La conoscenza condivisa in una piccola città
di Gennaro Gadaleta Caldarola

Fiumi di parole avvolgono la nostra giornata, dalle pagine dei giornali, dagli altoparlanti del televisore, dal cellulare, dai muri delle città pieni di pubblicità e probabilmente il lavoro di ciascuno di noi è pieno di parole. I sogni no: molte immagini, persino difficili da descrivere “a parole”, molti sentimenti, ma nessun discorso logico, nessuna scrittura.
Cullati e consolati dalle parole delle narrazioni, ciascuna di un evento unico e irripetibile, nel trasportare le parole delle narrazioni e dei racconti alla politica, abbiamo commesso molti peccati di presunzione e, primo fra i tanti, quello di pensare di poter narrare la conoscenza.
A mio giudizio, ovviamente. Potrebbe essere giunta l’ora di riparare al danno fatto non tanto alle grandi utopie della politica o ai grandi sogni del socialismo (che ora e sempre richiedono narrazioni, fantasie e sentimento) quanto alla nostra quotidianità, fatta di macchine tangibili che emettono veleni tangibili nelle nostre strade sconnesse, e di alimenti comprati dietro l’angolo, e di malattie, vissute nella nostra sanità ferita dalla politica.
S’inventa così una “sinistra che pensa” e si cerca di convincerla a lavorare sui numeri per descrivere una conoscenza asettica e condivisibile. Una sfida alle parole, alle utopie e alle narrazioni, ma una necessità per la politica del presente, quel presente che ha bisogno di luoghi in cui esistere, cibo da mangiare e ospedali per combattere la sfortuna dei malanni. Quante case ci sono a Molfetta e quanti abitanti muoiono per “morte evitabile”? E poi quanti molfettesi subiscono violenza per le strade e quanti furti ci sono ogni giorno?
La democrazia in una cittadina presuppone, per il cittadino senziente, la conoscenza della città e non la scelta fra opinioni e promesse di candidati alle elezioni comunali. È tempo di mettere a disposizione di noi stessi prima di tutto e poi, anche e soprattutto, di chiunque poi voglia, le conoscenze disponibili sulla nostra città.
Trattandosi di conoscenze, e non di opinioni, esse saranno sintetiche, espresse da numeri che riguarderanno “indicatori”, concernenti fatti che attengono ai tre assi di conoscenza di una città: l’ambiente, l’economia e la comunità (o socialità come si usa dire). Molti sono coloro che, almeno a parole, sarebbero contenti di partecipare a una simile impresa ma su quanti questo progetto potrà contare?
Per favorire questo percorso e la partecipazione a un progetto di conoscenza sintetica e condivisa della città, questo articolo venne scritto ed è oggi consumato da te, mio distratto lettore.
Fare la politica non è solo una cosa di “coscienza” ma serve anche la “scienza”: dati, numeri, cifre, delle scienze sociali, delle conoscenze formali e non formali. Di solito, quando va bene, a sinistra c’è un sacco di buona volontà, ma serve anche un po’ di applicazione. Verrebbe di aggiungere un po’ di perdita di tempo e un po’ di sacrificio, ma non si vuole da subito ricordare i difetti della partecipazione e della democrazia. Per fare la politica (ovvero fare manifestazioni, comizi, programmi, alleanze, manifesti, campagne elettorali, ecc. ecc.), bisognerebbe essere appena un po’ più “conoscente” oltre che “cosciente”. Un’analisi del genere andrebbe fatta non interpellando i diretti protagonisti politici di questi anni. E non mettendo in mezzo beghe di partiti o nomi di consiglieri comunali e varie. Quello che serve è un analisi fredda, esatta, senza patemi di appartenenza politica.
Quindi un forum su cos’è questa città ora, su come si è trasformata, fatto da gente con più cognizioni di “conoscenza” e meno di “appartenenza”. Una delle caratteristiche di questo tipo di lavoro (un servizio fatto a tutti i cittadini molfettesi, sia a quelli colti che a coloro che sono poco adusi a leggere molte pagine) dovrebbe essere quella di essere pubblico sia nello svolgimento che nelle conclusioni. Queste dovrebbero essere rese pubbliche dopo essere state “pesate”: infatti, coloro che raccolgono i dati sono tra di loro a portata di dialogo e, potendo interagire tra di loro, durante il lavoro, capiscono l’importanza relativa di un singolo indicatore rispetto agli altri, i lettori invece potrebbero percepire come similmente importanti dati dal peso completamente diverso.
Questo significa che ogni dato deve avere un’attribuzione di importanza in relazione e in proporzione agli altri.
I seminari si terranno il 28 maggio e il 18 giugno, a Molfetta, presso l’aula consiliare di Palazzo Giovine, dalle 15.30 alle 19.30
Al tempo in cui il lettore leggerà queste frasi si spera che il lavoro di raccolta dei dati sulla città di Molfetta sia già iniziato e forse già finito. Dovrebbe svolgersi in due seminari distinti (ciascuno di quattro ore circa, quattro ore dei nostri sonnolenti e pigri sabati pomeriggio), in cui ad una breve relazione introduttiva segua il lavoro a piccoli gruppi e una relazione finale di ciascuno dei piccoli gruppi sulla conoscenza della città di Molfetta. Lo scopo è per ora quello di raccogliere tutti i dati disponibili (che ciascuno di noi ha disponibile) e organizzarsi per metterli insieme in maniera organica e leggibile.
Nel primo seminario si decide quali sono le informazioni DESIDERABILI per conoscere una città. Poi si ricercherà ciascuno per proprio conto o a piccoli gruppi, sfruttando le nostre professionalità e le nostre amicizie, le informazioni disponibili. Il secondo seminario, fatto dopo un paio di settimane, serve a mettere insieme i dati che ciascuno ha (o ha raccolto) per far si che ne esca fuori una mappa di conoscenza della città. Forse ogni anno ripeteremo il rito di condividere la conoscenza, forse riusciremo a fare davvero un mappa della città.
Comunque conosciuto, il presente verrà sempre vissuto in un luogo fisico chiamato città. Sarà sempre fatto di sentimenti e di relazioni umane eppure avviene e probabilmente avverrà sempre in una realtà spesso tragica, soprattutto per i più deboli.
Coltivare i nostri sentimenti e le nostre relazioni in una città conosciuta e quindi trasformabile ci farà sembrare meno gravoso il peso di dover cambiare il presente, perché nessuno di noi può davvero essere libero se tutti coloro che condividono lo stesso luogo e lo stesso tempo non saranno davvero liberi dalle necessità economiche e dai condizionamenti culturali, pur nella differenza delle opinioni che è poi la ricchezza del nostro meridione.

giugno 2005