Il corpo lacerato, il corpo impomatato, il corpo dipinto, il corpo dell’estinto, il corpo violato, il corpo del carcerato, i corpi di Guantanamo, quelli di Baghdad, le vittime di Nassyria. È morto Arafat. La fine della produzione, l’impero dei segni. La sussunzione simbolica, l’assunzione nel segno. La fine dell’alito, la fine del respiro, la morte. Sovvertire il codice attraverso il linguaggio, sovvertire il meccanismo di cattura. Meglio il silenzio, anche se la costrizione al silenzio produce la rabbia, quel liquido devastante che invade il fegato, il ventre, il cervello. Allora l’urlo. La rabbia e il pianto. Io piango dolcemente nella notte. Tu mi comprendi. Cinquantesimo giorno di vecchiaia. È morto Arafat. Un grande protagonista del secolo scorso. Ha provato in tutti i modi a dare una terra al suo popolo. Non c’è riuscito. Un pugno di terra, solo un pugno di terra sulla sua bara. L’analisi del tempo presente deve partire dalla fine del valore d’uso e dalla sussunzione totale nella dimensione dello scambio. Le due categorie marxiane possono contribuire alla comprensione delle dinamiche del mondo post-moderno. La fine del valore referenziale del segno si presenta come l’esito finale del decantamento, fino alla rimozione, degli elementi materiali del vivere. La vita come corpo, come alito, come respiro, come soggetto.
“Il valore referenziale è annullato a vantaggio del solo gioco strutturale del valore. La dimensione strutturale si autonomizza a esclusione della dimensione referenziale, si istituisce sulla morte di quest’ultima.” (J. Baudrillard, Lo scambio simbolico e la morte, Milano 1979, p.18)
Baudrillard individua nella fine totale del valore d’uso uno degli aspetti più evidenti della realtà post-moderna. Se, nell’epoca del lavoro produttivo, il lavoro vivo rappresentava l’elemento determinante delle dinamiche sociali, con la fine della produzione il rapporto fra valore d’uso e valore di scambio scompare. Tutto viene assunto nella sfera della riproduzione, della circolazione, del valore di scambio, dello scambio simbolico. La morte del soggetto.
“C’è stata una s-terminazione (nel senso letterale del termine) dei reali di produzione, del reale di significazione.” (ibidem)
Con la terziarizzazione e l’invasione ormai definitiva del lavoro informatico nelle società mature, il lavoro produttivo è scomparso. La vecchia classe operaia si è dissolta in un proletariato diffuso che occupa i settori della sanità, dei servizi, del mondo della scuola e della formazione. In questi settori il lavoro è diventato assegnazione al lavoro.
“Il lavoro non è più produttivo, è diventato riproduttivo della assegnazione al lavoro, come abito generale di una società che non sa nemmeno più se ha voglia di produrre.” (Ivi, p. 22)
Nell’insegnamento sono scomparse le narrazioni forti che esistevano in passato.
La narrazione dei rivoluzionari francesi che chiedevano alfabetizzazione e cultura per il terzo stato, per il popolo. La narrazione dell’idealismo tedesco che, pur nella variante restaurativa hegeliana, rivendicava il primato del pensiero e degli intellettuali rispetto ai saperi positivi e ai settori sociali dominanti. La narrazione avanzata dal pensiero comunista. Il diritto alla cultura del proletariato. Quest’ultima è stata la linfa vitale del secolo scorso: ha definito la prassi di partiti politici, gruppi di opinione, i comportamenti di intere generazioni. Nel suo nome sono state varate riforme, create istituzioni, sono stati sconvolti gli assetti gerarchici delle strutture in cui si faceva cultura e si educavano i giovani. C’era la tensione al superamento, al cambiamento del mondo diviso in due blocchi, l’opposizione alla guerra planetaria che rischiava di distruggere il mondo e di cui il Vietnam sembrava l’inizio. Nella situazione di stallo determinata dalla Guerra Fredda si inseriva il pensiero utopico, la dialettica negativa, il rifiuto dello stato di cose. Si poneva ancora la domanda sul senso delle teorie, delle strategie cognitive, in quale contesto storico e sociale si collocavano. Esisteva ancora uno spazio pratico e teorico, uno spazio altro in cui inserire i saperi positivi. Prima della grande implosione, l’erosione della domanda sul senso, la fine delle narrazioni. La fine imposta dallo stato di cose presente in cui non c’è bisogno di narrare, ma di addestrare davanti ai terminali giovani che finiranno, se tutto va bene, nelle aziende, nei servizi, nella pubblica amministrazione.
Quale narrazione per il nuovo millennio? Esiste una narrazione forte per questo millennio? Il movimento no global ne ha individuate almeno due e per questo bisogna creare nuove figure professionali. Tecnici in grado di garantire uno sviluppo eco-compatibile e ambasciatori di pace, gli ambasciatori della pace. Per evitare che il lavoro – come sostiene Baudrillard – sia una repressione fondamentale, un controllo, un’occupazione permanente in luoghi e tempi regolati secondo un codice onnipresente.
“Bisogna sistemare la gente dappertutto, a scuola, in fabbrica, sulla spiaggia o davanti al televisore, o nel riciclaggio: mobilitazione generale permanente.” (ivi, p. 25)
Sotto questo aspetto l’istruzione, la scuola non sono degli investimenti indiretti. Esse sono direttamente il rapporto sociale di addomesticamento e di controllo. Il capitale non vi cerca un lavoro complesso, vi perde assolutamente, vi sacrifica una parte enorme del suo plusvalore per la riproduzione della propria egemonia.
Nella società attuale nessuno produce più nulla. Il lavoro è uguagliato al tempo libero, è diventato riproduttivo dei rapporti di dominio del capitale.
“Il tempo libero è altrettanto produttivo del lavoro, il lavoro di fabbrica altrettanti improduttivo del tempo libero e del lavoro terziario. Poco importa l’una o l’altra formula e proprio questa indifferenza contrassegna la fase raggiunta dall’economia politica. Sono tutti riproduttivi, cioè hanno perduto la finalità concreta che li distingueva. Nessuno produce più. La produzione è morta. Viva la riproduzione!” (Ivi, p. 42)
All’interno della riproduzione si definiscono rapporti gerarchici tesi alla conservazione dello stato di cose esistente. Ne deriva una implicita costrizione alla normalità che coinvolge settori consistenti della borghesia e del proletariato.
“Il proletario è oggi un essere normale, il lavoratore è stato promosso alla dignità di essere umano a pieno diritto, ma d’altronde a questo titolo riprende tutte le discriminazioni dominanti a suo tornaconto: è razzista, sessista, repressivo. Rispetto agli attuali devianti, ai discriminati di tutti i tipi, egli è dalla stessa parte della borghesia: dalla parte dell’umano, dalla parte del normale. Tant’è vero che la legge fondamentale di questa società non è la legge dello sfruttamento, ma il codice della normalità.” (ivi, p. 43).
In questo contesto bisogna collocare il fenomeno del leghismo, quell’intreccio di razzismo e xenofobia che si esprime nel modo di pensare e nell’ideologia dei bottegai della Padania. Gli ultimi tentativi di instaurare una società diversa, una società a misura d’uomo furono il ’68 e il ’77. Pur nella diversità dei due movimenti c’era la voglia del cambiamento, il rifiuto delle tre M, la critica a un pensiero delimitato dalle postulazioni assiomatiche, il bisogno di pensare l’essere del pensiero, la sua collocazione materiale. Secondo Baudrillard, il 68’ fu caratterizzato dalla esplicita consapevolezza che qualcosa era cambiato, che la fase del neo-capitalismo stava cedendo il passo al mondo post-moderno.
“La prima onda d’urto di questo passaggio dalla produzione alla pura e semplice riproduzione è stato il Maggio ’68. Essa ha toccato dapprima l’università, e in primo luogo le facoltà di scienze umane, perché qui è diventato più evidente ( pur senza una chiara coscienza politica) che non vi si produceva più nulla, e che non si faceva che riprodurre (gli insegnanti, la scienza, la cultura, essi stessi fattori di riproduzione del sistema generale).” (ibidem)
Il movimento del ‘77 non ebbe il carattere mondiale di quello del ‘68, investì in pieno lo stato italiano, uno dei punti più deboli dello stato del benessere. La forbice fra garantiti e non garantiti si andava dilatando, le due società entrarono in un conflitto permanente che ebbe il suo apice negli eventi di Roma e la cacciata di Lama dall’università. Comparvero le macchine desideranti, le talpe, esseri fluttuanti senza una precisa collocazione, alla continua ricerca di se stessi. La cinematografia, meglio della letteratura, ha descritto questi soggetti, molecole vaganti in un universo privo di senso. Che fai, come vivi? Faccio delle cose, cammino, guardo gli alberi. Sussurro ai cavalli.
“Il lavoro s’ispira alla morte differita. Esso è una morte differita. Lenta o violenta, immediata o differita, la scansione della morte è decisiva: è essa che distingue radicalmente i due tipi di organizzazione, quella dell’economia, quella del sacrificio.” (ivi, p. 55)
“La città, l’urbano è nello stesso tempo uno spazio neutralizzato, quello dell’indifferenza, quello della crescente segregazione dei ghetti urbani, della relegazione dei quartieri, delle razze, di certe classi d’età: lo spazio sminuzzato dei segni distintivi.” (ivi, p. 90)
Se in precedenza le città sono state i luoghi di produzione e di insediamento delle grandi industrie, oggi sono diventate il campo di esecuzione dei segni. Bisogna sistemare la gente davanti al ghetto della televisione, della pubblicità, far diventare i soggetti dei consumatori, dei circolanti delle metropolitane, dei sollazzatori/sollazzati del tempo libero. Ogni spazio/tempo della vita urbana è un ghetto. Tutti sono connessi fra loro.
“Al giorno d’oggi la socializzazione passa per questa distribuzione strutturale attraverso i codici multipli.” (ivi, p. 92)
Il sistema può fare a meno della città industriale produttrice, spazio/tempo della merce e dei rapporti sociali mercantili. Ma non può fare a meno dell’urbano come spazio/tempo del codice e della riproduzione, perché la centralità del codice è la definizione stessa del potere. Superbee spix cola 139 kool guy cross 136 non significa nulla è solo un urlo, un grido d’esistenza gettato sui muri di una metropoli moderna.
“Non è nemmeno un nome proprio, è una matricola simbolica, fatta per disorientare il sistema comune delle denominazioni. Questi termini non hanno nessuna originalità: provengono tutti dai disegni e dai fumetti dov’erano rinchiusi nella finzione, ma ne escono esplosivamente per essere proiettati nella realtà come un grido, come interazione, come anti-discorso - lo “scemo” che gridavano nelle assemblee gli indiani metropolitani -, come il rifiuto di qualsiasi elaborazione sintattica, poetica, politica, come minimo elemento radicale imprendibile da qualsiasi discorso organizzato.” (ibidem)
I graffiti, urla che esportano il ghetto in tutte le arterie della città, invadono la città bianca e rivelano che questo è il vero ghetto del mondo occidentale.
“La loro rivolta ricusa allo stesso tempo l’identità borghese e l’anonimato, cool coke superstrut snake soda virgin, bisogna intendere questa litania di Sioux, questa litania sovversiva dell’anonimato, l’esplosione simbolica di questi nomi di battaglia nel cuore della metropoli bianca.” (ivi, p. 98)
Phallus exchange standard
Le quattro forme in cui la modernità ha interpretato il corpo sono il cadavere (medicina), l’animale (religione), il robot che è il modello perfetto di traduzione funzionale della forza-lavoro, il mannequin anch’esso come assunzione funzionale nel sistema simbolico dei segni. Le quattro varianti (cadavere, animale, robot, mannequin) rappresentano gli aspetti negativi del corpo che nella sussunzione dei modelli perde la sua radicale differenza.
“Il corpo non è niente altro che questi modelli in cui i differenti sistemi lo hanno rinchiuso e allo stesso tempo è tutt’altra cosa: la loro alternativa radicale, la differenza irriducibile che li nega.” (ivi, p. 129)
Il privilegio della genitalità su tutta le virtualità erogene del corpo si ripercuote nella struttura d’un ordine sociale di dominanza maschile. Il Phallus exchange standard governa tutta la sessualità attuale, ivi compresa la sua rivoluzione. E se Marx ha descritto la fase storica in cui l’alienazione della forza-lavoro e la logica della merce portavano necessariamente a una reificazione della coscienza, si può dire che oggi l’iscrizione del corpo e di tutti i domini simbolici nella logica del segno s’accompagna necessariamente a una reificazione dell’inconscio (cfr. ivi, p. 133). L’articolazione produttiva dello stare al mondo ha avuto come esito finale una società che lascia ai margini quei soggetti considerati parassiti. Bambini, vecchi, transessuali, omosessuali, donne, arabi, studenti, intellettuali.
“Anche i vecchi sono diventati inumani, respinti alla periferia della normalità. E tante altre categorie sotto il segno di segregazioni successive che segnano lo sviluppo della cultura. I poveri, i sottosviluppati, i subnormali, i pervertiti, i transessuali, gli intellettuali, le donne folclore del terrore, folclore della scomunica sulla base d’una definizione sempre più razzista dell’uomo normale.” (ivi, p. 138)
La prima rimozione, quella fondamentale, della modernità è quella dei morti e della morte. Oggi non è normale morire perché si è già morti. Si nasce morti. Gli ospedali psichiatrici non esistono più perché esistono i farmaci. Le carceri andranno scomparendo perché la vita è un carcere. Le scuole non esistono più perché le tecniche di controllo riempiono tutto lo spazio del vivere. I cimiteri insediati nelle periferie delle città tendono a sparire perché le ceneri vengono sparse al vento.
“Se la fabbrica non esiste più è che il lavoro è ovunque- se la prigione non esiste più è che il sequestrato e la reclusione sono ovunque nello spazio/tempo – se il manicomio non esiste più è perché il controllo psicologico e terapeutico si è generalizzato e banalizzato – se la scuola non esiste più è che tutte le fibre del processo sociale sono impregnate di disciplina e di formazione pedagogica – se il capitale non esiste più (né la sua critica marxista) è che la legge del valore è passata nella autogestione della sopravvivenza in tutte le sue forme. Se il cimitero non esiste più è che le città moderne tutte intere ne assumono la funzione: sono città morte e città di morte. E se la grande metropoli operativa è la forma perfetta di una intera cultura, allora la nostra è semplicemente una cultura di morte.” (ivi, p. 139)
“La messa a nudo erotica è uguale alla messa a morte, nella misura in cui inaugura uno stato di comunicazione, di perdita di identità e di fusione. Fascino della dissoluzione delle forme costituite: tale è Eros.” (ivi, p. 172) Infatti l’amore è un continuo annullarsi nell’altro. Sparire in lei. Consumarsi. Prima che lo faccia dio. “L’identità del soggetto si disfa ad ogni istante, cade nella dimenticanza di dio.” (ivi, p. 177).
Le entità metafisiche dio, l’anima sono solo illusioni create nel vuoto della storia reale. Quanto più il soggetto viene sottratto alla storia reale, viene reso marginale rispetto al corso degli eventi tanto più compaiono queste entità oscure, indecifrabili.
“La biologia presuppone fondamentalmente la dualità dell’anima e del corpo. Questa dualità è in qualche modo la morte stessa, perché è essa che oggettiva il corpo come residuo – oggetto cattivo che si vendica morendo. È in funzione dell’anima che il corpo diventa questo fatto bruto, oggettivo, questo destino di sesso, d’angoscia e di morte. È in funzione di questa frattura immaginaria, l’anima, che il corpo diventa questa realtà che esiste solamente per essere votata alla morte.” (ibidem)
La terza età come anticamera della morte, la società di anziani che si sta costituendo nel mondo occidentale è una società di morte. Gli anziani sono stati messi in riserva e non svolgono più il ruolo che i grandi vecchi avevano nelle società antiche. Bisogna parcheggiarli in attesa che subentri la morte. La morte di quale vita poi. Nell’adolescenza si è parcheggiati a scuola e in famiglia. Bisogna rispettare il codice di assegnazione, rispettare le regole, fare i compiti. Stare al proprio posto. Non sognare. Non fare una passeggiata con una donna in riva al mare. Poi si arriva alla giovinezza, all’età matura. Nuovo codice di assegnazione, il misero salario, il rispetto delle regole e delle gerarchie, citare le fonti, citare i sapienti, pensare col pensiero dei grandi, stare ancora nei ranghi, cacciare le pulsioni nell’inconscio che a volte esplode, ma non devi farlo esplodere e se succede devi prendere la pillola. Altrimenti subentra la bocca pastosa. Il conato di vomito.
“La terza età diventa un considerevole peso nella gestione sociale. Tutta una parte della ricchezza sociale (denaro e valori morali) vi si riversa senza poterle dare un senso. Un terzo della società viene così messo in uno stato di parassitismo economico e di segregazione. Le terre conquistate su questa marca della morte sono socialmente desertiche. Colonizzata di fresca data, la vecchiaia dei tempi moderni grava su questa società con lo stesso peso con cui gravavano un tempo le popolazioni indigene colonizzate.” (ivi, p. 181)
“La nostra morte è qualcuno che se la svigna. Non ha più nulla da scambiare. È già un residuo prima di morire. Al termine d’una vita di accumulazione, è lui che è sottratto dal totale; operazione economica. Non diventa effigie; tutt’al più serve da alibi per i vivi, per la loro evidente superiorità di vivi sui morti. È la morte piatta, unidimensionale, fine d’un percorso biologico, saldo di un credito: rendere l’anima come un pneumatico, contenitore svuotato del suo contenuto – Che banalità!” (ivi, p. 182)
Del resto tutta la storia era cominciata da una pulsione di libertà. Pulsione di libertà che si è convertita in pulsione di morte. Durante gli studi universitari considerava datata la fondazione fenomenologico-trascendentale delle scienze e dei saperi. Datata perché il soggetto universale di Husserl, l’intersoggettività, era un soggetto molto normale e non aveva nulla da condividere con la meravigliosa gioventù che avrebbe fatto il ’68 e il ’77. Quel bisogno di comunicazione, lo stare insieme, il concatenamento che si sarebbe espresso nelle riunioni estenuanti, nei cortei, nelle assemblee, nei volantinaggi erano portatori di una istanza fondamentale: ridiscutere la funzione e la direzionalità sociale dei saperi positivi. Se il crocianesimo ne aveva relegato la funzione in posizione subalterna come riflesso di una società gerarchica e conservatrice ( il blocco agrario-industriale), se la fenomenologia cercava di esplicitarne il senso in rapporto al mondo della vita, i movimenti ne chiedevano il valore d’uso rispetto al corpo e ai soggetti. Ludovico Geymonat aveva dato un duro colpo ai residui di crocianesimo ancora esistenti e logici o positivisti logici si erano ormai insediati nelle più prestigiose università italiane. La funzione del positivismo logico in Italia (Firenze, Milano, Bologna, Roma) fu rendere esplicita la funzione espressiva dei linguaggi formali, la loro valenza cognitiva. Fu il momento di rottura con altre esperienze intellettuali che reclutarono schiere di giovani, in modo particolare quelli influenzati dalla scuola di Francoforte (Adorno, Horkheimer, Marcuse). L’assunzione dei linguaggi formali, dei saperi, il fatto di attribuire ad essi le uniche possibilità cognitive è già nella dimensione dello scambio, il definirsi del pensiero unico. Era questo che si cercava di rendere esplicito nelle assemblee e che fu tacciato di estremismo. La domanda sul valore d’uso dei saperi era ritenuta ideologica e in Attualità del materialismo dialettico, libro scritto da Geymonat con i suoi collaboratori, si accusavano i filosofi di Francoforte di estremismo giovanilistico perché riducevano la scienza a ideologia. Si procedette ad una parziale normalizzazione attraverso la scansione in ambiti disciplinari diversi di “Filosofia della scienza” e “Filosofia morale” o “Filosofia teoretica”, anche se nella società il dibattito continuava. L’operaio massa con le 150 ore chiedeva l’accesso alla cultura, richiedeva con forza il senso della scienza e della tecnica. Ne derivò l’analisi del lavoro in fabbrica, l’esperienza dei Quaderni rossi, la nuova centralità assunta dalla classe operaia. Questa forma di sapere complesso, di sapere altro fu messa ai margini del sapere accademico e considerato relativismo epistemologico, una forma di sapere minore. In questo processo di emarginazione bisogna collocare la nascita dei sintomi nevrotici, i conati di vomito, i verdetti di esclusione, l’attacco alla vita, al pleròma. Per questo non riusciva più a comunicare e parlava ormai con i due gatti. O vedendo Philadelphia si riconosceva nella vicenda di Tom Hanks. Perché era passata la primavera? Perché è espressivo solo ciò che non si scambia in valore?
“È affascinante solo ciò che non si scambia in valore: sesso, morte, follia, violenza, e che per questa ragione è ovunque represso. I milioni di morti della guerra si scambiano in valore secondo una equivalenza generale, la morte per la patria. L’omicidio, la morte, l’infrazione sono ovunque legalizzati, se non legali purché siano convertibili in valore secondo il medesimo processo che mediatizza il lavoro. Soltanto certe morti, certe pratiche sfuggono a questa convertibilità; soltanto esse sono sovversive, e molto spesso sono dell’ordine del fatto diverso. Tra di esse il suicidio che ha assunto nella nostra società una estensione e una definizione differente, fino a diventare la forma stessa della sovversione.” (ivi, p. 195)
Si giustizia sempre meno nelle prigioni – continua Baudrillard – ma vi si suicida sempre di più: atto di sottrazione alla morte istituzionale o di ritorsione contro il sistema che l’impone; con il suicidio l’individuo giudica la società che l’ha condannato, secondo la propria regola. Invertendone le istanze esso istituisce nuovamente una reversibilità là dove era completamente scomparsa. I suicidi fuori delle prigioni diventano politici in questo senso: fanno tutti una breccia infinitesimale, ma inespiabile, perché è una disfatta totale per un sistema non poter raggiungere la perfezione totale – basta che la minima cosa sfugga alla sua razionalità. La proibizione del suicidio corrisponde all’avvento della legge del valore. Religiosa, morale o economica è sempre la medesima legge che dice: nulla ha diritto di sottrarre capitale e valore. Ogni individuo è una particella di capitale, non ha quindi il diritto di distruggere se stesso. Anche se ognuno muore ogni giorno a poco a poco. Le droghe, l’alcool, il fumo. L’amore, sparire nell’altra, consumarsi in lei. Ritirarsi in una baracca aspettando la donna nera. È contro questa ortodossia del valore che il suicida si ribella, distruggendo le particelle di capitale di cui dispone. È imperdonabile: si arriverà a impiccare il suicida per esserci riuscito. Anche se ricordo gli occhi celesti della mia donna in quel prato del Gran Sasso e i tremiti d’amore vissuti fra l’erba in una giornata d’estate. È sintomatico che il suicidio aumenti in una società di saturazione della legge del valore come sfida alla sua regola fondamentale. In questo contesto bisogna collocare i suicidi che ogni giorno avvengono nei quartieri negri e in Palestina.
“Suicida l’azione dei palestinesi e dei negri in rivolta che appiccano il fuoco al loro stesso quartiere, suicida la resistenza alla sicurezza in tutte le sue forme, suicidi i comportamenti nevrotici, i guasti multipli con i quali sfidiamo il sistema a integrarci, suicide tutte pratiche politiche il cui obiettivo è quello di far emergere la repressione, la natura repressiva del sistema.” (ivi, pp. 195-196)
In un sistema che mira a vivere e a capitalizzare la vita, la pulsione di morte è l’unica alternativa. In un universo regolato minuziosamente, un universo della morte realizzata, l’unica tentazione è quella di normalizzare tutto mediante la distruzione. L’economia politica, l’economia dello scambio come economia di morte.
“L’epoca del funzionario è quella d’una cultura di morte. È il fantasma della programmazione totale, questo rilancio di prevedibilità, di esattezza, di finalità non solo nelle cose materiali, ma nell’appagamento del desiderio. In una parola la morte si confonde con la legge del valore. E particolarmente con il valore strutturale mediante il quale tutto è assegnato come differenza codificata in un nesso universale di relazioni. È il vero volto della morte ultramoderna fatta della connessione oggettiva, senza difetto, ultrarapida, di tutti i termini d’un sistema. Le nostre vere necropoli non sono più i cimiteri, gli ospedali, le guerre, le ecatombi, la morte non è affatto là dove si pensa, le sue necropoli sono le cantine o le sale degli elaboratori elettronici, spazi bianchi, epurati di qualsiasi rumore umano – bare di vetro dove si congela tutta la memoria sterilizzata del mondo.” (ivi, p. 205)
Sapere pietrificato gestito da burocrati col sorriso di compiacimento ebete sulle labbra, per dirsi ci sono riuscito, sono riuscito ad entrare nelle maglie del sistema, a scoprire come si ottengono i finanziamenti e concedere qualche favore ai potenti di turno. Qualche allievo da piazzare nelle gerarchie accademiche. Qualcuno che sia condiscendente alle gerarchie, che rispetti il posto assegnatogli. Che non ponga inutili domande sulla funzione del sapere nella società post-moderna. Che sappia qualcosa di logica, magari di logica modale e introduca altri adepti nel meraviglioso mondo dei linguaggi formali.
Baudrillard individua nella poesia la pratica della sterminazione della legge del valore. Seguendo alcune indicazioni di F. de Saussure vede nel testo poetico la sovversione del rapporto significante e significato, l’estinzione della significazione. Di un testo poetico, infatti, nella sfera dello scambio non resta nulla. Certamente il testo letterario è una merce come le altre, ma la produzione o la fruizione del testo poetico sfuggono alle leggi del mercato. Come l’estinzione del proprio corpo.
“L’immaginario della linguistica cerca di annettersi il poetico e pretende anzi di arricchire la sua economia, quella del termine e del valore. Ma contro di essa, e restituendo alla scoperta di Saussure tutta la sua importanza, bisogna dire che il poetico è al contrario un processo di sterminazione del valore.” (ivi, p. 211)
Il poetico ricrea in materia di linguaggio la situazione delle società primitive: un corpus ristretto di oggetti la cui circolazione ininterrotta nello scambio/dono suscita una ricchezza inesauribile, una festa dello scambio. I beni primitivi consumati nella festa e nello scambio rappresentano con il loro minimo di volume e di numero un massimo di energia nei segni (cfr., ivi, p. 217). Ed è proprio perché il poetico non mira alla produzione di significati, ma al consumo, alla risoluzione ciclica d’un materiale significante che esso si dà necessariamente un corpus limitato. Inversamente il carattere inesauribile del nostro discorso è collegato alla regola della equivalenza e della linearità – esattamente come l’infinitezza della nostra produzione materiale è inseparabile dal passaggio all’equivalenza nel valore di scambio.
“Ciò che il poetico compie microscopicamente su un valore/fonema, qualsiasi rivoluzione sociale lo compie su interi settori del codice del valore: valore d’uso, valore di scambio, regole d’equivalenza, sistemi di valori, discorso codificato, finalità funzionali, ecc. mentre la pulsione di morte vi si articola per volatilizzarli.” (ivi, p. 218)
“La rivoluzione è ovunque si instaura uno scambio che spezza la finalità dei modelli, la mediazione del codice e il ciclo consecutivo del valore – questo scambio, sia pure quello infinitesimale, dei fonemi, delle sillabe in un testo poetico o quello di migliaia di uomini che si parlano in una città insurrezionale. Perché il segreto di una parole sociale è anche quella dispersione anagrammatica dell’istanza del potere, questa volatilizzazione rigorosa di qualsiasi istanza sociale trascendente.” (ivi, p. 219)
Se si analizzano le coppie che Derrida assume ad emblema del suo percorso decostruttivo (uomo/donna, colonna/albero, freddo/caldo, Occidente/Oriente, Europa/Sud del mondo, lunare/solare, greco/ebreo, fallo/vagina, pietra/fuoco) si può facilmente vedere come i primi termini rimandano ad un tipo di razionalità mortifera, fossile, mentre i secondi segnano l’apertura, il varco, l’esodo. Così il fallocentrismo denunciato nella coppia uomo/donna segna la crisi del pensiero razionale e virile che vede nella instabilità e nel problematismo un elemento di rivolta. La colonna più volte assimilata ad un fallo decapitato è il simbolo della stabilità delle istituzioni e del comando imperiale opposto alla vita fluttuante, all’arborescenza dell’albero. E le foglie, le fronde sono come le chiome di una donna. L’Occidente viene assimilato al freddo, in esso non v’è più posto per il calore della passione. Il calore custodito nel Sud del mondo e in Oriente. Il Sud di cui fanno parte ebrei e palestinesi condannati ad un continua erranza. L’erranza del pensiero filosofico, della decostruzione, della rivoluzione.
“Nella rivolta sociale si attua la stessa dispersione anagrammatica di quella del significante nel poema, di quella del corpo nell’erotismo, di quella del sapere e del suo oggetto nell’operazione analitica: la rivoluzione è simbolica, o non è affatto.” (ibidem)
Da questo punto di vista tutta la scienza linguistica può essere analizzata come resistenza a questa opera di sterminazione e di dispersione anagrammatica. È ovunque il medesimo tentativo di ridurre il poetico a un voler dire, di ricondurlo all’ombra di un senso, di infrangere l’utopia del linguaggio per ricondurlo alla topica del discorso. Laddove bisogna mettere in scena la morte di dio, della legge, del valore.
“Il poema è questa declinazione mortale del nome di dio, e per noi, che non abbiamo più un dio, ma per i quali il linguaggio è diventato dio (il valore pieno e fallico del nome di dio è diffuso attraverso tutta l’estensione del discorso) il poetico è il luogo della nostra ambivalenza di fronte al linguaggio, della nostra pulsione di morte di fronte al linguaggio, della potenza adatta alla sterminazione del codice.” (ivi, p. 224)
Il luogo della parola indivisa, quella che sfugge all’obbligo della significazione, l’urlo, come la prassi sociale indivisa sfugge alla interpretazione razionale dei marxismi, al dualismo struttura e sovrastruttura.
“La parola indivisa (simbolica) nega essa stessa la distinzione langue/parole in cui è sottomessa alla langue. Come la prassi sociale indivisa nega la distinzione teoria/prassi. Soltanto la parola linguistica non dice che quello che dice – ma una tale parola non è mai esistita, se non nel dialogo dei morti. La parola concreta, attuale, dice quello che dice e allo stesso tempo tutto il resto. Essa non osserva la legge del carattere discreto del segno, della separazione delle istanze; essa parla contemporaneamente a tutti i livelli; meglio essa disfa il livello della langue, e quindi la stessa linguistica. Quest’ultima invece cerca di imporre una parola che non sia che l’esecuzione della langue cioè il discorso del potere.” (ivi, p. 238)
Baudrillard individua nel dualismo struttura e sovrastruttura, teoria e prassi, langue e parole luoghi densi della razionalità occidentale in cui le istanze del soggetto sono bloccate. È sua opinione che la ricchezza e complessità della vita reale, delle pulsioni concrete, dell’alito, del respiro, dell’urlo, del voler sbattere la testa contro un muro non possa essere registrato nella linguistica e nella scienza economica marxista. Ne deriva un’enfasi delle pratiche della moltitudine che infrangono istituzioni, codici di comportamento e i paradigmi costituiti della razionalità – l’esodo, l’avvento, la parousia, l’evento. In questo senso la pratica non scientifica corrente è rivoluzionaria, sia sul piano linguistico che su quello sociale, è rivoluzionaria in quanto non fa distinzione fra langue e parole. Come non ha mai fatto distinzione fra anima e corpo, mentre tutta la filosofia e la religione dominanti mettono in scena questa distinzione; così la prassi sociale, immediata, selvaggia, la nostra, quella di tutti non fa distinzione fra teoria e prassi, struttura e sovrastruttura – essa è di per se stessa trasversale, al di là della razionalità borghese e marxista (cfr., ivi, p. 237).
Il godimento è l’emorragia del valore, la disgregazione del codice, del logos repressivo. È il teatro della crudeltà di Antonin Artaud, rantolo, grido, ansito, l’incanto e l’irruzione del corpo nello spazio repressivo interiorizzato della langue. “E fu l’amore come il mare, come il peccato, come la vita, come la morte. L’amore sotto i portici, l’amore in una vasca, l’amore in un letto, l’amore nel deserto, l’amore come l’edera, l’amore come un maremoto. L’amore tanto grande quanto i racconti, l’amore come la pittura, l’amore come tutto ciò che è. L’amore come mancare ad esistere. Il mancare all’esistenza, alla vita, chiuso in quella baracca.” (A. Artaud)
È il destino delle nuove generazioni. A trent’anni dopo una vita di studi sono ancora senza lavoro, senza la certezza di un lavoro. Il cretino di turno continua a sorridere dagli schermi televisivi, mentre i peones di Mediaset continuano a istupidire le masse. Ma poi ti accorgi che non cambia nulla e che tutto rimane come prima. I finanziamenti alla scuola pubblica vengono sempre più ridimensionati e diventa sempre più grave il problema del precariato e degli esuberi. Mancare ad esistere, mancare alla vita perché, come sostiene Baudrillard, le questioni cruciali aperte dal marxismo e dalla psicoanalisi sono rimaste irrisolte e la violenza viene perpetrata tutti i giorni attraverso i giornali, la televisione, al lavoro, nel cibo, nell’aria che respiriamo o che non respiriamo.