Adriana Cavarero, nel suo bel saggio Corpo in figure (Feltrinelli, 2005), sostiene che la politica si è costituita, sin dalla sua prima espressione, nello scenario della pòlis greca, come discorso logocentrico, fondato su una razionalità che nel suo statuto costitutivo rimuove il corpo.
Il problema se lo Stato possa porre dei limiti alle scelte inerenti alla vita affettiva e morale dei soggetti, farsi stato etico che in maniera paternalistica pone i criteri del giusto e del buono, rimanda alla matrice greca della politica come attività del cittadino nelle pòleis, dove essa è affidata all’ambito del lògos. E sin da allora, quale attività logocentrica, incarna il progetto di una ragione astratta specie quando è concepita come mezzo calcolabile al servizio della mera potenza. Da Machiavelli a Carl Schmitt rappresenta una ragione “forte” e androcentrica che ha bisogno di esercitare sul corpo un controllo, (si pensi alla concezione hobbesiana dello stato come Leviatano e alle analisi di Foucault sulle strategie del controllo del corpo da parte dello Stato-macchina moderno in Sorvegliare e punire). La scena dove si costituisce simbolicamente la rimozione originaria del corpo dalla politica è la rappresentazione drammatica sofoclea dove Antigone, seducente figura letteraria, rappresenta le ragioni del sangue, dell’istinto, della primitività prelogica, precivile e prepolitica, contro Creonte, che rappresenta le ragioni dello Stato, della comunità civile, della cultura. L’inconciliabilità delle rispettive ragioni allude al fatto che la politica, discorso che media tra l’etica e il diritto, inerente alla specifica natura dell’uomo come animal rationale non ha niente a che fare con la impoliticità costitutiva del corpo che lo relega nella sfera domestica dove la vita si manifesta con il suo ciclo biologico ripetitivo e suppone e richiede la cura (delle donne e degli schiavi, secondo Aristotele). Nella rappresentazione simbolica della cultura occidentale la politica e il suo contrario, la carnale corporeità dell’esistere, si inscrivono nello spazio tracciato dalla rappresentazione della differenza sessuale fondata sulla opposizione del genere maschile a quello femminile.Che il corpo e le sue vicende abbiano a che fare con la politica ce lo ha insegnato il movimento delle donne e la capacità di certa riflessione al femminile di riflettere sulla politica come attività condivisa e partecipata, fondata sulla carnale corporeità dei soggetti.Dopo le conquiste raggiunte dal movimento delle donne in tema di diritto all’autodeterminazione, le recenti vicende legate alla legge 40, Norme sulla procreazione medicalmente assistita, riportano all’attualità il dibattito, vivo negli anni 70, sulla laicità dello stato, sui diritti violati, delle donne e degli uomini, sulla facoltà dello stato di sottoporre a regolamentazione il corpo e di disciplinare la sua sfera di bisogni e desideri. Se il diritto a procreare è sancito persino dalla Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino del ’48, su quale legittimità si fonda una legge dello stato che limita fortemente questo diritto, istituendo una serie di restrizioni e di limiti inaccettabili per gli uomini e per le donne che, desiderando avere un figlio, decidano di ricorrere alle nuove tecniche legate alle biotecnologie?E’ opportuno ricordare la storia politica di questa legge, approdata all’approvazione in Parlamento il 10 febbraio 2004, dopo due anni di travaglio, onde evitare sin dall’inizio l’indebita dissociazione delle questioni etiche che riguardano la sfera privata degli affetti dalle questioni prettamente politiche che riguardano invece la dimensione pubblica.La legge 40, si ispira, nel suo impianto, al principio che l’embrione è persona, dotata di diritti; sin dal primo articolo infatti fa riferimento ai “diritti di tutti i soggetti coinvolti, compreso il concepito”. Al fine di tutelarne la vita e la salute, impone una serie di limitazioni alla produzione, utilizzazione, selezione degli embrioni; ne deriva una legge contraddittoria e oscurantista in cui la esigenza di salvaguardare il prodotto della fecondazione appare prioritaria e conflittuale rispetto ai diritti dei soggetti che fanno ricorso alle tecniche di fecondazione assistita. La legge restringe di fatto la possibilità di accesso alla pma, riservandola alle sole coppie sterili o infertili, ed escludendo le coppie portatrici di malattie infettive o ereditarie, che possono sperare di avere un figlio sano, senza dovere ricorrere all’aborto terapeutico, solo facendo ricorso alle nuove tecniche di riproduzione e alla diagnosi preimpianto, vietata dalla legge.Pone delle condizioni limitanti al processo di procreazione assistita con il divieto di congelamento degli embrioni (crio-conservazione), prima consentito, e, rendendo impossibile creare un numero di embrioni in vitro superiore a quello necessario per un unico impianto, costringe la donna a sottoporsi a dolorose e plurime stimolazioni ovariche, dal momento che, con l’articolo 14, obbliga a creare in vitro un numero massimo di tre embrioni per volta. e di trasferirli tutti e tre, anche se dovessero presentare malattie genetiche, nell’utero femminile. In questo punto la legge, stabilendo la creazione di un numero massimo di embrioni, e vietandone la cri-conservazione, pone forti limitazioni anche alla ricerca sperimentale, estendendo, tra l’altro, il divieto di utilizzo anche a quegli embrioni che sono stati creati in passato e non sono mai stati utilizzati. La legge stabilisce l’impossibilità, per la donna, di revocare il consenso nel tempo che intercorre tra la fecondazione e l’impianto nell’utero; vieta tassativamente, senza prevedere nessuna eccezione, la fecondazione eterologa, lede l’autonomia del medico e gli prescrive come deve operare, anche a costo di violare il proprio codice deontologico; vieta l’uso a scopo di ricerca degli embrioni congelati e non utilizzati per la riproduzione. In sintesi, con questa legge si rende accidentato e punitivo, e oneroso per la salute della donna, il già difficile percorso che consente alle coppie di avere un figlio attraverso le nuove tecnologie riproduttive. Non è difficile capire le ragioni delle critiche che provengono da scienziati, operatori, associazioni, dalle componenti più laiche del parlamento.La discussione sulla legge 40 ha numerose implicazioni. Pone problemi etici, circa la tutela della libertà di scelta e della salute dei soggetti coinvolti ma anche problemi politici, come quello dei limiti dell’autorità delle leggi e dello Stato riguardo ad una sfera privata e assai delicata come quella del desiderio di procreare e di costituirsi una famiglia; pone dei problemi di bioetica, quali l’opportunità di porre dei limiti alla ricerca scientifica sulle cellule staminali, per citare solo alcuni degli aspetti problematici emersi da una discussione che sta guadagnando sempre più spazio nei media e in seno alla vita politica del paese. Il 12 maggio ci troveremo di fronte ai quesiti referendari che chiedono di abrogare alcune parti di questa legge. La natura e la formulazione dei quesiti è complessa; al punto da scoraggiare parte dell’elettorato che, in assenza di un’ informazione capillare, potrebbe essere indotto a restare a casa anche perchè si crede che la materia non coinvolga diritti, bisogni e la libertà di scelta di uomini e donne.Appare quanto meno ipocrita la posizione di chi, rispetto al referendum, delega alla coscienza morale di ciascuno la responsabilità del prendere posizione perchè si tratta di questioni etiche personali sulle quali la politica non ha molto da dire. Che si tratti di una questione cruciale in cui la politica come Discorso della forza implicitamente sottesa ad un’idea e pratica di Stato etico ed integralista torna a dire la sua sul corpo, lo dimostra il grande coinvolgimento delle forze cattoliche nella campagna antireferendaria per l’astensionismo: i luoghi dove si produce e circola la cultura cattolica, chiese e agenzie religiose, stanno già da tempo esercitando una funzione di pressione sull’opinione pubblica, con una palese violazione delle norme del Concordato.Dopo anni di discussione sembra che la maggioranza sia arrivata alla definizione della legge con un atteggiamento di integralismo manifestatosi con il rifiuto di tenere conto dei mutamenti culturali, di costume e di mentalità intervenuti con i progressi della scienza e delle biotecnologie, che hanno determinato il ricorso sempre più frequente alle nuove tecniche di riproduzione assistita, e la diffusione del convincimento che il loro utilizzo può contribuire alla soluzione positiva dei problemi legati alla procreazione. Si può dire che nel tempo si sia sempre più indebolita la convinzione che la trasmissione della vita sia legata ad un processo necessariamente “naturale”, e che sia abbastanza condivisa la concezione che esista il diritto di compiere scelte diverse nel campo della riproduzione. Dal 1978 , anno in cui in Inghilterra nacque la prima bambina in provetta, ad oggi, sono venuti al mondo con questa tecnica un milione e mezzo di bambini.La discussione su questa materia in Italia è durata quasi 50 anni. Il primo disegno di legge risale al 1958: Divieto di inseminazione artificiale e sua disciplina giuridica.Nell’88 Massimo Teodori e Francesco Rutelli presentarono un disegno di legge di ispirazione aperta e liberale ma questa e tutte le proposte che seguirono si arenarono senza essere discusse sino a quando, nella XIII legislatura, un testo unificato arrivò ad essere discusso in senato, ma, dopo avere subito molti emendamenti, risultò inaccettabile ai parlamentari laici. Il fatto che il governo di centro destra, guidato da Berlusconi, sia riuscito dove hanno fallito decine di governi democristiani, merita qualche riflessione. Vittoria Franco, nel suo recente contributo alla discussione, Bioetica e procreazione assistita( Donzelli, Roma 2005) ci fornisce alcune tracce di analisi suggerendo che, nella definizione delle regole su questa materia, la posta in gioco, per il governo di centro destra, fosse il consenso delle gerarchie cattoliche. Si poteva giocare una partita di scambio sulle norme relative alla pma tra il governo e la Chiesa in un momento politico delicato che aveva visto il Vaticano lanciare un appello per la pace e schierarsi contro la scelta del governo Berlusconi di inviare le truppe nella guerra preventiva in Iraq. Si poteva fornire una contropartita sulle questioni della procreazione e della maternità responsabile laddove anche gli appelli della Chiesa ad alleggerire la condizione delle carceri tramite l’indulto non avevano avuto esito. Nel fare la legge si è fatta leva sulla paura del Far West procreativo a cui bisognava porre fine, anche a costo di fare una legge pessima.Altre ragioni che potrebbero spiegare la determinazione di legiferare con norme tanto rigide su una materia così nuova sono il venire meno di una cultura istituzionale in cui il rispetto delle ragioni dell’opposizione viene contemplato e trova ospitalità nella formulazione delle regole, il fatto che il fronte delle forze politiche cattoliche, divise in Parlamento, e presenti in schieramenti politici diversi, volesse ritrovare l’approvazione delle gerarchie cattoliche e del Vaticano tramite una legge ispirata all’integralismo che mettesse in crisi il concetto di laicità dello stato. Credo si possa essere del tutto d’accordo con questa analisi quando si sottolinea che la sinistra, d’altra parte, non è riuscita a comprendere la portata politica delle questioni legate alle biotecnologie e ha continuato a pensare che i problemi da esse sollevati fossero legati alla sfera privata da confinare nello spazio della coscienza personale. Le donne nei partiti e nelle associazioni non hanno colto la portata dell’attacco a diritti sanciti da leggi per le quali era stata in passato ingaggiata una dura battaglia, come i principi sanciti dalla legge 194 in cui il diritto a preservare la vita e la salute della donna è considerato prioritario e viene riconosciuto il principio della scelta della maternità responsabile. La 194, distaccando finalmente la maternità dal “destino naturale”, la faceva diventare l’esito della scelta morale di un soggetto cui era riconosciuta sostanza etica e libertà di autodeterminazione. La legge 40, che obbliga la donna all’impianto di tre embrioni, e vieta la revoca del consenso all’impianto, anche nel caso gli embrioni risultino malati, appare crudele e punitiva, una retrocessione rispetto alle conquiste precedentemente ottenute dal movimento delle donne e una forma ulteriore assunta dall’attacco al loro diritto di autodeterminazione in quanto in palese contraddizione rispetto ai principi che informano la 194. In maniera diversa ma convergente contribuiscono a scuotere acquisizioni che parevano certe la recente proposta di Gianfranco Fini di inserire nella legge 194 un articolo che infligge una pena fino a tre anni di carcere per chi istiga all’aborto; la condanna della pillola che provoca l’aborto medico da parte della conferenza episcopale italiana; la recentissima proposta di Buttiglione di conferire un premio di un milione al mese per chi rinuncia all’aborto. I problemi etici sollevati dalla legge sono molteplici, ad es. il divieto tassativo di ricorrere alla fecondazione eterologa ossia (in caso di sterilità o infertilità di un componente della coppia ) alla donazione di gameti di donatori custoditi in apposite banche. C’è da precisare che il ricorso a questa pratica in Italia è stato ampiamente realizzato; le prime banche del seme risalgono agli anni 70, quando, con la circolare Degan del 1985, che interveniva a regolamentare questa materia, fu vietata la pratica della donazione di gameti nelle strutture pubbliche, ma fu autorizzata nei centri privati che si affrettarono a darsi un codice di regolamentazione che prevedeva il ricorso alla donazione solo nel caso di coppie eterosessuali, rigorosi controlli igienici e il divieto di fare ricorso per più di cinque, otto volte al seme di uno stesso donatore al fine di evitare unioni fra consanguinei, e l’anonimato del donatore.Alla fecondazione eterologa potrebbero fare ricorso coppie che corrono il rischio di trasmettere malattie ereditarie o infettive. Di fatto in questi anni non si sono registrate richieste che potessero rappresentare una rottura rispetto alle convinzioni morali ed etiche più diffuse.Tra le obiezioni più diffuse all’eterologa c’è il timore che il ricorso a questa pratica possa introdurre la tendenza a praticare una selezione in senso eugenetico, a questa obiezione però si può controbattere che altra cosa, rispetto all’eugenetica, è la selezione di embrioni sani attraverso la diagnosi preimpianto nel caso di genitori portatori di malattie genetiche. Esiste la disponibilità della comunità scientifica a darsi delle regole chiare; basti ricordare il codice deontologico dei medici, la Dichiarazione di Helsinky che stabilisce linee guida della ricerca medica a livello mondiale, il codice di autoregolamentazione dei centri (riuniti nel Cecos ).E’ diffuso il timore che il ricorso alla fecondazione eterologa possa costituire famiglie anomale e creare problemi psichici di identificazione per i bambini nati in provetta dal seme di un donatore sconosciuto e anonimo. Sono obiezioni solitamente sollevate dalla parte cattolica e rimandano al concetto di famiglia come “ius sanguinis” e vincolo naturale, quasi che solo la consanguineità possa assicurare un’assunzione di genitorialità responsabile ed assicurare le cure che questa comporta. Non si considerano le imponenti trasformazioni sociali e culturali che sono intervenute a mutare il modello delle relazioni familiari dopo che separazioni e divorzi hanno determinato l’affermarsi della “famiglia allargata” comprendente i figli appartenenti a segmenti diversi della vita affettiva dei genitori e nati da differenti matrimoni, e dopo che, in relazione al diffondersi del problema della sterilità e dell’infertilità, ma anche per il radicarsi di una mentalità solidaristica, si va affermando sempre più la pratica dell’adozione nazionale e internazionale o dell’affido. Ne consegue che esistono numerosi modelli di relazione familiare corrispondenti tutti a scelte da rispettare perché rappresentano etiche diverse, e che la consanguineità non può costituire il fondamento e la garanzia della costituzione della relazione familiare perché la genitorialità sociale e giuridica si va sempre più dissociando dalla naturalità del vincolo e perché la trasmissione genetica del proprio patrimonio ereditario non è l’assicurazione e il fondamento della genitorialità che si lega, piuttosto, a scelte di responsabilità. Infine non si può trascurare il tema della ricerca sulle cellule staminali embrionali.Negli altri paesi della U.E. è raro che venga vietata completamente la ricerca sulle cellule staminali embrionali; di solito le questioni poste ai parlamenti sono queste: se consentire l’uso di embrioni congelati e non utilizzati per la procreazione, se permettere la clonazione terapeutica, se importare da altri paesi linee cellulari di origine embrionale. L’Italia rischia davvero di diventare il fanalino di coda della ricerca in Europa, con questa legge che si occupa di problemi diversi come fecondazione assistita e ricerca sugli embrioni, fondendo due piani che avrebbero dovuto restare separati; inoltre l’Europa, tramite la Commissione europea, ha già proposto, nell’aprile del 2003, di finanziare progetti di ricerca sulle cellule staminali che prevedono l’uso di embrioni umani congelati, dimostrando tutt’altro orientamento su questa materia. In nessun altro posto d’Europa esiste una legge cosi poco rispettosa del pluralismo delle convinzioni etiche e religiose, e così ispirata da una concezione integralista dello stato , nemmeno nei paesi dove i sentimenti cattolici sono più radicati, come la Spagna, o dove esistano governi conservatori.Oggi appare prioritario diffondere il più possibile l’informazione sul referendum, convincere a votare il maggior numero di persone per raggiungere il quorum e sconfiggere il partito dell’astensione che si sta organizzando con una campagna silenziosa fondata sullo svilimento della questione e sull’occultamento degli interessi politici sottesi al referendum e presente nei luoghi dove si costituisce il consenso cattolico, nelle parrocchie, diventate lobbies di pressione politica che scoraggiano la partecipazione alla consultazione referendaria. Non tutte le forze politiche e le associazioni che aderiscono ai Comitati per il si concordano sulla posizione da assumere in merito ai quattro quesiti ma su un punto converge l’adesione di tutte le organizzazioni e dei singoli cittadini: si tratta di un’ importante battaglia per la difesa dei diritti civili, il diritto alla salute, alla famiglia, alla procreazione tramite le tecniche che la scienza mette a disposizione, il diritto della ricerca scientifica e il diritto a praticare etiche diverse in uno stato laico che rispetti il pluralismo delle scelte morali. La possibilità di pensare i problemi posti dalla bioetica in una prospettiva laica (che non significa indifferenza ai valori), significa riferirli all’orizzonte umano delle pratiche e dei valori condivisi. Si riporta la bioetica in un orizzonte metafisico se si pensa che l’unico fondamento universalmente condivisibile dell’etica sia il rispetto di un “ordine naturale” astrattamente considerato, come se la natura non fosse da sempre inclusa in un processo di civilizzazione che la trasforma ed immette in essa dosi massicce di artificialità. Nell’analizzare la legge dal punto di vista della mediazione tra scienza ed etica e i possibili rapporti tra etica e diritto, Vittoria Franco usa parole efficaci: “Nel caso della legge 40 si è praticato l’impossibile modello di mìmesis, di imitazione della natura, passando dal bìos all’ èthos al nòmos, affidando a quest’ultimo il compito di tenere a freno la natura, sacra e inviolabile”(op. cit., p.108). L’errore macroscopico, sotteso alla legge sarebbe quello di supporre che il ricorso alle tecniche di pma. sia una forma di violazione delle leggi naturali, sacrali ed immodificabili, un cedimento ad un desiderio, sfrenato ed egoistico, di valicare un “ordine divino” che chiama in causa la religione, la quale diventa il presidio difensivo delle leggi naturali che la volontà di potenza dell’uomo vuole violare.
Se la politica accetta la sfida di farsi carico delle ragioni di Antigone, e di tradurre l’impoliticità del corpo, con il suo portato di bisogni e desideri, essa suggerisce leggi e norme che rappresentano pratiche etiche e modi di relazione diffusi nella collettività e non limiti astrattamente imposti da uno stato etico e quindi autoritario. Non si possono demandare solo alle scelte personali e private della coscienza morale questioni che coinvolgono i diritti sociali, come vorrebbero fare intendere coloro che non si schierano; pertanto direi che la posta in gioco in questa battaglia è la difesa di un concetto della politica che nasce dalla destrutturazione di una ragione forte o logocentrica e rappresenta lo spazio di mediazione tra le possibilità aperte dalle biotecnologie, la espressione dei desideri dei soggetti sessuati, e i limiti posti dallo Stato, in quanto si sostanziano di valori radicati e condivisi dalla gente rispecchiando una cultura autenticamente tollerante e democratica.