Appunti per un dibattito nelle Passioni di sinistra a cinque anni dalla nascita

1.

Partiamo dai temi del nostro impegno, che dura da cinque anni, dall’estate del 2001, dalla sconfitta della sinistra, in Italia e a Molfetta.

La globalizzazione economica, la critica del neoliberismo, il pensiero unico, il movimento dei movimenti: è stato indiscutibilmente questo il nostro punto di partenza. C’era stata Genova nel luglio 2001, con le manifestazioni no-global, precedute da quelle di Napoli nel marzo e in presenza di un governo di centrosinistra. C’era stata la violenta reazione dell’apparato politico, militare, economico. E soprattutto la morte violenta di Carlo Giuliani. Poi, il bisogno di verità, tuttora insoddisfatto.

Con i primi numeri della rivista, abbiamo subito voluto, e saputo con competenza, analizzare il progetto di costituzione di un ordine mondiale, fondato sulla guerra, sul controllo mondiale delle risorse e dello scacchiere internazionale: e, in settembre, l’attacco alle torri americane, il terrorismo, il guerrorismo, subito l’Afghanistan, poi l’Irak, l’eterna guerra nei territori, sempre la Palestina, fino al Libano. Ma anche la Siria e la Giordania sono stati argomenti della nostra ricerca, dei nostri articoli, dei nostri contributi su pace, rispetto dei popoli, giustizia nel mondo, crimini di guerra. Le bugie dei potenti, dei signori della guerra. E così abbiamo contribuito a tenere vivo il movimento pacifista anche nel nostro territorio. Abbiamo ospitato contributi delle donne in nero, di pax cristi, dell’azione cattolica. E c’è stata anche la nostra partecipazione alle manifestazioni nazionali per la pace.

Fin dalle prime battute, abbiamo incontrato la precarizzazione del lavoro. Abbiamo dedicato un numero alla difesa del diritto al lavoro ed alla tutela delle condizioni dei lavoratori, contribuito alla battaglia per la difesa dell’art. 18, incontrato il movimento sindacale, invitato le camere del lavoro, collaborato strettamente con i Cobas. Con gli occhi sempre attenti ai giovani, al loro esodo verso il nord alla ricerca di un lavoro, alla loro disperazione.

Fornendo contributi qualificati allo studio del saccheggio del territorio e delle devastazioni ambientali, abbiamo avuto rapporti con il movimento ambientalista, a Firenze e non solo, scrivendo e organizzando iniziative sul global change del clima e riferendo delle tante battaglie locali: le scorie a Scanzano, il ponte di Messina, l’alta velocità, il Pulo, le coste, la protezione di Torre Calderina, e di Pantano-Ripalta, il parco delle Murge, le antenne e l’inquinamento elettromagnetico, i rifiuti e i termovalorizzatori.

Non è esagerato definire originali le nostre analisi economiche, i contributi alla conoscenza di pensatori, studiosi di economia, filosofi, storici, intellettuali, riprendendo il gusto e l’interesse verso le grandi narrazioni del novecento. Ed è qui che abbiamo dato fondamento culturale e teorico alla difesa deibeni comuni ed al rifiuto delle privatizzazioni dei patrimoni e servizi pubblici: il welfare, e insieme la difesa dell’ospedale di Terlizzi, il contratto mondiale dell’acqua, la scuola, l’università, la scienza.

Nel criticare le scelte di amministrazioni locali su aree industriali, città della moda, insediamenti culturali di pessima qualità, abbiamo ritrovato i ‘non luoghi’della modernità e saputo identificarli per osservarli con occhi critici e contributi originali.

Con altri compagni e interlocutori politici abbiamo tentato di cancellare la legge 40 e difendere la procreazione assistita: qui il nostro impegno a difesa dell’autonomia delle donne e della ricerca scientifica. In questa battaglia abbiamo perso, come tante altre volte, ma non abbiamo mai lasciato soli i nostri interlocutori, i nostri compagni di iniziativa politica, il movimento femminista.

Molte volte abbiamo perso, ma poi, forse, occorrerà riscrivere la storia a partire da quelle che oggi appaiono brucianti sconfitte. E questo potrebbe essere un progetto da cui ripartire. Il novecento è pieno di questi episodi, che vanno riletti e valorizzati (scoperte, scienza, energia, politiche, esperienze, economie, territori, teorie, ecc.).

Durante tutto il nostro cammino, in molti paesi d’Italia abbiamo conosciuto le esperienze interessanti del movimento per la democrazia partecipativa. Anche per noi, un punto di inizio di questa conoscenza e di questa elaborazione può essere posto in Port Alegre e da lì abbiamo conosciuto il bilancio partecipato. Abbiamo impegnato i comitati di quartiere, condiviso le lotte nella città, la trasformazione delle piazze, i disagi nei quartieri e nelle periferie, l’elaborazione di un progetto alternativo per il porto di Molfetta, le esperienze in altre città, Bari, Napoli, il decentramento amministrativo dei comuni.

Non abbiamo trascurato il volontariato: nei paesi africani, nel medioriente, nel sudamerica, siamo andati in Angola, nel Kenia. In prospettiva sarà interessante il nostro rapporto con il gruppo di volontari di Matera, che opera in Africa. Se pur contrastate, abbiamo avuto collaborazioni con il Cuamm di Padova e il suo gruppo molfettese di supporto, anche con Emergency ed Amnesty. Perché non dobbiamo riprovare?

Se continuo è stato il nostro rapporto con psichiatria democratica, e lo sarà di certo ancora per il futuro, fertile può diventare quello con magistratura democratica, ingegneria senza frontiere, anche non so informatica democratica, e può riprendersi con nuova lena quello già provato con il turismo alternativo e il commercio equo-solidale di Bergamo e altre esperienze. A Molfetta ci sono le macerie.

Abbiamo guardato con attenzione e cura alla presenza dei migranti, albanesi e non solo, a Molfetta, condiviso la battaglia contro la Bossi-Fini e contro i cpt. Anche qui c’è molto da lavorare. Forse in questo siamo stati pigri.


2.

In tutto questo, non abbiamo avuto difficoltà a considerare il partito di Rifondazione Comunista come parte dei movimenti. Ad apprezzare il suo rapporto con i movimenti nella società, la sua prospettiva della partecipazione democratica. E fino ad un certo punto, tutto questo ha funzionato.

Abbiamo atteso invano una revisione profonda della forma partito. Con i partiti in crisi, la sinistra in crisi, abbiamo atteso la necessaria rifondazione della politica. E sperato invano. Di fatto, si è interrotto il nostro rapporto con il circolo locale di Rifondazione Comunista. Ma non si tratta solo di questo. La rottura: già prima delle primarie cittadine, già prima delle primarie di Vendola, sicuramente prima delle primarie di Prodi.

È stata la grande illusione della rifondazione del comunismo. È stato il crollo delle aspettative di collegamento, promozione, valorizzazione dei movimenti. È caduta la fiducia nel rinnovamento. Percepito come un vero tradimento. Forte la delusione.

Con tutti i nostri difetti, avevamo provato a dare forma al rinnovamento della politica, dei suoi contenuti, dei suoi strumenti. Avevamo anche provato a dar voce a chi voce non aveva. Anche i nostri difetti andrebbero individuati ed eliminati. Difetti di forma e difetti di sostanza, contenuti, relazioni, legami.

Forse tra di noi c’è chi non ha più voglia di continuare. C’è però di sicuro chi non ha dubbi che si debba ripartire. Con una nuova carica.

Per ripartire, occorre capire la situazione attuale e guardarci al nostro interno. Quanto siamo consapevoli di avere costituito negli anni un vero e proprio “gruppo politico”, con una propria funzione politica, un ruolo, degli obiettivi? Gruppo politico, per tutte quelle caratteristiche politiche che ho ricordato più su. Non gruppo elettorale, meglio non parlarne. Un gruppo con molti caratteri che ci ha accomunati e qualche differenza che ci ha diversificati. In comune abbiamo tuttora la carica antagonista, alternativa, radicale, estrema, anticapitalistica. Ci accomuna ancora la ricerca di un mondo migliore? Costruire una società in cui ci sia il rispetto delle diversità e sia riconosciuto il valore delle differenze?

La nostra è consapevolezza della necessità di un’analisi di classe, per interpretare la società in cui viviamo. I poteri forti, nel paese e nella città, sono i nostri avversari. La speculazione edilizia, i moderati delle privatizzazioni.

Oggi e nella fase politica attuale è forte la nostra responsabilità. Verso le future generazioni, verso gli ultimi, quelli che subiscono la sopraffazione. A Molfetta sui grandi temi, i partiti latitano. Sui bisogni quotidiani è assente la politica. Non c’è un progetto. Nel paese, è difficile che l’Unione tenga. La direzione nazionale del partito di Rifondazione sta affrontando una difficile discussione interna.

Noi non siamo soli, e sapremo continuare a coltivare e rafforzare nel futuro i nostri rapporti, i nostri legami. Con la casa dei popoli, prima di tutto, con i compagni che vi sono impegnati, con difficoltà enormi, nella gestione. Ma molti di noi hanno saputo tenere relazioni con l’altra campagna per il porto, con il comitato di piazza Paradiso, con quello del centro storico, con il laboratorio di città partecipata, con le macerie, con il movimento del buon governo, con i collettivi studenteschi, con intellettuali a Bari. Con qualche esitazione e sospetto, ci sono altri gruppi disposti ad accettarci e ci chiedono di collaborare in battaglie di civiltà, in conflitti sociali, in lotte politiche. Bastano i nomi di legambiente, arci cavallo di troia, archeo club. Discontinui, esistono anche rapporti con movimenti esterni alla città. A Napoli, Potenza, Firenze, Cosenza, Bari, Terlizzi, Matera, Giovinazzo. Non perdiamoli.

Dunque e riassumendo: siamo un gruppo politico, la nostra è analisi di classe, abbiamo grandi responsabilità, non siamo soli. Di qui possiamo ripartire?


3.

Stiamo mettendo in discussione le politiche dell’attuale governo? Cominciamo già a temere per la sua tenuta? Oppure, più verosimilmente, temiamo lo smarrimento della sua carica trasformatrice, della sua capacità di cambiamento? Su questo vogliamo aprire una discussione?

L’esito delle elezioni nazionali è stato a dir poco rocambolesco. Inimmaginabile, solo qualche settimana prima della conclusione. Con in numeri, non abbiamo una vera maggioranza di governo: nonostante tutte le mediazioni operate per costituire il quadro dell’Unione e l’aver accettato tante presenze equivoche nella coalizione elettorale.

In realtà bisognerebbe chiedersi dove la sinistra ha sbagliato, se è vero che negli ultimi giorni preelettorali ha rischiato seriamente di perdere le elezioni ed ha in concreto perso tutto il vantaggio che i sondaggisti e gli orrori berlusconiani le davano. E forse le ha realmente perse, di fatto. Ora il cammino del governo è più difficile del previsto, pieno di insidie. Non c’è da stare allegri. Tutti i giorni si rischia davvero di venire sconfitti e costretti a nuove elezioni. Che sarebbero catastrofiche.

Ma, davvero, sono importanti le politiche che si attuano: è questo il vero discrimine ed è qui il banco di prova della sinistra e della sua capacità di interpretare il bisogno di cambiamento (bisogno di avanguardie o bisogno di massa?). I bisogni di chi vuole cambiare davvero. C’è la politica economica prima di tutto, con le sue derivazioni fiscale, monetaria, di stabilità europea; poi la politica internazionale, la pace e la guerra, i rapporti con i paesi mediorientali, l’Africa, il sudamerica, il mediterraneo, l’ONU, la Nato, il ruolo dell’Italia e dell’Europa; poi il lavoro, e insieme il territorio, l’ambiente, quello che chiamiamo il nodo ambientalista delle politiche del lavoro e della sostenibilità. Quale contributo di elaborazione culturale, teorica e pratica può ancora dare la rivista? E con quali relazioni con l’universo delle riviste, associazioni, movimenti?

Se la sinistra alternativa ha deciso di rimanere al governo, deve farlo perseguendo sempre e dovunque politiche di sinistra, coraggiosamente: è qui che si recupera la fiducia, anche nostra, delle Passioni di sinistra, ma soprattutto del paese, nella permanenza della sinistra al governo; qui si potrebbe recuperare anche il nostro rapporto fiduciario e privilegiato con Rifondazione comunista.

È anche condivisibile lo sforzo bertinottiano di allargare la maggioranza, purché questo avvenga su posizioni avanzate e sul programma con cui il centrosinistra ha vinto le elezioni. Di più e non di meno.

È, invece, in discussione il modello politico: questo va rifondato. Dentro il modello, c’è il rapporto con i movimenti, con la disobbedienza civile, con gli ultimi, con la società civile, la società dei migranti, la società dei nostri figli precari. Poi c’è il significato della democrazia, il carattere vero della democrazia. Infine, c’è il ruolo dei partiti, rinnovati, nella democrazia. Qui occorre la rifondazione della politica, la sua sostanza. Ormai è chiaro che il futuro della nostra società è legato alla capacità di mettere in crisi e in discussione il modello occidentale di economia, di società, di tolleranza, di fronte alla sfida che viene dal mondo arabo, dai musulmani, dalla loro lotta estrema. Che è anche la nostra. È sempre lotta di classe. Ma è anche e soprattutto lotta personale di condivisione di modi di vivere, di scelte personali, di valori a base della convivenza civile, di solidarietà, di coraggio alternativo. Pur senza fondamentalismi.

Su queste basi, sapremo riprendere un rapporto con le altre sinistre? Prima di tutto, a Molfetta, con i democratici di sinistra, con i quali dobbiamo riprendere a discutere, anche a litigare, a confrontarci. Proviamo ad incontrarci con loro, per discutere. Poi ci sono i giustizialisti-legalitari, che non hanno una consapevolezza della lotta di classe. Anche con loro il filo non va interrotto, perché comunque ce li ritroveremo nelle iniziative (Pasolini, il porto, l’urbanistica, la legalità, l’accoglienza).

È in discussione anche la capacità della sinistra ‘ufficiale’ (quella che è rappresentata in consiglio comunale) di essere all’opposizione nella città. L’opposizione è ad un sindaco insopportabile, e ad una maggioranza deleteria.

Ma non ci possono essere differenze rispetto alla nostra visione generale del modello di politica. Sono gli stessi, i valori dell’impegno. Non c’è contraddizione tra locale e globale. E, per quanto riguarda noi stessi, e il nostro progetto di Passioni di sinistra, è questo il significato che diamo al nostro impegno. Non potremo dare contributi di analisi generale, teorica, culturale, se non partendo dalle nostre esperienze, e dal nostro locale. Altrimenti, non sapremmo che cosa dire di nuovo rispetto a quello che già si scrive su decine e decine di riviste nazionali, serie ed impegnate. Solo qui possiamo ritrovare il rapporto con i nostri compagni di altre città e di altre realtà.

Vito Copertino


Presentazione (dal numero 0)

 

Le passioni di sinistra

Dato il giudizio positivo riservato dai cittadini a "Le passioni della sinistra", quaderno in tre fascicoletti, pubblicato, col programma elettorale, da Rifondazione Comunista nella scorsa campagna elettorale, i curatori di quel lavoro hanno ritenuto di dover tentare un’impresa più impegnativa: la pubblicazione di una rivista. Uno strumento politico e teorico che a Molfetta sia incontro di voci narranti, possibilmente dell’intera sinistra, nel processo di trasformazione della società.

Oggetto della rivista sono le vicende politiche nazionali e locali.

La decisione di lavorare alla creazione di questa pubblicazione è stata presa in conseguenza della sconfitta della sinistra a livello locale e nazionale e subito dopo i primi inevitabili e insopportabili atti del governo Berlusconi. A livello locale la vittoria della destra, che è vittoria di organizzazioni che tutelano e promuovono gli interessi particolari, fa da contraltare a una sconfitta epocale della sinistra, oggi presente in consiglio comunale con un esiguo numero di rappresentanti, il più basso nella storia cittadina. Interrogarsi sulle ragioni di questa sconfitta, e lavorare perché la sinistra recuperi peso nella società, è di per sé motivazione più che sufficiente per una rivista culturalmente orientata. A livello nazionale il governo di destra si è presentato immediatamente con uno dei più sanguinosi esordi che la storia del nostro paese abbia conosciuto e con una serie di atti che hanno gettato discredito sull’intero paese: violenze inaudite, immotivate, su cittadini stranieri, oltre che su quelli italiani, a Genova; strafalcioni diplomatici di Berlusconi nei confronti di capi di stato e di governo stranieri che, a suo dire, "non hanno capito" il presidente americano Bush; la volontà di non far svolgere il vertice della FAO a Roma, ma di confermare quello della NATO a Napoli, ecc.

A Genova, città medaglia d’oro della Resistenza, i fascisti tentarono un atto di forza già nel ’60 col governo Tambroni, prima di essere ricacciati da dove erano venuti; a Genova, nello scorso luglio, la violenza dello squadrismo organizzato, in concorrenza con quello dei black bloc, è stata esercitata con programmatica determinazione contro dimostranti pacifici.

La gravità di quei fatti e la fortissima loro valenza politica, fino all’omicidio di un manifestante (e sarebbero potuti essere diversi altri), ci hanno indotto a presentare in questo numero della pubblicazione, le testimonianze di alcuni compagni che a quelle giornate di luglio nel capoluogo ligure hanno partecipato.

Ebbene, poiché le destre, a Roma come a Molfetta, sono cementate (anche se talvolta sembrano in contraddizione tra loro) dalla volontà di servirsi della politica come strumento di potere oligarchico, è necessario che la sinistra si attrezzi per ridare sia dignità alla politica che voce e visibilità al mondo del lavoro, a quello della disoccupazione, a quanti non accettano l’ordine delle cose esistenti.

Prevediamo delle critiche: per esempio si dirà che questa rivista è stata pensata da Rifondazione Comunista per fini di parte, come testimoniano il titolo di questa pubblicazione e la concezione del mondo di alcuni compagni che vi collaborano; o ci si criticherà per la decisione di creare una rivista di sinistra senza coinvolgere preventivamente i compagni di altri partiti.

Rispondiamo brevemente. La sinistra a Molfetta è conciata così male che sarebbe stato impossibile, anche sul semplice piano organizzativo, riunire i rappresentanti dei partiti e delle associazioni, gli intellettuali, per elaborare un comune progetto di discussione teorico-politica. A questa rivista collaborano non solo iscritti a Rifondazione Comunista ma anche intellettuali che non sono iscritti e non condividono alcunchè di questo partito oppure ne condividono solo alcune scelte politiche: ebbene - e questo vuole essere un invito a tutti i compagni della sinistra, o solo genericamente orientati a sinistra, perché collaborino a questa impresa - quale occasione migliore per discutere insieme delle ragioni della sinistra nella sua pluralità?

Riteniamo di poter superare le perplessità di quanti si chiedono: se il disegno della rivista va in porto, nel senso che al numero zero neseguano altri a scadenza regolare, è sufficiente questo strumento per sconfiggere la destra che, pur di vincere le elezioni, non ha lasciato niente di intentato? Ovviamente siamo consapevoli che per sconfiggere la destra non è sufficiente la rivista, ma questo strumento potrebbe essere utile per chiarirsi le idee ed evitare all’intera sinistra di ripetere gli errori accumulati nei diversi anni con le conseguenze che sono sotto gli occhi di tutti.

Nino Mastropierro