A difesa del patrimonio culturale come bene comune
di Ilia Binetti

La Comunità europea con la direttiva 92/100 ha istituito l’obbligo di remunerare gli autori per i prestiti di documenti praticati in biblioteca.
Politici ed editori hanno preso ad esempio il mondo bibliotecario del Nordeuropa nel quale le royalties sul prestito sono a carico del bilancio dello stato sin dal dopoguerra. Risulta alquanto singolare che non si è mai ritenuto di dover prendere ad esempio, nonostante i ripetuti inviti del mondo professionale, il Nordeuropa per quanto riguarda le biblioteche, nella scelta dei servizi, nella quantità delle risorse impegnate e nell’architettura. Ci sarà qualche interesse da difendere?
Il 16 gennaio 2004 la Commissione europea apre un procedimento di infrazione contro sei paesi membri: Italia, Francia, Spagna, Portogallo, Lussemburgo e Irlanda. Per quanto concerne l’Italia si ravvisa l’errato recepimento della norma relativa al diritto di prestito pubblico armonizzato dalla Direttiva 92/100.
Alcuni paesi (Spagna, Portogallo, Irlanda), recependo la direttiva avevano esteso il regime di eccezione – previsto dall’art. 5 della direttiva stessa - a tutte le biblioteche, ma l’Unione ha ritenuto quest’azione una scappatoia e ha, in prima battuta, chiesto la modifica della legislazione e, successivamente, non ravvisando correzioni di rotta, ha portato di fronte alla Corte di giustizia questi primi tre stati. Per l’Italia e il Lussemburgo il procedimento è stato sospeso, essendosi i rispettivi governi nazionali impegnati a modificare in tempi brevi la legislazione.
La Spagna e il Portogallo si sono presentate alla Corte di Giustizia con controdeduzioni e una strategia basata sulla insostenibilità economica e giuridica del provvedimento. La Francia, avendo già recepito la direttiva, conduce, attualmente, una battaglia sulla proprietà intellettuale. L’Italia, non avendo ottemperato agli impegni legislativi, è stata di nuovo inclusa nella procedura di infrazione ed è quindi possibile attendersi, a breve, un provvedimento da parte del nostro paese che recepisca la direttiva europea.
I bibliotecari di Spagna, Italia e Portogallo, insieme ai colleghi francesi costretti a misurarsi con l’applicazione della direttiva 92/100 e di quelle successive, si sono mobilitati di fronte alla procedura di infrazione, facendo per una volta sentire la propria voce (nel nostro paese è partita da Cologno Monzese la promozione della campagna contro il prestito a pagamento intitolata “No pago di leggere” e poi divenuta “No pago”, alla spagnola), non nel chiuso delle proprie realtà lavorative, ma estendendo la protesta alla cittadinanza, per ribadire il ruolo fondamentale della biblioteca nei processi di organizzazione e distribuzione del sapere, almeno nelle realtà dove questa funzione rappresenta una realtà operativa.
La protesta si basa sulla convinzione che le biblioteche assicurano il diritto d’autore attraverso la conservazione, la catalogazione, lo stoccaggio, la promozione, ecc. Alle argomentazioni degli editori che sostengono l’esistenza di competizione tra il prestito del documento in biblioteca e l’acquisto della stesso in libreria, si contrappone la tesi fondata sul ruolo e sul lavoro delle biblioteche che garantiscono a tutti l’accesso democratico all’informazione, nonché la possibilità di accedere al prestito di una notevole mole di materiale non più reperibile in commercio.
Possiamo senza riserve definire questo provvedimento un atto lesivo dei diritti dei cittadini i quali si vedranno privati della possibilità di utilizzare gratuitamente il patrimonio documentario conservato presso le biblioteche pubbliche, a vantaggio di autori e soprattutto di grandi editori.
Se da un lato si promuovono, bisogna sottolineare senza grande clamore, iniziative a favore della lettura, dall’altro si pongono steccati all’utilizzo libero dei documenti, insidiando il principio del ‘bene comune’ a disposizione dell’intera collettività.
I paesi mediterranei hanno sottolineato, col sostegno delle associazioni professionali, la necessità di continuare a ribadire il senso del servizio pubblico alla comunità per una crescita collettiva e democratica, favorita dalla possibilità di usufruire dell’informazione disponibile, nell’ottica della formazione permanente per tutti i cittadini, senza alcuna forma di discriminazione.
In Italia a fronte di una mobilitazione a macchia di leopardo, sia per quanto concerne le aree (nord e centro sono più presenti del sud, probabilmente per una differenza di penetrazione nel territorio e per una diversa azione di coinvolgimento culturale dovuta a differente sensibilità da parte delle amministrazioni locali nel centro-nord), sia per quanto concerne i singoli operatori culturali, vi è stata una partecipazione politica che ha registrato una maggiore sensibilità delle amministrazioni locali, sia pure con le dovute differenze territoriali, rispetto alle prese di posizione ufficiali delle forze politiche a livello parlamentare, sia nazionale che europeo. Il problema del prestito a pagamento investe quello della proprietà intellettuale e quindi si inserisce in un dibattito molto acceso che vede protagonisti diversi, attori del mondo della cultura, difendere interessi non sempre coincidenti tra loro. Il problema supera i limiti di una battaglia per la difesa di un servizio, sia pure assolutamente doverosa, o della discussione sulla opportunità di offrire alcuni servizi a pagamento (non si esclude l’opportunità di far pagare alcuni servizi, allorquando esistono spese vive da sostenere), e coinvolge, dicevamo, a pieno titolo il diritto d’autore e la proprietà intellettuale. Vi sono coloro che, di fronte al massiccio attacco costituito dalle tecnologie informatiche, lavorano per costruire un muro di protezione sempre più impenetrabile, attraverso il ricorso a patenti, brevetti, bollini, licenze, compensi e consensi.
Il copyright nasce con l’intento di difendere la creatività intellettuale; oggi è espressione della standardizzazione. Il tentativo è quello di garantirsi la paternità intellettuale come forma di potere in un regime di concorrenza. I diritti di proprietà intellettuale (tutelati attraverso brevetti, copyright e marchi) impoveriscono la conoscenza che invece per sua natura non ha steccati, cioè il suo possesso non limita altri dall’usarla e dal diffonderla.
E’ la trasformazione della conoscenza in merce che obbliga a creare recinti che permettono l’attribuzione del monopolio all’inventore: si ritiene questa condizione utile a stimolare economicamente la ricerca e quindi lo sviluppo.
I diritti che si riferiscono alla proprietà intellettuale non sono diritti naturali, ma storicamente determinati, soggetti a mutamenti nelle formulazioni. Il ruolo del sapere sociale, prodotto dunque da tanti, è sempre presente ogniqualvolta si assiste ad un processo creativo.
Appare evidente come di fronte alla tecnologia che avanza questi steccati risultino sempre più fragili e inadeguati. La reazione a difesa dei privilegi si fa allora sempre più aggressiva. Un esempio è dato dalla difesa del copyright sulla musica che vede i proprietari della musica accanirsi nei confronti dei giovani (loro migliori clienti), privilegiando come interlocutori i governi, i parlamenti e l’Unione europea.
La grande editoria, le majors discografiche e i trust informatici intendono il diritto d’autore secondo un’ottica protezionistica che viene recepita dai provvedimenti legislativi europei e nazionali attraverso i cosiddetti sistemi anti-copia. In quest’ottica si inseriscono le richieste di pagamento dei diritti alla SIAE, per esempio, anche per la lettura ad alta voce in biblioteca rivolta ai più piccoli, e le richieste di prestito a pagamento, Si capisce bene come le grandi strutture commerciali legate alla produzione culturale fanno da padrone e, in un ambito che attiene alla capacità creativa e critica di cui è pervasa tutta la società, agiscono indirizzando il mercato nella direzione utile al profitto.
In effetti la direttiva in oggetto e le successive hanno il ‘merito’ di aver sollevato un altro velo su ciò che rappresenta il divieto alla fotocopia che si collega, non sembri forzato, alle morti di AIDS e ai brevetti farmaceutici in Africa.
Personalità della cultura e non solo si sono mobilitati contro il prestito a pagamento, nella certezza della necessità di offrire gratuitamente in lettura il proprio prodotto, stante in ciò la ragione stessa del suo prodursi. A proposito è intervenuto, tra gli altri, Dario Fo, definendo un atto di inciviltà questa richiesta: “Voglio ricordare a questo proposito una scritta che appariva in una casa del popolo, prima della Prima guerra mondiale, nei dintorni di Genova. Su questa targa c’era scritto; “Se un povero ti chiede l’elemosina e tu hai cinque monete le prime tre monete dagliele per mangiare ma le altre due dagliele perché si compri un libro”. E la prima cosa che fecero gli operai fu quella di mettere in piedi le biblioteche. Abbiamo fatto anche uno spettacolo su una di queste biblioteche fondate dalla classe operaia. Ora invece vogliono cancellare tutto questo. Dobbiamo fermare questo ennesimo atto di barbarie!” (Dario Fo – da Liberazione, 15 marzo 2005).
Vi sono autori che difendono il diritto d’autore proprio promuovendo la circolazione delle opere, riconoscendo nelle biblioteche il luogo dove maggiormente è garantita tale circolazione, rispetto al mercato che per rispondere a logiche di profitto certamente non favorisce tutte le espressioni intellettuali esistenti o in fase di elaborazione. La biblioteca (sia come luogo fisico ben individuabile, sia come organizzazione bibliografica che può esprimersi in maniera virtuale attraverso la biblioteca digitale) rappresenta una zona franca dove poter raggiungere l’informazione sui testi e le opere e utilizzare gli stessi (in forma cartacea o digitale), trasformando l’informazione in conoscenza. Il presupposto indispensabile è dato dalla possibilità di usufruire del materiale documentario liberamente e gratuitamente, in quanto il patrimonio disponibile è un bene comune che il diritto collettivo all’informazione e alla conoscenza rende significativo.
La biblioteca favorisce il diritto d’autore in quanto permette al lettore di formarsi in quanto tale e poter diventare egli stesso autore. Offre l’opportunità all’autore, senza limiti di censura o di pressioni commerciali, di farsi conoscere, di essere letto e di essere custodito per il presente e per il futuro, andando ad accrescere il patrimonio culturale della memoria collettiva. L’opportunità per i lettori di attraversare con la propria mente l’oceano sconfinato delle creazioni umane e di perseguire proprie strade intellettuali, mettendo in relazione gli autori tra loro, secondo percorsi dalle infinite possibilità e contaminazioni disciplinari tra le più impensabili e accattivanti, rappresenta la ragione stessa dell’esistenza e della salvaguardia del ‘bene comune biblioteca’.
E’ il lettore, e soprattutto il bibliografo, che espande e proietta nel futuro l’ombra del libro, garantendone la conservazione e la conoscenza. Attraverso il linguaggio, l’idea si trasforma in un messaggio comunicabile che viene codificato materialmente con la scrittura, rendendo possibile l’irradiamento dell’immaginario. L’idea dello scrittore contribuisce alla conoscenza proprio nella trascrizione in forme leggibili del prodotto della mente umana. Ne scaturisce inevitabilmente la necessità per l’uomo di conservare queste tracce del pensiero in oggetti materiali e organizzare il recupero attraverso la bibliografia. Le espressioni dell’intelligenza umana acquistano un significato postumo rispetto all’atto creativo, e la bibliografia porta con sé il concetto di dimensione che quel particolare testo può assumere, dandone una visione diversa che lo ingigantisce e lo accresce. La bibliografia rappresenta l’immagine del libro che si pone rispetto ad esso in un rapporto di alterità e ne sostanzia la diffusione. Se il libro assicura la trasmissione della conoscenza, la bibliografia ne permette l’espansione e il carattere di eternità. Tutto il mondo di interpretazioni e di interventi che pullulano intorno ad una creazione e che fanno del libro un contenitore sui generis dell’opera (si pensi alla differenza con un quadro, per esempio) costituisce per qualsiasi comunità il legame con il processo di scrittura e di trasmissione, attraverso essa, della memoria. Se ne deduce che il pensiero dell’uomo non esaurendosi nella scrittura, conferisce a queste manifestazioni (scrittura, lettura, bibliografia) il carattere dell’incompiutezza, ma nello stesso tempo sollecita la necessità della trasmissione delle idee attraverso processi e strumenti di ordine conoscitivo. Tra i libri e i lettori si stabilisce una forma di dialogo che si struttura storicamente, in quanto la conoscenza non è, e non sarà mai, un’esperienza per se stessa, ma una costruzione sempre in fieri all’interno del processo di stratificazione del sapere. La biblioteca è il luogo dove questo processo prende forma.
L’autore in quanto creatore non è che l’impulso di un evento che coinvolge il mondo intero e contribuisce a far crescere e alimentare la capacità elaborativa e partecipativa di ognuno. Ciascun autore pertanto, dopo giusto compenso, dovrebbe adoperarsi a sostenere la più vasta circolazione e contaminazione del proprio prodotto per fornire documenti per gli scopi più vari (dalla critica, allo studio storico, al gusto della creazione, al gusto ludico, all’informazione, alla formazione ecc.) e dare un senso al proprio operato.
Fortunatamente non tutti gli editori si trincerano dietro la difesa dei propri profitti; alcuni si sono dichiarati contro la norma della direttiva europea, a favore della promozione della lettura come argine al bombardamento dell’informazione tout court. In questa battaglia, la partecipazione di soggetti diversi favorisce il confronto e lo stimolo a perseguire itinerari orientati allo sviluppo collettivo.
Sorgono sempre più librerie di catena come La Feltrinelli, a discapito delle piccole librerie indipendenti. Le prime rispondono ai criteri del supermercato e si basano sulla velocità di rotazione dei libri sugli scaffali, le seconde rispettano scelte e tempi di produzione e di distribuzione molto più lenti e una permanenza dei titoli nel lungo periodo. Dalle grandi librerie è inevitabile che le piccole case editrice vengano estromesse, con conseguente perdita di una realtà culturale esistente, ma non visibile, e difficilmente recuperabile. Si evince il ruolo fondamentale delle biblioteche anche a favore delle piccole realtà editoriali che si traduce nella offerta perenne di una pluralità e diversità di voci, sinonimo di civiltà: la presenza di prodotti derivanti dall’attività di piccole realtà imprenditoriali garantisce la sopravvivenza di generi e di prodotti culturali che non trovano spazio nei supermercati della cultura, dove vige l’obbligo di diffondere testi che garantiscono un grande mercato.
Se la tecnologia consente una circolazione di idee di proporzioni inimmaginabili fino a non molto tempo fa e questa diffusione è inarrestabile, resta il problema culturale che risiede, non tanto nel reperire informazioni, ma nell’essere in grado di organizzarle secondo modalità critiche originali. Ciò richiede una capacità di elaborazione culturale che si alimenta nella sperimentazione di percorsi inesplorati di pensiero che favoriscono, contestualmente, il piacere di leggere e il desiderio di rintracciare sempre nuove sollecitazioni culturali. Questa ricerca si traduce nella richiesta di poter accedere liberamente e gratuitamente ai documenti della produzione culturale, attraverso le strutture pubbliche o attraverso l’acquisto di libri (potendoselo permettere).
La strategia delle recinzioni, degli steccati non porta lontano e non costruisce niente di buono per la collettività. L’impegno è rivolto alla formazione di una nuova coscienza dell’interesse collettivo che sia espressione di una concezione del ‘pubblico’ in cui la difesa della cultura, come la difesa dell’aria, dell’acqua, della pace in quanto ‘beni comuni’ abbia la priorità sugli interessi individuali.

giugno 2005