Il 13 maggio 2005, il Comune di Terlizzi (BA), nel ricordo della lotta delle madri argentine, ha consegnato una targa ricordo alle Madri di Plaza de Mayo, rappresentate dalla loro presidentessa, Hebe de Bonafini. Durante la cerimonia, svoltasi nell’Auditorium Garzia, accanto a Vincenzo di Tria (Sindaco di Terlizzi) e a Nichi Vendola (Presidente della Regione Puglia), è intervenuta Donatella Azzollini (Assessora alle Pari Opportunità del Comune di Terlizzi), di cui pubblichiamo l’intervento. |
“Nel lager di via Corelli (come in tutti gli altri CPT in Italia) sono rinchiusi senza un perché tanti uomini e donne, tante storie che probabilmente non conosceremo mai, tante vite interrotte, tanti, troppi, diritti negati e violati, che non possono essere ignorati; tante persone che vengono imprigionate e nascoste, come se non esistessero, all’interno di centri di permanenza temporanea, veri e propri lager di stato invalicabili e impenetrabili, i cui responsabili vivono nella certezza di essere inattaccabili. Luoghi questi in cui è praticamente impossibile un monitoraggio esterno e nei quali vengono compiute atrocità e barbarie nei confronti di esseri umani , la cui unica colpa è quella di essere scappati da paesi in guerra e dalla barbarie, che speravano di non trovare altrove…almeno non nel “democratico occidente” che esporta libertà come fosse merce cara.”
Globalproject/Meltingpot
Milano
“Attorno a mezzanotte, dopo il mio ingresso i detenuti hanno deciso di scendere dai tetti e con loro ho parlato per quasi tre ore. Le denunce che hanno avanzato dipingono l’ormai consueto quadro disumano di Via Corelli. Strutture spesso fatiscenti, assistenza medica approssimativa con largo uso di farmaci sedativi e, soprattutto, l’assurdità e l’insopportabilità di una legge che priva della libertà personale, fino a 60 giorni, persone che non hanno commesso alcun reato. Casi come quelli di A.S., padre di un bimbo di 5 anni nato in Italia che ora sta con la madre a Brescia, e che ciononostante è rinchiuso nel Cpt in attesa di espulsione forzata. Oppure quello di A.E.M., cittadino egiziano, che è in Italia da molti anni e che possiede regolarmente una piccola attività economica, sottratto alla sua vita di tutti giorni nonostante fosse in possesso della famosa “ricevuta” che rilascia la questura in attesa del rinnovo del permesso. O ancora, un cittadino albanese, con l’udienza di appello per la concessione dell’asilo politico già fissata per il 7 luglio a Roma e, tuttavia, rinchiuso nel Cpt, mentre moglie e figlio di 13 mesi sono ora abbandonati a se stessi, senza più fonte di reddito”.
Luciano Muhlbauer (Consigliere della Regione Lombardia)
Arrivano le Madri di Plaza de Mayo, sui volti la semplicità del dolore e della lotta, in testa un fazzoletto bianco su cui il cotone celeste segna delle lettere “Ricomparsa in vita”.
Arrivano le Madri di Plaza de Mayo, dietro di noi un Cristo di creta campeggia sul muro, dentro questa sala chiesta in prestito ad una parrocchia.
Mi sento emozionata nell’accogliere queste donne. Tanto. Non è la suggestione dovuta al perverso meccanismo della fama e della notorietà, non solo perché la loro vita rimanda a terribili torture ed ingiustizie, ad un pezzo di storia studiato all’Università. Mi sento emozionata perché nell’abbraccio di Hebe ritrovo me stessa, la mia vita, i giorni quotidiani della terra che abito. Nell’abbraccio di Hebe ritrovo il senso della mia maternità, una maternità in bilico tra i regolari disegni della famiglia e l’ansia di un mondo migliore per tutti e per tutte.
Le Madri di Plaza de Mayo mi hanno insegnato che non esiste solo la retorica della maternità, quella retorica che confina le donne in un ruolo ed in uno schema, che intende il corpo femminile come un contenitore per la riproduzione, la retorica integralista e patriarcale che scinde il desiderio e la vita di una donna dalla sua capacità di generare, quasi fossimo macchine da parto.
Le donne di Plaza de Mayo mi parlano di un’altra maternità, una maternità che diventa collettiva e socializzata, che diventa capacità della vita contro ogni tentativo di annullamento e di morte.
Nel non accettare la morte come parametro della azione politica, come metro di paragone, nel non accettare che la desparicion dei propri figli sia la fine e la morte dei propri figli, io credo ci sia un enorme capovolgimento di senso…una bellissima irregolarità, una straordinaria e lucida follia. “Ricomparsa in vita”.
Le madri di Plaza de Mayo incontrano nella piazza i propri figli, dando seguito alle loro idee di giustizia e solidarietà, li incontrano attraverso i propri corpi, incarnazione della vita, quasi come fosse una risurrezione. Non ci sono porte dentro la piazza, porte a cui bussare, porte che ti sbattono in faccia, porte chiuse, sbarrate. La piazza è aperta, grembo gonfio per il girotondo delle madri. La piazza è il luogo dove le madri sono state partorite dai figli nella lotta, quei figli che loro stesse hanno partorito.
Questo mi insegna Hebe, mi insegna Sara…ad essere madri mille volte, esplosione continua della vita, ad essere madri di tutti quelli e tutte quelle vittime delle ingiustizie e dei diritti negati. Il senso della vita di queste bellissime donne, sta nel sentire il dolore di uno schiaffo dato ad un altro, sconosciuto, desaparecidos, senza nome e cognome, come se fosse cresciuto nel loro corpo, figlio.
Ma perché oggi in Puglia, nel mezzogiorno di quest’Italia ci ritroviamo a parlare della dittatura argentina, di fatti accaduti tanti anni fa, di un pezzo di una storia passata? Io credo che nessuna storia possa mai passare, maggiormente una storia che ancora non ha tutti gli elementi chiari e chiarificati, non tutti i nodi sciolti.
Molti dei carnefici di quegli anni sono ancora impuniti, un pezzo di quel sistema di potere è ancora in piedi.
Anche la Chiesa cattolica, le gerarchie ecclesiali che negli anni della dittatura sono rimaste complici delle atrocità e delle violenze, complici di un potere di morte e di terrore, sono perfettamente in piedi. Anche Pio Laghi, Nunzio Apostolico a Buenos Aires durante gli anni della dittatura, giocava a tennis con l'ammiraglio Massera, celebrava le nozze del figlio e ne battezzava il nipote. Pio Laghi che di fronte alla dittatura diceva: "Il Paese ha un'ideologia tradizionale e quando qualcuno pretende di imporre altre idee diverse ed estranee, la Nazione reagisce come un organismo, con anticorpi di fronte ai germi, e nasce così la violenza. I soldati adempiono il loro dovere primario di amare Dio e la Patria che si trova in pericolo. Non solo si può parlare di invasione di stranieri, ma anche di invasione di idee che mettono a repentaglio i valori fondamentali. Questo provoca una situazione di emergenza e, in queste circostanze, si può applicare il pensiero di san Tommaso d'Aquino, il quale insegna che in casi del genere l'amore per la Patria si equipara all'amore per Dio".
Nel frattempo da qualche aereo venivano buttati nell’oceano i corpi di giovani, colpevoli per aver sognato e lottato per la giustizia. Pio Laghi nel ’91 viene nominato prefetto della Congregazione per l'educazione cattolica, dopo essere stato scelto cardinale da Giovanni Paolo II nel Concistoro del giugno dello stesso anno.
Occorre fare un lavoro sulla memoria e sulla verità, nessun risarcimento economico può restituire la verità e la giustizia, nessuna “legge dell’obbedienza dovuta” e del “Punto finale” possono cancellare le atrocità del la dittatura, come se si potesse cancellare un dolore profondo, “tutto è finito e adesso facciamo la pace”. Non si può fare nessuna pace, senza giustizia e verità.
Un altro motivo per cui oggi ci troviamo a parlare di desaparecidos in Puglia, in questo mezzogiorno d’Italia è perché io credo ci siano ancora troppi desaparecidos. Il mediterraneo sta lentamente diventando un mare di desaparecidos. Il mediterraneo, il mare nostro tra le terre, il mare che unisce ed abbraccia, da sempre traghettatore di culture e lingue diverse che si fanno simili. Il nostro bacino mediterraneo da essere contenitore di vita e di scambi, sta diventando contenitore di morte. Sono desaparecidos i migranti morti nelle acque di Lampedusa, i bambini e le bambine annegati nel canale d’Otranto, tutti quegli uomini irregolari…rinchiusi nei Centri di Permanenza temporanea, non persone, scomparsi, che vivono nelle nostre cantine in silenzio, nel ricatto, nelle quotidiane torture del lavoro nero, in alcune delle serre della nostra città costretti a lavorare dieci ore al giorno per pagarsi un permesso di soggiorno temporaneo. Anche nelle nostre città ci sono uomini e donne che vivono nell’ombra, di cui nessuno può preoccuparsi, sans papiers, senza documenti, senza diritti, senza volto, uomini senza dolore. Non è solo in una dittatura efferata come quella argentina che manca la democrazia, la democrazia non esiste se c’è l’ingiustizia, la sofferenza.
Anche noi oggi dovremmo metterci dei fazzoletti bianchi in testa e ricamarci sopra la scritta “Ricomparsa in vita” di tutti gli scomparsi. Non morte, carcerazione, sfruttamento, ma vita.
Grazie Hebe, grazie Sara, grazie Madri di Plaza de Mayo, grazie per le vostre parole preziose. Credo che le custodirò assieme a poche altre cose importanti della mia vita perché un altro mondo di vita sia possibile.
|
giugno 2005 |