Legge 40 del febbraio 2004. Considerazioni e analisi
di Michele Zanna

Come è noto, la legge in questione detta norme in materia di procreazione medicalmente assistita, per favorire la soluzione dei problemi riproduttivi derivanti dalla sterilità o dalla infertilità della coppia, considerata l’unica e sola destinataria delle tecniche di riproduzione assistita ivi trattate.

La legge assicura, all’articolo 1, i diritti (la tutela) di tutti i soggetti coinvolti, quindi, oltre alla coppia, anche il concepito, che, nella fattispecie, è l’embrione umano.

Gli art. 13 e 14 - che costituiscono il capo VI della legge - sono la base giuridica che precisa le misure di tutela dell’embrione: è vietata qualsiasi sperimentazione su di esso, è vietata la produzione di embrioni a fini di ricerca, la selezione di essi a scopo eugenico, la manipolazione del loro patrimonio genetico, gli interventi di clonazione, la fecondazione di un gamete umano con un gamete di specie diversa. È vietata la crio-conservazione e la soppressione degli embrioni.

Le tecniche di riproduzione possono creare un numero massimo di 3 embrioni, che devono essere utilizzati tutti e tre in un unico e contemporaneo impianto nell’utero materno.

Su questa legge sono stati formulati giudizi contrastanti e fieramente critici: “Pessimo compromesso” l’ha definita G. Amato, “accettabile punto di mediazione”, la gerarchia cattolica, senza riuscire però ad impedire che si creassero le condizioni per un dibattito aspramente contrapposto tra laici e cattolici nel momento nel quale la Corte Costituzionale ha dichiarato ammissibili i 4 quesiti avanzati da un Comitato referendario, parzialmente abrogativi di singole disposizioni della suddetta Legge .

La legge ha finito così per creare un vero e proprio bipolarismo etico: da una parte un fondamentalismo proibizionista, dall’altro un positivismo basato sulla liberazione dalla schiavitù della natura e della tradizione.

I quesiti referendari vertono su: 1) divieto di sperimentazione e ricerca sugli embrioni; 2) limiti al numero degli embrioni; 3) l’equiparazione dei diritti del concepito a quelli della persona; 4) il ricorso a tecniche di procreazione medicalmente assistita di tipo eterologo.

Esaminiamo i singoli quesiti e le implicazioni relative.

Il 1 quesito propone agli elettori l’abrogazione dei commi 1 e 3 dell’art. 13 e del comma 1 dell’art. 14, che prevedono limiti alla ricerca clinica e sperimentale sugli embrioni. Chiede di eliminare quindi le norme che vietano qualunque tipo di ricerca scientifica su embrioni a qualunque stadio di sviluppo, estendendo il divieto non soltanto agli embrioni che si produrranno in futuro ma anche a quelli sino ad oggi congelati.

Infatti, sino all’approvazione della legge 40, sono stati prodotti numerosi embrioni soprannumerari dai Centri per la procreazione assistita, in quanto, a causa della complessità della riproduzione in vitro, venivano fecondati più ovociti di quelli poi impiantati nell’utero della donna (con la legge 40 invece possono essere fecondati solo 3 ovociti e devono esser tutti impiantati in un solo atto anche a rischio della salute della donna: di questo si occupa il 2° quesito). Secondo alcune stime, in Italia sarebbero circa 30.000 gli embrioni che, a norma della legge 40, sono destinati al congelamento in eterno, qualora non vengano impiantati entro qualche tempo. Potrebbero invece rivelarsi preziosi per la ricerca scientifica, in particolare quella sulle cellule staminali embrionarie. Su queste cellule si sa poco. Inizialmente si pensava che potessero essere trovate solo negli embrioni, vero e proprio serbatoio di cellule indifferenziate, capaci di generare e quindi di rigenerare, in caso di malattie, tutti gli organi e i tessuti del corpo umano. Poi si è scoperto che quasi tutti gli organi adulti hanno cellule staminali progredite, che hanno funzioni specifiche in quel particolare organo e che possono essere utilizzate per ripararlo. Non solo si è riscontrato che queste cellule staminali d’organo possono dar luogo a diversi tessuti, ma si è anche ipotizzato che potessero soppiantare le staminali embrionali. Non è così. Altre ricerche hanno dimostrato che le staminali dei diversi organi non sono così potenti come le embrionali. Inoltre, non si conoscono esattamente quali siano tutte le loro potenzialità. Di certo sappiamo che le staminali embrionarie possono rigenerare qualunque cosa. Dunque sappiamo che non c’è paragone con quello che si può fare, già allo stato attuale delle conoscenze, con quelle adulte.

È da sottolineare che lo studio delle staminali prevede non la distruzione degli embrioni, ma solo il prelievo da essi di poche cellule della porzione interna.

Inoltre, sembra ottuso il divieto di utilizzare embrioni congelati, risultati da precedenti interventi di fecondazione e mai utilizzati. Si sa solo che non si possono sopprimere e non si possono utilizzare a scopo di ricerca. Sono embrioni destinati, prima o poi, a morire. Perché non accettare che siano donati alla scienza? Sarebbero sufficienti al lavoro di ricerca per tantissimi anni e potrebbero permettere di scoprire nuove terapie per malattie degenerative.

Un parere sul merito del problema, viene dal Comitato Nazionale di Bioetica, che al riguardo ha ritenuto che "la rimozione e la coltura in laboratorio di cellule staminali da un embrione che non puo' essere impiantato non significhino una mancanza di rispetto nei suoi confronti, ma possano considerarsi se mai un contributo, da parte della coppia donatrice, alla ricerca di terapie per malattie difficilmente curabili e spesso inguaribili, che deriva da un atto di “solidarieta'"; e ha quindi concluso di ritenere "eticamente lecita la derivazione di cellule staminali a fini terapeutici dagli embrioni non piu' in grado di essere impiantati".

Il Comitato Nazionale di Bioetica si è espresso anche sul divieto alla sperimentazione: “la limitazione della sperimentazione agli embrioni soprannumerari, oltre a non avere motivazione logica, ma solo occasionale e pragmatica, favorirebbe surrettiziamente la pratica di produzione di embrioni in vitro a soli scopi di ricerca, indipendentemente cioe' da specifiche finalita' inerenti alla fecondazione assistita e in violazione quindi di consolidati principi bioetica. (Comitato Nazionale di Bioetica: parere di minoranza sull'utilizzo degli embrioni soprannumerari - 11 Aprile 2003).

È quanto chiede anche l’Accademia dei Lincei e quanto molti scienziati cattolici indicano come un terreno di compromesso possibile.

Le principali malattie interessate alla ricerca sono: diabete, infarto, fibrosi cistica, autismo, sclerosi multipla, Parkinson, alcune forme di cancro, osteoporosi, lesioni del midollo spinale, ictus, sclerosi laterale amiotrofica, Alzheimer.

Il 2 quesito referendario chiede di eliminare l’obbligo (art. 14, c. 2) di creare in vitro un numero massimo di 3 embrioni per volta, abrogando l’obbligo di trasferirli nell’utero della donna in un’unica seduta: due paletti fissati dal legislatore per evitare il rischio di ottenere embrioni in eccesso e di doverli congelare.

Si tratta di un quesito essenzialmente imperniato sulla salute della donna: esso infatti punta alla cancellazione di una serie di restrizioni, ritenute ostacoli gravi per il successo delle tecniche di fecondazione, specie se applicate a donne di età superiore a 35 anni.

Prendiamo la norma che vieta il congelamento (crio-conservazione) degli embrioni (art. 14, c. 1) e impone che tutte le cellule fecondate, max 3, siano impiantate nell’utero. “È un controsenso - dice Veronesi – perché se tutti gli embrioni impiantati attecchiscono si ha una gravidanza tri-gemellare mettendo a rischio la salute della donna e mettendo a repentaglio la salute dei futuri feti i quali per banali motivi geometrici, di spazio, rischieranno di non vedere mai la luce. Se invece ne attecchisce uno solo – come auspicabile - significa che gli altri 2 muoiono, che è proprio quello che la legge non vuole. È una legge che va contro se stessa: dice di voler proteggere l’uovo fecondato ma imponendo di impiantarli tutti e tre (perché non ammette il loro congelamento) finisce per condannarne a morte uno o due. Basterebbe seguire le indicazioni dell’Organizzazione Mondiale della Sanità che dice di inserire nell’utero un solo ovulo fecondato per volta mentre gli altri devono essere messi da parte in modo da venire utilizzati se il primo non attecchisce”.

E poiché le probabilità di attecchimento sono solo del 25% per volta e si riducono all’avanzare dell’età della donna, ne risulta che si obbliga la donna che persiste nel desiderio di avere un figlio alla ripetizione del trattamento ormonale di stimolazione ovarica, al prelievo chirurgico degli ovociti e a tutte le analisi e i monitoraggi connessi alla tecnica.

Si calcola che l ‘intervento debba essere ripetuto da 5 a 6 volte affinché – in media – una donna possa avere attraverso la FIVET la probabilità del 50% di ottenere il figlio desiderato e da 13 a 15 volte per raggiungere la probabilità del 95-99% .

La legge ignora anche i dati scientifici: “permettendo solo il congelamento dei gameti maschile e femminile sembra ignorare che il congelamento degli ovociti è ancora una tecnica poco efficiente e sicuramente non paragonabile in termini di risultati né alla crio-conservazione degli embrioni né come consentono altre legislazioni europee al congelamento dell’ovocita fecondato a 2 pronuclei, stadio precedente a quello embrionale e che ha dato risultati eccellenti, superiori al congelamento degli embrioni “ (Loredana Gandini – presidente SIERR, Società italiana Embriologia, Riproduzione e Ricerca).

La legge, inoltre, non permette alle coppie portatrici di malattie genetiche e infettive la cosiddetta “analisi citogenetica pre-impianto”, cioè un esame dell’embrione prima del suo trasferimento nell’utero materno. Si espone così la donna a un doppio trauma: la possibilità di impiantare un embrione malato e la conseguente probabilità di dover ricorrere ad un aborto terapeutico.

Il 3 quesito verte sulla equiparazione dei diritti: si ispira all’autodeterminazione e alla tutela della salute della donna: prevede l’eliminazione degli stessi limiti del 2° quesito (quindi del divieto di congelamento degli embrioni, numero massimo di embrioni da creare e trasferire, possibilità di diagnosi pre-impianto e selezione degli embrioni, nessun obbligo di impianto coatto degli embrioni creati in provetta). La novità è la richiesta di abrograre integralmente l’art. 1 della legge che fa riferimento “ai diritti di tutti i soggetti coinvolti, compreso il concepito”. In pratica, soggetti già nati e il nascituro, fin dalla fecondazione vengono messi sullo stesso piano dalla legge attuale, dal punto di vista morale e giuridico. La norma attuale assicura al concepito gli stessi diritti della madre e di ogni persona nata. Per concepito si intende già l’ovulo fecondato, ancor prima che si formi l’embrione. È la prima volta al mondo che questo avviene per legge.

Stabilire che un ovulo fecondato ha gli stessi diritti di una persona nata è un’affermazione etica e di parte che però rischia di avere conseguenze pratiche assai rilevanti. Se questa affermazione fosse valida, ad esempio, si rischierebbe di mettere in discussione radicalmente la legge 194 sull’interruzione volontaria di gravidanza, dove non emerge la tutela del feto, che è già molto di più di un embrione.

Il 4 quesito vuole far cadere il divieto di fecondazione eterologa (art. 4, c. 3), per la quale si utilizzano gameti appartenenti a donatori esterni alla coppia in cura. La legge attuale permette solo tecniche “omologhe”: i gameti devono appartenere ai 2 genitori e si preclude la possibilità che la coppia abbia un figlio con il patrimonio genetico di almeno un solo componente della medesima.

Il ricorso all’eterologa riguarda le coppie con problemi di sterilità di uno dei due partner (donne colpite da menopausa precoce o uomini affetti da azoospermia secretiva) e la prevenzione delle malattie genetiche se uno o entrambi i genitori ne fossero portatori.

L’eterologa ha un’alta percentuale di successo, ma costituisce solo il 10% dei casi di fecondazione assistita.

In questa legge non va dimenticato il ruolo dello Stato, che entra di forza nelle vicissitudini della vita della coppia, tanto da decidere di istituire presso l’Istituto Superiore di Sanità un Registro Nazionale degli embrioni e dei nati presso le strutture autorizzate, in barba alla legge sulla privacy e al disagio psicologico che ne deriva per le coppie.

Una conclusione è chiara: per la massima parte delle coppie sterili che vi si affidano, queste tecnologie ancora oggi rappresentano una speranza, che andrà quasi certamente delusa: soltanto circa 20 su 100 possono avere la speranza di portare a casa il figlio desiderato. Ma di tutto ciò si tace. Non se ne parla attraverso le grandi vie di comunicazione mass-mediali. Non se ne parla neppure, se non molto velatamente e di passaggio, negli studi di chi offre l'assistenza. Accusa aperta, fatta senza attenuanti nell’analisi dell’Institute for Science, Law, and Technology (Islat) di Chicago: «Le cliniche dovrebbero, come minimo, essere obbligate dalla legge a manifestare i rischi, i benefici e gli specifici procedimenti delle tecniche che saranno impiegate [...] i rischi associati con i farmaci utilizzati [...] i rischi di gravidanze multiple, e i potenziali problemi medici e pscicologici per i figli».

giugno 2005