle tecniche di procreazione assistita solo ai casi di infertilità o sterilità e di fatto obbligano la donna ad effettuare l’impianto dopo la fecondazione degli ovuli fecondati, di numero non superiore a tre. Con l’abrogazione di alcuni commi di differenti articoli della legge vengono eliminati il limite di tre embrioni e l’obbligo di un impianto simultaneo, senza possibilità di verifica della loro normalità nel caso di coppie con malattie genetiche quale ad esempio la talassemia o altre malattie genetiche; vengono anche revocati il divieto di congelamento degli ovuli fecondati e l’impossibilità per la donna di revocare il consenso all’impianto dopo la fecondazione degli ovuli. Il congelamento degli ovuli fecondati può permettere di effettuare più impianti successivi nella donna qualora il primo non abbia portato all’attecchimento di un ovulo fecondato, senza la necessità di sottoporre la donna a nuove stimolazioni ormonali per ottenere nuovi ovuli da fecondare in vitro.

Il terzo quesito referendario chiede ai cittadini di abrogare i commi della legge 40 che assicurano i diritti di tutti i soggetti coinvolti, compreso il concepito, equiparando di fatto i diritti dell’ovocita fecondato e dell’embrione a quelli dei genitori. Di fatto l’ovocita fecondato viene considerato una “persona umana”, con tutte le implicazioni che tale affermazione comporta. Estremizzando tale posizione si potrebbe affermare che la molecola di DNA contenente il genoma umano ha dignità di persona compiuta. In realtà la cellula uovo fecondata non ha possibilità di sopravvivenza e di sviluppo al di fuori di un utero di donna che lo “accolga”, ne permetta l’impianto e il successivo sviluppo embrionario e fetale (con la formazione dei differenti organi e soprattutto del sistema nervoso che potrà garantire al nascituro il raggiungimento della coscienza di sé), fino alla nascita. Da un punto di vista fisiologico, umano e storico il consenso della madre ad “accogliere” nel proprio utero l’ovulo fecondato è un prerequisito fondamentale: in questo processo l’ovulo fecondato e l’embrione hanno, fisiologicamente, un ruolo certamente secondario e non paritario rispetto a quello svolto dalla madre.

Il quarto quesito referendario si propone di abrogare i commi della legge 40 che vietano la fecondazione eterologa. Teoricamente la fecondazione eterologa può riguardare sia l’utilizzo di un ovulo che di uno spermatozoo. Probabilmente la gran parte dei casi in cui si è ricorso o si ritiene di poter ricorrere alla fecondazione eterologa riguarda la donazione di seme maschile, in casi di patologie che non consentono all’uomo di poter procreare. Se una coppia desidera avere un figlio anche per la speranza, consapevole o meno, di trasmettere il proprio patrimonio genetico con quei tratti somatici e psicologici geneticamente determinati, con la fecondazione eterologa solo uno dei due “genitori” può realizzare la trasmissione delle proprie caratteristiche genetiche. Pur senza voler banalizzare la problematica, la fecondazione eterologa corrisponde ad un “adulterio in vitro” con la partecipazione all’atto procreativo di una terza persona che interviene, anche se solo in provetta, nella relazione di coppia. Nella fase di formazione di una coppia entrano in giuoco processi di conoscenza reciproca, con accettazione reciproca delle caratteristiche somatiche e psicologiche e nella scelta di procreare la coppia proietta se stessa nel futuro dei propri figli. L’intervento di una terza figura, il donatore del seme, nella dinamica della procreazione comporta indubbiamente dei rischi nella relazione di coppia. Da non sottovalutare anche le implicazioni psicologiche di questa scelta sul figlio nato da una fecondazione eterologa, nel momento in cui egli venga ad essere informato o apprenda casualmente dell’esistenza di un padre biologico differente da quello che lui ha conosciuto come padre. Anche se i valori della “fedeltà di coppia” possono avere nella società contemporanea una importanza relativa, l’autorizzazione ad una fecondazione eterologa dovrebbe essere riservata a coppie non in condizioni di procreare fortemente motivate a seguire la via di una gravidanza eterologa, piuttosto che altre possibilità, quale ad esempio l’adozione di un bimbo già nato, per realizzare il desiderio di un figlio da amare.

Temi di profondo valore etico e sociale

Il referendum sulla fecondazione assistita investe tematiche certamente complesse; senza ideologizzare le posizioni contrapposte o scatenare guerre di religione, i cittadini italiani sono chiamati a rispondere a dei quesiti abrogativi che possono rendere più liberale ma soprattutto più umana e razionale una legge, la 40 del 19 febbraio 2004, fortemente condizionata da una visione ideologica della procreazione medicalmente assistita.
La libertà di ricerca scientifica, il diritto alla salute e alla libera scelta della donna in tema di procreazione, fino all’opzione della fecondazione eterologa, una equilibrata valutazione dei diritti dell’ovulo fecondato e dell’embrione nelle fasi iniziali di sviluppo, prima dell’impianto nell’utero di una madre che, sola, avrà la possibilità fisiologica e la responsabilità di far progredire la gravidanza fino alla nascita di un nuovo essere umano pienamente cosciente di sé, sono temi di profondo valore etico e sociale; è su questi che la collettività nazionale è chiamata ad esprimersi e a dimostrare, con la partecipazione al voto, il livello raggiunto di maturità e di responsabilità e la capacità di operare scelte fondamentali per i tempi presenti ma anche e soprattutto per quelli futuri.

giugno 2005