ENIGMI  

FRA      CRONACA      E       STORIA

A B C D E F G H I
Area 51 Bermuda, triangolo delle Cerchi nel grano Dubrovka, Teatro El Dorado Foibe   Hess Rudolf  
Atlantide Bismarck Cernobyll Diana          
  Strage di Bologna              
Altamira, grotte di Beslan              
L M N O P Q R S T
Lee Bruce Mussolini, la morte     Presley Elvis   Rasputin Sindone  
Lincoln Abraham Marilyn Monroe     Papa Giov. Paolo I   Romanov    
Lennon John Man in Black     Piramidi   Roosvelt    
Loch Ness Massoneria              
Lager Mata Hari              
U V Z Y W J K X  
Ustica         JFK Kursk    
                 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

SENZA DUBBIO, SOTTO LA MORTE DI BENITO MUSSOLINI SI  NASCONDE IL PIU' OSCURO DEI MISTERI POLITICI DELLA STORIA ITALIANA RECENTE E FORSE DI QUELLA EUROPEA. E DOPO TANTI ANNI ANZICHE' DIRADARSI, IL MISTERO SEMBRA INFITTIRSI SEMPRE DI PIU'

CRONACA DEGLI AVVENIMENTI

Partito dalla prefettura di Milano con una colonna di fuggiaschi la sera del 25 aprile 1945, Mussolini sosta nella notte a Como, dibattendo con i suoi fidi un gran numero di possibilità. Si sposta il 26 lungo il braccio occidentale del lago e sale anche fino a Grandola, probabilmente per saggiare l'opportunità di riparare in Svizzera. Ma all'alba del 27, muove con la colonna, alla quale si è aggregata una compagnia di soldati tedeschi, verso Chiavenna, con l'intenzione di raggiungere Trento e Bolzano, dove le truppe tedesche stanno ritirandosi e concentrandosi. Tra le località di Musso e di Dongo, la colonna viene fermata da uno sbarramento collocato da pochi minuti sulla strada dai partigiani della 52° Brigata Garibaldi, comandata da PEDRO, un giovane Conte Toscano, Pier Bellini delle Stelle. Dopo un tentativo di sgattaiolare inosservato, e protetto da un cappotto ed elmetto tedeschi, Mussolini viene riconosciuto ed arrestato sulla piazza di Dongo nel primo pomeriggio del 27, in pochi minuti vengono presi anche i suoi fidi. I tedeschi invece vengono lasciati defluire sanz'armi. La notizia dell'arresto si sparge fulmineamente e in serata giunge a Milano, dove la situazione è molto confusa. Il CLNAI, Comitato Liberazione Nazionale Alta Italia, ha appena assunto i pieni poteri, e cerca di disciplinare soprattutto lo scatenarsi degli odi e rancori. Molte falangi del CLNAI si attardano in montagna in scaramucce con tenaci tedeschi, e privano del loro importante apporto la città. Privo di ordini e temendo per la vita del suo illustre prigioniero, Pier Bellini delle Stelle "sgombera" Mussolini da Dongo a Germasino, qualche km più in alto in mezzo alla montagna. Qui in una casermetta della Guardia di Finanza, schieratasi a sostegno dei partigiani, il dittatore rimane tranquillamente fin verso la mezzanotte e mezzo tra il 27 e il 28 dormendo un paio d'ore. Ma subito dopo ricompare Pedro che lo sveglia, gli benda strettamente la testa, simulando una ferita inesistente e lo porta via con se eseguendo "nuovi ordini".  I due con una piccola scorta, scendono in auto nuovamente a Dongo, e qui si aggiunge a loro Claretta Petacci, rimasta prigioniera nella cittadina. Verso le 2 del 28 aprile, Pedro con i due prigionieri e altri partigiani si mette in moto verso Como, per uno spostamento la cui natura, scopo ed obiettivo non sono chiari nemmeno oggi. Ma a Moltrasio la carovana si ferma, i capi partigiani si consultano, poi si torna indietro, per motivi spiegati poi solo in parte. Alle 4 circa della mattina, i due sono fatti riparare nella cascina di montagna di Giacomo e Lia de Maria in Bonzanigo, a mezzacosta sopra il paese di Azzano. Qui, finalmente la coppia, sotto la sorveglianza di due giovani partigiani, i cui nomi di battaglia sono Lino e Sandrino, può prendere un pò di riposo. Gli altri se ne sono andati a Dongo o a Como. Da questo momento i fatti veramente certi sono pochissimi. Alle 14 di quella stessa giornata, si presenta a Bellini delle Stelle, in Dongo, il "colonnello Valerio", appena giunto da Milano con una scorta di quindici partigiani. Ha l'ordine, dice, di fucilare Mussolini, ordine al quale Pedro si oppone vivacemente. Tuttavia il "colonnello" stando a quanto raccontò, parte ugualmente con una piccola scorta e rimane assente per più di un'ora. Al ritorno a Dongo, dichiara a Pedro "giustizia è fatta. Il tiranno è morto". Subito dopo utilizzando il plotone di uomini giunto con lui, e anche qualche partigiano della 52° fa schierare tutti i prigionieri ancora reclusi nel municipio della cittadina lungo un muretto e li fucila. I corpi vengono caricati su di un grande autocarro giallastro che riparte con Valerio verso Milano, raccogliendo per via anche i cadaveri di Claretta e Mussolini. Tutte le salme vengono scaricate all'alba del 29 in piazzale Loreto, per essere mostrate alla folla. Per quasi due anni, fino al marzo del 1947, l'identità del colonnello Valerio rimarrà sconosciuta. Questo primo mistero verrà rotto dal Partito Comunista, appunto in quel mese, facendo presentare alla Basilica di Massenzio, in un pubblico raduno, il ragionier Walter Audisio, di Alessandria. Secondo il PCI e l'Unità, che subito ne pubblica il primo racconto autentico (il ragioniere ne fornirà quattro). Audisio è il colonnello Valerio e come tale è il giustiziere di Claretta e di Mussolini.

MUSSOLINI, L'ORA DELL'EPILOGO

Sono ormai trascorsi molti anni da quel piovoso pomeriggio del 28 Aprile 1945 che segnò la fine di Benito Mussolini, e della sua amante Claretta Petacci; addossati al muretto perimetrale di una modesta villa sul lago di Como, in Giulino di Mezzegra, sotto la raffica di mitra di un colonnello partigiano venuto appositamente da Milano"per rendere giustizia al popolo italiano" o almeno cosi si disse. Nonostante il tempo trascorso, il lenirsi delle passioni, la morte naturale di molti dei protagonisti, rimane il mistero di quello che realmente successe. In mancanza di documentazione ufficiale, dalla lunga serie di inchieste giornalistiche si evince una sola ineluttabile verità, Mussolini è morto. Ma una domanda accompagna questa vicenda, perchè mai non si è intentata una inchiesta giudiziaria chiarificatrice su quei fatti? perchè non si sono interrogati i testimoni? Gli stessi giorni, poco lontano, a Dongo venne fucilato l'intero gabinetto dell'effimera Repubblica di Salò. L'esecuzione fu eseguita da un plotone del quale ancora oggi non si conoscono i nomi. I corpi di tutti, compreso Mussolini e Claretta furono poi esposti fino alla domenica mattina, 29 aprile, in Piazzale Loreto, con uno spettacolo che fu condannato anche dallo stesso Comitato di Liberazione Nazionale. Il mistero di chi ha ordinato e di chi ha eseguito la sentenza di morte rimane.

I PROTOCOLLI VIOLATI

Molti i misteri, ma il principale rimane "Chi diede l'ordine ?".Cosa diceva esattamente? Perché venne dato?IL CLNAI massimo organo delegato ad amministrare la Resistenza al nord era vincolato giuridicamente al governo del sud, ma la dipendenza si era ridotta sempre di più, anche se per espresso volere degli alleati in Italia vi doveva essere un solo governo giuridicamente responsabile. Gli aiuti di guerra e poi di pace del resto erano vincolati all'accettazione dei protocolli di Roma del dicembre del 1944 che il CLNAI aveva firmato. Pajetta, rappresentante del Partito Comunista, era stato più volte richiamato dal Generale Wilson al rispetto di tali protocolli. La clausola 29 del resto imponeva la consegna agli alleati di Mussolini e dei gerarchi se catturati. I partigiani del resto premevano per il riconoscimento legale della Resistenza, e per la concessione dei 160 milioni mensili dati per il finanziamento della guerriglia partigiana. Agli Alleati interessava il rispetto di quanto già firmato con l'armistizio del 1943 e poi il disarmo che doveva avvenire contestualmente alla sconfitta totale della Germania. Nonostante questo, contrariamente agli impegni il CLNAI dette ordine, si dice, di fucilare Mussolini e i suoi gerarchi. In seguito si giustificò la cosa in funzione del nuovo codice che lo stesso Comitato aveva promulgato il 25 Aprile, dove si dice" i membri del governo Fascista colpevoli di aver distrutto le libertà popolari, creato il regime fascista, compromesso e tradito le sorti del paese e di averlo portato alla attuale catastrofe, sono puniti con la morte e nei casi meno gravi con l'ergastolo."Anche lasciando perdere che la parola Gerarchi o membri del governo comprendeva qualcosa come venti o trentamila persone, tra ministri, segretari, sottosegretari, consiglieri e via dicendo, questa norma rimaneva di certo in contrasto con gli impegni che il CLNAI aveva assunto con gli alleati. Lo stesso estensore del resto, il magistrato della resistenza piemontese Peretti Griva si dimise dalla sua carica facendo notare che le nuove norme approvate erano in netto contrasto con quelle firmate con gli alleati e già in vigore nel resto dell'Italia liberata. E' quindi assai improbabile che nessuno del direttivo del CLNAI abbia riflettuto sul fatto che ordinando la fucilazione di Mussolini, si commetteva una grave infrazione agli obblighi appena assunti con gli Alleati.Oltretutto era un atto di uno spessore politico inimmaginabile. Molte delle formazioni partigiane se non tutte attenendosi agli ordini avrebbero beneficiato della possibilità di entrare di diritto nell'inquadramento del nuovo esercito Italiano, la fucilazione di Mussolini chiudeva questa e altre porte ai partigiani in genere. Inoltre i martiri non giovano a nessuno. Può darsi che la fucilazione del Duce potesse portare un piccolo alone di pubblicità e consenso politico, ma alla lunga avrebbe indubbiamente giocato negativamente.In ultima analisi, un processo, chiunque l'avesse fatto sarebbe stato auspicabile per tutti. Del resto non vi erano dubbi, gli Americani avevano detto che Mussolini corresponsabile co Hitler del conflitto, andava giudicato da un tribunale internazionale e se giudicato colpevole impiccato. La decisione della nascita del Tribunale di Norimberga era del resto stata presa fin dal 13 gennaio del 1942 ed era pubblicamente nota.

IL PIANO CADORNA

Esistono diverse prove che il CLNAI, comunisti compresi si attennero sino alla mezzanotte del 27 Aprile a questo ordine di idee. Il Generale Cadorna, comandante del Corpo Volontari della Libertà, ebbe nella serata una serie di colloqui telefonici, con il suo rappresentante militare di Como, il Barone Sardagna, e gli chiese di trovare un rifugio provvisorio per Mussolini, in attesa di poterlo poi portare a Milano. Sardagna si dette da fare, e dopo pochi minuti ritelefonò per dire che aveva approntato un piano, a Blevio c'era la villa  dell'industriale Remo Cademartori, il quale aveva accettato di ospitare Mussolini, e di tenerlo nascosto fino a nuovo ordine. La villa si prestava, poiché possedeva una darsena sul lago, munita di un sottopassaggio che portava fin nel parco, al coperto. Era però necessario che i prigionieri e la loro scorta arrivassero con i loro mezzi fino a Moltrasio, dove Sardagna avrebbe mandato una barca o un motoscafo per l'attraversamento del lago. Concordato il piano, Cadorna ne trasmise i dettaglia a Pier Bellini delle Stelle a Dongo. Questi con pochi uomini della 52° Brigata Garibaldi, nel pomeriggio aveva arrestato il dittatore e lo aveva portato a Germasino, in una casermetta della Guardia di Finanza. Questa mossa come poi il Conte ebbe a dire era stata dettata per evitare azioni impulsive di qualche partigiano. Nella caserma Mussolini, mangiò qualcosa, conversò a lungo con il maresciallo della Finanza e poté anche dormire. Il piano Cadorna intanto ebbe piena esecuzione. Risalito nuovamente a Germasino, poco dopo la mezzanotte tra il 27 e il 28, Pier Bellini delle Stelle, annunziò a Mussolini che doveva essere trasferito in altro luogo, gli fece bendare strettamente la testa, per simulare una ferita inesistente e poi ridiscese a Dongo in macchina. Qui alla carovana si aggiunge Claretta Petacci, che era rimasta custodita in Municipio, i due si salutano poi vengono fatti salire su due auto diverse, ogniuno con la scorta di quattro partigiani, compreso il conte. Nella notte la carovana, spesso fermata da posti di blocco, ai cui custodi viene sempre detto che si sta trasportando presso l'ospedale di Como un partigiano gravemente ferito, scende a sud lungo la sponda occidentale del lago finché non si giunge a Moltrasio, qui si attende la barca o il motoscafo , che non giunge. Nel 1956 , dal suo esilio volontario in Venezuela, l'ingegner Cademartori, nelle rivelazioni sulla vicenda che fece disse che in effetti aveva atteso a lungo l'arrivo di Mussolini alla darsena, poi verso le sette del mattino, molto preoccupato aveva telefonato al Barone Sardagna, il quale gli aveva detto brevemente "Non arriveranno, i piani sono cambiati". Poi gli aveva chiesto di mantenere il silenzio.

QUATTRO IMPERIOSI TELEGRAMMI

Intanto a ritmo battente erano arrivati a Milano quattro imperiosi telegrammi del Quartier generale Alleato, nei quali si chiedeva puramente e semplicemente la consegna del prezioso prigioniero.Il primo diceva " Al Comando Generale and CLNAI stop, fateci sapere esatta situazione Mussolini stop, se siete disposti consegnarcelo invieremo aereo per prelevarlo, stop" Il secondo, già più freddo e meno incline a concessioni diceva "A CVL and CLNAI stop, aereo che verrà a ritirare Mussolini atterrerà ore 18.00 domani aereoporto di Bresso stop, preparare segnali per atterraggio" . Dal terzo telegramma inizia l'urgenza " Per CNLAI stop, Comando Alleato desidera immediatamente informazioni su presunta locazione Mussolini, se catturato si ordina venga trattenuto per immediata consegna at comando alleato stop si richiede che voi portiate queste informazioni et notifichiate formazioni partigiane che avrebbero effettuato cattura del suddetto stop ordine che riceve assoluta precedenza " Nell'ultimo telegramma è quasi palese il malcontento "Per CLNAI, stop, 15° gruppo armate, desidera portare Mussolini e Graziani at sede comando alleato stop". Non è mai stato possibile fissare le ore in cui questi telegrammi furono ricevuti, ma vanno collocati probabilmente tra l'arresto di Mussolini e l'auto consegna di Graziani in Cernobbio ad un Ufficiale Italo-Americano, il capitano Daddario. Questo importante personaggio giunto di corsa dalla Svizzera, aveva trattato la resa di Graziani, Bonomi e Sorrentino, altri generali repubblicani tra le 17 e le 19 del 29 aprile, e aveva informato il suo comando delle trattative intorno alle 18. Non solo inviarono telegrammi, ma gli americani fecero anche un grosso sforzo militare per impadronirsi rapidamente di Mussolini. Il Generale Truscott, che stava avanzando celermente verso Bolzano, nel pomeriggio del 27 prese la decisione di deviare due grosse unità del suo esercito proprio per la cattura del Duce. La 10° divisione di montagna, che stava risalendo il Lago di Garda sulla sponda veronese, attraverso a tutta forza il lago per piombare in una vuota Salò, mentre la 34à divisione fanteria del Generale Bolty fu spedita in tutta fretta verso Como dove arrivò all'incirca all'una di notte tra il 27 e il 28. Alle 16 meno un minuto del successivo 28 aprile, proprio mentre Mussolini e Claretta, stando alla versione ripetuta, cadevano per mano di Valerio, il comandante della divisione corazzata americana, che si trovava a Como quella notte telegrafò al suo comando molto soddisfatto " Il pezzo grosso ci verrà consegnato questo pomeriggio" Chi dette questa assicurazione al comandante americano? Perché gli stessi americani non hanno mai rivelato nulla sui retroscena di questo accadimento? Quale fu la loro reazione di fronte ad una promessa non mantenuta?

NERI ASSUME IL COMANDO

Torniamo alla notte tra ilo 27 e il 28 aprile, quando la carovana con Mussolini e Petacci si arresta a Moltrasio, di fronte alla villa di Cademartori. Iniziano qui le contrastanti dichiarzioni dei protagonisti. Il Conte Pier Bellini delle Stelle ha sempre negato, che la fermata a Moltrasio avesse lo scopo di trasbordare il prigioniero su una barca in ossequio al piano Cadorna. Egli assicura che la fermata fu dovuta a tutt'altra ragione " Vedemmo, razzi multicolori che si innalzavano in direzione di COmo, e pensammo che vi fossero arrivati gli Americani, oppure che, dalle fucilate che si udivano, che vi fosse in corso una qualche sparatoria. Perciò non giudicammo prudente arrivare in città, con il rischio che gli Americani prelevassero di peso l'ex Duce, e insomma ce lo portassero via. A questo non avremmo mai consentito".

 

TORNA ALL'ELENCO

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

LA SACRA SINDONE

Chiuso a chiave dietro un cancello sbarrato, situato sopra l'altare della cappella reale della cattedrale di Torino, c'è un cofanetto di ferro. Dentro questo cofanetto c'è uno scrigno d'argento, un capolavoro dell'oreficeria seicentesca, donato dalla Granduchessa Margherita d'Austria ai Duchi di Savoia. Nello scrigno prezioso c'è un lenzuolo funebre che misura m 4,36 di lunghezza e m 1,10 di larghezza. Il panno, molto logoro, è cucito sopra un rivestimento di seta cremisi e arrotolato intorno a un cilindro di legno. Si tratta di un sudario (o sindone, come si diceva una volta) di età indefinita in cui è possibile scorgere la doppia impronta (di fronte e di spalle, testa contro testa) del cadavere di un uomo torturato e morto evidentemente per crocifissione.

Chi mai fu quest'uomo il cui corpo ebbe il potere prodigioso di lasciare la propria immagine indelebile sul bianco lino? Quale fu la sua vicenda umana? Quale mistero nasconde questo lenzuolo, tessuto secondo una tecnica già in uso ali tempi dei faraoni? E quali vicissitudini lo portarono dall'Oriente a Torino?                                    sindone

Come è noto secondo una versione ufficialmente mai accettata dalla chiesa, in questo sudario sarebbe stato deposto Gesù dopo il supplizio della croce e dentro di esso si sarebbe verificato il prodigio della resurrezione. Si tratterebbe insomma del prezioso lino donato da Giuseppe d'Arimatea per la sepoltura del Maestro nel sepolcro. Inutile quindi sottolineare che, se la tradizione fosse vera, questa Sindone costituirebbe la più straordinaria reliquia del Cristianesimo.

Ma se la fede non ha bisogno di prove, la scienza chiede invece certezze. Per questa ragione, anche nell'ambito della stessa Chiesa, per secoli il presunto Santo Sudario è stato osservato con scetticismo dagli studiosi. Molti ritenevano che quelle vaghe impronte incancellabili fossero il risultato di un trucco - peraltro inspiegabile - escogitato da qualche fantasioso artista medievale. E consideravano la Sindone una delle innumerevoli false reliquie importate in Europa dagli ingenui pellegrini di ritorno dalla Terrasanta.

Questo diffuso scetticismo subì tuttavia un duro colpo verso la fine del 1800. Nel 1898, infatti, fu proprio un moderno strumento scientifico, la macchina fotografica, a rivelare un fatto sbalorditivo: sulla Sindone era impressa l'immagine confusa di un volto umano che, invertita in negativo, acquistava maggior chiarezza e rivelava una straordinaria somiglianza con quello che la tradizione attribuisce al Cristo.

Una volta tanto, la tecnica moderna invece di compiere un'azione demistificatoria, rendeva ancor più appassionante e suggestivo un antico mistero.

CRONACA DEGLI AVVENIMENTI UN ESAME NECROSCOPICO SU "FOTO" Hanno detto
La Sindone viene esposta per la prima volta alla venerazione dei fedeli nel 1353 a Lirey, in Francia. Non è un fatto straordinario, altre sindoni, ovviamente false, circolano per l'Europa.. Quella di Lirey è stata donata alla chiesa di Santa Maria da Goffredo di Charny, morto senza rivelarne la provenienza. Più certi sono i fatti successivi. Diventata una reliquia  di eccezionale interesse, la sindone di Lirey viene a trovarsi per lunghi anni al centro di una furiosa controversia fra la famiglia di Charny, che ne rivendica il possesso e i canonici di Santa maria che l'anno ricevuta in dono. A rendere meno bramosi i contendenti non è sufficiente un memoriale del vescovo Pietro  d'Arcis che afferma di aver appreso, nel segreto della confessione, che la sindone è falsa. Tornata in possesso di una discendente di Goffredo, margherita, la sindone è tenuta gelosamente nascosta per alcuni anni.  Ricompare il 22 marzo 1453 quando Margherita (che sarà scomunicata per non aver voluto ridare la reliquia ai canonici di Lirey) la cede, o la vende, ai duchi di Savoia. Dal 1453 al 1506, la reliquia rimane un fatto privato di casa Savoia nella loro residenza privata di Chambery. Soltanto alcuni personaggi di gran nome vengono autorizzati a vederla. Successivamente viene stabilito che la Sindone sarà esposta al culto in occasione della sua festa fissata il 3 maggio. Nel 1532, un incendio distrugge la Cappella ducale, la Sindone è danneggiata in più parti, ma le suore clarisse riescono a ripararla con un buon lavoro di rammendo. le tracce dell'incendio , tuttavia, vi resteranno per sempre. Nel 1578 Emanuele Filiberto decide di trasferire la reliquia nella sua nuova capitale di Torino. Qui il Santo Sudario è mostrato a San Carlo Borromeo giunto appositamente da Milano. Nel 1613, per la festa della Sindone del 3 maggio, giunge a Torino un pellegrino d'eccezione, San Francesco di Sales; dieci anni dopo i Savoia donano a Maddalena d'Austria, Granduchessa di Toscana, due copie della Sindone. Dopo essere stata collocata, nel 1694, nella splendida cappella del Guarini (dove si trova tutt'ora), la storia della reliquia non registra fatti di un certo rilievo per circa un secolo. Rispettata anche dai Francesi che pure, durante la rivoluzione, avevano fatto a pezzi altre sindoni per fasciare i feriti, la reliquia torinese viene ancora esposta al pubblico nel 1804, nel 1814, nel 1815, nel 1822, nel 1842 e nel 1868 in occasione della solenne celebrazione delle nozze di Umberto di Savoia con Margherita. Torino, maggio 1898. L'Avvocato Secondo Pia, dopo molte insistenze, ottiene il permesso di poter fotografare la Sindone in occasione dell'ostensione pubblica organizzata in concomitanza con l'Esposizione e la celebrazione del cinquantesimo dello Statuto. Appassionato fotografo dilettante, l'avvocato Pia è il primo a rendersi conto di un fatto straordinario. Nella camera oscura egli scopre che sulla lastra immersa nel liquido di sviluppo (ossia sul negativo) si è delineata l'immagine positiva di un corpo umano, visto di fronte e di spalle, il cui volto assomiglia in maniera impressionante a quello che la tradizione attribuisce a Gesù. Come spiegare il fenomeno? Per sostenere che si tratta di un trucco, bisognerebbe dimostrare che l'antico falsario fosse capace di dipingere in negativo una immagine che nell'inversione fotografica potesse diventare positiva. Un rebus che ha messo in difficoltà gli studiosi più scettici, anche se continueranno a dubitare. L'esperimento del 1898 viene ripetuto nel 1931 dal fotografo professionista Giuseppe Enrie e i risultati sono ancor più convincenti. Si passa in seguito, all'esame scientifico del lenzuolo, ma anche in questo caso i risultati sono positivi, il sudario è certamente molto vecchio ed è altrettanto sicuro il suo passaggio dal Medio Oriente. "Siamo di fronte al cadavere di un adulto di sesso maschile che risulta alto m. 1,77 e del peso approssimativo di 80 kg. La sua età sembra compresa fra i trenta e i trentacinque anni. Il corpo reca tracce di una serie di ferite che vanno dalle semplici contusioni alle lacerazioni alle perforazioni dei  polsi.......". E' cosi che comincia la relazione del Professor Robert Bucklin di Los Angeles, uno dei massimi esperti di medicina legale, all'esame del quale fu sottoposta, nel 1976, la fotografia in grandezza naturale dell'uomo della Sindone. Le due immagini (quella del lato posteriore e quella del lato anteriore) erano state accuratamente sovrapposte una sull'altra e quindi adagiate sul lettino operatorio dove, il professore esaminava di solito persone in carne ed ossa. Il singolare esperimento, inutile dirlo, è stato eseguito con la massima attenzione e anche con comprensibile curiosità. Da parte sua, il perito era particolarmente favorito nel suo delicato lavoro dalla straordinaria nitidezza delle immagini fin nei più minuti dettagli. Queste le conclusioni.  Dopo l'attenta perlustrazione del "cadavere", il medico legale decise di suddividere le ferite visibili in cinque gruppi. Al primo gruppo vennero assegnate quelle rilevabili sulla parte posteriore del corpo, dalle spalle ai polpacci. Si trattava chiaramente di ferite laceranti, con direzione dal lato esterno verso la linea mediana del corpo, provocate dalle frustate che avevano strappato lembi di pelle. Seguendo i disegni lasciati dalle ferite, lo scienziato stabili che esse erano state provocate da delle fruste (due per l'esattezza) a tra code, ciascuna delle quali era munita all'estremità di "tacilli"(cosi li chiamavano i romani), ossia  di palline di metallo o di osso destinate a rendere più dolorosa la fustigazione. Questa affermazione era dimostrata dal fatto che al termine di ogni ferita si notavano dei rivoli di sangue provocati evidentemente dalla penetrazione nella carne dell'acuminato tacillo. Contando le ferite e dividendo per tre, ossia per il numero delle code, Bucklin giunse alla conclusione che quel corpo era stato colpito da un numero elevatissimo di frustate; più di 120. Oltre i segni lasciati dai due aguzzini, furono individuate sul dorso del "cadavere" anche delle profonde abrasioni che segnavano le regioni scapolari sinistra e superiore destra, come se l'uomo in questione fosse stato costretto il peso di una trave (la croce????). Al secondo gruppo di ferite, Bucklin attribuì quelle riscontrate sul viso e sulla testa. Il viso presentava sopra lo zigomo destro un rigonfiamento che aveva provocato la chiusura dell'occhio, mentre il naso rivelava la probabile frattura della cartilagine e un'abrasione sulla punta, come se il soggetto in esame fosse stato vittima di una caduta e avesse battuto il viso sul selciato. Più interessanti risultano le ferite riscontrate sul capo e sulla fronte. Bucklin notò che si trattava di una serie di perforazioni, provocate evidentemente da oggetti acuminati, che ricoprivano non solo la fronte , ma anche la nuca e tutta la sommità del cranio. Esse erano sicuramente dovute alla deposizione sulla testa dell'uomo di un copricapo fatto di rovi spinosi o di qualcosa di simile. Si trattava forse della famosa corona di spine che, secondo i Vangeli, fu deposta per scherno dai soldati romani sulla testa del re di Giudea? Difficile rispondere. Bucklin fece solo notare che un eventuale contraffattore si sarebbe limitato a riprodurre le ferire in maniera circolare, come hanno fatto tutti gli artisti e come ci tramanda l'iconografia popolare. In questo caso invece, l'enorme ammasso di spine suggerisce non l'uso di una corona ma più un informe ammasso a forma di casco. Le ferite rilevabili sui polsi e sugli avambracci furono catalogate nel terzo gruppo. Il polso sinistro (quello destro rimane sotto a quest'ultimo nella foto) presenta una macchia risultante da una ferita perforante. I rivoli che si dipanano da questa ferita sono divergenti, ma lo studioso dimostrò che rimettendo idealmente le braccia nella posizione della crocifissione, essi assumono la giusta posizione verticale. Il quarto gruppo di ferite interessa i piedi, Il piede sinistro ha nella foto dei contorni sfumati, ma la sua posizione sembra suggerire che si poggiava sopra il collo del piede destro e che era stato usato un solo chiodo per trafiggerli entrambi. Va detto che la crocifissione era un sistema usato per portare ad una morte tarda e per prolungare la sofferenza. Anche se i maestri di arte sacra rappresentano il contrario venivano trafitti i polsi, che offrivano maggiore resistenza a sostegno del peso di un corpo umano. I piedi venivano inchiodati per evitare che la vittima morisse immediatamente soffocata. IL quinto gruppo di ferite catalogato è rappresentato dalla ferita del costato. Prodotta probabilmente da un colpo vibrato con un oggetto appuntito, essa rivela, oltre alla fuoriuscita di sangue, anche la traccia di una sostanza più acquosa, dovuta probabilmente alla fuoriuscita di liquido dal polmone. Lo studioso dopo questo esame si è limitato a riassumere in una precisa e dettagliata relazione evitando di far conoscere le sue convinzioni personali. In compenso gli scettici non si arrendono e fanno notare di come sia abbastanza improbabile che sia Gesù , un uomo alto 1,77 metri, mentre l'altezza media dei giudei è al di sotto del metro e sessanta (i Vangeli del resto dicono di Gesù che era un uomo alto nella media). Viene poi aggiunto che le immagini impresse nella Sindone, invece di essere arrotondate nei contorni come dovrebbe essere, sono ben delineate, come se fossero state stampate.

A FAVORE

"E' estremamente probabile che la Santa Sindone di Torino sia quella che avvolse il corpo di Gesù e secondo i miei calcoli, le probabilità che non lo sia si possono calcolare nell'ordine di 1 su 225 miliardi ". Paul de Gail ingegnere in tecnologia industriale.

"Questo è il ritratto di Gesù di Nazareth" Yves Delange accademico di Francia

"Noi non avevamo mai creduto all'autenticità della Sindone, ma ora le rivelazioni fotografiche, la serie di studi critici, ci hanno convinti". "Queste impronte da sole valgono più di tutta la ricerca messa insieme" Pio XI

"Torino....la città del SS. Sacramento, che custodisce come prezioso tesoro la Santa Sindone che mostra a nostra commozione e conforto l'immagine del corpo esanime e del divin Volto Affranto di Gesù" Pio XII

"Digitus Dei est hic!" Giovanni XXIII

"Un mirabile documento della passione, morte e resurrezione di Cristo, scritto a caratteri di sangue" Paolo VI

"E' una fotografia come quella che ci incollano sui nostri passaporti. Un documento di identità irrecusabile. Ed è qualcosa di più, è l'impronta presa al Dio-Uomo fra la vita e la resurrezione, un contatto non solo con il fatto, ma con il miracolo" Paul Claudel

CONTRO

"E' facile constatare che sono pitture fatte dalla mano dell'uomo" Calvino

Per quanto sta alla nostra competenza diremo che propendiamo all'ipotesi di esecuzione ad arte, e che , stando in tal ipotesi, lo stile della figura, a causa della psicologia espressa nel volto e della perfetta resa anatomica, sicuramente non possiamo definire tardo-antico. Con il che lasciamo campo del tutto libero ad ogni successiva datazione. Silvio Curto sovrintendente alle gallerie del Piemonte

"Tutte le caratteristiche della Sindone sono state da me spiegate in base al controllo sperimentale consistente nell'uso di un bassorilievo con particolari caratteristiche portato ad un preciso valore di temperatura" Vittorio pesce Delfino docente universitario di Bari

L'ostensione della Sindone è una mistificazione religiosa, perchè riporta la gente ad una religiosità arretrata in contrasto con il Vangelo e le indicazioni del Concilio. Gesù Cristo non lo incontriamo in un lenzuolo, ma nella vita, nella sofferenza, nelle lotte e nelle speranze dei poveri" G. Franzoni

"Mi basterebbe un centimetro di quel lenzuolo per stabilire l'età con l'approssimazione di cinquat'anni. Ma non me lo danno" John Lynn chimico

"Si tratta dell'opera di un falsario, ma di un falsario indubbiamente geniale" Science Magazine

"Si tratta dell'opera di un grande artista attivo verso la fine del Quattrocento e gli albori del Cinquecento che ha usato la tecnica dello sfumato leonardesco " Noemi Gabrielli sovrintendente opere medievali del Piemonte

"Pictura seu tabula" Clemente VII

DICONO GLI ESPERTI

"Giudico con sufficiente fondamento che un esame radiologico della Sindone non darebbe alcun risultato" Enzo Delorenzi, radiologo Torino

"Non si riscontra alcuna indicazione che permetta di affermare che il tessuto non è del tempo di Cristo... sebbene nulla permette di precisare che il tessuto fu fabbricato in quel tempo" G.Raes Direttore laboratorio tessile di Gand

"L'immagine è stabile, resistente all'acqua e all'esposizione ad alte temperature e a gradienti termici. Reagisce con radiazioni ultraviolette, cioè è fluorescente"      "L'ipotesi più probabile è che l'immagine sia dovuta ad uno scolorimento di origine termica ovvero ad una bruciatura di qualche tipo" John Jackson - Eric Jumper fisici

La cosiddetta resurrezione avrebbe scatenato una breve ma intensa esplosione con radiazioni di calore, parzialmente analoga al fuoco nei suoi effetti" David Willis  fisico

SULLE TRACCE DELLA SINDONE

Sull'esistenza di una Sindone, le testimonianze evangeliche sono innumerevoli. Per la verità, alcuni "cronisti2 parlano di un lenzuolo e altri di bende di lino, visto che allora si usava avvolgere i cadaveri nell'uno e nell'altro modo. Matteo , comunque scrive con chiarezza " Fattasi sera venne un uomo ricco di Arimatea di nome Giuseppe, anch'egli discepolo di Gesù, il quale presentatosi a Pilato, chiede il corpo di Gesù. Pilato comandò che gli fosse dato e Giuseppe, preso il corpo, l'avvolse in un lenzuolo pulito, lo pose nel sepolcro nuovo che aveva tagliato nella roccia, quindi dopo aver rotolato una grande pietra sull'entrata del sepolcro, se ne andò. Successivamente, dopo la Resurrezione, o se si preferisce, la scomparsa del cadavere del Cristo, i "cronisti", raccontano che alcune pie donne, con Maria Maddalena, trovarono nel sepolcro vuoto le bende, il sudario e gli altri lini usati per la sepoltura. Nessuno racconta cosa accadde dopo. Ma non è certo azzardato immaginare che quelle donne, che tanto avevano amato il Maestro, sicuramente raccolsero i panni per conservarli come preziose reliquie. D'altra parte, l'uso di conservare le reliquie stava già prendendo piede. Secondo una leggenda , il sudario sarebbe ricomparso intorno al 525 nella città di Edessa (oggi Urfa) nell'odierna Turchia). Pare infatti che durante i lavori attorno alle mura della città venisse scoperta una nicchia con all'interno un lenzuolo raffigurante un'immagine che "non poteva essere opera di mano umana". Ma sempre secondo la leggenda il ino riproduceva unicamente il volto del Redentore. Alcuni studiosi avanzano l'ipotesi che non si trattasse di una falsa reliquia, ma della stessa Sindone ripiegata in modo che a mo di quadro risaltasse solo il volto. Successivamente il sudario di Edessa fu trasferito a Costantinopoli intorno al Mille per essere esposto alla venerazione del popolo all'interno della Basilica di Santa Maria di Blacherne. In seguito le notizie si fanno sempre più precise e documentate. Pellegrini e crociati, di ritorno in Europa, raccontano di aver visto a Costantinopoli una sindone nella quale era stato avvolto il corpo di Nostro Signore, senza però accennare al fatto prodigioso delle immagini. Pierluigi Baima Bollone e Pier Paolo Benedetto, nel loro accurato studio alla ricerca dell'uomo della Sindone, rivelano invece che nel 1171 Guglielmo di Tiro ebbe modo di vedere il santo sudario con impresse le impronte prodigiose. Mentre il crociato francese Roberto de Clary, che partecipò alla conquista di Costantinopoli, scrisse in una cronaca ".... vi era un altro dei monasteri che si chiamava Mia Signora Santa maria di Blacherne dove la sindone, in cui Nostro Signore fu avvolto, si trovava, che ognuno dei venerdi si alzava tutta dritta, cosi che si poteva vedere bene la figura di Nostro Signore. E nessuno sa, né greco ne Francese, che cosa a quella Sindone accadde dopo che la città fu presa. Questo accadeva nel 1204, durante la quarta crociata che , come noto, invece che rivolgersi contro gli infedeli che occupavano la Terrasanta travolse l'Impero Cristiano di Costantinopoli distruggendo e saccheggiando la città peggio di quanto avrebbero fatto gli eserciti dell'Islam. Da quel momento, della Sindone si perdono nuovamente le tracce. Riapparirà a Lirey, in Francia, nel 1353. Per un secolo e mezzo quindi , siamo di nuovo in pieno buio. Chi portò via la Sindone da Costantinopoli? Chi la consegnò più tardi a Goffredo di Charny, signore di Lirey?

ENTRANO IN GIOCO I TEMPLARI

Alcuni studiosi hanno avanzato l'ipotesi che in questo periodo in cui non si seppe più nulla della Sindone, a trafugarla da Costantinopoli furono i Templari. Va detto che tra le varie accuse rivolte loro al momento della scomunica per eresia vi era anche quella di aver adorato, al posto del Vero Dio, un misterioso idolo raffigurato dalla testa di un uomo barbuto. Due recenti scoperte permetterebbero di collegare la fine dei Templari alla storia della Sindone. IL primo episodio è; nel 1950, durante la demolizione a Templecombe, in Inghilterra di una casa generalizia dell'antico ordine cavalleresco, venne alla luce un pannello di quercia sul quale era scolpito il volto dell'idolo venerato dai cavalieri.  Ebbene questo assomiglia in maniera impressionante al volto dell'Uomo della Sindone. La seconda scoperta, fatta dal sindonologo Ian Wilson, è ancora più sconcertante, uno dei Templari morti sul rogo accanto al Gran Maestro dell'Ordine, Giacomo di Molay, si chiamava Goffredo di Charny, ossia lo stesso esatto nome del signore di Lirey, che cinquant'anni più tardi, dono la Sindone ai canonici della chiesa di Santa Maria. Si tratta di un caso di omonimia oppure il Goffredo che dona la Sindone è un diretto discendente di quello che finisce sul rogo.

MEMORIALI E CONTROMEMORIALI

La Sindone di Lirey, diventa comunque ben presto famosa, nonostante in quel periodo circolino per l'Europa innumerevoli Sindoni. La sua presenza nella Chiesa di Santa maria  è motivo di continui pellegrinaggi che comportano, è bene sottolinearlo notevoli vantaggi economici, al clero locale. Per questa ragione quando Goffredo di Charny muore combattendo contro gli inglese nella battaglia di Poitiers nel 1356 e i suoi discendenti reclamano la reliquia, la chiesa si oppone decisamente. Inizia cosi una lunga vertenza legale che richiama l'attenzione del vescovo di Troyes, Enrico di Poitiers, anche lui interessato alla sorte di questa reliquia "molto redditizia". Accade però che insieme alle masse dei fedeli la reliquia smuova anche autorevoli voci ostili, di false reliquie ne hanno viste e non se la sentono di affermare l'autenticità di questa. Per giunta, i teologi incaricati dal vescovo per studiare il fenomeno, sottolineano il fatto che, se da un lato le sacre scritture confermano l'esistenza della Sindone, dall'altro nessun evangelista parla di un sudario con impresse le impronte del corpo di Gesù. L'indagine promossa dal vescovo va comunque per le lunghe. Passano perciò molti anni ed entrano in gioco infiniti interessi. I sostenitori dell'autenticità della Sindone, da parte loro, non dispongono di molte freccie per il loro arco. Goffredo di Charny, infatti, ammesso che conoscesse la vera provenienza del sudario, si è portato nella tomba il suo segreto. Resta, a provare l'autenticità del sudario, la venerazione popolare di cui è fatto oggetto e il fatto incontrovertibile che sul lenzuolo si può scorgere  la doppia sagoma di un uomo visto di fronte e di spalle. A vibrare un duro colpo alla reliquia giunge più tardi un memoriale dettagliato di Pietro d'Arcis, successore di Enrico di Poitiers come vescovo di Troyes. E' vero che quelli sono per la chiesa anni avvelenati, è vero che Pietro è sicuramente coinvolto nello scisma che divide la cristianità e che contrappone il papa di Avignone Clemente VII al papa di Roma Urbano VI, ed è quindi immaginabile anche che la Sindone possa essere diventata strumento di polemica. Resta però il fatto che il vescovo non è uno sprovveduto, ha fama di uomo coltissimo ed è anche un importante giurista. Di conseguenza, anche se tutti i sindonologi sostenitori dell'origine divina dell'immagine, tendono a sottovalutare il suo contributo, le affermazioni del vescovo sono indubbiamente importanti. Ma cosa sosteneva? Praticamente che la Sindone è falsa e che, secondo la testimonianza di un suo canonico che ne avrebbe raccolto la confessione, il lino sarebbe stato dipinto da un artista loro contemporaneo. tace tuttavia questo nome. La lunga diatriba si conclude alla fine con un compromesso. Papa Clemente VII con una bolla del 6 gennaio 1390, autorizza in un primo momento che il lenzuolo venga esposto alla venerazione dei fedeli a patto che si dichiari che non è una reliquia (la bolla parla infatti di SINDONE FIGURATA E DI PICTURA SEU TABULA). Ma pochi mesi dopo, il 30 maggio, il papa avignonese accoglie le richieste dei fedeli e riconosce che la tela non è di origine manuale. Una precisazione che non precisa molto. La Sindone continua comunque ad essere contesa tra la chiesa di Lirey e i discendenti di Goffredo. Nel 1414, a seguito di varie vicende, ne entra in possesso Margherita de la Roche, nipote di Goffredo, la quale si è cosi affezionata alla reliquia (morirà scomunicata per non averla restituita alla Chiesa) che se la porta in tutti i suoi viaggi mostrandola raramente a pochi intimi. L'affetto che Margherita nutre per il santo sudario non le impedisce tuttavia di donarlo (o venderlo???) ai duchi di Savoia, di cui è momentaneamente ospite a Chambery il 22 marzo 1453. Non è noto come si è svolto il passaggio di proprietà, anche se non mancano le versioni romanzesche. In una si parla di un furto avvenuto a Chambery, da ladri, i quali, dopo aver tentato di lavare quello strano lenzuolo, impressionati dall'indelebilità delle immagini, lo restituiscono ai Savoia. In un'altra Margherita, colpita dal fatto che il mulo usato per il trasporto si rifiuta di partire interpreta l'episodio come un segno divino e dona la reliquia ai suoi ospiti. Ma è probabile che la transazione sia avvenuta per ragioni più prosaiche. Diventata proprietà privata dei Savoia, la Sindone segue le alterne fortune di questa dinastia destinata a legare il proprio nome a quello dell'Italia. Conservata gelosamente per alcuni anni, entra ufficialmente nel culto pubblico solo nel 1506 con tanto di autorizzazione papale. La sua festa viene fissata il 3 maggio e in quella occasione masse di pellegrini si riversano a Chambery. Nel 1532 un violento incendio distrugge la Cappella del Santo Sudario, la Sindone si salva per miracolo, ma resta seriamente danneggiata. L'accurata riparazione del lino, eseguita dalle suore Clarisse, che appongono otto toppe triangolari la dove il tessuto è carbonizzato, non riesce a cancellare i segni lasciati dal fuoco, che ancora oggi formano due linee parallele ai lati dell'immagine. Trasferita a Torino, nuova capitale del ducato nel 1578, la reliquia viene successivamente deposta nella splendida cappella barocca progettata dal padre teatino Guarino Guarini. I secoli successivi sono senza storia, più o meno regolarmente si svolge l'ostensione pubblica in occasione di ricorrenze particolarmente importanti.  Non le vengono attribuiti particolari miracoli e la polemica tra sostenitori e detrattori seppur più sopita continua. Si giunge cosi al 1898

IL MISTERO DI UN NEGATIVO DI 2000 ANNI

Per la giovane nazione italiana il 1898 fu uno degli anni più terribili della sua recente storia. Doveva essere un anno celebrativo, poiché ricorreva il Cinquantesimo anno dello Statuto e dell'inizio della I° Guerra di Indipendenza nazionale, fu invece un anno di sangue caratterizzato dagli "scioperi del pane" e da un diffuso malessere sociale che si concluse con le sanguinose giornate di maggio a Milano, dove il generale Bava Beccaris affrontò con il cannone la folla che protestava. Finirono in carcere in quei giorni oltre a migliaia di comuni cittadini anche personaggi come Filippo Turati. Gli avvenimenti drammatici di Milano paiono comunque non turbare i preparativi in corso a Torino per la grande esposizione commemorativa. Il programma prevede celebrazioni civili e religiose. Inoltre poiché si stanno avvicinando le nozze tra il Principe ereditario Vittorio Emanuele con Elena di Montenegro, è stata anche prevista come vuole la tradizione anche l'ostensione della Sindone. Nel corso dei preparativi uno dei membri incaricati della commissione organizzatrice tale Secondo Pia avvocato di quarant'anni è piuttosto agitato, da tempo ha abbandonato la professione per dedicarsi alla fotografia. Alla sua collezione di monumenti manca la Sindone, e lui decide che è giunto il momento per realizzare il suo sogno. Ma non è facile ottenere il permesso. Il re non vede con fiducia l'operato dei fotografi, il suo seguito paventa la possibilità che tale operazione possa essere giudicata dai fedeli una sorta di profanazione. Alla fine comunque giunge l'autorizzazione. Il 25 maggio si inizia. Fotografare la Sindone non è facile, l'illuminazione è scarsa, gli obiettivi di cui dispone sono quelli che sono, inoltre la principessa Clotilde, particolarmente devota al sacro lino ha preteso che venisse schermato da un cristallo fatto giungere apposta. Dopo alcuni tentativi falliti, la sera del 28 maggio Pia può finalmente eseguire le foto. Fatte le foto corre in camera oscura per lo sviluppo. Lentamente , sulla lastra ancora gocciolante, il volto misterioso della Sindone prende forma con sbalorditiva chiarezza. Il fenomeno è tanto più sorprendente in quanto l'immagine che si delinea non è un negativo ma bensì un positivo. Se non si trattasse di un lenzuolo di secoli basterebbe affermare che si tratta di una immagine impressa in negativo. Ma la Sindone non è di oggi e si può affermare con certezza che non è esistito in passato alcuno scienziato in grado di dipingere una cosa simile. La gente crede che quei macchinari siano piuttosto arnesi da prestigiatori, del resto la fotografia è nata da poco, i giornali dedicano all'episodio pochissime righe. Solo più tardi il "fotografo di Gesù" riceverà i più alti riconoscimenti. Secondo Pia avrà anche la soddisfazione prima di morire di vedere confermata la sua esperienza durante l'ostensione del 1931, quando la richiesta di operare fotograficamente fu accettata nei confronti di Giuseppe Enrie. In questa occasione niente cristalli, e tutta la luce che vuole.  Le nuove foto sono eseguite alla presenza di cinque colleghi e alcuni illustri sindonologi, oltre alla presenza di un emozionatissimo Secondo Pia. Il risultato si ripete, ma grazie ai materiali e alle moderne tecniche le foto sono migliori.

I POLLINI CONFERMANO..... E' STATA IN PALESTINA

La prova fotografica non è stata naturalmente giudicata sufficiente per dimostrare l'origine divina della SIndone. La Chiesa, pur riconoscendo che gli esperimenti fotografici hanno determinato un nuovo orientamento per l'attuale valutazione della preziosa reliquia, non ha rinunciato alla cautela. A favore dei sostenitori è giunto poi un'altro importante contributo da Max Frei, uno studioso svizzero. Frei investigatore da laboratorio spesso è riuscito a mettere sulla pista giusta la polizia per indagini che ristagnavano. Entrato per caso in contatto con dei sindonologi nel 1973 fece loro un'importante proposta. Lo studioso disse "voi vi impazzite per accertare se le immagini impresse siano autentiche, io vi propongo di rovesciare il problema, quello di studiare il lenzuolo che le riproduce". Perfetto, ma come stabilire l'età del lenzuolo? E' vero che precedenti esami avevano stabilito che la trama a spiga di grano della tessitura era già in uso ai tempi dei faraoni, ne forniscono prova le bende delle mummie, ma chi poteva impedire ad un falsario medievale di procurarsi il lino analogo? Il criminologo svizzero aveva la risposta, i pollini! In breve fu autorizzato a prelevare i campioni applicando in diverse parti del lenzuolo del nastro adesivo. Seguirono tre anni di lavoro in laboratorio, ma alla fine il professore potè deporre almeno in parte a favore della Sindone.Egli rilevò infatti l'esistenza di circa una ventina di pollini e spore diverse. Molti furono identificati come pollini che si trovano in Europa, ma ben nove provenivano da piante che si trovano solo in Turchia. La scoperta dava adito all'ipotesi di Edessa come luogo in cui perlomeno la sindone aveva soggiornato. Max Frei non si fermò qui, scrisse nella sua relazione "I granuli di polline che confermavano la presenza della Sindone in Turchia non furono i soli che trovai: avevo isolato molti altri campioni che non riuscivo ad identificare con l'ausilio dei miei testi di botanica. Perciò mi recai personalmente nei paesi dove la Sindone era passata. Prima di tutto visitai Gerusalemme, e le campagne di Giudea, e fu proprio qui che trovai le risposte che mancavano. Identificai infatti un polline che appartiene  a una pianta chiamata Sueda che cresce soltanto in Palestina e di un'altra che cresce fra Gerico e il Mar Morto. Inutile concludere che la presenza di quei pollini mi fa affermare con certezza che il lenzuolo passò indubbiamente per i luoghi biblici. " Ma neanche le affermazioni dello studioso misero la parola fine alla vicenda.

MA COSA DICE IL CARBONIO 14

per applicare il metodo C14 gli scienziati avrebbero bisogno di un piccolo lembo del sudario. A questa richiesta è sempre stato risposto negativamente. La scusa ufficiale è che non si vuole manomettere un oggetto ritenuto sacro e che tutto sommato anche questo esame potrebbe sbagliare. Ennesimo argomento a favore del no. A questo si aggiunga che l'immagine si può vedere solo in fotografia, possibile che nonostante questo i pittori dell'iconografia classica pur non disponendo di un modello abbiano raffigurato il Cristo in maniera cosi "prodigiosamente" vicina a quella della Sindone. Va poi detto che l'immagine è così perfetta e nitida anche e soprattutto nei contorni da sembrare stampata, infatti se si fa la prova con un corpo verniciato, gli effetti sono molto meno precisi. Vittorio Pesce Delfino noto e insidioso avversario dell'autenticità afferma che l'artista che creò l'opera , operò con l'ausilo di un bassorilievo e con il successivo impiego di acidi già noti nel XIII secolo. Esperimenti condotti dallo studioso gli hanno permesso di costruire Sindoni molto rassomiglianti all'originale. Per i pollini Delfino suggerisce l'ipotesi dell'utilizzo di un lino mediorientale o addirittura che il falso sia stato fabbricato direttamente sul posto, magari servendosi di un sudario antico.

FLASH O RESURREZIONE

Uno studioso usando aloe e mirra(sostanze con le quali si usava cospargere i corpi dei defunti al tempo di Gesù) sotto l'azione di vapore acqueo, sudore e sangue, è riuscito ad ottenere delle impronte simili a quelle della Sindone. Un'altro ha sostenuto che l'effetto "negativo2 è semplicemente il risultato di una soluzione fisiologica sull'aloe e la mirra. Mentre il noto sindonologo Judica Cordiglia ha ottenuto analoghe immagini aspergendo aloe e mirra sul viso dei cadaveri e sovrapponendo poi le tele imbevute di una soluzione di trementina e di olio di oliva. Risultati più brillanti furono ottenuti dal professor Rodante. Questi si propose di svolgere l'esperimento nelle condizioni il più possibile simili a quelle della tradizione scelse un loculo delle catacombe di Siracusa Si servi poi di calchi di parti di corpo umano spruzzati di sudore, sangue e avvolti in teli cosparsi di mirra e aloe. I risultati migliori li ottenne mantenendo attivo l'esperimento per un tempo simile a quello in cui il corpo di Gesù sarebbe rimasto nel sepolcro, circa 36 ore. Anche il professor Baima Bollone prese in considerazione gli aspetti dei volti sperimentali ottenuti da cadaveri trattati con aloe e mirra, per osservarne gli effetti a contatto con luce, calore e acidi. A conclusione di tali esperimenti asserì" i risultati non contrastano, ma anzi si adeguano all'ipotesi che le immagini della Sindone riconoscano una genesi naturale, e in particolare che possa essere sufficiente l'evaporazione cadaverica sull'aloe e sulla mirra aderenti alla tela a riprodurle". Malgrado le dimostrazioni rimane un mistero l'indelebilità.  Poiché non esiste una pittura indelebile si può affermare che l'immagine è di altra natura, ad esempio scarica elettrica o lampo di calore. Da alcuni anni l'Accademia Aeronautica di Colorado Spring dove si studiano le foto satellitari, ha voluto esaminare con i sofisticati apparecchi di cui dispone le fotografie della Sindone. L'accademia ha stabilito che l'immagine fu provocata da una bruciatura. ma che tipo di bruciatura? L'Accademia ritiene che esse sono state prodotte da un'improvvisa vampata di calore durata un tempo valutabile in milionesimi di secondo, altrimenti il lino sarebbe andato distrutto. La causa di questo calore? MISTERO.  Alla fine altri interrogativi, altre suggestive perplessità: nessuna certezza.

TORNA ALL'ELENCO

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Marilyn Monroe

Marilyn Monroe fu trovata morta nella sua camera da letto il 4 agosto 1962, a soli 36 anni. Accanto a lei c’era un flacone vuoto di sonniferi, che portò a concludere che ne avesse assunto una dose eccessiva, intenzionalmente o per errore.

Intorno alla morte di Marilyn Monroe sono emerse varie teorie. Secondo un’ipotesi, si sarebbe tolta la vita dopo aver saputo che il presidente John F. Kennedy voleva porre fine alla loro relazione.

Altre teorie più inquietanti ipotizzano che la morte di Marilyn non sia stato un suicidio. Alcuni suppongono che i suoi legami con la famiglia Kennedy e con il boss della mafia Sam Giancana l’avessero resa una minaccia per la sicurezza nazionale, tale da provocare la sua misteriosa dipartita

L’ex marito Joe DiMaggio fece mettere sulla tomba di Marilyn Monroe 6 rose rosse tre volte a settimana per 20 anni dopo la sua morte.

 

TORNA ALL'ELENCO

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Elvis

Elvis è l’anagramma di “lives” (vive): alcuni affermano che The King sia ancora vivo e vegeto e che sia stato avvistato in vari posti del mondo.

Proprio dopo la sua morte, il 16 agosto 1977, un sedicente ‘John Burrows’ che presentava una stupefacente somiglianza con Elvis, fu visto acquistare dei biglietti per Buenos Aires. Durante i suoi viaggi, Elvis aveva spesso utilizzato questo pseudonimo, anche quando si era recato all’FBI a Washington DC, offrendo di fornire informazioni sul comportamento illegale di altri personaggi famosi.

Quindi, la morte di Elvis potrebbe essere stata simulata come parte di uno dei più complicati programmi di protezione testimoni di tutti i tempi?

 

TORNA ALL'ELENCO

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Bruce Lee

Il 20 luglio 1973, Bruce Lee, simbolo delle arti marziali, accusò un mal di testa; poche ore dopo era morto per una tumefazione del cervello.

Iniziarono a circolare teorie secondo le quali era stato avvelenato dalle Triadi, mentre altri ritenevano che una setta segreta di maestri di arti marziali avesse assassinato Lee per aver divulgato troppi segreti.

Vi furono anche voci su un’antica maledizione sulla famiglia Lee, che sembrò colpire di nuovo nel 1993, quando il figlio Brandon Lee restò ucciso in uno strano incidente sul set cinematografico.

Secondo la spiegazione ufficiale, Bruce Lee ebbe una reazione avversa ai farmaci da lui assunti per il mal di testa, i quali gli causarono un edema polmonare letale.

Il padre di Bruce Lee era un famoso interprete d’opera cinese.

 

TORNA ALL'ELENCO

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Abraham Lincoln

Abraham Lincoln venne colpito dalla pallottola di un seguace dei Confederati, John Wilkes Booth, nel Ford Theatre il 14 aprile 1865. Morì per le ferite il mattino dopo.

Lincoln fu vittima della maledizione di Tecumseh? Secondo la leggenda i presidenti eletti ogni venti anni moriranno durante il loro mandato. Lincoln risulta la seconda presunta vittima.

Si dice che il presidente che aveva provocato la maledizione fosse William Henry Harrison. Morì nel 1841 dopo aver fatto riferimento ad una battaglia in cui aveva sconfitto il capo dei nativi americani Tecumseh, durante la sua campagna elettorale dell’anno precedente.

Gli altri presidenti che si presume abbiano subito la maledizione sono James Garfield, William McKinley e John F. Kennedy.

TORNA ALL'ELENCO

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

John Lennon

L’8 dicembre 1980, il mondo fu scosso dalla notizia della morte di John Lennon. Il noto musicista fu colpito fuori dal suo appartamento di New York dalla pistola di Mark Chapman, che solo qualche ora prima gli aveva chiesto un autografo.

Chapman, secondo i teorici della cospirazione, non può essere stato semplicemente un pazzo che agiva isolatamente, come fu riferito all’epoca. Il suo atteggiamento non corrisponde al modello solito di chi uccide un personaggio celebre: egli infatti sfuggì alla pubblicità e rifiutò di concedere interviste.

John Lennon protestava accanitamente  contro la guerra e alcuni credono che Chapman lavorasse per l’FBI, che detiene documenti su John Lennon e che continua a rifiutare di rendere di pubblico dominio per motivi di sicurezza nazionale.

Altri pensano che Chapman possa anche essere stato ipnotizzato dalla CIA, che ne avrebbe assicurato il passaggio in due aeroporti senza che venisse rilevata la sua arma.

TORNA ALL'ELENCO

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

El Dorado

Spesso si pensa che El Dorado sia un luogo: in effetti si tratta della città mitica d’oro che gli esploratori spagnoli del XVI secolo credevano si trovasse da qualche parte in Sud America. Ma in realtà El Dorado significa “L’uomo d’oro” ed ecco come nacque il mito.

Quando veniva eletto, il nuovo capotribù Muisca (nel territorio oggi della Colombia) si sottoponeva a un rituale durante il quale veniva  coperto di polvere d’oro. Quindi prendeva il largo su una zattera carica di oro e gioielli fino al centro del lago Guatavita, dove si immergeva in acqua, lavando via la polvere d’oro. Anche le ricchezze sulla zattera venivano rovesciate nel lago in offerta agli dei.

TORNA ALL'ELENCO

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Papa Giovanni Paolo I

Papa Giovanni Paolo I fu soprannominato il “papa sorridente” per la sua espressione serena. Aveva in mente riforme della Chiesa Cattolica di ampio respiro, ma non visse abbastanza per realizzarle: infatti  il suo pontificato cominciò nel settembre 1978 e durò soltanto 33 giorni.

Il verdetto ufficiale imputò la morte a causa di un attacco di cuore, ma non venne mai eseguita alcuna autopsia mentre i verbali sul luogo della morte e su chi aveva scoperto il corpo risultano contraddittori.

Alcuni pensano che papa Giovanni Paolo I sia stato assassinato per impedirgli di scoprire un gravissimo scandalo della Banca Vaticana. Si pensa anche che possa essere stato avvelenato da una setta segreta di cardinali tradizionalisti che giudicava le sue riforme troppo liberali.

TORNA ALL'ELENCO

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Rudolf Hess

Sembra incredibile, ma il 10 maggio 1941, in piena II guerra mondiale, il vice del Führer, Rudolf Hess, si paracadutò in Scozia, presumibilmente per incontrare il Duca di Hamilton e negoziare un accordo di pace.

La sua proposta prevedeva che la Gran Bretagna lasciasse assumere il controllo dell’Europa alla Germania, la quale a sua volta avrebbe lasciato in pace il Regno Unito.

Hess fu considerato un pazzo e gettato in prigione. Al processo di Norimberga nel 1945 fu condannato per crimini di guerra all’ergastolo nella prigione di Spandau.

Sono sorte ipotesi secondo cui la Casata Reale dei Windsor fosse coinvolta nel piano di Hess. Altri credono che non si trattasse affatto di Hess, ma di un sosia: un’idea sostenuta da un dottore di Spandau che affermò che l’uomo che si dichiarava Hess non presentava sul corpo cicatrici che avrebbe dovuto avere.

TORNA ALL'ELENCO

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Men in Black

Secondo alcuni, i cosiddetti Men in Black, uomini in nero, esistono ma non sono affatto benevoli o divertenti come Will Smith e Tommy Lee Jones.

Si dice che i MIB appaiano dopo gli avvistamenti di UFO. I loro abiti sono strani e scintillati e la loro voce monotona. Alcuni affermano che siano effettivamente androidi al servizio del governo o di alieni, con il compito di cancellare la verità sugli esseri provenienti da altri mondi.

Si dice che abbiano doti telepatiche e che siano in grado di esercitare il controllo della mente delle loro vittime.

Oppure i MIB sono semplicemente un’allucinazione oppure una invenzione hollywoodiana? I robot governativi in abito nero sembrano piuttosto insignificanti rispetto agli omini verdi nei dischi volanti

TORNA ALL'ELENCO

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 Massoneria

La Massoneria è ben più che divertenti strette di mano. Si tratta di una organizzazione che opera in tutto il mondo, con membri appartenenti a tutti gli strati sociali, molti dei quali in posizione di potere.

Si pensa che questa organizzazione con caratteri di segretezza tragga origine dalla corporazione medievale dei muratori della pietra. Per aderire occorre la raccomandazione di un membro; dopo essere stati accettati non si devono rivelare l’identità di altri Massoni né i rituali.

I teorici della cospirazione credono che i Massoni siano legati all’ordine del Nuovo Mondo, in particolare ai membri che si autodefiniscono ‘Illuminati’. Altri hanno perfino accusato il gruppo di essere un’organizzazione occultistica.

Voci di questo tipo scaturiscono forse  dal carattere di segretezza della società, ma in realtà la maggior parte dei Massoni sono membri rispettati della comunità e destinano molto del loro tempo e denaro a cause di beneficenza.

TORNA ALL'ELENCO

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

                                                                                                                                                                 

Area 51

L’Area 51 è protetta da stazioni radar, sensori di movimento sotterranei e guardie armate; non compare sulle mappe del governo statunitense.

L’Area 51 è una zona remota di territorio che si trova in Nevada (USA). Appartiene al Governo degli Stati Uniti ed è evidentemente utilizzata per l’esecuzione di test su tecnologie segrete e nuovi velivoli militari.

Alcune persone credono che il campo di aviazione presente nell’area sia solo la punta dell’iceberg e che sotto il deserto esista un enorme bunker che ospita la struttura segreta per l’esecuzione dei test. Si presume che qui siano sottoposti ad esami gli UFO schiantatisi e i loro occupanti, come i famosi alieni di Roswell.

Il Governo degli Stati Uniti non ammette e non nega l’esistenza dell’Area 51, che è tuttavia sottoposta ad una rigida sorveglianza; i visitatori indesiderati si imbattono in guardie armate ed elicotteri.

Anche se non compare in alcuna mappa del Governo degli Stati Uniti, molti credono alla sua esistenza; è apparsa nei film X-Files, Independence Day e persino nei Simpsons

Nel Nevada, e più precisamente a Groom Lake, esiste una estensione desertica chiamata "Dreamland" (La terra del sogno) in cui è ospitato un avamposto sotterraneo della Marina americana la cui esistenza è talmente custodita dal pentagono, al punto che questa "Area 51" non compare in nessuna carta o mappa geografica della zona.

     In realtà L'Area 51 è una zona militare che si estende per circa 26000 Km quadrati nel deserto del Nevada. In essa si trovano le installazioni sotterranee dove vengono effettuati i test nucleari per il dipartimento dell'energia,e il poligono di Tonopah,dove sono stati collaudati gli F-117 e sviluppati i cosiddetti "black projects". Non è distante da un altro punto nevralgico del pentagono: la base area di Nellis. Nel cuore dell'area 51, nota anche come"Dream Land", c'è l'installazione di Groom Lake (un perimetro di 16 Km per lato) , la cui attività è totalmente celata ai nostri occhi ma, ancora più segreta, 16 KM a sud del complesso si estende la zona denominata S4, dove vengono sperimentati i dischi volanti. Nove Hangar sono stati costruiti scavando nella montagna ed i collaudi vengono effettuati sulla Immigrant Valley ed in una zona più a nord, dove gli UFO vengono avvistati dalla famosa cassetta postale (sull'autostrada 375) da cui si devia per entrare nell'area 51.

L'ingresso principale verso Area 51 è segnato da una strada sterrata che si stacca dalla statale 375 nella contea di Lincoln, all'altezza di una grande cassetta per la posta di colore nero, e che poi interseca la pista che conduce da est al Groom Lake, non senza passare prima poco a sud della catena delle Groom Mountains, una serie di alture che corrono quasi parallele alla statale 375 e che, di fatto, impediscono la visione a distanza dell'Area 51. Anzi, per valutare meglio il grado di segretezza della zona, si pensi che ai primi del 1984 l'USAF sequestrò illegalmente 89.600 acri di suolo pubblico compresi nella catena montuosa, proprio per limitare l'osservazione agli appassionati. L'USAF ha poi ammesso l'illegalità del sequestro, ma il Congresso ha infine votato per approvare l'azione dei militari. Fino al 1951 l'Area 51 venne utilizzata come base di addestramento della marina,poi la Lockheed,insieme alla CIA,la trasformarono in una base sperimentale segreta per effettuare i test sugli aerei spia U2.

Negli anni 1960 vi furono sperimentati gli sr-17,era la zona ideale per i test su attrezzature ed aerei segreti,perché era molto isolata e protetta dalle montagne. A partire dal 1960 i test furono inclusi nei "Black projects" e nel 1972 ci fu un oscuramento totale di informazioni e di dati,durato per ben 18 mesi.Nessuno sa cosa sia accaduto in quel periodo.Il progetto relativo ai dischi volanti denominato "Red Lights" era iniziato nel 1960 con i primi tentativi di volo di un paio di scafi alieni, ma ci fu un gravissimo incidente e le operazioni vennero interrotte, per riprendere intorno al 1980-81.A sud di Groom lake si trova il Papoos Lake un lago salato dove c'è l'area S4, l'installazione in cui ha lavorato Bob Lazar . Quest'ultimo e' stato di fondamentale importanza per venire a conoscenza delle operazioni che vengono compiute all'interno della base.   

 LAZAR :Il sedicente fisico, che avrebbe lavorato nell'area 51, affermò che vi si lavorava a velivoli a propulsione gravitazionale di origine aliena e che negli enormi hangar sotterranei gli sarebbero stati fatti leggere un centinaio di  documenti sugli UFO: nove astronavi erano cadute in mano alle autorità - non era spiegato come - ed autopsie erano state eseguite su cadaveri di alieni provenienti dal quarto pianeta del sistema stellare binario noto con il nome di Zeta Reticuli 2. Poi, Lazar, avrebbe dovuto occuparsi di un un velivolo (diametro di 9-12 m), al cui interno c'era una colonna centrale che correva tra il pavimento e il soffitto del disco. Una consolle appariva rimossa, e le sedie sembravano esser state costruite per "bambini". Secondo le dichiarazioni di Lazar il velivolo era fornito di un reattore ad antimateria, un apparato emisferico posto sul pavimento del velivolo, delle dimensioni di un pallone da basket.
Il «carburante» del disco  sarebbe stato un elemento superpesante con numero atomico 115 (e quindi non naturale),  e secondo Lazar non sintetizzabile sulla Terra. Questo sistema propulsivo permetterebbe di manipolare lo spazio-tempo e di rendere invisibili i velivoli.

In pieno deserto del Nevada, a circa 190 chilometri da Las Vegas, c'è una zona di cui le carte topografiche ufficiali non riportano alcun particolare

Eppure la zona è tutt' altro che deserta: fra montagne e piccoli corsi d' acqua ci sono strade, bunkers, edifici ed una pista d' atterraggio lunga 10 chilometri. Sulle carte, tuttavia, non risulta nulla: come se ogni attività cessasse su un' area vasta come le Marche.

La zona è impenetrabile e sorvegliata da militari armati, il suo spazio aereo è il più protetto degli Stati Uniti: questa è la base aeronautica di esercitazione e sperimentazione nucleare di Nellis, più nota come Area 51, dal nome attribuito ad una parte della base da alcune vecchie carte topografiche governative.

Nell' Area 51, istituita nel 1954, la società aeronautica Lockheed ha realizato aerei spia per conto della Central Intelligence Agency (la CIA) ed ancora oggi qui si progettano e si sperimentano alcuni dei più avveniristici aerei americani, fra cui il bombardiere Stealth ed altri velivoli non convenzionali. E' comprensibile come la zona sia sempre stata avvolta dal più fitto mistero: fino al 1994 l' Aeronautica Militare degli Stati Uniti ne ha addirittura negato l'esistenza.
Ma secondo testimonianze recenti, non tutte le tecnologie sperimentate sono americane, così come non sono americani alcuni tecnici che vi lavorano: entrambi, infatti, proverrebbero
dallo spazio. Accettare queste testimonianze vorrebbe dire dar credito all' ipotesi che gli UFO siano di origine extraterrestre; in queste pagine non si vuole parteggiare per l' una o l' altra ipotesi, ma si vogliono presentare i fatti e le testimonianze per Hangar con piste ed una ripresa effettuata dal satellite  come sono state raccontate.
 

Da quando esiste l' Area 51, si sono moltiplicati gli avvistamenti di strani oggetti nel cielo, regolarmente smentiti dalle autorità. Finchè un giorno a confermare i fatti è stato uno dei tecnici della base, il quale, per di più, ha parlato chiaramente di programmi di studio della tecnologia extraterrestre.

Robert "Bob" Lazar è uno scienziato che ha lavorato alla base Nellis con un contratto di cinque mesi, a partire dal dicembre 1998. Nella sua prima esplosiva dichiarazione in TV, che risale al maggio 1989, Lazar ha affermato che il governo degli Stati Uniti era impegnato nello studio di nove dischi volanti con l 'obiettivo di scoprire possibili applicazioni della tecnologia aliena. Nel mese di novembre Lazar parlò di una località supersegreta presso il Lago Papoose, denominata "S4", dove sarebbero custoditi velivoli extraterrestri. Rivelò poi di aver fatto parte dello staff di 22 tecnici incaricati di scoprire il sistema di propulsione dei dischi volanti.
 

Stando alle dichiarazioni di Lazar, S4 è un complesso sotterraneo che occupa in tutta la sua lunghezza un' intera catena montuosa. All' inizio egli pensava di dover lavorare su materiali e congegni molto avanzati ma di fabbricazione convenzionale. Tuttavia, dopo essere entrato in uno dei dischi volanti, si rese conto che si trattava di oggetti che per forma e dimensioni dovevano provenire da un mondo diverso dal nostro. Constatò che mancava qualsiasi segno di giuntura o fusione, non c' erano bulloni, oggetti e strutture erano arrotondati e senza spigoli, come se fossero stati modellati nella cera, dopo essere stati fusi e poi raffreddati. I dischi avevano aperture a forma di oblò e sedili ad appena 30 cm. dal pavimento. Il propellente era costituito da un oggetto poco più grande di una palla da tennis, dal quale si irradiava un campo antigravitazionale che attraversava una cavità a forma di colonna lunga quanto il velivolo.

A confermare i sospetti di Lazar fu la documentazione informativa distribuita ai tecnici, che conteneva una sorprendente quantità di dati sui dischi volanti e persino foto di autopsie di piccoli esseri grigi con grosse teste calve. Egli non affermò in modo categorico di aver visto degli extraterrestri dentro S4, ma disse di aver notato qualcosa di strano: passando davanti ad una stanza, avrebbe visto due uomini in camice bianco, i quali, rivolti verso il basso, parlavano a qualcuno di dimensioni piuttosto piccole.

Queste sono indubbiamente affermazioni incredibili, che ripropongono un classico dilemma dell' ufologia: è Lazar che trae spunto dai luoghi comuni su dischi volanti ed extraterrestri, oppure ciò che dice dev' essere considerato come prova attendibile? Senza dubbio è molto difficile separare il fatto autentico dal prodotto di fantasia

In ogni caso, le affermazioni di Lazar hanno trovato diverse conferme. George Knapp, autore dell' intervista, dice di essere stato contattato da molti testimoni. In particolare, knapp ha ricevuto una dichiarazione registrata su videocassetta, resa da un uomo che ha diretto vari programmi nella base di Nellis, secondo la quale, fin dal 1950 le autorità statunitensi custodirebbero effettivamente materiale extraterrestre oltre ad esseri alieni.

Tuttavia, questa testimonianza potrà essere verificata soltanto dopo la morte di chi l'ha resa. Anche gli altri testimoni rifiutano di apparire in pubblico per paura delle conseguenze.
 
LE PROVE IN VIDEO

Dopo una notte di attesa, Norio Hayakawa della Nippon Tv riprende un oggetto che decolla dall' Area 51 a velocità incredibile ed effettua manovre impossibili. Il filmato è stato analizzato con computer molto sofisticati ed il risultato ha convinto Hayakawa che l' oggetto "non può essere un velivolo convenzionale". Uno di questi oggetti si è perfino avvicinato ad una troupe televisiva della NBC ed alcuni tecnici hanno riportato ustioni da radiazioni.

C' è chi sostiene di essere penetrato nella stanza dove sono custoditi i cadaveri degli extraterrestri e di aver effettuato delle riprese. Ma purtroppo le fotografie ed i filmati con costituiscono la prova decisiva in ufologia, poichè possono essere il prodotto di falsi ben architettati.

Un gigantesco hangar all' interno dell' Area 51

Tuttavia è indubbio che qualcosa di insolito accada nel deserto del nevada. Jim Gooall, scrittore e giornalista specializzato in aeronautica, sostiene che esistono almeno otto "Black Projects" nell' Area 51. I Black Projects sono i progetti ultrasegreti del governo americano, come il bombardiere Stealth B-2, o le sonde teleguidate, così veloci e manovrabili da poter essere facilmente scambiate per dischi volanti. Ma anche Goodall sospetta che ci sia dell' altro. I velivoli in questione sono incredibilmente silenziosi e veloci; uno di questi ha sorvolato l' Area 51 ad una velocità superiore ai 16.000 Km. orari (circa 13 volte la velocità del suono).

Secondo un dipendente della Lockeed, intervistato da Goodall, "alcuni degli oggetti che sfrecciano sul deserto del Nevada farebbero venire l' acquolina in bocca a George Lucas, il regista di Guerre Stellari".

Cosa ci nasconde l' Area 51?

Velivoli avveniristici di fabbricazione terrestre o astronavi interplanetarie?

Indubbiamente la risposta è una di queste, ma quale?

TORNA ALL'ELENCO

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Il Triangolo delle Bermuda

Alcuni pensano che le leggi della fisica non siano applicabili al Triangolo delle Bermuda, ritenendolo uno dei due soli posti al mondo dove la bussola non riesce a puntare sul vero nord magnetico.

Nel corso degli anni, centinaia di navi e aerei sono scomparsi nella zona dell'Oceano Atlantico tra le Bermuda, Porto Rico e Fort Lauderdale. Una delle scomparse più note avvenne nel dicembre 1945, quando il volo 19, composto da cinque bombardieri della Marina americana, scomparve durante un'esercitazione.

La scomparsa misteriosa di navi intere può forse spiegarsi con le grandi sacche di gas presenti sul fondo del mare della zona. Quando il gas raggiunge la superficie, si dissolve nell'acqua, riducendo la spinta di galleggiamento e provocando l'affondamento della nave.

TORNA ALL'ELENCO

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Le Grotte di Altamira

L’accesso alle Grotte di Altamira è stato limitato perchè l'anidride carbonica espirata dai visitatori danneggia i disegni paleolitici.

Le Grotte di Altamira, in Cantabria, nella Spagna settentrionale, sono molto particolari, grazie ai sorprendenti disegni che ricoprono le pareti e il soffitto.

Si ritiene che i disegni, raffiguranti principalmente bisonti, cavalli e cervi, siano stati tracciati circa 16500-14000 anni fa. Sono incredibili per il sapiente uso del colore; in alcuni punti l’artista ha usato il profilo naturale della roccia per imprimere all’immagine una qualità tridimensionale.

I disegni furono scoperti da un nobile locale e da sua figlia nel 1879 e da allora hanno richiamato visitatori. Oggi, però, è necessario prenotare con due o tre anni di anticipo per vederli, dato che l’accesso è stato limitato per preservare la qualità dei disegni.

Le grotte sono state incluse nel Patrimonio dell’Umanità dell’UNESCO; ora nei pressi delle grotte esiste un museo dove è visibile un’esatta riproduzione.

Alla fine dell’Ottocento, nella Spagna settentrionale, fu casualmente scoperta la più celebre grotta preistorica: quella di Altamira. Era il 1879 e la scoperta fu divulgata dal proprietario del fondo, il marchese Marcelino de Sautuola. All’iniziale scetticismo (la conoscenza della preistoria, a quel tempo, era ancora a stadi incerti) seguì grande entusiasmo per queste straordinarie pitture parietali. La grotta di Altamira è datata ad epoca posteriore rispetto a quella di Lascaux: siamo in pratica quasi alla conclusione di quel periodo preistorico che definiamo paleolitico.

Tuttavia la cultura, e non solo artistica, è ancora quella del cacciatore paleolitico. In queste straordinarie pitture è sempre il naturalismo a dominare, e il passaggio verso la rappresentazione stilizzata deve attendere ancora qualche millennio.

 

TORNA ALL'ELENCO

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Le Piramidi

Le Piramidi Egizie sono sempre state avvolte dal mistero. Le prime furono costruite circa 4500 anni fa e fino alla fine del XIX secolo nessun altro edificio sulla Terra poteva competere anche solo con le loro dimensioni.

Gli Egizi avevano precise conoscenze di  geometria ed astronomia; si è giunti quindi a pensare che le piramidi non fossero affatto un'opera dell'uomo, ma di una razza aliena che visitò il nostro pianeta migliaia di anni fa.

Quando gli egittologi iniziarono ad aprire le tombe, corsero parecchie voci sulle maledizioni che sarebbero ricadute sui profanatori. Molti pensano che si deve attribuire ad una maledizione la morte di Lord Carnarvon, il finanziatore della spedizione di Howard Carter per aprire la tomba del faraone Tutankhamen nel 1923. Morì di polmonite dopo essere stato punto da una zanzara poche settimane dopo l'apertura del sarcofago.

TORNA ALL'ELENCO

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Atlantide

Secondo la leggenda, Atlantide era un'isola, situata forse in qualche parte del Mediterraneo, che venne distrutta da un terremoto o da un maremoto. Fu citata per la prima volta circa 2400 anni fa dal filosofo greco Platone, che ne datò la scomparsa a 9000 anni prima della sua epoca.

Si dice che Atlantide fosse una terra di grande bellezza, abitata da una civiltà evoluta ed estremamente ricca. L'immagine romantica di un'isola favolosa inghiottita dal mare ne ha stimolato la ricerca fin dai tempi di Platone, anche se nessuno è nemmeno sicuro della sua esistenza.

Tra le ubicazioni possibili di Atlantide vi sono luoghi assolutamente diversi come la Svizzera e la Nuova Zelanda! Alcuni esperti pensano che potrebbe in effetti trattarsi dell'isola di Creta.

Il primo a parlare di Atlantide fu Platone, nel Timeo, dove si racconta di una discussione tra Socrate, Timeo, Ermocrate e Crizia che, viene detto, ebbe luogo nel 421 a.C. ad Atene. Il dialogo prende le mosse da un altro dialogo, avvenuto il giorno precedente, riguardante la natura dello Stato ideale, e parla di come Solone, durante un suo viaggio in Egitto, venne a conoscenza di una guerra combattuta molto tempo prima tra gli antenati degli attuali ateniesi e, appunto, gli atlantidei, abitanti di una grande isola-continente situata oltre lo stretto di Gibilterra.
Secondo i sacerdoti egiziani che riferirono la storia a Solone, Atlantide sarebbe stata una monarchia molto potente e con tendenze espansioniste, che governava, oltre al continente omonimo, anche una vasta parte dei territori africani ed europei fino all'Egitto e all'Italia. Le sue mire vennero fermate appunto nel corso della guerra con Atene, dopo la quale si verificò un immenso cataclisma che distrusse l'esercito ateniese e fece inabissare in un solo giorno il continente in mare.
La storia viene ripresa più in dettaglio nel Crizia, il dialogo successivo, dove si colloca temporalmente a novemila anni prima di Solone la guerra e si descrive più in dettaglio Atlantide, la sua immensa potenza e ricchezza e la storia delle sue origini. Qui si specifica l'origine divina della monarchia che reggeva l'isola, essendo questa divisa in dieci zone ciascuna retta da un figlio di Poseidone e dai loro discendenti. Inizialmente questi governarono avvedutamente, ma poi a causa della forzata convivenza tra i mortali la loro saggezza venne meno fino a quando Poseidone decise di rimediare alla situazione. Il dialogo attualmente in nostro possesso si interrompe proprio in questo punto, probabilmente perché Platone non lo completò.
La veridicità del racconto di Platone venne negata dal suo allievo Aristotele, ma altri nell'antichità lo accettarono come un fatto storico, dando di fatto inizio a un dibattito che continua tuttora. Sostanzialmente le prime novità oltre ai dialoghi platonici iniziarono a comparire nella prima metà del XVI secolo, quando si cominciò a parlare di un'origine atlantidea delle civiltà americane appena scoperte.
Nel XIX secolo poi, l'abate fiammingo Charles Brasseur tentò una traduzione di uno dei pochi codici Maya sopravvissuti alla distruzione a opera dei colonizzatori spagnoli. Ne venne fuori la sorprendente descrizione di un grande cataclisma molto simile nel periodo e nello svolgimento a quello raccontato da Platone nei suoi dialoghi. Per inciso, Brasseur indica con Mu il nome di questo continente, sostenendo che si tratti della denominazione Maya per Atlantide. Attraverso successive modifiche si giunse all'interpretazione di James Churchward, nella prima metà del Novecento, che collocò Mu nell'Oceano Pacifico e immaginò Atlantide come una sua colonia. Successivamente le due vennero interpretate come civiltà distinte.
L'interpretazione di Brasseur fu modificata e ampliata da Ignatius Donnely che nel 1882 pubblicò il libro Atlantis: The Antediluvian World. In esso si cerca di fornire le prove che questa civiltà, scomparsa in seguito al noto cataclisma, sia stata all'origine delle successive civiltà umane e dei loro miti riguardanti un'epoca prospera e felice interrotta all'improvviso da un diluvio.
Donnely porta a sostegno della sua teoria una serie di prove nei più disparati campi. Oltre a riprendere e ampliare le argomentazioni basate sulle somiglianze linguistiche tra l'America e vari idiomi del vecchio continente, usa anche indizi di tipo geologico, citando isole distrutte o emerse in poche ore a causa di terremoti o eruzioni vulcaniche, riferisce inoltre di somiglianze tra la flora e la fauna al di là dell'Atlantico e, infine, cita un'impressionante serie di tradizioni comuni ai diversi popoli dei vari continenti, compresa la presenza pressoché capillare in ogni popolazione di leggende riguardanti un antico diluvio. Questa teoria è stata ripresa più recentemente da altri autori che ipotizzano come causa del cataclisma la caduta di un asteroide sulla Terra.
Analizzando le argomentazioni proposte sorgono diversi problemi. Prima di tutto non è affatto improbabile che Platone abbia inventato il racconto di Atlantide a scopo illustrativo, riferendolo nonostante tutto come vero. Questa tecnica narrativa è usata dal filosofo greco in altre occasioni nei suoi dialoghi, e viene esplicitamente teorizzata e giustificata per raggiungere lo scopo dell'autore.
La traduzione di Brasseur del codice Maya, poi, è basata su un'interpretazione errata della scrittura di quel popolo. Si basa infatti sull'ipotesi, fatta nella seconda metà del Cinquecento dall'arcivescovo Diego de Landa, che la scrittura Maya fosse di tipo alfabetico, mentre è stato successivamente dimostrato che è invece in parte sillabica e in parte ideografica. Il testo analizzato in questo modo sembra essere un trattato astrologico.
Anche gli indizi costruiti a partire dalle somiglianze di lingue, fauna e flora risultano non essere consistenti, ma la parte più carente della teoria sta proprio nelle prove geologiche. Attualmente non siamo a conoscenza di meccanismi che possano far sprofondare in tempi non geologici estensioni di terra grandi come continenti. Tutti gli esempi che abbiamo si riferiscono a dimensioni molto più modeste, di non più di cento chilometri quadrati. Atlantide è stata poi collocata nei posti più diversi del globo, ma da nessuna parte se ne riesce a trovare uno che non cozzi contro la teoria della deriva dei continenti o con altre prove geologiche. L'ultimo punto, e più significativo, riguarda le ricerche fatte nei fondali oceanici. Questi ultimi sono, infatti, composti soprattutto di basalto, mentre al contrario i continenti sono caratterizzati da una netta prevalenza di rocce granitiche. Una vasta massa continentale quindi dovrebbe poter essere facilmente individuabile dalla sua composizione geologica, ma nonostante tutti i rilevamenti fatti non si è trovata nessuna zona con caratteristiche compatibili con quelle di un continente.
Un'interessante teoria proposta nella prima metà di questo secolo ipotizza invece uno scenario completamente diverso. In sintesi essa afferma che la leggenda di Atlantide non sarebbe altro che la memoria, deformata e ingigantita dalla tradizione orale e da errori d'interpretazione, della rovina della civiltà cretese, che avvenne attorno al 1450 a.C. in circostanze tutt'ora non ben chiarite. Essa sarebbe stata causata dall'esplosione del vulcano dell'isola di Tera (l'attuale Santorini) a circa cento chilometri dalle coste cretesi. Il cataclisma provocò il parziale sprofondamento dell'isola e giganteschi terremoti e maremoti nei suoi dintorni che, abbattendosi su Creta, causarono le distruzioni che possiamo osservare e la prematura scomparsa di questa civiltà.
Quest'ipotesi, benché interessante, presenta delle difficoltà che appaiono difficili da superare, e che sono legate ad una discrepanza di alcuni decenni tra l'eruzione e le distruzioni che sconvolsero Creta, a quanto effettivamente possa essere stato devastante l'effetto dei maremoti, e al fatto che questi difficilmente avrebbero potuto raggiungere con sufficiente violenza tutte le località costiere.

TORNA ALL'ELENCO

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

I Cerchi nel Grano

Sono stati segnalati oltre 10.000 cerchi del grano in una trentina di paesi diversi.

Negli ultimi trent' anni, in tutto il mondo sono apparsi cerchi nel grano, che variano da semplici modelli di forma geometrica a composizioni complesse e curatamente eseguite.

Sono state formulate ipotesi secondo cui si tratta di tracce di atterraggi di dischi volanti che appiattiscono le messi, oppure di messaggi lasciati dai visitatori alieni. Altri pensano che siano creati da raggi a microonde dei satelliti orbitanti intorno alla Terra.

Secondo altre spiegazioni più razionali, i cerchi del grano sono mistificazioni fatte da persone che cercano di convincere l’opinione pubblica dell’esistenza di vita extraterrestre sulla Terra. Ci si potrebbe chiedere perché gli alieni viaggiano fino al nostro pianeta solo per appiattire qualche campo di grano:
perché non prendere contatto in un modo diverso e più facilmente riconoscibile?

TORNA ALL'ELENCO

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Il Mostro di Loch Ness

Le leggende sul presunto mostro che vive nelle profondità del lago Loch Ness in Scozia circolano da secoli. Gli avvistamenti dell’essere affettuosamente battezzato Nessie risalgono a 1500 anni fa. Recentemente alcuni avvistamenti sono stati sostenuti da “prove” fotografiche, di cui molte però si sono dimostrate false.

Secondo un’ipotesi, Nessie è un dinosauro sfuggito in qualche modo all’estinzione. Se fosse vero, il mostro è riuscito a sfuggire perfino ai rilevamenti di moderne attrezzature sonar, grazie all’estensione di Loch Ness, la cui superficie misura 56,4 kmq (21,8 miglia quadrate) e la cui profondità raggiunge in alcuni punti 226 metri (740 piedi).

Indipendentemente dalla sua reale esistenza, Nessie non è certamente un danno per il turismo scozzese!

TORNA ALL'ELENCO

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Il Kursk

Il Kursk affondò il 12 agosto 2000, durante un'esercitazione nel mare di Barents. Tutti i 118 marinai persero la vita. Due enormi esplosioni lacerarono la carena, causando la morte di molti membri dell'equipaggio, ma almeno 23 uomini sopravvissero per qualche tempo.

A causa dei tagli finanziari sulla flotta, i mezzi di ricerca e salvataggio russi non erano attrezzati per soccorrere i superstiti incagliati. Quando poi i sommozzatori di profondità inglesi raggiunsero il sottomarino, per i marinai non c'era più nulla da fare.

All'inizio, il governo russo affermò che un sottomarino USA era entrato in collisione con il Kursk, che aveva anche subito un siluramente.

In seguito tali affermazioni si rivelarono infondate, mentre i periti che esaminarono il relitto stabilirono che le esplosioni erano state causate dai siluri difettosi.

 

TORNA ALL'ELENCO

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Teatro Dubrovka

 

Considerato l'assalto piú spettacolare della guerriglia cecena, il blitz costó la vita a centinaia di persone, tenute in ostaggio per quattro interminabili giorni. Dal teatro furono portati via decina di corpi ed uno dei terroristi spiegó che prima dell'irruzione, l'ambiente era stato saturato da "gas speciali". Scopriamo ciò che realmente accadde durante quelle lunghissime 57 ore di terrore nel teatro Dubrovka di Mosca. 

Il teatro degli orrori 

 

Quando gli spettatori entrarono nel teatro Dubrovka di Mosca il 23 ottobre 2002 non si immaginavano certo di stare andando incontro alla loro fine...

 

Per 57 ore, 922 persone si trovarono a vivere una tragedia inimmaginabile: poco dopo l'inizio del secondo atto del musical 'Nord-Ost', furono presi in ostaggio da banditi ceceni mascherati, che maneggiavano fucili Kalashnikov e bombe a mano. La partecipazione allo spettacolo era tale che i membri del pubblico pensarono addirittura che l'uomo mascherato con una mitragliatrice che saltò sul palcoscenico facesse parte dello spettacolo. Chiaramente, egli non facevano parte del musical cosí come le18 donne che si mescolarono fra il pubblico vestite tutte in nero con tanto di veli e inneggiando slogan islamici; queste complici erano muniti di fucili Makarov e le loro erano colme di esplosivo e bombe a mano.  

 

Una situazione drammatica

 

Mezz’ora dopo l'inizio dell' assedio, un colpo dei terroristi ceceni uccise una donna che stava entrando nel teatro, scambiata per una dei servizi di sicurezza russi. Nel momento in cui apparve il leader dei 50 ribelli, Movsar Barayev, di soli 25 anni, il destino degli ostaggi sembrò segnato. Gridò queste parole: "Ora siete tutti miei ostaggi. E lo sarete per molto tempo. La nostra richiesta è che la guerra in Cecenia sia fermata". Minacció inoltre che se entro la fine della settimana le richieste non fossero state ancora soddisfatte, tutti gli ostaggi sarebbero stati uccisi. 

 

Tre giorni di assedio 

 

Con le loro richieste, Barayev ed i suoi compagni terroristi sembravano intenzionati ad avere un dialogo con i russi. Il primo negoziatore ad entrare nell'edificio fu Josef Kabzon, un deputato non poco popolare fra i ceceni. La sua prima visita assicuró almeno la liberazione di tre dei bambini più piccoli. I russi decisero anche di rischiare mandando un equipe televisiva per riprendere un'intervista con Barayev. Ad ogni modo, le richieste dei ribelli non furono accolte, e la situazione si diresse verso un punto di non ritorno. Le condizioni degli ostaggi peggioravano, il cibo stava finendo, e dopo che due ragazze erano scappate dalla finestra del bagno, i ribelli stavano costringendo il loro ostaggi ad usare il buco dell’orchestra come una toilette. 

 

Tattiche sotterranee


All'esterno del teatro, si stava organizzando la difesa militare. Putin chiamó 200 uomini della migliore squadra anti-terrorismo - l'Alpha Force - per farli entrare nell'edificio con l'aiuto di un gruppo di amatori chiamati gli 'Scavatori' - esperti dei sotterranei di Mosca. Calandosi nelle fogne e in stretti passaggi nel sottosuolo, gli Alpha riuscirono ad arrivare sotto il teatro, dove piazzarono dei dispositivi acustici. Quando si seppe che i ceceni avevano ucciso due persone nel teatro, venne dato l'ordine di irrompere nell'edificio.

 

Il numero delle vittime

 

Mezz'ora prima dell'assalto, le truppe fecero un buco in un muro del teatro e iniziarono a pompare del gas soporifero per mettere i terroristi fuori gioco. Il gruppo degli Alpha poi irruppe da un tunnel sottostante il teatro. Disorientati dal gas e dalla improvviso attacco, i ribelli non riuscirono a dare l'ordine alle loro complici di far saltare in aria il teatro. La sparatoria che avvenne fu decisiva, con l'uccisione di tutti i circa 50 ceceni e il ferimento di un solo Alpha. Tragicamente peró, 129 dei 922 ostaggi morirono.

 

 

 

Il conflitto in Cecenia

 

Una vecchia battaglia 

 

La fiera resistenza cecena alla dominazione straniera ha origini molto antiche. I ceceni, popolazione musulmana che parla una lingua unica ed é accomunata dalla stessa cultura, é scampata a numerosi attacchi dei conquistatori, durante tutto il corso della loro storia lunga 7.000 anni. Negli ultimi due secoli, comunque, la più grande minaccia per i ceceni è stata rappresentata dai loro vicini del nord, i russi. 

 

La prima invasione della Cecenia avvenne durante il regno di Pietro il Grande, nei primi anni del 18° secolo. Dopo una lunga serie di dure battaglie e massacri sanguinosi, la Cecenia fu incorporata nella Russia, nel 1870 circa. Un secolo dopo, a seguito della fine dell'Unione Sovietica nel 1991, i ceceni riuscirono finalmente a staccarsi dalla Russa e a dichiarare la loro indipendenza.  

 

La lotta per il controllo 

 

Ad ogni modo, era solamente una questione di tempo: nel dicembre 1994, infatti, il Presidente Yeltsin spedì le sue truppe nella repubblica ribelle per soffocare il movimento per l’indipendenza. Le previsioni del governo russo di una rapida vittoria seguita dalla resa dei ceceni, non si avverarono. La guerra fu lunga e cruenta, ben venti mesi di lotte che provocarono 100,000 vittime. Solamente nel 1996 si giunse ad una fine; il capo dei ceceni, il Generale Aslan Maskhadov fu eletto Presidente e firmò un trattato di pace con Yeltsin. 

 

Violazioni dei diritti umani 

 

Tuttavia, il problema dell'indipendenza della Cecenia era tutt’altro che risolto. L'anarchia cresceva e scoppiarono ulteriori scontri armati tra i combattenti ceceni e le truppe russe; inoltre i ribelli ceceni improvvisarono incursioni armate nel Dagestan in un tentativo di creare uno stato islamico. Nel 1999, a seguito di un'ondata di bombardamenti da parte dei ribelli ceceni, il Presidente Putin dichiarò la necessità di “un'operazione anti-terrorismo”, e spedì nuovamente le truppe russe nel paese. Nel 2000, le organizzazioni dei diritti umani condannarono presunte torture, stupri e detenzione di civili ceceni da parte delle truppe russe. Queste violazioni dei diritti trovarono conferma con la scoperta di una fossa comune di corpi mutilati. 

 

Una pace incerta 

 

L'assedio del teatro di Mosca del 2002 dimostró che Putin non era riuscito a risolvere i problemi della Repubblica cecena lacerata dalla guerra, come non vi erano riusciti i suoi predecessori. Vicini ai signori della guerra, c'è un sempre crescente numero di ribelli ceceni pronti a morire e a uccidere per la loro causa. Nel marzo del 2003 il Cremlino ha deciso di indire un referendum per far approvare una nuova costituzione, che dà alla Cecenia più autonomia, rimanendo sempre fermamente legata al controllo della Russia. Molti hanno messo in dubbio la legittimità delle votazioni, avvenute mentre erano ancora in atto azioni di guerra, e ritengono che questa nuova indubbia costituzione farà poco, se non nulla per migliorare la situazione della Cecenia. 

Dopo il temporale

 

Il gas misterioso


Le ripercussioni del sequestro di Mosca si sono fatte sentire per un lungo periodo, sia in Russia che all'estero. Una delle principali controversie che circondano il sequestro fu l'uso del gas soporifero, che è stato collegato a molte delle 129 morti. Mentre i sopravvissuti venivano trasportati privi di sensi e con difficoltà respiratorie fuori dall'edificio, iniziarono a sollevarsi dei sospetti. Un antidoto al gas non era disponibile per affrontare l'emergenza. Nessuno dei cadaveri trovati nel teatro era insanguinato o presentava ferite d'arma da fuoco; i volti delle vittime erano pallidi e tesi, i loro occhi spalancati e spenti.

 

Segreti di Stato

 

La versione ufficiale dice che un gas 'neutralizzante' sia stato pompato nel teatro ma, secondo la tradizionale segretezza russa che risale ai tempi sovietici, gli ufficiali si rifiutano di dire di quale gas si sia trattato. Questa segretezza ha suscitato lamentele da parte dei familiari delle vittime e dei dottori che hanno curato i circa 400 sopravvissuti che hanno subito l'effetto del gas. Come si sono potute trattare le emergenze e curare i sopravvissuti con successo senza sapere esattamente che cosa avessero inalato i loro pazienti? Alcuni dei parenti (ai quali non è stato permesso visitare gli ostaggi in ospedale) erano così infuriati da pensare che il gas fosse stato usato come una sorta di esperimento di guerra chimica, nel quale lo Stato avrebbe usato gli ostaggi come cavie.

 

Una falsa sicurezza

 

Un'analisi successiva agli eventi ha non solo sollevato degli interrogativi sul contenuto chimico e sulla concentrazione del gas, soprattutto considerando che gli ostaggi erano indeboliti dall'essere stati tenuti prigionieri da più di 50 ore, ma ha anche messo in discussione l'efficacia delle forze di sicurezza. Com’è possibile che 50 ribelli armati riescano ad introdursi in un teatro senza essere notati, soprattutto in una città piena di una polizia famosa per controllare continuamente le carte d'identità di stranieri e di residenti dalla pelle scura? Per evidenziare la natura corrotta delle forze di polizia cittadina, un comico moscovita ha spiegato scherzando che era perfettamente possibile che la polizia di Mosca avesse controllato i documenti dei ceceni, avesse preso una mazzetta di $100 per approvarli e avessero poi scortato i terroristi fino al teatro.

 

Faccia di bronzo

 

Nonostante tutte queste controversie, il presidente Putin è riuscito a nascondere ogni segno di debolezza e anzi ha sfruttato il sequestro per aumentare la sua popolarità e guadagnarsi una reputazione di uomo d'azione. Rivolgendosi ai russi ha affermato: “Abbiamo salvato centinaia di vite, sì centinaia. Abbiamo dimostrato che la Russia non può essere messa in ginocchio”. A sequestro finito, Putin ha chiesto all'esercito di stendere dei nuovi piani per combattere il terrorismo, chiedendo a tutti i russi di unirsi contro un nemico comune.

 

Le reazioni all'estero

 

Nonostante le richieste fatte alle autorità russe di rendere pubblica la natura del gas mortale siano state respinte e nonostante si fosse scatenata la preoccupazione di una nuova arma che potrebbe essere adottata da terroristi, la Gran Bretagna e gli Stati Uniti hanno offerto a Putin il loro supporto.
Il Primo Ministro inglese Tony Blair ha affermato che le autorità russe hanno dovuto intervenire nel momento in cui i ribelli ceceni hanno cominciato a uccidere gli ostaggi e ha sostenuto che non c'erano “soluzioni facili, senza rischi e sicure”. Collegando poi gli eventi di Mosca con la bomba a Bali e l'uccisione di un diplomatico americano in Giordania, ha parlato di “una nuova terribile ondata di terrorismo”.
Nel frattempo il portavoce della Casa Bianca Ari Fleischer ha evitato ogni critica a Putin, incolpando “in primo luogo i sequestratori che hanno messo in pericolo le vite umane”.
La strada scelta dopo l'assedio di Mosca è forse una continuazione di quella presa dopo gli attacchi dell'11 settembre - in altre parole un tacito accordo che vede gli americani chiudere un occhio sulla guerra in Cecenia e i russi dare il loro supporto alla guerra contro il terrorismo?
 

 

TORNA ALL'ELENCO

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Bismarck

Nel febbraio 1936, la Germania, violando le leggi internazionali, varò la più grande nave da guerra mai costruita, dal peso di 50.000 tonnellate: la DKM Bismarck. Le navi da guerra del tempo non potevano superare il peso di 35.000 tonnellate, ma la nave tedesca era corazzata per un 40 per cento, aveva a bordo 8 cannoni di 38 cm e 12 di 15 cm, e viaggiava ad una velocità che raggiungeva i 30.1 nodi. Questa "potenza marina" tedesca salpò nell’agosto del 1940.

Cronologia:

 

Operazione Reno: Nel maggio 1941, l’Ammiraglio Gunther Lutjiens fu a capo dello squadrone che partì da Amburgo alla volta dell’Islanda, attraverso lo Stretto di Danimarca verso l’oceano aperto, per distruggere le flotte degli Alleati. Solamente tre navi inglesi furono mandate a fronteggiare il nemico tedesco, la HMS Hood, la Renown e la Repulse, tutte più vecchie delle moderne navi tedesche.

Avvistamento: Nel maggio del ‘23, l’incrociatore Suffolk avvistò la Bismarck e un secondo incrociatore pesante, il Prinz Eugen. Insieme alla nave alleata Norfolk, il Suffolk dà immediatamente notizia alle altre unità della flotta inglese La Hood, la Prince of Wales, nave da guerra appena salpata, e quattro cacciatorpedinieri alla ricerca della nave tedesca, ne perdono i contatti, ma li recuperarono poco dopo.

L’affondamento della HMS Hood: All’alba, le navi inglesi spararono sulla Bismarck e la Prinz Eugen, costringendo il nemico a rispondere ed ad aprire il fuoco sulla Hood. Una rastrelliera della Bismarck la centrò in pieno, perforando la corazza e il deposito munizioni. La Hood esplose immediatamente. La poppa affondò subito, mentre la prua impiegò tre minuti prima di scomparire dalla superficie del mare. Su un equipaggio composto da 1418 fra ufficiali e civili, sopravvissero al disastro solamente in tre.

La ritirata della Prince of Wales: La nave tedesca puntava alla Prince of Wales, che aveva riportato dei problemi all’artiglieria. Fu così che la nave inglese si ritirò e la Bismarck potè dirigersi verso il mare aperto minacciata però dalla Norfolk, la Suffolk e la Prince of Wales.

Le cicatrici della Bismarck: Un colpo afferto alla Bismarck provocò una seria perdita d’olio, che mise a repentaglio le riserve e il serbatoio di benzina adiacente. L’Ammiraglio Lutjens diresse lo squadrone verso la Francia per correre ai ripari. Gli inglesi, intanto, speravano di mettere in trappola la Bismarck ad est, ma questa riuscì ad evitare il nemico.

Fuoco dai cieli: Era il 24 maggio, quando una dragona lanciata dalla flotta inglese silurò la Bismarck, peggiorando di molto il buco nel serbatoio e rendendo la fuoriuscita di olio ancora più rapida. Più tardi un altro siluro colpì la poppa incastrando il timone di coda limitandone notevolmente la manovrabilità; alla Bismarck, per il modo in cui era stata progettata, non era possibile effettuare le virate con il solo uso delle eliche.

Preghiere inutili: Gli inglesi nel frattempo avevano perso le tracce della Bismarck e della sua compagna, dal giorno 26 maggio. La nave da guerra tedesca si trovava a 130 miglia sud dalla King Georges V. Impossibilitata a virare, venne trascinata dal vento nelle braccia del nemico, il quale, incredulo, cercò di evitare una battaglia notturna e aspettò il mattino seguente per infierire

DKM BISMARCK     DATI SULLA NAVE

 


Nome: DKM (Deutsche Kriegs Marine) Bismarck

Origine del nome: Alla nave fu dato il nome del Cancelliere Otto Furst von Bismarck

Cantiere navale: Il contratto di costruzione fu stipulato con la Blohm & Voss, ad Amburgo, il 16 novembre 1935.

Costruzione: la chiglia fu poggiata il 1° luglio 1936. La costruzione ebbe luogo a Slipway 9, nel porto di Amburgo.
Lunghezza: 821.8 piedi (Titanic: 882.75 piedi)
Larghezza: 118 piedi (Titanic: 92 piedi)
Peso: 50.000 tonnellate (Titanic: 46.000 tonnellate)
Armamento principale: 8 cannoni di calibro 15’’/47 – 4 torri binate
Cannoni secondari: 12 cannoni di calibro 5.9”/55
Cannoni antiaereo: Pesante AA,16x4.1”; Medio AA, 16x1.5”
Spessore degli armamenti: Cinghia 12.6” verticale
                 Paratia  10.2”
                 Ponte  4.7”
                 Torre  14.1”
                 Barbette  13.4”

Velocità massima: 30 nodi
Varo: Varata il 14 febbraio 1939 e inaugurata da Frau Dorethee von Loewenfeld, nipote del Cancelliere Otto von Bismarck
Partenza: Salpata il 14 agosto 1940, sotto il comando del Capitano zur See Ernst Lindemann

Inizio della missione: Domenica 18 maggio 1941 alle ore 10:40 circa, la DKM Bismarck cominciò la sua prima missione, chiamata Operazione “Reno”. Salpò dal porto di Gotenhafen, seguita dall’incrociatore pesante Prinz Eugen.

Fine della missione: Il 27 maggio 1941, a 48° 10’ nord, 16° 12’ ovest, dopo una battaglia durata due ore contro la flotta inglese, la DKM Bismarck affondò.

Ufficiali e uomini dell’equipaggio: 2.015
Sopravvissuti: 115

TORNA ALL'ELENCO

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

JFK

Largo solo 8 mm, lungo due metri e della durata di soli nove secondi, il film Zapruder è il filmato amatoriale più famoso di tutti i tempi: scoprite come potrebbe far luce sul colpevole dell'assassinio di JFK

Cronologia:

 

>>22 novembre, 1963

…Il Presidente Kennedy si sveglia nella Suite 850 dell'Hotel Texas a Fort Worth in Texas.

>>08:45…  Il Presidente Kennedy viene acclamato dalla folla a Fort Worth mentre si reca a fare un discorso.

>>10:45…  L'entourage lascia Fort Worth per recarsi a Dallas, dove è previsto un discorso di JFK all'Amministrazione Comunale.

>>11:37…  I Kennedy atterrano a Love Field, Dallas. Il Presidente e la First Lady salgono a bordo di una limousine scoperta, accompagnati dal Governatore del Texas John B. Connally e da sua moglie.

>>11:52…  Il corteo di auto del Presidente si dirige verso Dallas.

>>12:30…  Mentre il corteo di auto procede lungo Elm Street verso Delaney Plaza, degli spari da arma da fuoco colpiscono Kennedy e il Governatore John Connally. Il Presidente è colpito prima al collo, poi alla testa. È ferito a morte. Anche il Governatore è gravemente ferito.

>>12:35…  L'auto presidenziale accelera lungo la Stemmons Freeway in direzione del Memorial Hospital.

>>13:00… Il Presidente Kennedy viene dichiarato morto dai medici.

>>13:33…  Malcolm Kilduff, facente funzioni di portavoce, annuncia ufficialmente la morte del Presidente Kennedy.

>>14:18…  Tornata a Love Field, Jacqueline Kennedy sale a bordo dell'aereo presidenziale Air Force One con il cadavere del presidente.

>>14:38…  Lyndon B. Johnson presta giuramento diventando presidente a bordo dell'Air Force One con Jacqueline Kennedy a suo fianco.

>>14:47…  L'Air Force One decolla e si dirige all'Andrews Air Force Base vicino a Washington DC.

Un Giorno nella Storia

 


In tutto il mondo, e non solo in America, tutti si ricordano esattamente dove si trovavano nel momento in cui hanno appreso dell'uccisione di Kennedy. Il motivo è semplice.

 

In una gelida giornata di gennaio del 1961, John Fitzgerald Kennedy prestò giuramento diventando il trentacinquesimo Presidente degli Stati Uniti; a 43 anni, era il più giovane e il primo appartenente alla chiesa Cattolica Romana a ricoprire la carica. Meno di tre anni dopo era morto.

Nonostante la brevità del suo governo JFK, come era affettuosamente conosciuto, ha lasciato un marchio indelebile sia in America che al di fuori degli Stati Uniti.

Per molti JFK rappresentava le speranze e i sogni di una nazione e la sua politica manifestava questo ottimismo. Riforme fiscali, educazione, diritti civili, sanità e assistenza sociale erano tutte questioni di alta priorità per Kennedy. Inoltre, grazie al dinamico programma spaziale previsto, gli Stati Uniti sembravano davvero destinati a grandi cose.

Al di fuori degli Stati Uniti, Kennedy era stimato per il modo in cui aveva affrontato un periodo particolarmente difficile della Guerra Fredda; la scoperta di missili russi a Cuba, aveva portato il mondo sull'orlo di una guerra nucleare.

Kennedy aveva inoltre offerto il proprio appoggio all'Europa, particolarmente alla città divisa di Berlino quando i sovietici avevano eretto il muro, serrando sempre di più la Cortina di Ferro. Con queste parole il sindaco di Berlino Ovest Willy Brandt espresse la perdita al mondo: "si è spenta una fiaccola per chi aveva sperato in una pace equa e in una vita migliore".

Essenzialmente, il Presidente Kennedy è stata la prima figura mondiale ad essere stata assassinata nell'era della televisione. Le immagini furono trasmesse in tutto il mondo mentre questa tragedia si svolgeva sotto gli occhi dei media. Fu un momento indimenticabile.

Gli Indiziati e le Teorie di Cospirazione


Chi avrebbe potuto voler togliere di scena un personaggio talmente popolare? Dai sicari del Vaticano ai giornalisti irati, l'elenco dei sospetti più strani non ha fine. Tra i cospiratori più famosi ci sono...

 

Lee Harvey Oswald
L'inchiesta ufficiale sull'assassinio di Kennedy, la Warren Commission, stabilì che fu Oswald ad assassinare JFK. Secondo la relazione Oswald, un simpatizzante comunista, avrebbe agito da solo e non avrebbe fatto parte di alcuna cospirazione.

Sempre secondo l'inchiesta Oswald avrebbe sparato tre colpi dal 6° piano del Texas School Book Depository Building. Purtroppo Oswald venne messo a tacere prima di avere l'opportunità di fornire la sua versione dei fatti. Il suo killer, Jack Ruby, era il proprietario di un locale notturno con noti legami con la Mafia.

La Mafia
Per quale motivo la Mafia avrebbe voluto la morte di JFK? Semplicemente perché l'amministrazione Kennedy rappresentava una seria minaccia al crimine organizzato in America.

Robert Kennedy, fratello del Presidente e Ministro della Giustizia, aveva intrapreso una guerra contro la Mafia, rincorrendone i membri da un tribunale all'altro. Il boss del crimine di New Orleans Carlos Marcello è stato da lungo sospettato di un coinvolgimento nell'assassinio del Presidente Kennedy.

Operazione Congiunta di CIA e Mafia
Molti sono dell'opinione che l'assassinio fu causato dal rifiuto da parte di Kennedy di offrire un appoggio militare per un'invasione americana di Cuba. Questa riluttanza da parte del Presidente portò molti ufficiali degli alti ranghi della CIA a definirlo apertamente un traditore.

I sostenitori della teoria della cospirazione ritengono che l'assassinio di Kennedy fu eseguito da un 'plotone d'esecuzione' composto da tre uomini di CIA/Mafia. Tra i nomi dei possibili cecchini figurano Jimmy Fratianno, Charles Nicoletti, James Files, e Eugene Brading.  Si dice che Lee Harvey Oswald sia stato il capro espiatorio.

Registrato da una cinepresa

 

Abraham Zapruder, produttore di abbigliamento di Dallas e fotografo dilettante, riprese il corteo di auto del Presidente lungo Elm Street e Delaney Plaza. La sua posizione di vantaggio, una struttura di cemento vicino alla montagnola erbosa, gli permise di assistere a tutto l'evento.

 

Largo solo 8 mm, lungo due metri e della durata di soli nove secondi, il film Zapruder è il filmato amatoriale più famoso di tutti i tempi. Si dice che la sequenza filmata dell'assassinio di JFK abbia fatto guadagnare alla famiglia più di 16 milioni di dollari.

Naturalmente quel giorno di 40 anni fa c'erano più di 20 altre persone con le cineprese puntate sul corteo presidenziale. Le moderne tecniche investigative permettono ora agli investigatori di mettere insieme un unico filmato con diversi angoli di ripresa. Il risultato è un modello a 360 gradi del corteo di auto presidenziale durante il passaggio per Elm Street e Dealey Plaza.

Un nuovo software di sorveglianza investigativa rappresenta uno strumento rivoluzionario che permette agli investigatori di analizzare ed estrarre le prove più significative dalla sequenza filmata. Speciali tecniche di schiarimento, quali la correzione gamma e le regolazioni monocromatiche, aiutano ad esporre i dettagli nascosti, mentre la ‘media dei fotogrammi’ rivela le informazioni nascoste nelle immagini scure o con interferenze.

Le nuove prove ci permettono di avvicinarci sempre di più a quanto successe realmente quel giorno fatidico.

TORNA ALL'ELENCO

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Diana

Anni di inchieste scientifiche e poliziesche non sono ancora riuscite a far luce sulla misteriosa morte della Principessa Diana, avvenuta il 31 agosto 1997. Da allora le teorie di cospirazione su come sia avvenuto il tragico episodio prolificano. È forse il caso di chiedersi se il pubblico si rifiuti di accettare la versione ufficiale dei fatti? 

Background

Il 31 agosto 1997, il mondo intero fu sconvolto dalla tragica morte della Principessa Diana, la cui macchina si schiantò ad alta velocità contro un pilastro di cemento nel tunnel Pont De L’Alma a Parigi.

 

Un’indagine di due anni condotta in Francia, l’inchiesta più lunga e più costosa mai condotta in relazione ad un incidente d’auto, diretta dal Giudice Herve Stephan, concluse che Diana morì in circostanze tragiche ma ordinarie: eccesso di velocità da parte di un autista in stato di ubriachezza. Henri Paul, l’autista, aveva superato di tre volte il livello legale di alcol e aveva inoltre tracce di farmaci antidepressivi nel sangue. Ma la verità è davvero così semplice?

 

Sette fotografi e un autista furono arrestati ed accusati di avere contribuito alla morte di Diana, Dodi e Henri Paul. Ma la corte suprema francese respinse le accuse di omicidio colposo nei confronti dei paparazzi che avevano inseguito l’auto della principessa.

 

Ci fu poi il mistero della Fiat Uno bianca che fu vista uscire zigzagando dal tunnel di Parigi qualche secondo dopo l’incidente. Secondo i testimoni oculari, l’auto era guidata da un uomo di circa quarant’anni che aveva un cane di grossa taglia sul sedile posteriore.

 

Sebbene i frammenti dei fanalini posteriori e le tracce di vernice rinvenute sulla Mercedes S280 corrispondessero ad una Fiat Uno, fino ad ora le indagini non sono riuscite a rintracciare l’auto.

 

Il testimone più importante e l’unico sopravvissuto, Trevor Rees-Jones, riportò gravi ferite alla testa e in viso e soffrì di amnesia per diversi mesi in seguito all’incidente.

 

In un’intervista rilasciata ad un quotidiano, Rees-Jones disse di avere visto due auto e una moto all’inseguimento della Mercedes, e nel corso di sessioni con uno psichiatra ricordò che Diana chiamò Dodi dopo lo scontro.

 

La morte della Principessa di Galles, è avvolta nel mistero e il pubblico si è rifiutato quasi istintivamente di accettare la versione ufficiale degli eventi.

Teorie di cospirazione

La morte in circostanze tragiche di persone famose è un fenomeno che sembra far proliferare le teorie di cospirazione e la morte di Diana non è da meno.

Da quel fatidico giorno, le discussioni su come la principessa sia morta non si sono ancora spente. A dimostrazione di ciò, su Internet sono comparse circa 36.000 diverse teorie di cospirazione sulla morte di Diana. Riportiamo qui le più popolari.

Morte simulata

Secondo una teoria, l’incidente fu una messa in scena per permettere a Diana e a Dodi di iniziare una nuova vita lontano dagli occhi indiscreti dei media; le forze di sicurezza avrebbero collaborato, per impedire alla stampa di intromettersi e sarebbe stato filmato appositamente un video dell’incidente.

La teoria secondo la quale Diana sarebbe ancora viva è alimentata dal fatto che, prima della sepoltura ad Althorp, il corpo della principessa non fu sottoposto ad autopsia, sebbene per legge nel Regno Unito questa sia una procedura obbligatoria per le vittime di morte improvvisa. Secondo alcuni, grazie alla chirurgia plastica, la principessa potrebbe persino essere tornata per occuparsi dei suoi figli senza essere notata.

Chi era Henri Paul, l’autista della limousine?

La figura di Henri Paul, l’ufficiale di sicurezza che subentrò all’ultimo minuto per guidare la Mercedes è avvolta dal mistero. Secondo i colleghi dell’Hotel Ritz, Paul era una persona che stava sulle sue e non socializzava mai con gli altri.

Era davvero ubriaco? Si dice che quella sera, Henri Paul avesse avuto un paio di drink al Ritz, ma i risultati dei test medici condotti sul suo sangue mostrarono un livello estremamente alto di monossido di carbonio. Secondo gli esperti, questo lo avrebbe reso indisposto prima ancora di iniziare il viaggio fatale. Eppure, la prova video lo mostra camminare in modo del tutto normale. Paul era anche stato accusato di essere un alcolizzato, ma due giorni prima dell’incidente aveva passato con successo un controllo medico: l'autopsia non rivelò alcuna traccia di alcol nel fegato.

C’è inoltre la questione relativa ai vari conti bancari a nome di Paul, i cui saldi eccedevano di molto lo stipendio che riceveva come capo della sicurezza del Ritz. Una possibile spiegazione è che in realtà si trattasse di un agente dei servizi segreti francesi.

Di fu uccisa da MI6

Secondo fonti indipendenti dei servizi segreti britannici, Lady Diana avrebbe costituito una minaccia al trono e alla stabilità della nazione e doveva quindi essere eliminata.

Questa non è una teoria inconcepibile, in quanto è stato rivelato che tra la documentazione in possesso degli agenti figuravano dossier su Jack Straw, il Ministro dell’ Interno e documenti su attivisti pacifisti e funzionari dei sindacati. Si era inoltre scoperto che sempre degli agenti dei servizi segreti avevano cercato, negli anni Settanta, di destabilizzare il governo laburista.

Si sospetta che MI6 abbia tenuto Diana sotto sorveglianza per tutti gli anni in cui fece parte della famiglia reale. Molti sono dell’opinione che i servizi segreti siano stati i responsabili della divulgazione delle registrazioni telefoniche che danneggiarono l’immagine della principessa.

Sono anche state accusate molte figure dell’establishment. Un avvocato egiziano, per esempio cercò di far causa alla Regina e al Primo Ministro Tony Blair per danni pari a $170.000, sostenendo che essi avessero cospirato all’uccisione di Diana poiche´innamorata di un uomo musulmano, Dodi Al Fayed.

Secondo Nabih Alwahsi, l’establishment inglese era determinato ad evitare che un musulmano diventasse il patrigno del futuro Re d’Inghilterra.

Dodi, il Vero Bersaglio

I nemici di Dodi e di suo padre Mohammed Al Fayed avrebbero assassinato Dodi e la morte di Diana sarebbe stata una spettacolare copertura per questa operazione.

Avendo raggiunto i vertici nel campo degli affari, Al Fayed si era fatto numerosi nemici. Il proprietario di Harrods aveva combattuto una dura battaglia per il grandioso negozio londinese anni prima e si era visto negare la cittadinanza britannica dopo che erano stati sollevati dei dubbi relativi alla condotta dei suoi affari.

Dodi, figlio maggiore ed erede di Al Fayed, sarebbe stato un ovvio bersaglio per chi avesse voluto saldare un conto rimasto in sospeso.

TORNA ALL'ELENCO

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Chernobyl

Ci sono ore e minuti che cambiano il corso della storia, quando ogni secondo, ogni parola e ogni decisione è pervasa da una tensione quasi insostenibile ed influenza il futuro non solo di una nazione ma di tutta l’umanità.

Si dice spesso che sono proprio queste ore, e non mesi o anni di eventi strutturati e pianificati, che portano ai cambiamenti più significativi. Sebbene tali momenti entrino a far parte della storia, ben poco si sa di quanto effettivamente succeda e dell’enormità degli eventi e delle decisioni prese in questi brevi istanti fatidici.

Per ulteriori informazioni: www.chernobyl.info

Antefatti

 

Il reattore no. 4 era un reattore moderato a grafite e raffreddato ad acqua leggera.  In questo tipo di reattore i neutroni liberati dalla fissione dei nuclei di uranio 235 sono rallentati (moderati) dalla grafite allo scopo di mantenere una reazione a catena.  Il calore prodotto dalla fissione nucleare in questo tipo di reattore viene utilizzato per far bollire l’acqua. Il vapore in tal modo generato aziona le turbine della centrale. Questo tipo di reattore è stato oggetto di critiche da parte di molti esperti nucleari principalmente per il fatto che manca di una struttura di contenimento e che il nocciolo necessita di grosse quantità di grafite combustibile.

L’incidente del Reattore no. 4 della centrale nucleare di Chernobyl si verificò durante la notte tra il 25 e il 26 aprile 1986, nel corso di un test sulla sicurezza. La squadra responsabile intendeva verificare se, nel caso di un calo di potenza, le turbine fossero in grado di produrre energia sufficiente a mantenere in funzione le pompe di raffreddamento fino all’attivazione del generatore diesel d’emergenza.

Al fine di evitare un’interruzione del test, i sistemi di sicurezza furono deliberatamente disattivati; l’alimentazione al reattore avrebbe dovuto essere stata ridotta al 25 per cento della normale capacità. Tale procedura non andò secondo i piani e, per ragioni sconosciute,  i livelli di alimentazione del reattore scesero al di sotto dell’1 per cento; per questo motivo fu necessario aumentare lentamente l’alimentazione. Tuttavia, a 30 secondi dall’inizio del test, si verificò una sovracorrente momentanea inaspettata. L’arresto di emergenza del reattore, che avrebbe dovuto arrestare la reazione a catena, non funzionò.

In poche frazioni di secondo il livello di alimentazione e la temperatura aumentarono considerevolmente. Il reattore sfuggì al controllo e si verificò una violenta esplosione che fece saltare il coperchio ermetico da 1.000 tonnellate dall’edificio contenente il reattore; a temperature superiori a 2.000°C le barre combustibili si fusero.  Nell’incendio che seguì i prodotti radioattivi  della fissione liberati durante la fusione del nocciolo vennero risucchiati nell’atmosfera.

Cronologia

 

25 Aprile – Giorno 1

1:00 a.m.
Il reattore funziona normalmente a piena potenza. La forza motrice del vapore è diretta verso entrambe le turbine dei generatori. Gradualmente gli operatori iniziano a ridurre la potenza per il test.

1:05 p.m.
A dodici ore dall’inizio del processo di riduzione di potenza, il reattore raggiunge una potenza del 50%. A questa punto basta solo una turbina per ricevere la quantità ridotta di vapore; la turbina no. 2 viene quindi disattivata.

2:00 p.m.
Secondo le normali procedure del test, la potenza del reattore dovrebbe essere ridotta fino al 30%; le autorità sovietiche che regolano l’elettricità tuttavia non permettono questo a causa di un’apparente necessità di energia in altro luogo. Il reattore rimane al 50% di potenza per altre 9 ore con i protocolli di sicurezza e i computer disattivati.

26 Aprile – Giorno 2

12:28 a.m.
Il personale di Chernobyl riceve il permesso di riprendere la riduzione di potenza del reattore.  Probabilmente uno degli operatori commette un errore e, invece di mantenere la potenza a 30%, si dimentica di ripristinare un combinatore; questo causa una caduta di potenza fino all’1%, valore troppo basso per eseguire il test.

1:00-1:20 a.m.
L’operatore riesce a far risalire la potenza del reattore fino a 7% rimuovendo quasi tutte le barre di controllo (lasciandone solo 6). Questa rappresenta una violazione della normale procedura in quanto il reattore non è in grado di operare a livelli di potenza così bassi e diventa instabile quando il nocciolo si riempie di acqua. L’operatore cerca di controllare il flusso di acqua, che viene fatta tornare dalla turbina manualmente; questa è una procedura difficile in quanto piccoli cambiamenti di temperatura possono causare grosse fluttuazioni di potenza. L’operatore non riesce a correggere il flusso di acqua; il reattore diventa sempre più instabile.

1:22 a.m.
Credendo che le condizioni siano al massimo della stabilità, gli operatori decidono di iniziare il test. L’operatore blocca l’arresto automatico per bassi livelli di acqua e assenza di entrambe le turbine per paura che un arresto possa far fallire il test.

1:23 a.m.
Ha inizio il test: la rimanente turbina viene disattivata.

1:23:40 am
Nel reattore la potenza inizia ad aumentare gradualmente a causa della riduzione del flusso d’acqua provocata dall’arresto della turbina; questo porta a sua volta ad un aumento dell’ebollizione. L’operatore avvia la procedura di arresto manuale che porta ad un veloce aumento della potenza a causa del particolare modello delle barre di controllo.

1:23:44 a.m.
Il Momento del Disastro – Il reattore raggiunge 120 volte la sua potenza massima. Tutto il combustibile radioattivo si disintegra e la pressione derivante dall’eccesso di vapore, che avrebbe dovuto essere diretta alle turbine, infrange i  tubi in pressione e fa saltare in aria l’intero schermo di copertura del reattore.

Contaminazione

 

 I territori contaminati comprendono il nord dell’Ucraina, il sud e l’est della Bielorussia e la zona sul confine occidentale tra Russia e Bielorussia. Secondo valutazioni internazionali un’area compresa tra 125.000 e 146.000 km2 in Bielorussia, Russia e Ucraina è contaminata da cesio 137 a livelli eccedenti 1 curie (Ci) o 3,7 x 1010 becquerel (Bq) per chilometro quadrato. Quest’area copre una superficie superiore a quella dei paesi limitrofi di Latvia e Lituania combinati. Al momento dell’incidente i territori contaminati erano popolati da 7 milioni di persone, tra cui 3 milioni di bambini. Circa 350.400 persone sono state insediate in nuove aree o hanno abbandonato questa zona. Tuttavia circa 5,5 milioni di persone, tra cui più di un milione di bambini, continuano ad abitare nelle zone contaminate.

 Il reattore in questione liberò più di 40 diversi radionuclidi, particolarmente nei dieci giorni immediatamente successivi all’incidente. Tra questi, i più significativi sono lo iodio (I-131),  il cesio (Cs-137) e lo stronzio (particolarmente Sr-90). Successivamente all’incidente il cesio 137 fu l’elemento radioattivo a più ampio raggio di distribuzione.

 La Bielorussia fu il paese più gravemente colpito dal disastro di Chernobyl in quanto il 70 per cento della pioggia radioattiva si depositò su questo territorio. Di tutta l’area coperta dalla Bielorussia, 23 per cento fu contaminata da più di 1 Ci/km2 di cesio 137. Al momento dell’incidente questa zona era popolata da 2,2 milioni di persone, un quinto della popolazione complessiva del paese.

 Dell’area totale di 17 milioni km2 compresa nella Federazione Russa, l’1,5 per cento è contaminato dalle radiazioni dell’incidente di Chernobyl; 19 regioni ne sono state colpite, in modo particolare le zone intorno alle città di Bryansk, Kaluga, Tula e Orel. Al momento dell’incidente queste aree erano popolate da circa 2,7 milioni di persone.

 Degli 800.000 “liquidatori” (soldati impiegati nella pulizia della zona circostante il reattore) 200.000 provenivano dalla Russia. Secondo i resoconti ufficiali dei tre ex stati sovietici colpiti, da allora 25.000 di questi soldati sono morti.  I costi sostenuti dallo stato russo tra il 1992 e il 1998a causa del disastro nucleare sono ammontati a USD 3,8 bilioni, di cui USD 3 milioni sono stati pagati quali risarcimento ai soccorritori e alle vittime.

L'incidente

 

 Durante il test condotto a Chernobyl furono sollevate troppe barre di controllo che poi furono reinserite contemporaneamente durante un arresto di emergenza: questo provocò un aumento improvviso del livello di potenza tale da distruggere il reattore. Un errore simile, ma le cui conseguenze furono molto meno gravi, si era già verificato in un reattore dello stesso tipo in Lituania nel 1983. Di questo però la squadra operativa di Chernobyl non era al corrente.

 Per spegnere l’incendio e quindi interrompere l’emissione di materiale radioattivo, i vigili del fuoco pomparono acqua fredda nel nocciolo del reattore per le prime dieci ore successive all’incidente. Questo intervento non diede i risultati desiderati e fu quindi abbandonato. Tra il 27 aprile e il 5 maggio più di 30 elicotteri militari sorvolarono il reattore in fiamme sganciando 2.400 tonnellate di piombo e 1.800 tonnellate di sabbia nel tentativo di estinguere il fuoco ed assorbire le radiazioni. Tutti questi tentativi si rivelarono tuttavia inutili, anzi peggiorarono la situazioni a causa del calore accumulatosi al di sotto dei materiali scaricati. La temperatura all’interno del reattore aumentò nuovamente con un conseguente aumento della quantità di radiazioni emesse. Alla fine il reattore venne raffreddato utilizzando azoto. Su riuscì a mettere sotto controllo l’incendio e le emissioni radioattive solo il 6 maggio.

 I 600 uomini del servizio antincendio dell’impianto e la squadra operativa impiegata nelle operazioni antincendio furono i più gravemente contaminati dalle radiazioni.  Tra di essi, 134 ricevettero dosi di radiazioni comprese tra 0,7 e 13 sievert (Sv). Questo significa che in poche ore furono esposti ad un livello di radiazione 13.000 volte superiore a 1 millisievert. (Nell’Unione Europea, 1 millisievert per anno rappresenta la dose massima effettiva a cui possono essere esposti gli individui che risiedono nei pressi di una centrale nucleare).

 31 operai morirono poco dopo la tragedia. In tutto 800.000 uomini furono coinvolti nelle operazioni di pulizia di Chernobyl fino al 1989. Ad oggi queste persone continuano a soffrire a causa dei danni subiti alla salute. Si ritiene che tra questi individui 300.000 furono esposti a dosi di radiazioni superiori a 0,5 Sv. Il numero di persone morte a causa degli effetti rimane una questione controversa.

 Il 27 aprile, a sole 36 ore dall’incidente i 45.000 abitanti di Pripyat, che dista 4 km dalla centrale, furono evacuati in autobus. A tutt’oggi la cittadina rimane disabitata.  Nel periodo fino al 5 maggio le persone che risiedevano entro un raggio di 30 km intorno al reattore furono costrette ad abbandonare le proprie abitazioni.  Nel giro di 10 giorni, 130.000 persone dei 76 insediamenti di quest’area furono evacuate. Il territorio è stato dichiarato zona vietata e l’accesso è possibile solo dietro permesso speciale. Nonostante questo divieto ufficiale almeno 800 persone, prevalentemente anziani, hanno fatto ritorno ai loro paesi.

 Il 23 maggio 1986, troppo tardi da un punto di vista medico, iniziò la distribuzione ufficiale di preparati di iodio, allo scopo di prevenire l’assorbimento di iodio radioattivo da parte della tiroide; la maggior parte di iodio radioattivo era stata tuttavia emanata nei dieci giorni immediatamente successivi all’incidente.

 Nel 1997 i paesi del G7, la Russia, l’Unione Europea e l’Ucraina, insieme alla Banca Europea per la Ricostruzione e lo Sviluppo (BERS) lanciarono lo Shelter Implementation Plan (SIP) (Piano di realizzazione di una struttura di protezione). La nuova struttura di protezione ha lo scopo di racchiudere in modo sicuro le sostanze radioattive per almeno 100 anni. Questa struttura di 20.000 tonnellate racchiuderà le scorie residue contenute nel reattore no. 4 di Chernobyl. Secondo fonti ufficiali il progetto da 768 milioni di Euro sarà completato nel 2008.

 A tre anni dall’incidente nucleare, il governo sovietico interruppe la costruzione di un quinto e sesto reattore nel complesso della centrale nucleare di Chernobyl. A seguito di lunghe trattative internazionali l’intero complesso fu chiuso il 12 dicembre 2000.

Conseguenze sanitarie

 


• Quando i nuclei di uranio (U-235) vengono scissi in un reattore nucleare, risultano vari prodotti di fissione. In termini di nocività i più significativi sono lo iodio 131, il cesio 137,  lo stronzio 90 e il plutonio 39. Tali elementi si diffondono per nebulizzazione (particelle di polvere nell’aria) e possono essere inalati, si possono depositare sul terreno tramite la pioggia e l’acqua e  possono entrare nella catena alimentare attraverso le piante.

• Lo iodio 131, il cesio 137, lo stronzio 90 e il plutonio 239 sono elementi radioattivi instabili soggetti a decadimento; questo processo produce nuovi elementi e rilascia energia sotto forma di radiazione. Quando le cellule del corpo vengono sottoposte a tale radiazione si verifica una produzione di particelle instabili estremamente reattive dette radicali liberi. Tali radicali liberi, o ioni, possono pregiudicare la funzionalità cellulare. Può quindi verificarsi un danno a livello del DNA nel nucleo delle cellule che porta le informazioni genetiche relative a replicazione, struttura e funzione cellulare.  È stato provato scientificamente che tale danno al DNA può causare il cancro e altre anormalità genetiche. Ad eccezione del cancro, ad oggi non esiste un consenso scientifico generale relativamente al tipo di malattie che possono essere causate da bassi livelli di radiazioni.

• Una dose di radiazione superiore a 0,5 sievert (Sv) è considerata alta. Al di sopra di questa soglia gli effetti dannosi si manifestano subito o al massimo dopo pochi giorni. Il sistema immunitario si indebolisce, si verificano cambiamenti a livello dei conteggi ematici e danni a livello del tratto digerente, dei polmoni, di altri organi interni e del sistema nervoso centrale. Secondo gli specialisti in medicina delle radiazioni, ad un assorbimento di dosi comprese tra 1 e 2 Sv e superiori, corrisponde un tasso di mortalità del 20%.

• Secondo l’opinione generale almeno 1.800 tra bambini e adolescenti delle aree più gravemente contaminate hanno contratto il cancro della tiroide a causa del disastro del reattore. Si teme che, nei decenni a venire, il numero di casi di cancro della tiroide tra le persone che al tempo dell’incidente erano bambini e adolescenti raggiungerà 8.000. Tale cifra è apparsa nel rapporto pubblicato nel gennaio 2002 da una delegazione di esperti del Programma di Sviluppo delle Nazioni Unite (PSNA) e del Fondo delle Nazioni Unite per l’Infanzia (UNICEF).  Secondo una stima dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (WHO) tuttavia, tale cifra corrisponderebbe a 50.000. Lo specialista tedesco in medicina delle radiazioni ed esperto di Chernobyl, Professor Edmund Lengfelder dell’Otto Hug Strahleninstitut di Monaco, che dal 1991 ha diretto un centro sulla tiroide nella Bielorussia, ritiene che ci possano essere fino a 100.000 altri casi di cancro della tiroide in tutte le fasce di età.
• Vi è inoltre consenso a livello internazionale relativamente ad un aumento dell’incidenza di cancro della mammella quale conseguenza diretta dell’incidente. Gli scienziati bielorussi e russi predicono anche un aumento dei tumori urogenitali e del cancro del polmone e dello stomaco, sia tra i “liquidatori” che in generale tra la popolazione delle aree gravemente contaminate. Tale previsione è appoggiata dagli specialisti che si occupano di cancro di altri paesi.

• Secondo il rapporto presentato a Kiev nel marzo 2002 dall’agenzia del governo dell’Ucraina, Chernobyl Interinform, della popolazione ucraina di tre milioni esposta alle radiazioni, l’84 per cento è registrato quale affetto da malattia. Tale percentuale include un milione di bambini. Secondo i dati più recenti del Comitato governativo bielorusso su Chernobyl a Minsk, il tasso medio di mortalità tra gli abitanti dei territori contaminati è superiore rispetto alle aree non contaminate.

TORNA ALL'ELENCO

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Beslan 

L’attacco alla scuola di Beslan si inquadra nel contesto del conflitto ceceno. I sequestratori richiedevano il ritiro delle truppe russe dalla Cecenia, il rilascio dei detenuti ribelli e le dimissioni del presidente russo Putin. Le loro richieste non furono accettate. Il sanguinoso epilogo del sequestro è costato la vita a 394 ostaggi e il ferimento di 704. Più della metà delle vittime erano bambini. Un’intera città è ancora oggi traumatizzata.

Il sequestro

 

Mercoledì 1° settembre 2004, ore 8,24: circa 30 donne e uomini mascherati e pesantemente armati entrano con la forza nella Scuola secondaria N° 1 In questo momento, nell’edificio scolastico sono presenti circa 1100 persone. Vengono sparati dei colpi: restano uccisi 12 adulti.

 

Più tardi, si sente una scarica di colpi proveniente dalla scuola. I terroristi, decisi e determinati (alcuni di loro indossano cinture esplosive) costringono gli ostaggi ad entrare nella palestra.

Ore 9,49: si stabilisce il primo contatto telefonico con i sequestratori, che minacciano di far saltare la scuola se la polizia, che nel frattempo ha formato un cordone di sicurezza intorno al terreno della scuola, deciderà un’irruzione nella palestra. Tuttavia, nella confusione, circa cinquanta ostaggi riescono a fuggire.

Più o meno contemporaneamente, il presidente russo Vladimir Putin interrompe le vacanze sul Mar Nero e torna a Mosca.

Ore 13,58: i sequestratori minacciano di uccidere 50 ostaggi per ognuno dei loro eventualmente ucciso in un attacco delle forze di sicurezza. Le autorità locali decidono di escludere l’uso della forza per non aggravare la situazione degli ostaggi, molti dei quali sono stati incatenati ad esplosivi; viene deciso di negoziare. Le trattative, però, si dimostrano molto difficili. Tra l’altro, i sequestratori rifiutano categoricamente di concedere agli ostaggi cibo ed acqua. La palestra è diventato un ambiente caldissimo. Alcuni ostaggi si svestono lasciandosi addosso solo gli indumenti intimi, altri bevono la propria urina per alleviare la sete.

Giovedì: la situazione resta immutata. A New York, il Consiglio di sicurezza dell’ONU ha già richiesto “l’immediato e incondizionato rilascio di tutti gli ostaggi dell’attacco terroristico”. Il presidente degli Stati Uniti George Bush offre qualsiasi forma di assistenza eventualmente necessaria.

Ore 12,06: il presidente Putin dichiara alla televisione che l’attacco di Beslan è mirato contro la Russia stessa. Respinge l’uso della forza per liberare gli ostaggi.

Ore 14,44: tre madri sono rilasciate insieme ai loro bambini; mezz’ora dopo vengono rilasciate altre undici donne e quindici bambini.

Poco tempo dopo, si sentono due esplosioni nei pressi della scuola. Si alza un fumo nero. Il tetto della palestra crolla. 26 ostaggi, madri con i loro bambini, riescono comunque a fuggire.

Venerdì, ore 01,00: all'interno dell'edificio scolastico, è possibile udire altre esplosioni. Alle 9,00 le autorità annunciano che i sequestratori hanno ucciso 20 uomini.

Ore 13,00: viene consentito a personale paramedico di recuperare alcuni corpi; di nuovo si sentono varie esplosioni. 30 donne e bambini riescono a scappare in circostanze rischiose. Contro di loro partono alcuni spari. I soldati rispondono al fuoco.

Nemmeno tre quarti d’ora dopo, alcuni dei sequestratori cercano di fuggire, facendosi strada attraverso le case adiacenti. Vengono inseguiti dai soldati. Contemporaneamente, senza ordini chiari, le forze speciali russe assaltano l’edificio in modo piuttosto scoordinato. Le sparatorie si intensificano. Nel caos, molti ostaggi riescono a fuggire dalla breccia in una parete dell’edificio, fatta saltare in aria dalle forze di sicurezza. Alle 15,17 tutti gli ostaggi vivi hanno lasciato l’edificio.

Alle 17 circa, la situazione è tornata alla calma. Si recuperano i morti nell’edificio scolastico,  per la maggior parte nella palestra.

Le vittime

 

Quasi ogni casa di Beslan è in lutto per qualcuno. La città è sotto shock; la gente è paralizzata dal dolore, dalla rabbia e dalla disperazione. Molti bambini testimoni dell’attacco sono ancora traumatizzati. Dai fatti del settembre 2004, la Chiesa ortodossa russa, il Soccorso d’emergenza tedesco per i bambini e altre organizzazioni stanno cercando di aiutare le vittime a convivere con il dolore e il lutto, a guardare oltre l’orrore e a cercare di condurre di nuovo una vita normale.

 

Il presidente russo Putin ha effettuato solo una breve visita a Beslan: è sembrata più un’occasione per farsi fotografare che una visita di condoglianze. Nelle sue dichiarazioni a Beslan ha ribadito la linea dura: saranno adottate misure più severe contro il terrorismo ceceno; non è possibile negoziare con chi assassina i bambini; non una parola sul contesto da cui è sorto il sanguinoso sequestro.

I sequestratori

 

I sequestratori erano terroristi islamici appartenenti all’unità Rijadus-Salichin di Shamil Basayev. Basayev, l’uomo più ricercato della Russia, ha in seguito ammesso il sequestro di Beslan e si è assunto anche la responsabilità di ulteriori atti di terrore.

 

Non si trattava della prima azione terroristica collegata al conflitto ceceno. Nell’ottobre 2002, i terroristi avevano preso in ostaggio 800 persone al teatro Dubrovka di Mosca. Tra i sequestratori vi erano molte donne che avevano perso il marito nella guerra cecena, le cosiddette “vedove nere”, che portavano addosso materiale esplosivo. Gli ostaggi furono liberati solo dopo un discutibile assalto con il gas. Il blitz costò la vita a molti terroristi ma anche a 129 ostaggi.

 

In precedenza, vi erano state altre azioni: dieci persone morte in una stazione della metropolitana di Mosca e bombe fatte esplodere da kamikaze su due velivoli passeggeri, provocando la morte di 89 persone.

 

Nel dicembre 2002, si registrarono nuovi episodi di terrore: 70 persone morirono nell’esplosione in un edificio governativo; a maggio 2003, 60 persone furono uccise in un attacco con esplosivo a Znamenskoye, nella Cecenia del Nord.

Il manipolatore

 

Shamil Salmanovitch Basayev è nato nel 1965 a Vedeno, nel Caucaso ed è rimasto fedele alla tradizione familiare: dopo la rivoluzione di Ottobre del 1918, suo nonno aveva combattuto per un emirato caucasico indipendente. Dopo il servizio militare, il nipote lavorò nelle forze armate sovietiche, dove fu presumibilmente addestrato per missioni speciali di sabotaggio in una fattoria collettiva vicino Volgograd. Non essendo stato ammesso a frequentare i corsi di legge, nel 1987 iniziò a studiare ingegneria civile, ma un anno dopo interruppe gli studi a causa dei risultati scadenti.

 

Nell’agosto 1991, durante il colpo di stato contro Michail Gorbaciov, Basayev, armi alla mano, era saldamente dalla parte di Boris Yeltsin, difensore della “Casa Bianca” di Mosca. Tuttavia, dopo il crollo dell’Unione Sovietica, divenne un separatista ceceno. Fece il suo addestramento terroristico in Pakistan e poi in Afghanistan. Dopo aver perso a favore di Dzhokhar Dudayev le elezioni presidenziali del 1991, nel novembre dello stesso anno dirottò un velivolo passeggeri sovietico in Turchia e combattè contro la Georgia nella lotta abkhaziana per l’indipendenza. Fu ritenuto responsabile dell’uccisione di migliaia di civili georgiani.

Nella prima guerra cecena, divenne un eroe della lotta per la libertà, accanto a Aslan Maskhadov, che vinse contro di lui le elezioni presidenziali del 1997. Basayev perse la parte inferiore della gamba nel 2000 mentre fuggiva da Grozny assediata. È un Wahabi, la forma più militante dell’Islam ed ha due mogli. Per un breve periodo ha tentato di instaurare una teocrazia islamica indipendente nei vicino Dagestan. Si ritiene che Basayev abbia ancora stretti contatti con i servizi segreti e nell’esercito russi: questo spiegherebbe come sia riuscito finora a sfuggire all’arresto

Il conflitto ceceno

 

Quando, nel 1991, la Cecenia dichiarò la propria indipendenza, l’autoproclamatosi presidente Dzhokhar Dudayev respinse un trattato di federazione con la Russia. Di conseguenza, Mosca sostenne gli avversari di Dudayev. Nonostante le proteste internazionali, nel dicembre del 1994, 40.000 soldati russi marciarono sulla Cecenia. Dopo qualche mese circa l’80% del territorio ceceno era sotto il loro controllo, compresa la capitale Grozny. 

 

Nacque quindi la guerriglia. Tra le altre azioni, i ribelli, guidati da Shamil Basayev, occuparono un ospedale a Budyonnovsk nella Russia meridionale uccidendo 100 ostaggi. Mosca fu costretta ad accettare le richieste dei terroristi per evitare ulteriori spargimenti di sangue: strinse un accordo che condusse alla fine delle ostilità in Cecenia. I ribelli promisero di consegnare le armi. Tuttavia, 6.000 soldati russi restarono di stanza in Cecenia e, alle persecuzioni dei combattenti per la libertà, ripresero le azioni contro la popolazione civile.

Il cessate il fuoco non resisté perché, poco dopo, i ribelli si vendicarono delle gravi violazioni ai diritti umani commesse dall’esercito russo e costantemente condannate anche dall’opinione pubblica internazionale. Gli atti di terrorismo proseguirono nell’ambito della lotta per l’indipendenza.

Dopo la morte di Dudayev, nell’aprile 1996 (fu ucciso da un missile russo), il nuovo capo del governo di transizione, Aslan Maskhado, concluse un’ulteriore tregua che ottenne l’effettivo ritiro delle truppe russe; Maskhadov, che nel frattempo era stato eletto capo di stato, firmò un trattato di pace nel maggio 1997, che  tuttavia non chiarì a sufficienza la situazione politica della Cecenia.

La situazione rimase instabile. Proseguirono gli episodi di sequestri e uccisioni. Neanche lo stato di emergenza riuscì ad ridurre la tensione. Le unità russe invasero di nuovo la Cecenia nell’estate 1999. Il presidente Maskhadov passò alla clandestinità e si unì ai ribelli. Nel marzo 2005 è stato ucciso dall’esercito russo in un’”operazione speciale”.

L’inizio della seconda guerra del 1999 diede nuovo impulso all’ondata di terrorismo, che si concentrò principalmente su Mosca e altre città russe. L’aviazione russa compì attacchi di rappresaglia sulle città cecene; l’esercito assediò la capitale Grozny, già praticamente distrutta, occupandola nel gennaio 2000. Il saccheggio da parte delle forze armate russe e dei banditi ceceni erano all’ordine del giorno e i pozzi di petrolio furono distrutti. La situazione dei rifornimenti si deteriorò rapidamente, provocando una catastrofe umanitaria con centinaia di rifugiati nella vicina Inguscezia.

Da allora Grozny è in rovina. La politica russa di occupazione non ha ancora portato ad una soluzione. Nello stesso tempo, Mosca considera finita la guerra (ufficialmente definita una campagna antiterrorismo). L’esercito e le forze speciali continuano comunque a combattere i ribelli con immutata crudezza. Le organizzazioni di diritti umani parlano di genocidio mirato.

È stato emanato un decreto che ha posto la repubblica di Cecenia sotto il governo diretto del Cremlino. I resoconti sul numero di vittime provocate dal conflitto sono contraddittori: si pensa che abbiano perso la vita 250.000 persone. La maggior parte dei politici occidentali non si pronuncia davanti alla politica russa in Cecenia; in Russia le notizie sono sottoposte a censura.

TORNA ALL'ELENCO

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Rasputin

Il famoso monaco russo ricopre una straordinaria posizione nella storia degli ultimi giorni dell’Impero Russo. Il contadino siberiano famoso per il suo oscuro magnetismo animale diventò una delle figure più influenti della corte reale durante la prima Guerra Mondiale

Farabutto o mistico?

 

Grigory Yefimovich Rasputin nacque il 10 gennaio 1896 nel paese rurale di Pokrovskoe in Siberia, lontano dai saloni scintillanti della famiglia imperiale di San Pietroburgo. Da bambino Rasputin ebbe visioni di forze divine e poteri magici di guarigione che gli permettevano di curare un cavallo solo toccandolo. Sebbene non fosse in grado di compiere guarigioni miracolosi, durante l’adolescenza si guadagnò il nome di Rasputin (che significa “depravato”) a causa del suo comportamento sessuale licenzioso.

 


Ora dei 30 anni Rasputin era sposato con quattro figli. Tuttavia la sua propensione per il bere e il furto di cavalli era in netto disaccordo con una vita domestica convenzionale. In quel periodo, a seguito di accuse di furto di cavalli, lasciò il paese per rifugiarsi in un monastero dove avvenne la conversione religiosa che avrebbe poi dato forma al resto della sua vita.


A seguito delle esperienze spirituali Rasputin abbandonò il suo villaggio per diventare uno ‘strannink’ (pellegrino o nomade) e viaggiare per tutta la Russia e all’estero. Nel corso di questi viaggi Rasputin non si lavava e non si cambiava gli indumenti per mesi interi e le catene di ferro che indossava intensificavano ulteriormente la suo penitenza. Questi ardui pellegrinaggi religiosi  lo portarono al Monte Athos in Grecia e lo aiutarono ad acquisire patroni influenti, tra i quali ‘Hermogen, vescovo di Saratov’.


Nel corso di queste peregrinazioni, Rasputin fu influenzato dai Khlysty, una setta eretica fuorilegge dedita alla flagellazione e alle orge sessuali. La bizzarra combinazione di devozione e promiscuità sessuale di questa setta affascinarono il ‘depravato’ e formarono le basi della successiva pratica religiosa di Rasputin. La nozione secondo la quale commettendo deliberatamente dei peccati carnali e pentendosene poi in modo più fervente un individuo potesse avvicinarsi maggiormente a Dio, non l’avrebbe mai abbandonato.

Potere e fama

 

Con il diffondersi della fama di Rasputin (nel corso dei suoi viaggi fece impressione sia su aristocratici che su membri del clero) accrebbe anche l’intensità delle sue visioni. In un’occasione la Vergine Maria gli comparve e lo incitò a recarsi a San Pietroburgo ad aiutare la famiglia reale. Nel 1902 Rasputin si avvicinò per la prima volta alla capitale quando visitò la città di Kazan, vicino al fiume Volga. Rapidamente cominciò a formare un gruppo composto da discepoli e conoscenze tra le classi più alte. Ignorando i suoi occhi ipnotici da folle, la sua lunga barba incolta e la sua dubbia igiene personale la ‘buona società’ vedeva in Rasputin uno ‘starets’ (uomo santo).

 


L’ora della sovversione
Ora del 1903 era giunta voce a San Pietroburgo dell’esistenza di un potente mistico siberiano dagli occhi luminosi e selvaggi e dallo sguardo folle. Sembra che Rasputin abbia scelto il momento giusto per fare il suo ingresso nell’alta società: a quel tempo San Pietroburgo era in preda ad un misticismo febbrile, oltre ad essere un luogo di grande permissività sessuale (persino i giornali erano pieni di pubblicità di cure per le malattie veneree). L’aristocrazia era inoltre appassionata di tutto quanto riguardasse l’occulto e le sedute spiritiche e le tavolette per le comunicazioni medianiche erano estremamente diffuse.


Nel 1905 Rasputin incontrò poi un teologo che era il capo di un’accademia religiosa e il confessore della Zarina (Imperatrice) Alexandra Fyodorovna. Grazie al sostegno di alti funzionari della chiesa e di due sorelle dai capelli neri, conosciute come “i corvi”, che avevano influenze nel fornire mistici alla corte, Rasputin fu presentato a corte. Nel passato era una tradizione della famiglia reale russa ricevere uomini santi al fine di richiedere il loro intervento per svariati motivi, particolarmente per assicurare la nascita di un erede maschio al trono russo.


L’amante della regina russa
Lo Zar Nicola II riportò nel suo diario il loro primo incontro, avvenuto il 14 novembre 1905: “Abbiamo conosciuto un uomo di Dio, Grigory, proveniente dalla provincia di Tobolsk.”  Avendo sempre successo con le donne, Rasputin fece colpo anche sulla Zarina (Imperatrice) Alexandra Fyodorovna, la quale fu immediatamente convinta dei suoi poteri quando il monaco riuscì ad alleviare le sofferenze e le crisi ematiche del figlio emofiliaco Alexis Nikolayevich, l’erede al trono di Russia. Una volta provati i suoi poteri ad Alexandra, Rasputin ne diventò presto il confidente e il consigliere personale, facendole visita a palazzo tutte le settimane.

La Città del Diavolo
Mentre Rasputin veniva curato in ospedale dalle ferite inflittegli dalla donna inviata da Illiodor, lo Zar Nicola mobilitò le truppe per combattere nella Prima Guerra Mondiale, una mossa che si rivelò una catastrofe per il paese e che causò quattro milioni di vittime tra i russi. Una volta tornato a San Pietroburgo e in assenza dello Zar, Rasputin assunse un potere politico sempre più influente, al punto da essere coinvolto nell’assunzione e nel licenziamento di ministri. L’influenza diretta che Rasputin aveva sulle decisioni dello Zar significò che il mistico siberiano venne incolpato a tal punto dei problemi che affliggevano la Russia che San Pietroburgo diventò conosciuta come ‘Chertograd’, o ‘Cittá del Diavolo’.

 


Una morte prevista 
Nel dicembre del 1916 Rasputin scrisse una lettera allo Zar in cui prediceva il suo omicidio. Dei potenziali colpevoli disse: “Se i tuoi parenti fossero i responsabili della mia morte, allora nessun membro della tua famiglia, cioè nessuno dei tuoi figli o dei tuoi parenti rimarrà vivo per più di due anni. Saranno uccisi dai russi…io stesso sarò ucciso. Non sono più tra i vivi. Prega, prega e sii forte, pensa alla tua famiglia sacra.”
23 giorni dopo Rasputin fu ucciso da due parenti dello Zar Nicola II; 19 mesi dopo la morte di Rasputin lo Zar e la sua famiglia furono uccisi dai rivoluzionari bolscevichi. Al tempo di questa agghiacciante profezia Rasputin aveva già conosciuto il Principe Felix Yusupov, il marito bisessuale della nipote dello Zar, Irina. Yusupov, così come anche il cugino dello Zar, il Granduca Dmitry Pavlovich e il politico Vladimir Purishkevish volevano Rasputin morto. Insieme i tre complottarono per uccidere Rasputin e ripristinare la dinastia reale.


Torta e vino
La notte del 16 dicembre 1916, Rasputin fu invitato da Yusupov al Palazzo Moika con la scusa che Irina (che si diceva fosse la donna più bella di San Pietroburgo) desiderava conoscerlo. Mentre attendeva di incontrare la donna, gli uomini offrirono a Rasputin vino e torta avvelenati con cianuro. I cospiratori rimasero sbigottiti dal fatto che Rasputin sembrava essere immune al veleno. Spinto alla disperazione Yusupov tirò fuori la pistola e sparò a Rasputin.
Miracolosamente Rasputin riuscì a trascinarsi nel cortile, dove Purishkevich e Pavlovich stavano preparandosi a lasciare il palazzo. Purishkevich allora gli sparò nuovamente: i due uomini poi lo percossero, lo legarono e lo gettarono quindi nel fiume Neva. Quando, due giorni più tardi, il corpo di Rasputin fu rinvenuto l’autopsia rivelò la presenza di acqua nei polmoni, a conferma del fatto che l’uomo era ancora vivo quando venne gettato nel fiume.
La fine sanguinosa di Rasputin segnò l’inizio della fine per lo Zar Nicola e la Zarina Alexandra: a soli dieci giorni dalla morte del monaco l’ultima dinastia dei Romanov venne destituita dalla Rivoluzione Russa del 1917. Meno di due anni dopo, Nicola e l’intera famiglia vennero giustiziati in Siberia da un plotone di esecuzione.
Quasi un secolo dopo, la domanda rimane aperta: Rasputin era davvero in grado di compiere miracoli oppure era solo uno scaltro manipolatore? Contadino incompreso o diavolo incarnato, la storia oscura di Rasputin continua a sopravvivere fino ai giorni nostri.

Rasputin: I fatti

TORNA ALL'ELENCO