I mercanti della democrazia
di Nino Mastropierro

1) La più recente trovata dei fautori della guerra infinita è l'esportazione della democrazia; l'idea è straordinaria ed è tale per cui la democrazia, nell'era della globalizzazione, diventa anch'essa una merce e come tale si presta ad essere messa sul mercato Vi è un paese che ritiene il suo sistema politico il migliore in assoluto e si propone di farne partecipi, cori le buone o con le cattive, gli altri: questo sistema politico è la democrazia. il paese produttore esportatore sono gli USA; i paesi importatori sono quelli ritenuti vittime della tirannia ed assoggettabili ad acquisire la democrazia in cambio di ciò di cui la natura li ha dotati: ricchezze, posizione geografica, ecc... Nei paesi in cui c'è "tirannia" gli USA si propongono o di trovare personaggi più o meno credibili intorno a cui costruire la "democrazia", o di intervenire in qualche forma per esportarla". E si propongono di compiere questa operazione commerciale come si fa con qualsiasi merce. Solo che, per esportare questo nuovo prodotto ("nuovo" proprio perché inteso come "prodotto"), non si usano trattative: ci si serve di armi sempre più terribili e si causano morti e distruzioni. Esempi recenti sono l'ex Jugoslavia, l'Afghanistan, l'Iraq. Prossimi importatori designati: Iran, Siria, Cerca del Nord; a cui si potrebbe aggiungere qualsiasi altro paese divenuto, nella visione del mondo del guerrorismo imperiale, ospite di "terroristi". L'Iraq è il caso più recente di paese sottoposto all'esportazione della democrazia: una guerra motivata, come pretesto, dalla illegale detenzione, da parte di questo stato di armi di distruzione di massa si è trasformata, a causa della effettiva pretestuosità della motivazione, prima in guerra al terrorismo internazionale e poi in azione di "esportazione della democrazia" da parte di USA e affini. In questo modo il diritto internazionale è stato cancellato ed è stato imposto, a supporto della logica della guerra infinita il diritto (si fa per dire) dei più forte. Nel recente viaggio compiuto in Europa per partecipare ai festeggiamenti dei sessantesimo anniversario della vittoria del popolo russo (ex sovietico) sulle armate naziste il presidente americano ha criticato le decisioni prese dal governo americano del tempo di aver stretto accordi a Yalta col governo dell'Unione Sovietica: la motivazione era che gli USA dopo aver sconfitto HitIer, non avrebbero dovuto permettere l'avanzata dell'Armata Rossa verso occidente e i paesi baltici (e quindi il controllo sovietico nell'Europa orientale), ma avrebbero dovuto tener testa da subito a quello che alcuni decenni dopo verrà definito l'"impero del male" Ovviamente il presidente americano ha finto di dimenticare che Yalta non produsse effetti solo nell'Europa orientale e di questo basta chiedere notizie, per esempio ai democratici greci e a quelli italiani sugli effetti prodotti dalla presenza degli americani in Grecia e in Italia nei primi decenni del dopoguerra. Il presidente americano ha una concezione particolare della democrazia e dei rapporto tra gli stati. Poiché se sessant'anni fa furono commessi errori gravi nei confronti dei popoli che subirono l'"esportazione'' del socialismo (e chi scrive, anche se per motivazioni profondamente diverse dal presidente americano, condivide questo giudizio), compie errori altrettanto gravi chi oggi si ritiene investito da chissà quale messianica vocazione nel ritenersi autorizzato all'"esportazione della democrazia". Si tratta di un ossimoro (meglio: di una nemmeno elegante presa in giro): "esportazione della democrazia" è l'equivalente di "guerra umanitaria". Per riprova basta chiedere notizie al popolo serbo o afghano o iracheno.

2) La visita effettuata da Bush in Europa nella prima decade di maggio aveva scopi particolari: rinsaldare l'amicizia con i governanti degli stati baltici ex sovietici, consolidare i rapporti con le giovani democrazie filo occidentali di paesi che avevano fatto parte dell'URSS, minacciare alcuni "tiranni" (ad esempio quello che governa la Bielorussia), spingere i rapporti con Mosca, al di là della cordialità di facciata, al limite della sostenibilità diplomatica. Durante questa visita il presidente americano ha ribadito non solo la volontà di proteggere da eventuali velleità russe i paesi baltici ( Estonia, Lettonia, Lituania) che fra l'altro fanno parte dall'anno scorso dell'Unione Europea, ma anche di mostrare grande cordialità nei confronti di Ucraina e Georgia, paesi utilizzabili come avamposto per un'ulteriore operazione di erosione, a favore dell'Occidente, di territorio ancora controllato da Mosca. L influenza statunitense su questi due paesi, sottratti con malcelata soddisfazione a quella un tempo esercitata dalla Federazione Russa (basti ricordare la cosiddetta rivoluzione "arancione' in Ucraina, paese "aiutato" con 200 milioni di dollari l'anno dagli USA e negli ultimi quindici anni di un miliardo e mezzo di dollari in "programmi di assistenza" da parte dell'Unione Europea), patte dalla presenza in Tagikistan, Afghanistan, Uzbekistan e Kirgizstan, di basi militari statunitensi. Se a questo si aggiunge il fatto che gli americani ambivano al controllo del colosso petrolifero Yukos, controllo sottratto loro, con un espediente, dal presidente russo Putin, e che questi, visto il suo paese sottoposto a forti pressioni ai suoi confini occidentali, da nord a sud, da Unione Europea, USA e Nato, ha ritenuto opportuno far presente il nel novembre scorso che la Federazione Russa ha a disposizione armi nucleari che né al presente né per alcuni anni ancora" "esisteranno in nessun'altra potenza nucleare", abbiamo un quadro, anche se molto approssimativo, di cosa si parli quando si discute di "esportazione della democrazia" nell'epoca della guerra preventiva e infinita.

3) La presenza di basi americane in diversi paesi dell'Europa orientale e dell'Asia centrale ha ovviamente una sua logica e serve, come dice il presidente americano, per "esportare la democrazia", anche se non è certamente un campione della democrazia il presidente uzbeko Karimov notoriamente amico della Federazione Russa come degli USA i quali, come abbiamo già visto, hanno installato in Uzbekistan basi militari (detto per inciso: il presidente Karimov è quello che, contestato da connazionali, ha fatto sparare sulla folla, causando varie centinaia di morti). Ma le basi americane in questa parte del mondo assolvono anche, al di là della scusante della guerra al terrorismo, ad una rilevante funzione strategica. potendo esercitare una notevole pressione militare nei confronti sia della Russia, sia della Cina e, in prospettiva, anche dell'India. E' opportuno tener presente anche che il pretesto del terrorismo è servito agli USA per insediarsi in Pakistan. Ma se il controllo del territorio in questa parte del mondo serve agli USA per scopi militari consente loro anche di tutelare cospicui interessi nell'estrazione del petrolio e nel suo trasporto, in particolare sia a protezione sia degli oleodotti esistenti che alla organizzazione dei nuovi che la situazione politica internazionale dovesse determinare. Può la Federazione Russa, a rischio di una tragica implosione che ne minerebbe per sempre l'esistenza, costituire oggi una minaccia per gli USA? Verosimilmente no, e tuttavia esistono potenti gruppi di pressione negli USA che insistono per una politica estera più aggressiva verso l'odiata ex superpotenza.

Nei confronti della Cina A governo statunitense mantiene un atteggiamento che è di attenzione e di prudenza, proiettata com'è, in questa fase, la Cina più allo sviluppo economico che all'elaborazione di una politica estera aggressiva, anche se la sua abilità diplomatica le permette di sottrarre agli occidentali aree di riserve petrolifere utilissima per la sua crescita economica e, nello stesso tempo, di fare incetta di ingenti quantità di titoli di stato statunitensi. E tuttavia su almeno un paio di questioni i cinesi sono fermamente decisi: nei rapporti col nemico di sempre, A Giappone, e nel tenere sotto pressione i dirigenti di Taiwan. Con questi ultimi le recriminazioni reciproche sono una costante; ben altro interesse suscitano le polemiche sviluppatesi di recente fra cinesi e giapponesi. Le proteste dei cinesi nei confronti del revisionismo storico dei giapponesi sottintendono un ben più serio problema, quello dello spettro del riarmo dei Giappone e del suo attivismo in ambito internazionale (come la presenza in Iraq a fianco degli americani e la richiesta di seggio permanente all'Onu) che ovviamente non può che preoccupare i dirigenti cinesi (ma anche quelli russi) i quali cominciano a non sopportare il lavorio di accerchiamento nei confronti del loro paese, prodotto dalla frenesia dell'attuale amministrazione americana e dalle ambizioni dei suoi satelliti sparsi in tutti gli angoli della terra.

4) Quando, alcuni anni fa, si diffuse la notizia che Israele e poi India e Pakistan si erano dotati di bombe atomiche le potenze nucleari di più vecchia data fecero finta di innervosirsi. Invece quando i servizi segreti americani hanno messo a conoscenza il loro governo che Corea dei Nord e Iran (definiti dall'elegante eloquenza del presidente americano stati "canaglia") avevano in programma di produrre energia atomica (a scopi civili o militari non fa differenza per gli occidentali) l'amministrazione Bush si è infuriata. Ma mentre la Corea dei Nord ha fatto sapere di essere già in possesso di ordigni nucleari, e gli USA hanno messo la sordina, almeno per il momento, alla questione, l'Iran ha affermato che gli studi sul nucleare intrapresi dai suoi scienziati hanno finalità d'impiego per usi esclusivamente civili. Tuttavia questo paese resta uno stato canaglia e, come la Siria, a detta del presidente americano deve mettere in conto che il giorno del giudizio universale non è lontano. Cerchiamo di capire in sintesi cosa sta accadendo. Nel Vicino Oriente dopo l'invasione e l'occupazione dell'Iraq gli USA controllano, con le proprie basi militari dislocate in paesi amici o occupati, quasi tutta l'area. In particolare, nella regione compresa tra Mediterraneo orientale, Mar Nero, Mar Caspio, Mar Rosso, Mare Arabico solo tre stati hanno mostrato allergia alle sirene della potenza imperiale: Siria, Iran e India. Lasciando perdere l'India che potrebbe crear loro guai sicuramente peggiori di quelli che stanno affrontando in Iraq, gli USA stanno esercitando la massima pressione verso gli altri due stati. L' intento del governo americano è di continuare nel Vicino Oriente il "lavoro" già intrapreso, non solo e non tanto per "esportare la democrazia" o "combattere il terrorismo che invece da questo "lavoro" viene alimentato, quanto per ridefinire, a favore di Israele, i confini di alcuni stati esistenti e di chiudere una volta per tutte il problema del controllo dell'area del pianeta che è la più ricca di petrolio. L'impegno contratto dall'amministrazione Bush e dal club dei neocons nei confronti sia del potentato ebraico negli USA che delle compagnie petrolifere sono un chiaro segnale dei programmi affatto rassicuranti dei fautori della guerra preventiva e infinita.
All'interno di questa prospettiva tutti i pretesti possono essere utili per ulteriori guerre. Nessuno ha mai sentito i governanti statunitensi chiamare canaglia Israele, cioè il paese che affama i palestinesi, crea per loro ignobili ghetti, tortura i prigionieri politici, compie illegali arresti di massa, spara addosso a vecchi, donne e bambini, detiene un numero imprecisato di anni atomiche e di altri mezzi di sterminio di massa. D'altro canto bisogna essere proprio distratti per non rendersi conto delle quotidiane minacce del gruppo al potere in USA nei confronti degli stati "canaglia". Non pensiamo sia servito a molto ai siriani aver lasciato il Libano, come non pensiamo che siano sufficienti le più ampie rassicurazioni fornite ai negoziatori europei dagli iraniani sulla volontà di non usare il nucleare per scopi bellici. Quello che ha trattenuto finora gli Usa dall'invadere l'Iran (la Siria potrebbe cadere come un frutto maturo dall'albero subito dopo) è sia l'inaspettato mancato controllo effettivo dell'Iraq causato dalla resistenza; sia le numerose incognite che può comportare l'invasione dell'Iran con la questione irachena ancora non definita.
Per ora l'amministrazione americana sta lavorando ai fianchi il regime al potere in Iran, facendo ricorso anche ad una serie di provocazioni come ad esempio permettendo l'infiltrazione di agenti provenienti dai paesi confinanti per individuare i siti ove gli iraniani stanno lavorando al nucleare, sperando che intanto si creino le condizioni per vendicarsi della cacciata degli USA da quel paese dopo la caduta dello shah nel 1970. 1 mercanti della democrazia hanno a disposizione tempo sufficiente per continuare nella crociata che hanno intrapreso: si tratta di capire se, nonostante la straordinaria capacità economica di cui dispongono (che però non è infinita), e quella militare assolutamente impareggiabile (che però, in assoluto, non è invincibile), siano nella condizione noti tanto di sentirsi padroni dei mondo (cosa di cui molti negli USA, governo e neocons compresi, sono convinti), quanto di essere sentiti come tali e, in questa condizione, di capire su quale indice di gradimento possano fare affidamento presso i popoli soggetti di tanta particolare attenzione.

giugno 2005