I pericoli della continuità. Gli esiti delle recenti elezioni si collocano in una linea lunga di tendenza vincente, che dura da anni, per il centro-sinistra italiano. Ma, in politica, una vittoria elettorale è vera se si accompagna ad una rottura di continuità, al senso forte del cambiamento.
Con Nichi, abbiamo sognato in Puglia la realizzazione di una netta discontinuità, il cambiamento dei programmi di governo regionale, il significato vero della politica, che è quello di rompere con la tradizione. Pericolosi, diversi, estremisti, sovversivi. Ci crediamo davvero e l’abbiamo scritto e detto in tutte le iniziative dei mesi scorsi, sin dalla fredda domenica di gennaio, quella in cui le elezioni primarie ci hanno fatto capire inaspettatamente che si poteva cambiare (Francesco Mancini), e si poteva vincere. E la sinistra ha vinto perché è più radicata, ha i legami più forti con il territorio, al di fuori di ogni retorica delle radici. Ma vincere non basta. Dopo, bisogna essere capaci di governare, dar vita ad un governo efficace e sano, lavorare per una società più consapevole, diversa, alternativa. Alla radice delle cose.
Così al centro, come alla periferia dell’impero. Non si possono interrompere le poche esperienze avviate di democrazia partecipata, che sono la vera armatura culturale e pratica del cambiamento di una società. Occorre avviarne altre, numerose a centinaia. Dalla città dei mille colori e delle mille contraddizioni, Napoli, arriva un’ipotesi di decentramento amministrativo di grande interesse e coraggio (Raffaele Porta).
Il rinnovamento della politica è nella riscoperta dell’impegno e della partecipazione e nel nostro paese si sono aperti negli ultimi anni cantieri spontanei di democrazia partecipata, interessanti laboratori si vanno attrezzando nell’opposizione alla cultura neoliberista dominante. I cittadini hanno ripreso ad occuparsi della città, della vita nei quartieri, a riappropriarsi del loro avvenire, a praticare la cittadinanza attiva nel bilancio partecipato. Le moltitudini sono tornate ad alimentarsi del sogno di un mondo migliore e, oggi che molte porte del governo locale si sono aperte alla sinistra, non dobbiamo deluderle. Alla vigilia della madre di tutte le elezioni, quelle del 2006, non si può correre il rischio di perderle perché localmente si siano fatte fallire le politiche partecipative e alternative e perché gli stati generali dei partiti della coalizione abbiano ripreso il sopravvento sulla democrazia di base. Spesso le segreterie di partiti, circoli, sezioni, federazioni inaridiscono la politica, con i loro riti, le pratiche di trattative estenuanti, i loro linguaggi incomprensibili, i veti immotivati, i metodi incapaci di leggere l’aspirazione al cambiamento.
Quando finalmente si è al governo di una città, di una provincia o di una regione, non si possono dimenticare le ragioni del consenso. I danni sarebbero irreparabili. Possono le sinistre del nostro paese fare come in Spagna e cominciare a considerare Zapatero, e la sua determinazione a mantenere le promesse elettorali, non come un pericolo per l’occidente ma un valore aggiunto? In nessun caso può accadere che difficoltà economiche e di bilancio amministrativo inducano a recedere da programmi avanzati e alternativi.
Anche la vitalità critica dei movimenti: il loro assopimento sarebbe letale per la democrazia. La politica stessa è volontariato, civile, solidale. Nelle nostre città, i professionisti della politica ce la mettono tutta a far fallire qualunque ipotesi di cambiamento, a non riconoscere esperienze di impegno volontario e disinteressato, mentre i volontari della cooperazione internazionale, sono impegnati in Africa, in Medio Oriente, nell’Asia lontana, a lavorare silenziosamente per i popoli poveri dell’altro mondo, per la vita di uomini e donne, per l’accesso all’acqua, per il diritto alla salute, per i diritti civili negli scenari tribali dell’ininterrotto sfruttamento neocoloniale. La coscienza civile non può limitarsi a fremere alla visione di un film di successo, Hotel Rwanda. L’allarme lo lancia il “Cuamm”, la più vecchia ONG sanitaria italiana, che ci ricorda i drammi dell’Angola, le conseguenze di una guerra durata trent’anni, la situazione sanitaria insostenibile, il vile sfruttamento delle ricchezze naturali, le sofferenze per la recente epidemia di febbre di Marburg, le difficoltà economiche che mettono a rischio la stabilità e la continuità dei progetti umanitari.
Si può fare a meno delle passioni di sinistra? Si può fare a meno della sinistra che è capace di emozione (Gianni Antonio Palumbo), che pensa (Gennaro Gadaleta Caldarola) e opera e lotta? La sinistra che lavora, studia, partecipa. La sinistra come forma stessa di espressione (Antonella Zezza). Noi continueremo per la nostra strada, difficile. Che è quella della passione politica, della scoperta dei valori mediterranei, della pluralità partecipativa, della cultura pacifista e antimilitarista, della discontinuità.
E’ questo il bagaglio che portiamo con noi quando manifestiamo sulle Murge alla ricerca di un modello economico alternativo, alla ricerca dell’Altra Murgia. E ci aspettiamo provvedimenti per la pace e l’ambiente, la smilitarizzazione del territorio nella Puglia di Vendola come nella Sardegna di Soru. Con tutte le conseguenze che ne derivano sulle politiche di difesa dell’Italia e della Nato. Mettere insieme continuità di passioni e di idee con discontinuità di governo e di programmi.
Allo stesso modo la lealtà delle alleanze politiche si misuri con il bisogno di verità, senza veli. Per porre fine alla guerra. Vogliamo sapere quando il centrosinistra si deciderà a dire con chiarezza che, una volta al potere, il suo primo atto di governo sarà il ritiro dei soldati dall’Iraq. E, se “la verità è sempre rivoluzionaria”, vogliamo sapere tutto dei ladroni di Baghdad (Pasko Simone). Vogliamo conoscere subito la verità sulle convenienze economiche italiane nella guerra contro l’Iraq , sui pozzi petroliferi dell’Eni (la principale impresa italiana, in cui lo stato è presente con il 30% delle azioni), sulla difesa del giacimento di Nassiriya, sulle torture nelle carceri, sui crimini di stato, sulle tante strategie della tensione, sui prossimi percorsi di guerra, sulla lotta all’islamismo, in cui si distinguono sia gli USA che la Russia.
Ma si sa che sarà la situazione economica ad incidere sull’esito delle prossime elezioni governative e, infine, a determinarle.
C’è recessione economica? Oppure è soltanto stagnazione? Le casse dello stato sono vuote di fronte alle richieste dei lavoratori statali, come lo sono sempre per i lavoratori metalmeccanici. Non lo sono mai state per le richieste degli imprenditori, che sono la vera causa della crisi economica. Con la riduzione dell’Irap, e il conseguente taglio di risorse alle regioni, il paese risorgerà: questo vogliono Montezemolo e i produttori, gli industriali. Prima predicano il mercato e poi chiedono i sussidi, quando il mercato c’è davvero. E intanto ministri del governo vogliono convincerci che aumentare gli stipendi agli statali significa far crescere la spesa pubblica in modo improduttivo.
La sinistra è impegnata ad analizzare i nuovi processi industriali e le tendenze del sistema produttivo (Gigi Malabarba, Ubaldo Ceccoli). Non può bastare che arrivino critiche alla politica economica del governo. E’ fondamentale l’indicazione di un programma economico di sinistra, nell’attuale fase di transizione da una società e un’economia industriali ad un’economia post-industriale e dei servizi (Mario Centrone, Manuela Porta). E le idee sono poche. Non si potrà, ancora una volta, limitarsi a chiedere di stringere la cinghia per risanare i conti pubblici, né impegnarsi soltanto ad una corretta amministrazione della cosa pubblica.
Predisponiamoci a capire l’economia e a scrivere programmi di ripresa della produzione nazionale. Quale produzione? Nel nostro paese si scoraggia il risparmio per l’investimento produttivo e si incoraggiano i programmi edilizi che devastano il territorio. Un articolo del disegno di legge sulla competitività autorizza la speculazione immobiliare a mettere le mani sulla città e permette che i privati svolgano attività di pianificazione al pari di un’amministrazione comunale. Sono riprese dovunque devastazioni urbanistiche e speculazione edilizia. A volte con i reati si può essere clementi, pur con giustizia. Ma soprattutto non si può essere giusti, senza indulgenza, specialmente quando è “Geordie a rubare sei cervi nel parco del re”.
Invece il “mercante di Venezia”, usuraio, è esoso, chiede la sua giustizia. Per i promotori di azioni di lotta sociale non vi è indulgenza. Per i reati loro attribuiti, il codice prevede pene molto severe, sproporzionate rispetto ai beni tutelati. E talvolta, mani avide di elargire giustizia scivolano sui manganelli legati ai cinturoni (Giulio Ricotti).
Che cos’è in effetti un crimine in un paese in cui non c‘è più legge (Ubaldo Ceccoli)?
Accade così che, in una città simbolo del cambiamento, le conseguenze di leggi sbagliate si riversano sugli occupanti di centri sociali e immigrati clandestini. Peccato che a voler applicare una legalità ingiusta è un sindaco dal nome Cofferati: non ci convinse quando costruì la sua giunta sulla base delle richieste dei partiti, non ci convince quando si accanisce con lo sgombero dei rumeni. Non c’è discontinuità con le amministrazioni precedenti. Così si rischia di far cadere a pezzi il sogno di una nuova vita per Bologna, la rossa.
E poi, c’è la scienza. Noti e illustri scienziati inveiscono contro gli “ambientalisti incolti”. Rigettano il fecondo intreccio tra le scienze esatte e quelle biologiche e umane, cancellano il sogno di una scienza che si esponga ad altri bisogni, diversi da quelli che provengono dal pensiero prevalente, e dal capitale. Rimpiangono così il nucleare perduto. Ma non sono i new global, i movimenti e i social forum a negare la scienza. E’ il mercato, sono le borse con le loro lusinghe, con la privatizzazione della conoscenza.
Nei quattro referendum di giugno, ci sono tante buone ragioni per votare quattro volte “SI” alla cancellazione di parti della legge 40 sulla procreazione medicalmente assistita (Rossana De Gennaro, Giacomo Lucivero, Michele Zanna, Antonio Moretti, Marica Porta). Si tratta della libertà di ricerca scientifica, ma anche della tutela della salute della donna, di una equilibrata valutazione dei diritti dell’ovulo fecondato e dell’embrione nelle fasi iniziali di sviluppo, della libera scelta della donna in tema di procreazione fino all’opzione della fecondazione eterologa. E’ una legge ingiusta e disumana, fatta di nuovi divieti e inaccettabili ostacoli per chi ha difficoltà a procreare e per chi è portatore di gravi malattie genetiche trasmissibili. Difficile, delicato, è il rapporto tra etica e potere (Rossana De Gennaro) su cui Enzo Mazzi ci invita a riflettere dalle pagine del Manifesto: mentre i poteri costituiti fanno e applicano le leggi secondo le regole della politica, è indispensabile che ci siano impulsi morali e culturali, luoghi, movimenti impegnati a portare la società e l’etica costantemente “oltre” la dimensione del potere, non necessariamente in un “oltre” che sta alle spalle, ma anche in un “oltre” che sta perennemente davanti.
E’ questo il nostro senso del cambiamento: lavorare per raggiungere qualcosa che ci è sempre davanti. La continuità degli impulsi morali e culturali è l’impegno dichiarato delle passioni di sinistra, per rompere con la tradizione bigotta e conformista e promuovere quella discontinuità che è necessaria per cambiare il mondo.