Manganello fratricida
di Giulio Ricotti

Quel giorno la gente scese in piazza.
Come marionette inconsapevoli assorbiamo messaggi subliminali dalla televisione. Inconsciamente. Ma quel giorno la gente spense il televisore, e scese in piazza. Il Sole alto nel cielo riscaldava gli animi.

Un fiume di idee attraversava le strade, con un obiettivo ben preciso, contro un nemico comune. Talvolta è necessario un nemico per riconoscersi fratelli. Ma spesso non tutti rincorrono gli stessi ideali, o spesso c’è qualcosa di più ostinato di un ideale, così radicato da scagliare Caino contro Abele, ed il fiume di idee si scontrò contro una diga. Uomini senza identità fecero scivolare le loro mani, avide di elargire giustizia, sui manganelli legati ai cinturoni. Bandiere furono spezzate, ed il fiume si tinse di rosso. Un albero nero mi cadde sulla faccia, ma non ricordo di aver sentito l’avvertimento del boscaiolo. Chiusi gli occhi e sognai. Sognai un teatrino di burattini, in una festa di piazza, e bambini che ridevano al suono delle bastonate su di Pulcinella.

Quando mi svegliai, ero solo. Attorno a me non c’era più nessun compagno a gridare la sua rabbia. Solo il silenzio nel buio di una cella. Il non sapere, il non capire di ciò che era accaduto, era la cosa peggiore. Mi mangiava il cervello, qualcosa mi stringeva lo stomaco fino a farmi male. Una sensazione secca e diretta, come quando un amante crede di essere tradito, ma non ne ha la certezza, e questo ti danna l’anima.

Ma in quei momenti non sei certo neanche di averla un’anima.

giugno 2005