Il programma messo a punto dalla coalizione di centro-sinistra in vista delle elezioni regionali del 3-4 aprile 2005 è consistito in una ampia e approfondita disamina di problemi, proposte e obiettivi attinenti ai diversi aspetti della vita, dei bisogni e delle aspirazioni, aspettative e prospettive della gente di Puglia e del suo territorio.
Alla sua elaborazione ha partecipato una pluralità di soggetti, individuali e collettivi, politici, sociali, economici e culturali, che si sono occupati, ciascuno nell’ambito di propria competenza, dei diversi aspetti ed argomenti, se del caso affrontandoli nel più ampio contesto meridionale, nazionale e mediterraneo.
Assai opportunamente, il programma comprendeva anche una critica serrata degli orientamenti e dell’operato della precedente amministrazione regionale di centro-destra.
Di quest’ultima venivano messi in luce soprattutto il distacco dai cittadini e dai loro bisogni, la mancanza di trasparenza, la propensione ad assumere provvedimenti in danno della popolazione e del territorio pugliesi, a vantaggio di interessi particolari di carattere privato, in settori come la sanità, l’istruzione, la formazione, il turismo, lo smaltimento dei rifiuti, la tutela del territorio e dell’ambiente naturale e così via.
Temi, obiettivi e punti di vista contenuti nel programma sono stati largamente ripresi ed utilizzati nella campagna elettorale dal candidato del centro-sinistra, successivamente eletto presidente regionale, e dai suoi sostenitori, evidentemente con sufficiente efficacia e capacità di convinzione.
E tuttavia i contenuti del programma, pur talora ridondanti e forse, per taluni aspetti ed argomenti, perfino di faticosa lettura, erano del tutto carenti, se non assenti, nella trattazione del punto cruciale delle fonti di copertura delle maggiori o diverse spese e delle minori entrate, implicitamente od esplicitamente previste.
In altri termini, il programma e, conseguentemente, anche discorsi, slogan e suggestioni della campagna elettorale, si sono occupati pressoché esclusivamente delle cose da fare e, quindi, del lato della spesa, ignorando di fatto, salvo che per taluni accenni indiretti, il lato delle entrate.
Visti i risultati, può essere che tale linea di condotta si sia rivelata azzeccata ed abbia contribuito magari anche in misura significativa alla vittoria del candidato di centro-sinistra, anche se quest’ultimo ed i suoi sostenitori si sono trovati piuttosto in difficoltà nei confronti diretti con gli avversari politici, specie per ciò che concerne il tema della sanità e la copertura della relativa spesa.
Come noto, in tale materia, il candidato presidente della coalizione di centro-sinistra ha dichiarato, in maniera inequivocabile, nel corso della campagna elettorale, la volontà di abolire il pagamento dei ticket sanitari, in quanto espressione di ingiustizia e barbarie, manifestando, altresì, la propria aperta contrarietà, in linea di principio, al ridimensionamento in ambito regionale del numero di posti-letto dei servizi sanitari pubblici.
Fin da subito si è evidenziato che non si tratta affatto di scelte di agevole attuazione: il neodesignato assessore regionale alla sanità, nella sua prima uscita pubblica, ha rammentato che, in linea con il patto Stato-Regioni in materia di sanità, la Regione Puglia è tenuta alla riduzione di ulteriori 2.500 posti-letto.
D’altra parte, gli esponenti dell’opposizione di centro-destra hanno malignamente rimarcato come il neopresidente regionale, dopo il suo insediamento, abbia cominciato ad usare espressioni come “costo elevato dei ticket sulla salute” e “revisione strutturale”, mentre in campagna elettorale parlava senza mezzi termini di abolizione totale dei ticket sanitari.
Ma la considerazione del lato delle entrate è un principio generale, che va al di là del tema, pur rilevante, della sanità e dei ticket sanitari.
Non si tratta, evidentemente, solo di un richiamo alla correttezza ed alla lealtà nel confronto politico, che certamente farebbe sorridere gli scafati e navigati sostenitori del “così fan tutte”, variante forse meno sgradevole di “il fine giustifica i mezzi”.
Ciò che soprattutto si intende sottolineare è che approfondire e spiegare come si intende procedere alla copertura di un aggravio di spesa o di una riduzione di entrate è quantomeno altrettanto importante della enunciazione degli indirizzi che si intendono adottare nella spesa del denaro pubblico.
In riferimento ai ticket sanitari, gli esponenti del centro-destra hanno sostenuto di non aver parlato in campagna elettorale di abolizione totale, in quanto consapevoli di non potersi impegnare in promesse da loro ritenute assolutamente irrealizzabili, data la situazione sanitaria regionale.
Come già detto, invece, la coalizione di centro-sinistra ed il candidato alla presidenza da essa espresso non sono entrati nel merito del bilancio della sanità regionale, approfittando fino in fondo del vantaggio della mancanza di responsabilità dello sfidante, che non ha condiviso e ha anzi avversato le scelte gestionali dell’amministrazione uscente.
In questo modo, si è corso, però, il rischio di dare al pubblico l’impressione di volere eludere, per furbizia, ignoranza o incompetenza, il confronto sulle cifre e sui termini concreti della questione, che invece l’avversario non poteva evitare.
Almeno in parte, l’elettorato ha certamente recepito in maniera negativa tale atteggiamento elusivo, non tanto, però, evidentemente, da impedire la vittoria del candidato del centro-sinistra, sia pure di stretta misura.
Ci si sofferma sulla questione sanità, oltre che per la rilevanza, se non preponderanza, dalla stessa rivestita nel bilancio regionale, anche e soprattutto per la particolare importanza che essa ha avuto nella campagna elettorale, ma, come già rilevato, la mancata considerazione del lato delle entrate ha riguardato ogni aspetto della vita regionale.
In tal modo, oltre a venir meno in qualche misura alle regole del fair play verso gli avversari, si è evitato di approfondire le questioni con la dovuta esaustività e chiarezza.
Dovrebbe essere al riguardo superfluo rammentare che gli enti pubblici amministrano soldi dei cittadini e che su tale gestione è opportuno e doveroso che gli organi preposti si soffermino approfonditamente prima, durante e dopo l’assolvimento dei loro incarichi.
Il fatto che in passato tale dovere possa essere stato assolto poco e male non può essere un alibi e, anzi, ci si augura vivamente che non lo sia stato neanche nel caso in argomento e non lo diventi mai.
È verosimile, infatti, che possa essersi trattato soprattutto di scarsa dimestichezza o avversione per lo strumento contabile e per l’approccio definito con un certo disprezzo “ragionieristico”.
In realtà, non è affatto indispensabile sciorinare elenchi di cifre, percentuali, grafici e tabelle, per approfondire le questioni attinenti alle spese ed alle entrate delle pubbliche amministrazioni; al contrario, proprio questo può annoiare e stancare il pubblico e distrarne l’attenzione dagli aspetti sostanziali.
Ad esempio, non occorre essere un tecnico contabile od economico, per rendersi conto e tenere sempre ben presente che, se si parla di spesa, ci si riferisce implicitamente ad una entrata di pari importo.
Come sottolineato in altre occasioni, più che di una equivalenza si tratta di una vera e propria identità: se c’è qualcuno che riscuote una somma, c’è qualcun altro che la paga, non importa con quali tempi e modalità, spesso difficilmente prevedibili con esattezza.
Quando le pubbliche amministrazioni registrano una entrata, qualcun altro sostiene un esborso.
Nella fattispecie, questo qualcuno è soprattutto il cittadino contribuente, che paga tasse, imposte, contributi, bolli, tariffe, multe o altro, ma talora anche il prestatore di denaro, in forma di sottoscrizione di titoli del debito pubblico o di erogazione di mutui.
Dall’altro lato, analogamente, ogni volta che una pubblica amministrazione effettua un esborso, c’è qualcun altro che incassa la stessa somma.
In sostanza, le pubbliche amministrazione costituiscono soprattutto un tramite tra i diversi soggetti con cui operano; la loro gestione, dal punto di vista finanziario, consiste in continui rilevanti trasferimenti di ricchezza, né va sottaciuto che grossa parte del prodotto interno lordo e dei profitti delle imprese ha origine proprio dalla spesa degli enti pubblici.
Il disavanzo di gestione, determinato dalla differenza negativa tra entrate e spese e coperto tramite ricorso all’indebitamento, può evidenziarsi già all’atto della redazione del bilancio preventivo o determinarsi a consuntivo, all’atto della verifica delle effettive entrate e spese dell’esercizio.
In un caso e nell’altro, a prescindere dalle modalità di contabilizzazione, in caso di deficit vengono creati dal nulla mezzi finanziari, nella forma di debiti - e relativi interessi - a carico delle comunità amministrate.
Tali mezzi vengono in larga misura girati, in forma di volumi d’affari e profitti, ma anche di stipendi e di prestazioni, ai beneficiari di servizi, ai dipendenti ed ai fornitori degli enti pubblici.
È appena il caso di sottolineare che la copertura dei deficit consiste in pratica in una ipoteca imposta sul futuro della comunità e soprattutto sulle nuove generazioni ed in una liquidazione, in tutti i sensi, sia di ricchezza futura, ancora non venuta ad esistenza, sia di ricchezza in essere, messa da parte per la prestazione di servizi alla collettività.
Non dovrebbero occorrere troppe parole per ricordare i fenomeni che hanno storicamente dato origine e ampliato mostruosamente i deficit e l’indebitamento complessivo degli enti pubblici.
Dal lato della spesa, hanno inciso pesantemente le clientele ed i nepotismi o “parentopoli”, le truffe e la corruzione, con le varie tangentopoli, appaltopoli, farmacopoli et similia ed il relativo contorno di complicità e connivenze malavitose e mafiose.
Dal lato delle entrate, i fenomeni di maggiore incidenza sono stati e, manco a dirlo, sono tuttora l’evasione fiscale e contributiva e le varie forme di condono (fiscale, contributivo, edilizio, valutario e chi più ne ha più ne metta).
Viene giustamente rimarcato il carattere immorale, ingiusto, beffardo, diseducativo di tali fenomeni, oltre che la pericolosità fisica soprattutto degli abusi edilizi oggetto di condono, per i più gravi dei quali la collettività nazionale periodicamente paga pesanti tributi in termini di dissesti, lutti e sofferenze.
Relativamente ai bilanci pubblici, ciò che conta è che le varie forme di evasioni comportano il drastico ridimensionamento di entrate stabilite per legge, mentre i condoni in pratica consistono nella liquidazione a costi stracciati di crediti attuali o potenziali connessi alle attività di accertamento e repressione, per le quali le pubbliche amministrazioni spendono somme rilevanti.
I deficit di bilancio e l’esplosione del debito pubblico si devono principalmente, se non esclusivamente, ad una storica e perdurante disattenzione al lato delle entrate, oltre che, ovviamente, alla qualità, alla entità ed ai destinatari della spesa pubblica.
I ticket sanitari e la riduzione dei posti-letto, ad esempio, vengono giustificati con l’esigenza di ristabilire l’equilibrio nei bilanci pubblici, ma costituiscono, in realtà e prima di tutto, un ulteriore trasferimento di ricchezza dai contribuenti in regola con i pagamenti agli uomini d’affari che gestiscono la sanità privata.
Chi, per lo più in tarda età, viene chiamato a pagare anche i ticket ha generalmente strapagato in anticipo i servizi sanitari con il lavoro di una vita ed è in colossale credito verso la collettività, avendo contribuito concretamente alla edificazione delle strutture della sanità pubblica, che storicamente costituisce una componente rilevante della ricchezza della nazione.
Lo smantellamento ed il ridimensionamento delle strutture pubbliche e, quindi, di importanti quote della ricchezza nazionale vengono spacciati per provvedimenti volti a razionalizzare, ristrutturare, ripristinare condizioni di efficienza e ridurre i costi.
Si tratta, invece, di puro e semplice illusionismo contabile.
In realtà, i costi scompaiono dal bilancio delle imprese sanitarie pubbliche e ricompaiono, aumentati, nei bilanci familiari dei cittadini, costretti a rivolgersi a strutture private ed a pagare per la seconda volta e per lo più a prezzi maggiorati le prestazioni sanitarie di cui hanno bisogno.
Il fatto di far sparire i costi della sanità dai bilanci pubblici non li riduce, ma li aumenta.
Lo smantellamento e la vendita di attività pubbliche, così come i condoni, consistono in un trasferimento a soggetti privati e ad evasori fiscali di quote di patrimonio pubblico, formatosi con il contributo ed il sacrificio dei cittadini onesti e rispettosi delle leggi.
E, evidentemente, quanto maggiore è il successo di simili operazioni, tanto più alto è il danno arrecato ai conti pubblici ed all’intera società.
Le disfunzioni, le inefficienze, i ritardi, le liste d’attesa nella erogazione delle prestazioni sanitarie pubbliche, i gravi e ricorrenti episodi di mala sanità producono lo stesso risultato.
I contribuenti in regola con i pagamenti e, come tali, in credito verso la sanità vedono duplicato e maggiorato – e, purtroppo, non solo in termini monetari - il costo delle prestazioni, che hanno diritto di ricevere gratuitamente, per averle già pagate.
È quasi superfluo rilevare come il tutto si traduca nella vistosa espansione dei patrimoni privati immobiliari e finanziari degli uomini d’affari e dei loro parenti ed amici e, quindi, in una pietrificazione e sterilizzazione di risorse sottratte al benessere collettivo.
In senso opposto, aumenta in maniera altrettanto vistosa il livello di onerosità dei servizi, oltre che di precarietà ed insicurezza dei cittadini, specie dei più deboli, in quanto affetti da problemi di salute.
Non vi è nulla di sorprendente, quindi, se il minore potere d’acquisto e la maggiore incertezza per il presente ed il futuro si traducono in una marcata flessione della propensione al consumo e, quindi, delle vendite e degli affari ed in un generale peggioramento della situazione socioeconomica.
L’amministratore pubblico può e deve combattere i fenomeni degenerativi, che, ovviamente, non riguardano solo il settore sanitario, ma si estendono ad ogni aspetto della vita della società:
attivandosi per la lotta alla evasione fiscale e contributiva sia direttamente, sia collaborando con le amministrazioni preposte alla repressione di tali fenomeni;
- promovendo una lotta generalizzata della collettività, tramite il coinvolgimento, l’organizzazione e l’assistenza dei singoli cittadini e delle loro associazioni nell’attività di denuncia di abusi, illegalità e corruzioni ed in quella di informazione ed orientamento dei consumatori;
- favorendo la denuncia e, quindi, la repressione e, ancor più, la prevenzione dei fenomeni di corruzione e di spreco del denaro pubblico e delle truffe a danno delle pubbliche amministrazioni, quali quelle messe a segno tramite le false prescrizioni di farmaci a carico delle aziende sanitarie pubbliche;
- collaborando con l’autorità giudiziaria, anche tramite la costituzione parte civile, nell’accertamento e perseguimento di reati già commessi, anche a fini di reintegro del maltolto nelle casse pubbliche;
- tutelando e premiando i cittadini e le loro associazioni, che svolgano opera di informazione e denuncia preventiva delle illegalità, consentendo di intervenire prima che si verifichi il danno ai conti pubblici;
- impegnandosi nella realizzazione, se possibile anche a livello regionale, di una normativa premiale e di protezione e garanzia per il cittadini “collaboranti”;
- battendosi, a livello nazionale, per una normativa, che, per i reati finanziari, fiscali e, in genere, contro la pubblica amministrazione, abolisca la prescrizione successivamente al rinvio al giudizio degli imputati, estenda a costoro la perseguibilità per falsa testimonianza e ripristini e rafforzi le possibilità di accertamento e repressione del falso in bilancio, delle false comunicazioni sociali e dei reati contabili, fiscali e finanziari in genere;
- rilanciando, a livello nazionale, comunitario e internazionale l’iniziativa per una normativa atta ad introdurre e potenziare controlli, limiti e divieti in materia di movimenti valutari, specie verso i cosiddetti paradisi fiscali.
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giugno 2005 |