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| FAILTè Nà GAELTHACH | ||||||||||||
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| Il sistema di dire il maggior male possibile degli avversari, e di descriverli simili a belve feroci, per destare odio e terrore verso di loro, ma soprattutto per invogliare a combatterli, è un uso molto antico. Occorre inoltre tenere presente che, quanto più è terribile il nemico, tanto maggiore è la gloria del vincitore Negli scritti degli autori Latini troviamo le più terrificanti descrizioni dell'aspetto e degli usi e costumi dei popoli che risiedevano al di la delle Alpi, e che i Romani riuscirono nella loro storia a sottomettere. Tuttavia, benché un poco "caricate" nelle tinte, le descrizioni sono le uniche che ci permettono di conoscere oggi i costumi di quei popoli. Giulio Cesare stesso che combattendoli, ebbe modo di conoscerli a fondo e lo storico Tacito, sono i più noti fra questi scrittori. Utili notizie si ricavano anche dall'osservazione delle sculture con cui i romani ornavano archi e colonne per celebrare le loro vittorie; illustrando gli episodi,gli artisti rappresentavano spesso abitazioni, attrezzi, usi e costumi di quelle genti. Si trattava spesso di combattenti fin troppo temerari, sempre pronti a menare le mani per difendere il proprio onore e per dimostrare il loro coraggio. In effetti anche dopo che i romani riuscirono a sottometterli, un gran numero di Celti non rinunciò alla passione per le armi, andandosene in giro per il mondo a offrire i propri servigi a chi aveva bisogno di gente risoluta. Si trattava di mercenari, apprezzati dai monarchi orientali, i quali, quando si approssimava una guerra ne assoldavano a migliaia | ||||||||||||
| DRUIDS |
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| Una delle più forti personalità del nostro secolo era un druido, Winston Churcill, che nel 1908 entrò a far parte della “Albion Lodge of the Ancient Order of the Druids”. Durante l’epoca classica, infatti i druidi avevano suscitato l’ammirazione di molti personaggi illustri. Aristotele ad esempio, li definì inventori della filosofia ed ebbe parole di lode per le loro teorie sull’origine e la fine dell’uomo. Cicerone ne parlò con grande ammirazione, sottolineando in particolare le loro capacità profetiche. Per i Celti la realtà era un’entità profonda e sottile al tempo stesso, un’essenza che permeava tanto l’aldiqua, che l’aldilà, il sovrapporsi e l’intersecarsi di almeno tre mondi, quello degli uomini, quello degli inferi e quello degli Dei e degli Eroi. Mentre gli altri popoli cercavano di conquistare la natura i celti vi si abbandonavano. In questo modo venivano denominati gli antichi sacerdoti che costituivano in Gallia, Britannia e Irlanda una delle principali classi della società celtica. In realtà i druidi erano i veri capi della tribù celtica, assai più dell’“assemblea dei guerrieri liberi” ,assai più dello stesso “Brenno”. Druido significava forse “conoscenza della quercia”, cioè conoscenza dell’albero sacro per eccellenza, e dei segreti delle innumerevoli divinità. I druidi non erano solo sacerdoti, ma anche legislatori, o almeno gli interpreti degli Dei e degli Eroi, la sapienza antica delle erbe era in loro potere oltre agli incantesimi. Erano, per un popolo che praticamente non usava la scrittura, la “biblioteca” vivente dei Celti. Erano coloro che sapevano interpretare il futuro, il destino dell’uomo, la volontà degli Dei.Erano onorati soprattutto quelli che vivevano, non presso il tempio del villaggio, ma i “sepolti” nel mistero delle alte e impenetrabili foreste, tra le sacre querce e gli animali altrettanto sacri, quali cervi,cinghiali,e l’anitra selvatica. Plinio il vecchio diceva a proposito dei druidi” essi non compiranno alcun rito senza la presenza di un ramo di questo albero (quercia) al punto che sembra possibile che derivino il loro nome proprio da questo”. Quercia in Greco si dice Drys, in Gallico Dervo, in gaelico Daur in gallese Derw, è innegabile una certa analogia . Ma a ben vedere l’origine del termine Druides usato da Cesare nel “de bello gallico” non può che trovarsi nell’antico celtico Druwides, forma composta da un accrescitivo DRU(fitto, forte) e da WID, derivante dall’indoeuropeo significante “vedere” e “sapere”. I Druidi sono quindi i “molto veggenti”, i “molto sapienti”. Va detto anche che il termine albero in celtico si dice VIDU, che ricorda WID, albero e sapere sono dunque in gallico almeno foneticamente vicini, quindi i druidi sono anche profondi conoscitori degli alberi. Il mondo vegetale è quindi il mondo dei druidi, essi si ritirano in selve impenetrabili e svolgono i loro riti nei NEMETON, radure sacre al centro di foreste cariche di mistero. Conoscono le proprietà delle erbe e piante e le utilizzano per guarire o per infliggere la morte ai nemici. Erano infine i depositari della civiltà e della cultura, venivano quindi scelti tra i figli dei re e dei nobili quindi poi addestrati assai severamente. Gli antichi uomini sacri dei celti, trasmettevano agli aspiranti alcune informazioni frammentarie su un dato argomento e poi lasciavano che fosse l’intuizione individuale a far emergere alla coscienza le nozioni profonde da apprendere. Essi insegnavano tali conoscenze nelle radure delle vaste foreste Europee, le sussurravano negli incontri alla luce dei fuochi coperti dalle note dei canti lamentosi, lo narravano tre le pieghe di intrecciati racconti di miti, lo facevano intuire durante le cerimonie rituali e le feste del fuoco ma soprattutto lo esprimevano tramite i giochi, le battaglie, l’organizzazione sociale, le poesie, le forme artistiche di pietre e metalli e anche nella celebrazione dei matrimoni. I Druidi ebbero grande influenza politica, soprattutto in senso anti-romano, nonostante i ripetuti tentativi di questi ultimi per combatterli e farli sparire. I Druidi mantennero la loro influenza per molti secoli soprattutto in Irlanda e in alcune parti della Britannia. I Druidi non lasciarono nulla di scritto, tutto era imparato a memoria e quindi tramandato oralmente. La maggior parte della civiltà, cultura e sapienza Celtica scomparve così con loro.Per Cesare, nei suoi “Commentari” druidi e cavalieri erano le classi che tra i celti sovrastavano di gran lunga tutte le altre. Alcuni dicono che addirittura avessero più potere dei re, ma probabilmente andrebbe detto che come in seguito nella storia tra i celti vi erano due grandi poteri, quello spirituale e quello temporale.Vi era comunque un periodo nel quale ai druidi veniva attribuito l’insindacabile potere di arbitrato e giudizio, ciò avveniva durante la loro assemblea generale che si svolgeva una volta l’anno, e per quanto riguarda la gallia avveniva nel territorio dei Carnuti. Non si hanno notizie sicure sul luogo ma si pensa nella zona di Orleans. Era proprio l’assemblea dei druidi presieduta da un supremo sacerdote esercitante una autorità pressoché assoluta che provvedeva a dirimere le contese e a sancire quali fossero i comportamenti giusti e quali quelli da condannare. In questa occasione i celti dimenticavano le loro divisioni e si riconoscevano quale unico popolo legato ad una stessa cultura. Gli studiosi hanno identificato più di 380 Dei diversi i quali però per la maggior parte erano magari venerati da una sola tribù, mentre i sacrifici che si tenevano durante l’assemblea erano dedicati solo alle divinità per cosi dire maggiori, ossia riconosciute da tutti. Il ruolo del concilio dunque era quello di riaffermare l’unità della fede e una sorta di coscienza superiore a tutte le divisioni. Potrebbe sembrare che i celti fossero politeisti, ma le varie ricerche hanno ben definito che come per noi i santi, loro vedevano una unica entità divina che tutto anima, e le varie manifestazioni locali definite con i vari nomi servivano ai druidi quale sostegno pratico alla fede per i più semplici di spirito. Come detto un altro loro ruolo fondamentale era quello di istruire ed educare le nuove generazioni. Appare di fatto certo che tutti i giovani rampolli dell’aristocrazia celtica dovessero attenersi ad un periodo di studi dei quali non conosciamo la durata. I pochi che proseguivano nel sacerdozio avevano di fronte un ciclo severo di studi di circa venti anni, nel corso dei quali avrebbero dovuto imparare a memoria lo sterminato numero di versi di cui era composto il sapere della loro civiltà. | |||||||||||||
| BARDI | |||||||||||||
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Dal Latino Bardus, presso i popoli Celti e Germani, erano poeti che solevano cantare, accompagnandosi con una specie di Arpa, argomenti storici e religiosi, fatti eroici e battaglie leggendarie. Essi sono il punto di riferimento per il Clan. Esiste una gerarchia, con al livello più alto il capo bardo responsabile di sorvegliare i futuri bardi. La sua posizione è grande, il suo posto nella stanza degli eroi ne è la conferma, alla destra del capo stesso, una posizione di prestigio tra gli uomini. La gente era molto onorata di ricevere la visita del capo bardo, il quale riceveva sempre un dono, in genere la cosa migliore da donare. LA FORMAZIONE DEL BARDO La sua formazione richiede vari esercizi e requisiti, uno dei principali è quello di imparare a suonare ed essere un tuttuno con l’Arpa. Un’altra parte della formazione del bardo è la memorizzazione della storia, dei miti e delle leggende in tutti i loro dettagli. Quando qualcosa viene scritto, non fa più pienamente parte di te, solo quando fa invece parte di te può aiutarti a viverla più intensamente. Il vero dono del bardo è quello di creare un’atmosfera che trascenda le parole. Il requisito più grande era la sua effettiva realtà, la Verità. Tra tutti questo era davvero il più grande valore dei celti. LA MUSICA E I TESTI Il bardo ha il potere di sentire le emozioni anche interiori del clan, e ne da un resoconto anche storico e delle discendenze, possibilmente toccando il cuore di chi ascolta. Egli canta sia il trionfo che la disperazione, recita poemi di incoraggiamento nelle ore del bisogno e sfreccia invece parole satiriche al nemico.Non sapremo mai quale musica suonassero sulle loro piccole arpe, ma l’arpa diffonde ancora il suo magico suono in tante danze e ballate. Grazie proprio alla musica, inoltre si tramandano lingue e dialetti come il Gaelico, il Bretone e lo Scozzese, che altrimenti sarebbero rimasti dei fenomeni puramente letterari, appannaggio di studiosi e accademici.La poesia dei bardi è una poesia della memoria, che canta la vita e l’onore degli eroi. Arte creata per ricordare che tutti noi siamo l’insieme di piccoli e grandi fatti, delle gesta di chi ci ha preceduto e che una comunità umana non vale ne più ne meno della somma del valore dei suoi membri. Questa è quindi una poesia della dignità della fede e dell’onore, ma anche del realismo più cinico che sa vedere e riconoscere le piccolezze umane.L’epica eroica tende ad assicurare ai componenti delle famiglie e ai discendenti un alto onore sociale. Al contrario la satira descrive la discendenza con disonore e vergogna colpendo anch’essa le generazioni future. Quindi si evince il potere del bardo che riesce ad avere effetti non solo nel momento in cui egli vive, ma grazie alle sue storie tramandate anche successivamente alla sua morte. I BARDI ALLA GUERRA Non ci può poi essere alcuna vendetta contro i Bardi e i Druidi, sono al di fuori e al di sopra di ogni punizione umana, questa protezione ha effetto anche sul campo di battaglia, un uomo con l’arpa doveva essere immune da qualsiasi colpo. Ogni tribù o fazione aveva un bardo, che la incitava in battaglia, ricordando precedenti vittorie e conquiste, dipingendo immagini di prodezze e invulnerabilità, spronando a superare dolore e mutilazione. Lo spirito celtico allora si innalzava nell’ardore della battaglia. L’ARPA L’arpa è uno strumento sacro il cui simbolismo racchiude l’intero sistema celtico.E’ possibile usare l’arpa di Pagoda a quattro angoli, per la quale un nome era Uaithne, nel cui interno si può vedere il Diamante verde dove giace tutta la base del sistema guerriero dei celti. L’arpa era inoltre conosciuta come arpa dell’armonia, era fatta di legno di quercia anche se questa pianta ne simbolizzasse il Re, la mascolinità e l’ordine. Un altro suo nome era “Dolce mela sussurrante”, essendo la mela il simbolo della conoscenza dell’aldilà e dell’intuizione femminile di ogni cosa. L’arpa è uno strumento mediante il quale si può raggiungere la conoscenza e la percezione dell’intuito LE NASCITE E I FUNERALI Fondamentale diventa la sua presenza a tutte le nascite e a tutti i funerali. Per uno spirito è necessario udire la poesia come primo suono quando entra in un nuovo corpo,per armonizzarsi con il nuovo mondo di cui è entrato a far parte, per la poesia è il linguaggio dello spirito. Era inoltre obbligo del bardo recitare un elogio al funerale per dimostrare rispetto alla famiglia in questione e ringraziare la “madre” per il corso della vita del defunto. Oltra al canto funebre di tre giorni da parte dela famiglia, vi era una celebrazione in onore del morto per dare un saluto allo sprito che abbandona il corpo. Non si portava il lutto, il defunto era ora sulla via di una nuova impresa, una rinascita, non vi è motivo di disperarsi, fa tutto parte del Grande Ciclo. CHE FINE HANNO FATTO All’opera di questi cantori(che in dialetto Sassone occidentale erano chiamati “Scopas”) è in parte dovuta la poesia Anglosassone pervenutaci attraverso le trascrizioni e le modificazioni dei chierici cristiani. Scomparsi dalla Gallia dopo la conquista romana, i bardi seguitarono a fiorire in Irlanda e Scozia, ove la professione acquistò carattere ereditario e fu organizzata in modo abbastanza efficiente, tanto che dopo l’invasione Normanna del 1066, i bardi rimasero i soli depositari delle antiche tradizioni nazionali. Ma fu soprattutto nel Galles che i bardi raggiunsero il più alto livello di prestigio e autorità, perfezionando ulteriormente la loro organizzazione, della quale permanevano alcune tracce sullo scorcio del XVII secolo(1600). |
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| LINGUE CELTICHE | |||||||||||||
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Le lingue celtiche costituiscono il gruppo più occidentale di lingue della famiglia indoeuropea.Le indoeuropee sono una famiglia di lingue storiche dette anche “arie indogermaniche, indoceltiche, o arioeuropee” la cui parentela deriva da una profonda affinità di caratteri fonetici, morfologici e lessicali.Ciò che unisce i celti e li distingue è appunto oltre alla religione la lingua, la quale fornisce una sorta di unità extraterritoriale. Il gruppo celtico delle lingue indoeuropee si definisce per quattro caratteri principali: 1)Sostituzione della è con ì(Rèx con Rìx) 2) sostituzione di R e L con Ri e Li 3)Sostituzione di GW con B 4) perdita di P iniziale(Pater in Latino diviene Athir Si distinguono poi in particolare tre gruppi linguistici celti principali in altrettante zone europee: GALLICO O CONTINENTALE Ha attestazione (testimonianza) in iscrizioni e in autori classici, per nomi di persone e di luoghi(ad esempio nel “de bello gallico” di Giulio Cesare).Parlato in Gallia, Italia Settentrionale, Asia Minore e in altri piccoli insediamenti continentali GAELICO Parlato ancora oggi in alcune parti dell’Irlanda, in Scozia e nell’Isola di Man, se ne hanno testimonianze nelle scritture ogamiche. BRITANNICO Si divide a sua volta in tre sottogruppi -Gallese o Citrico=Parlato in Galles, vi sono testi letterari a partire dal XI sec DC -Cornico= Parlato nella Cornovaglia ed estinto dopo il XVIII sec. Dc -Bretone o Brettone= Ancora parlato in alcune parti dell’Armorica Francese. In questa zona fu introdotto dagli immigrati provenienti dalla Gran Bretagna a seguito dell’invasione Sassone dell’Isola. Esso si divide in quattro dialetti Lèon,Trèguier, Cornouaille, Vannes. A proposito della suddivisione del celtico parlato in Europa si può dire che, il Gaelico o Irlandese viene ancora parlato e insegnato nelle scuole d’Irlanda.Il nucleo fondamentale del lessico Indoeuropeo è rappresentato in buona parte dalle seguenti parole Irlandesi: Athir(padre) - Màthir(madre) - Brathir(fratello) - Siur(Sorella) Vi sono corrispondenze con L’Italico e il Germanico: Irlandese Iasc(pesce) Latino Piscis Tedesco moderno Fisch Sono parole di origine celtica le seguenti:Becco - Braca - Gamba - Cavallo - Gatto - Carro Numerosi sono poi i toponimi celti: Londinium(Londra) - Vindobona(Vienna) - Mediolanum(Milano) Vi sono poi quelli con l’elemento finale in “-Dunum”: Lugdunum(Lione) - Cambodunum(Kempten) E poi quelli con l’elemento “-Magos”: Rotomagos(Rouen) E infine quelli che riproducono il nome di popoli gallici come :Tricasses(Troyes)
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| SCRITTURA | |||||||||||||
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L'OGAM I Druidi non ignoravano la scrittura, ma questa era in qualche modo strettamente legata alla magia e quindi veniva utilizzata solo in casi del tutto particolari.I druidi utilizzavano questo alfabeto lineare, mai impiegato perà per la trascrizione delle conoscenze tradizionali, che per principio erano orali, ma che ben si prestava, per la sua essenzialità, ad essere inciso sui dolmen o impiegato come alfabeto muto, toccandosi con le dita alcune parti del corpo. Le scritture ogamiche in uso presso i Celti sono un tipo di scrittura del tutto originale, l’Ogham è la sacra scrittura dei celti. Questa scrittura si fondava sui tratti dell’alfabeto pelasgico, del quale, grazie ad Aristotele, sappiamo che aveva 13 consonanti e 5 vocali, le stesse dell’Ogam. Gli ogam, secondo la tradizione celtica, rientrano sotto la competenza del dio-signore dei legami Ogmè, il quale è anche il dio dell’eloquenza, letteralmente “colui che è esperto della parola”.Non solo di scrittura si trattava, ma anche e soprattutto di un sistema di conoscenza iniziatica a cui presiedeva il dio Ogmios.Non a caso veniva rappresentato come un vecchio rugoso, ammantato di una pelle di leone e adorno di sette catene d’oro, dalle quali pendono, appese per la lingua, sette teste mozze di uomo e di donna.Luciano di Samosata, che aveva a lungo visitato la Gallia, descrive dettagliatamente alcune immagini del dio e delle catenelle che i sacerdoti legavano alla sua bocca e che stavano sospese “sulla punta della sua lingua” a dimostrazione che si trattava effettivamente di una conoscenza trasmessa da bocca a orecchio.I reperti più antichi sono attestazioni epigrafiche (iscrizioni incise su tombe, monumenti ed edifici) , dal VIII sec d.c., si trovano in scrittura ogamica anche Glosse(parole di chiarificazione apposte in nota) in manoscritti latini; e dal XII sec d.c. in poi intere pagine di codici irlandesi. Esisteva poi un alfabeto legato alle piante, usato come sistema di conoscenza iniziatica detto “alfabeto degli alberi”(Vedasi calendario celtico degli alberi).Si tratta di un’alfabeto a base cinque, l’ogham, costituito da cinque vocali, cinque dittonghi, e 15 consonanti, per un totale di 25 segni.La scrittura ha per base una linea retta, o verticale o orizzontale, nel primo caso si legge dal basso verso l’alto, nel secondo da destra verso sinistra. I segni sono ripartiti in 5 gruppi: -lineette perpendicolari al rigo base, poste a destra se questo e verticale o al di sotto se è orizzontale B=1linea I=2linee F=3linee S=4linee N=5linee -Lineette perpendicolari al rigo base, poste a sinistra se questo è verticale o al di sopra se è orizzontale H=1 linea D=2linee T=3linee C=4linee Q=5linee -Lineette oblique attraversanti il rigo base M=1linea G=2linee NG=3linee Z=4linee R=5linee -Lineette perpendicolari al rigo e attraversanti il medesimo, oppure grossi punti sul rigo per le vocali A=1linea o 1 punto O=2linee o 2 punti U=3linee o 3 punti E=4 linee o 4 punti I=5linee o 5 punti -Segni supplementari per i dittonghi più complessi UI e IO= a destra o sotto il rigo base AE= a sinistra o sotto EO e OI= a cavallo del rigo |
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| ARTE | |||||||||||||
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L’arte celtica prima in seguito agli scambi commerciali e poi dopo la conquista romana si alimentò con motivi orientali (quali la palmetta e il loto) che fecero pensare per lungo tempo ad una semplice derivazione marginale dell’arte classica. La stilizzazione poi e il simbolismo portarono gli artisti celti a giocare con gli equivoci a discapito delle forme naturali. Le numerose rappresentazioni della dea Madre, le personificazioni zoomorfe, i mostri immaginari, gli animali caricaturali, gli intrecci vegetali sono soggetti ricorrenti molto più che non la realistica rappresentazione del corpo umano. Trattando figurazioni zoomorfe e vegetali, l’artista compie una deformazione sistematica, quasi si sforzasse di evitare coscientemente la rappresentazione realistica della natura. Ciò che a prima vista appare come una curata ed elegante creazione a mano libera è in realtà il risultato di una meticolosa costruzione geometrica. Nel considerare la loro arte, bisogna tener presente che i Celti non erano solo un popolo amante della natura, ma una civiltà inserita nella natura. Essi si adattarono ad esprimere la loro arte su ciò che la natura forniva loro, legno, pietra, ferro e oro, ma anche con materiali esotici quali il corallo e lo smalto rosso quest’ultimo applicato con la tecnica del bulino, vale a dire riempiendo di smalto in fusione le cavità ornamentali incise nel metallo. Poco naturalmente ci è rimasto delle travi intagliate e del mobilio, ma in generale anche dei reperti in cuoio.I soggetti preferiti dalle sculture e pitture dell’epoca sono, animali, belve, eroi-guerrieri, spesso nello schema accosciato, teste umane recise, mentre i motivi ornamentali sono di derivazione indigena”Hallstattiana” oppure orientalizzanti e greci. Le forme che oggi conosciamo come arte celtica, usate per gli intrecci, i mandala, i tessuti e via dicendo, si svilupparono e fiorirono fra il 500 e il 250 a.c. e per molti secoli, uniti alla musica caratterizzarono la cultura europea, soprattutto quella Irlandese, Bretone e Scozzese. Poi fu la conquista romana, la conversione, a volte forzata, al cristianesimo, la derisione dell’Antica tradizione da parte di ignoranti e saccenti che celarono un velo ammantato di silenzio e la triste nebbia delle persecuzioni e della derisione che quasi relegarono nel dimenticatoio la cultura celtica. V secolo a.c. Verso la seconda metà di questo secolo compaiono armi e oggetti quotidiani decorati con incisioni a compasso IV secolo a.c. Con l’inizio di questo secolo si può parlare dello sviluppo di una nuova corrente artistica detta stile Vegetale Continuo o di Waldalgesheim, dove i protagonisti divengono il viticcio e il decoro vegetale, andando a sostituire progressivamente le composizioni di semplici elementi geometrici. I signori dei metalli La Gallia è la zona più antica, o per meglio dire, la culla dell’arte Europea. Questo in seguito allo svilupparsi delle civiltà della cultura del ferro, denominate “civiltà di hallstatt” dal nome della cittadina nella cui zona fu esplorato un vasto sepolcreto di questa età. Tale civiltà si diffuse ben presto anche nel resto d’Europa. I Celti in tempo di pace, si dedicavano all’agricoltura e all’allevamento, come dimostrano i rinvenimenti degli scavi archeologici. Presso i resti delle loro abitazioni sono stati trovati parecchi arnesi per la lavorazione della terra(aratri, rastrelli ecc….) e una grande quantità di ossa di animali domestici(maiali, pecore,capre). Ma la “specilaità” per la quale acquisirono una grande fama e notorietà era l’estrazione dei minerali, tra cui la salgemma, assai preziosa nelle zone situate lontano dai mari caldi, ma soprattutto dei metalli, divenendo abili nell’arte della loro lavorazione. Le miniere venivano scavate con una tecnica assai progredita. Il cuore dell’insediamento delle varie tribù era sempre situato in prossimità di giacimenti minerari. La straordinaria abilità dei fabbri nel lavorare tanto il bronzo quanto il ferro, si rifletteva nella raffinata bellezza degli oggetti che fabbricavano. Sia uomini che donne si ornavano con monili finemente lavorati, quali collane,bracciali,fibbie ed anelli d’oro e d’argento. Si conservano numerose testimonianze della loro abilità di artigiani, sono infatti arrivati sino a noi vasi argentati(per i quali era famosa la città di Alesia) e monili d’oro, argento ferro e bronzo. Accanto alle larghe assimilazioni di motivi e ispirazioni meditterranei, si avvertono fondamentali concezioni originali con forme stilistiche ben definite, dominate dalla linea curvaScultura, pittura e ceramicaComunque particolarmente fiorente fu in gallia, anche nel periodo romano, la produzione di ceramica, che dapprima imiterà le fabbriche italiche e poi pian piano le soppianta con tecniche e motivi decorativi propri e originali.Nell’ambito della scultura, nel periodo romano accanto a quella aulica romana ufficiale, si annoverano innumerevoli opere in cui ritornano continuamente motivi e ispirazioni della tradizione indigena celtica.Scarsamente documentata è la produzione pittorica, mentre assai sviluppata è quella del mosaico con esemplari che, specie nel II e III secolo raggiungono notevoli risultati per l’ampiezza della composizione e la finezza dello stile. L’arte celtica di scolpire il legno Di legno erano soprattutto i loro scudi, che si immaginano scolpiti e molto colorati, rivestivano in legno poi i loro pozzi, inventarono la botte, costruivano secchi e vari oggetti per uso quotidiano. Quel poco degli oggetti che si è ritrovato intatto nelle torbiere e che si è per questo mantenuto ci fa capire come usassero decorare finemente questi oggetti di legno, ciò fa presupporre una interessante arte scultorea applicata al legno delle abitazioni.L’ampia gamma di attrezzi per lavorare il legno rinvenuti un po’ ovunque non lasciano dubbi circa le abilità estremamente moderne degli artigiani del legno celtici.Seghe, pialle,scalpelli,martelli,pinze, bulini, trapani….. ci parlano di una folta schiera di boscaioli, falegnami, carpentieri. IL galletto valdostanoStilizzato portafortuna attuale del tutto analogo per forma e scopo ai galletti portafortuna realizzati in terracotta o scolpiti in pietra ollare. Si trattava di prodotti destinati al commercio realizzati in gran numero, che già un paio di secoli avanti cristo venivano probabilmente utilizzati come amuleto portafortuna. L'ARTE DI FABBRICAR MONETE Merita poi un cenno l’attività numismatica che continuerà poi con vitalità e originalità anche nel periodo romano.Va notato che spesso i celti usavano raffigurare sulle monete il sole, la luna e le stelle, comprese le comete visibili in quel periodo. CROCE CELTICA Una delle forme geometriche preferite dai Celti insulari era senza dubbio il cerchio. La stragrande maggioranza dei loro edifici civili e religiosi, i loro Hillfort, Ringfort, rath e i santuari erano di pietra circolare. Presso i celti il “padrone” del sole era Lugh”il luminoso”, l’”inventore di tutte le arti” il principe degli dei,la sua insegna cosmica il sole raggiante, il suo simbolo iconografico il cerchio. Nel V secolo i Celti di Irlanda si convertirono al cristianesimo. Il corso della storia dell’Isola prese una nuova direzione, ma ne l’antica visione del mondo, ne le pratiche ne i simboli della vecchia religione pagana scomparirono del tutto, si adeguarono semplicemente al nuovo. I primi monasteri del VI e VII secolo erano come quelli pagani a pianta circolare, i primi campanili erano cilindrici, mentre gli arredi e i testi sacri contenevano motivi ornamentali tratti dalla tradizione. Le prime chiese erano di legno, poi nel VIII secolo vennero via via sostituite dalla pietra. E’ a questo periodo che risalgono le prime croci celtiche senza braccia. Si tratta di steli grezzi molto simili agli antichi Standing-stone, privi di elementi figurativi, contenenti incisioni leggerissime: nella parte superiore, una croce di tipo maltese circoscritta da un cerchio, nella parte inferiore, invece alcune volute elementari. Fra i secoli VIII e IX questo rozzo pilastro cede il passo ad opere sempre più sofisticate e complesse, grazie, sembra, al contatto fra i monaci Irlandesi e la ricca cultura simbolica ed ornamentale dei Pitti della Scozia. La croce celtica con braccia ed anello, prototipo dell’alta croce Irlandese, nasce sull’isola di Iona(Scozia) dove il monaco Irlandese Colomba, principe della stirpe degli O’Neill, aveva stabilito la propria missione intorno all’anno 563. L’alta croce irlandese si sviluppa e si perfeziona a Kells nell’Irlanda centrale, dove il monastero di Colomba si era trasferito per meglio difendersi dagli attacchi dei vichinghi. Essa contiene elementi figurativi ed astratti, scolpiti con tecnica Naif, rigorosamente separati in appositi riquadri. Il suo caratteristico anello, il cosiddetto “anello celtico”, oltre a riproporre l’arcaico emblema solare, rappresenta l’aureola del Cristo, l’eternità dell’esistenza, la ghirlanda trionfale della redenzione. Las tradizione scultorea dell’alta croce celtica continuò fino al XII secolo, quando a seguito del trionfo della chiesa di Roma sul peculiarismo celtico, fu sostituita dal grande crocifisso romanico. BOTTONI E SPILLE DA BALIA I celti usarono per primi i semplici e geniali bottoni, al posto di lacci e stringhe. Usarono poi spesso come ornamenti, le spille di sicurezza, dette”spille da balia”, un’invenzione poi “reinventata” poco più di un secolo fa.
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Mitologia nella medicina dei celti Nella mitologia Celtica il dio della medicina era Diancecht, il cui nome significa “potere ardente”. Egli aveva un figlio, Midach e una figlia Airmed. Si narra che Midach fabbricò un braccio d’argento per il re High King Nuada, saldando nervo con nervo e giunto con giunto, da ciò si deduce che già in antichità i medici celti erano in grado di curare le ferite. La gelosia furibonda di Diancecht, per questo meraviglioso potere lo indusse ad uccidere il figlio. La figli, che conosceva le proprietà curatrice di 365 erbe, una per ogni giorno dell’anno, le depose con cura sulla tomba del fratello. Suo padre le sparse lontano e si racconta che ancora oggi nessuno conosca tutte le virtù di quelle erbe. Nella realtà I medici usavano portare con se un “les”, un sacchetto di medicine, ed indossavano un “gibne”, una specie di corno usato per succhiare via il veleno e i fluidi nocivi dalle ferite. In Irlanda il compenso per i medici era stabilito dalla legge Brehon, che era un corpus di antiche leggi, se però egli falliva a causa di una propria negligenza doveva pagare una ammenda al malato. Già in tempi remoti esistevano gli ospedali, e il loro funzionamento era stabilito dalla stessa legge. Dovevano essere puliti, avere quattro porte e un ruscello di acqua corrente che ne attraversava il pavimento. Inoltre Cani, pazzi, e persone loquaci e noiose dovevano essere tenute lontane dai malati. Non vi dovevano essere ne discussioni ne lotte dove vi era un malato. Gli anziani medici usavano per i loro pazienti case termali e bagni di vapore per curare reumatismi e molte altre malattie. Queste case termali che erano piccole case in pietra dal nome “Tigh’n alluis” avevano una piccola porta di entrata con all’interno acceso un grande fuoco. Molti rimedi usati dai medici celti richiedevano l’uso di acqua di pozzi e sorgenti sacre e di fili di lana colorati, che annodati, sul paziente sulla parte del corpo malata. Si suppone che fossero a conoscenza anche dell’attività antibatterica visto che facevano largo uso di muffe. Inoltre da annotazioni scritte sappiamo che avevano raggiunto conoscenza e capacità per operare al cervello. Qualora i rimedi naturali o il termalismo non avesse sortito effetti veniva utilizzato l’ultimo dei rimedi, l’incantesimo. Spesso Infatti si ricorreva all’uso di rituali e formule dette magiche. Queste venivano fatte ripetere al paziente per tre o nove volte e poi si attendevano gli effetti. Un esempio può essere “in mon dercomarcos axasiton” che potremmo tradurre con “che Amarcos porti via quello che è nel mio occhio” detta in caso qualcosa irritasse evidentemente l’occhio, frizionando bene l’occhio, bisognava oltre che ripeterla per tre volte sputare per terra altrettante volte. Un’altra formula molto curiosa era consigliata se qualcosa si fosse incastrato nella gola “xi exucrinone xu criglion aisus scrisumio uelor exucri cone xu grilao”, non conosciamo la traduzione ne i suoi effettivi poteri, ma di certo già il pronunciarla avrebbe aiutato a togliere l’intruso dalla gola. Queste operazioni come ritualità prevedevano modalità prestabilite e un agire ben preciso in un altrettanto ben preciso ambiente, ma quello che era più importante erano gli “arnesi del mestiere” che permettevano ai Druidi il sacro officio. Magici pugnali, misteriosi oggetti, sempre incisi di arcani simboli, indispensabili per i riti. Tra tutti citiamo il mitico calderone. Il sacro calderone dell’immortalità che rappresenta la rinascita. Va ricordato per tutti il mitico calderone di Dagda, che guariva i feriti che vi si immergevano. Analoga è la figura di Dian Cècht, il dio druido della medicina, che se ne serviva per insegnare ai druidi le cure a base di cotture di piante.
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IL calendario degli alberi Si pensa che la serie delle 15 consonanti ogham venisse comunemente abbinata a nomi di fiumi, fortezze, uccelli, colori, re, santi, alimenti o specie vegetali. Il principio era quello dell’acrostico, . Si sceglieva una serie di parole, tutte appartenenti alla stessa classe, per esempio gli alberi, inizianti ciascuna con una diversa lettera dell’alfabeto presa per ordine, in italiano sarebbe : A come Acacia, B come Betulla, C come castagno ecc…. Ma c’è di più in virtù delle sue caratteristiche e dei suoi usi, ogni albero è messo in relazione con uno dei 13 mesi lunari(12 più il supplementare) ai quali risulta affine dal punto di vista simbolico. Il ciclo calendariale inizia con un giorno vuoto, il 23 dicembre, conosciuto altrimenti come “giorno della pietra grezza” e relazionato al vischio(secondo Cesare raccolto ritualmente con il falcetto d’oro proprio in questo giorno). Da qui prende il via il conteggio dei tredici alberi. La pianta connessa con la propria nascita, secondo la logica del calendario non funziona soltanto come segno zodiacale, che influenza il temperamento e determina a grandi linee direttive la vita. Diventa più una sorta di guardiana, una protettrice a cui rivolgersi in caso di necessità. Basta farvi aderire il dorso, appoggiando al contempo il palmo della mano sinistra, quella ricettiva, al suo tronco, mentre la mano destra si pone al centro del petto, in corrispondenza del cuore, poi si resta ad occhi chiusi a ricaricarsi le batterie di energia verde, forte e pulita. L’albero può prestarsi anche come amico cui raccontare i propri sogni, i propri guai o a cui chiedere consolazione protezione e consiglio. Ancora in alternativa può essere portato addosso come talismano, tenendone sempre in tasca o presso il letto una foglia o un frammento di corteccia. Non bisogna però dimenticare che ogni volta che si riceve qualcosa, sia essa ombra, foglie, frutti o energia, di ringraziare l’amico albero come facevano i Druidi, con l’offerta di una monetina, da seppellire tra le sue radici, o con una buona innaffiata di latte o birra. Era strutturato sui tredici mesi dell’anno lunare, di 28 giorni ciascuno. 1)La Betulla / Beth (24 dicembre-21 gennaio) Parola chiave :iniziativa Divinità: Dana o Ceridwen E’ stato il primo albero a comparire sulla terra dopo lo scioglimento dei ghiacci e per questo ha assunto il significato simbolico di inizio e rinascita. Per i latini era “l’albero dei Galli” ed era una pianta sacra agli sciamani. Emblema della rinascita spirituale, segna infatti nel calendario il solstizio d’inverno. Questo albero era considerato dai celti un simbolo di saggezza, era l’albero materno della fecondità, sia in senso fisico che come creatività spirituale.Pochi sanno che i fasci romani erano composti da verghe di betulla. Per altri (24 gennaio-20 febbraio) Gli sciamani attribuivano alla betulla la funzione di albero cosmico, l’asse del mondo, ne incidevano il tronco argenteo come scala per raggiungere altri piani di esistenza, i cieli e gli inferi. Associata al sole e alla Luna, la betulla era contemporaneamente padre e madre, maschio e femmina. Corrispondendo al primo segno dell’alfabeto celtico, la B, inventato dal Dio Ogma per comunicare col fratello Lug, è anche la prima pianta del calendario degli alberi poiché è la prima a mettere le foglie. E’ anche l’albero più resistente e adattabile, quello che cresce più a nord, da dove proviene il popolo dei Tatua de Danann, che nelle magiche isole del nord avevano appreso la stregoneria, la magia e il Druidismo. Decorata con nastri bianchi e rossi diviene il tradizionale palo di maggio, inghirlandato in cima, con una chiarissima allusione all’atto sessuale e gettato in acqua come augurio di fecondità. Opportunamente decorticata, può essere utilizzato come ceppo Natalizio a patto che lo si maneggi ritualmente con le mani assolutamente pulite.Il suo legno dotato della magica capacità di respingere il male, viene utilizzato per costruire le culle, ma anche le verghe punitrici atte ad allontanare le tentazioni e i cattivi pensieri. Praticamente infinite sono le sue virtù terapeutiche. Inoltre la sua corteccia incisa produce una copiosa linfa che fermentata fornisce una sorta di vinello fermentato, e che solidificandosi produce una sorta di manna. Le foglie agiscono sul metabolismo e sulla circolazione dei liquidi corporei esercitando una azione drenante. La corteccia è diuretica, stimolante e abbassa la temperatura corporea. La linfa lenisce i dolori artrosici, i germogli incoraggiano l’attività della colecisti, i fiori cicatrizzano piaghe e ulcere. La divinità è Ceridwen, madre del bardo Taliesin. La sua figura sintetizza in se tutte le possibili espressioni del femminile, la vergine,la sposa,la madre, la vecchia, impersonate da varie divinità. 2) IL sorbo/Luis (22 gennaio-17febbraio) Parola chiave :rapidità Divinità:Brigit, un nome emblematico, poiché la radice Brig significa alta, eccelsa,con una chiara allusione alla statura fisica e morale della dea. Come spesso accade nel mondo celtico Brig appare triplicata, vi sono le due sorelle con le quali spartisce le sue funzioni di poetessa, veggente, signora della medicina, delle arti e delle fucine dove si forgiano i metalli. Per Celti e Germani era un albero sacro al quale erano assegnati poteri traumaturgici e di protezione contro i demoni e spiriti malvagi. E’ l’albero del comando , i druidi usavano bacchette di sorbo sparse su pelli di toro scuoiate di fresco per divinare e per profetare. Da qui l’espressione Irlandese “andare sulle frasche della conoscenza” nel sensori fare di tutto per scoprire qualcosa.All’inizio delle nuove stagioni un ramoscello tagliato senza far uso di coltelli veniva piantato sulla soglia di casa o della stalla, legato con del filo rosso in forma di croce, per impedire alle energie negative di nuocere, mentre al viandante, portato i tasca o infilato nel bagaglio, assicurava un viaggio sereno al riparo da qualsiasi pericolo. Le sue bacche rosse definite nutrimento degli dei, venivano portate a guisa di collana per cautelarsi dall’assunzione di medicine inadatte. Il sorbo simboleggia la graduale avanzata della luce dopo la strettoia del solstizio invernale, per questo prima di dare avvio alla battaglia i druidi lo bruciavano nei fuochi rituali, al fne di invocare la partecipazione degli Dei e assorbire attraverso il rito tutta la forza del sole, indispensabile per ottenere la vittoria. Consacrato alla dea Brigit e quindi alla luce e al rinnovamento primaverile, era tuttavia connesso anche con la morte.Secondo la tradizione popolare, un albero di sorbo protegge la casa da fulmini e sortilegi.Per altri (21 febbraio-17 marzo) Luis in celtico significa fiammeggiante, trasparente allusione al rosso brillante dei frutti e alla collocazione del Sorbo nel secondo mese calanderiale, il mese del vento edella rapidità in concomitanza con la festa delle luci e degli angnelli Imbolc, l’inizio della stagione primaverile. 3) Il frassino/Nion(18 febbraio/17 marzo) Parola chiave: conoscenza Divinità:Dian Cecht o Gwydion Nella tradizione germanica Yggdrasill, l’albero asse del mondo, era un frassino, mentre nella Grecia esso era sacro a Poseidone, il dio delle tempeste e dei terremoti(infatti curiosamente, sembra avere la caratteristica di attrarre i fulmini). A conferma di questo, nel calendario rappresenta il terzo mese, quello in cui si scatenano i primi temporali e le piogge cadono copiose. Un tempo si bruciavano dei piccoli pezzi di legno di frassino e se ne conservavano le ceneri che poi venivano sparse davanti all’uscio di casa per proteggersi dalle avversità e per propiziarsi la buona sorte. 4) L’ontano/Fearn(18 marzo-14 aprile) Parola chiave:forza Divinità:Bran, che ha la testa di corvo. Era fratello della celebre regina Branwen, umiliata dagli Irlandesi. Sbarcato appunto in Irlanda per vendicare la sorella, si trasformò in ponte per permettere ai suoi soldati di attraversare il fiume Linon, gettando in acqua alcuni graticci di ontano e distendendovi sopra il suo corpo gigantesco. Di lui si diceva che nessuna casa potesse contenerlo. E’ un albero curioso, che sembra rinascere in autunno quando gli altri alberi perdono le foglie; il suo legno, se immerso nell’acqua, diviene incorruttibile e per questa singolare caratteristica è stato utilizzato sin dall’antichità per costruire palafitte. Per questa ragione è l’albero dell’immortalità. Prestandosi inoltre per la fabbricazione di strumenti a fiato, rimanda al simbolismo bellicoso della battaglia, cui i guerrieri venivano incitati mediante il sono di un corno.Associato agli stagni e agli acquitrini, che sono ritenuti passaggi per l’altro mondo, è considerato simbolo di resurrezione perché è dall’acqua che ha origine la vita. Serviva a costruire secchi e altri recipienti per prodotti caseari, da qui l’epiteto Custode del Latte. Il suo legno fornisce un pessimo combustibile, ma in cambio assicura un ottimo carbone vegetale. Abatter un Ontano in Irlanda è considerato un grave delitto, che attira sul colpevole l’incendio della sua abitazione. 5) Il salice/saille (15 aprile-12 maggio) Parola chiave:Incantesimo Divinità:Epona o Rhiannon. Si dice che la sua immagine venisse dipinta sulle greppie dei cavalli. Venerata soprattutto in ambiente militare(la dea cavalla, Epona deriva dal latini equos) si presenta come una regina al galoppo. Rianno invece secondo la tradizione gallese è una divinità puramente equina, la moglie del dio dei morti signor degli inferi e dell’oblio, colei che concede il sonno beatificante della durata di sette anni e fa dimenticare ai viventi tutti i loro dolori. I suoi agganci con l’aldilà sono resi evidenti dalla presenza al suo fianco di uccelli che cantano al suo passaggio per risvegliare i morti, oltre all’attributo che porta in mano, la ruota del destino e della rinascita. Epona è la signora del viaggio, dei cavalieri e del cavallo. Albero magico per eccellenza, il salice nell’antichità era legato a Ecate, la dea Luna e di conseguenza alla magia dell’acqua. La ninfa Elice(che significa salice) favoriva le operazioni destinate a procurare la pioggia e la stessa Ecate dispensava la rugiada e l’umidità nelle campagne. Nel calendario, nel corso del quinto mese, il 23 aprile si celebra la festa di San Giorgio e un tempo, in molte regioni d’Europa si celebrava la festa della primavera(Giorgio il Verde) dove il salice era l’albero protagonista. Simbolo di purificazione e rinascita a causa della sua rapidissima crescita è noto per l’elasticità dei suoi rami I sacrifici dei Druidi erano offerti con la Luna piena in cesti di vimini e le selci funerarie avevano la forma di foglie di salice. Ed è sempre la Luna, signora della poesia e della veggenza, la divinità che infonde energia alla pianta. Anche la leggendaria saggezza delle api, che vedono fino a dove la vista è preclusa agli altri deriva dal salice, di cui sono ghiottissime. 6) Il biancospino/Hath o hualt (13 maggio-9 giugno) Parola chiave:feritlità Divinità:Ossian Il biancospino è governato da Maia, madre di Ermes, dall’aspetto inquietante. Tuttavia è un arbusto magico dalle straordinarie proprietà. E’ il cespuglio odoroso emblema della fecondità e del senso artistico. Una leggenda narra come San Giuseppe, dopo aver raccolto il sangue di Cristo nel vaso(il Graal) se ne parti per la Britannia e qui, giuntovi, piantò a Glastonbury il suo bastone dal quale fiorì un biancospino. Durante il Medioevo il biancospino era considerato l’albero del maggio. Infine questo arbusto è un ottimo rimedio magico contro le fatture e gli incantesimi delle streghe. 7) La quercia/Duir (10 giugno-7 Luglio) Parola chiave potere Divinità:Dagda Il periodo è dedicato a questo maestoso albero ritenuto sacro fin dai tempi antichissimi. Resistente e invincibile, la regina delle piante celtiche. Il 24 giugno si festeggia la notte del solstizio con i fuochi di San Giovanni. I druidi ne raccoglievano il vischio che cresce copiosamente sulla corteccia. Nella tradizione magica questo albero è in rapporto con il sole, simbolo di saggezza e potere. 8) L’agrifoglio/Tinne (8 luglio-4 agosto) Parola chiave:Eroismo Divinità Cuchulainn Per il suo colore brillante e i suoi frutti di un bel rosso vivo , come dei piccoli soli, che maturano in pieno inverno, questo arbusto ha un ruolo onorifico presso il simbolismo dei Druidi, simboleggia la persistenza della vita ed è un simbolo di augurio e di rinascita. Inoltre, grazie alle sue spine, era uso nei paesi nordici nel Medioevo di appendere rametti di agrifoglio sulle porte delle case per tenere lontano le avversità. 9) Il nocciolo/Coll (5 agosto-1 settembre) Parola chiave:saggezza Divinità:Mannanan Il nocciolo caratterizza il nono mese, e infatti i suoi frutti maturano in questo periodo. La nocciola intesa come frutto, era per i celti, simbolo di saggezza interiore, mangiare nocciole procurava la conoscenza delle arti e delle scienze, tant’è che in magia, l’albero è legato alla sfera di Mercurio. I druidi utilizzavano tavolette di legno di nocciolo per incidere i loro incantesimi e per la divinazione.E’ l’albero dei poeti e dei veggenti, intriso di un potere sottile, sovrannaturale. La vigna o il pruno selvatico/Muin (2 settembre-29 settembre) Parola chiave:esaltazione Divinità:Esus o Nuadu Il periodo coincide con il mese di settembre. Infatti quasi ovunque è tempo di vendemmia. Arbusto sacro, dona una bevanda mistica, il vino, celebrato poi dai cristiani nel momento culmine della messa. La vigna e il vino sono segni legati al “sangue” e al Graal, e fanno parte da millenni della storia dell’uomo e delle sue religioni. Il liquore estratto dal prugnolo, dalle presunte virtù euforizzanti, ha valso alla pianta un carattere magico L’edera/Gort (30 settembre-27 ottobre) Parola chiave:veleno Divinità:Pwyll Considerata in epoca medievale uno degli emblemi del tempo, probabilmente a causa del suo portamento rampicante e per l’azione che hanno le sue radici di sgretolare i muri su cui si attaccano. Il vegetale è dedicato a Venere e si tratta di una pianta velenosa, e quindi temuta e rispettata, è considerata un’erba delle streghe .Presso i celti, proprio per le sue proprietà assunse il significato di Morte-rinascita, di passaggio, necessariamente doloroso, verso una forma superiore di esistenza. Il Tiglio/Peith (28 ottobre-24 novembre) La canna/Ngetal o Ebbio Peith Nei paesi nordici il tiglio era “ l’albero della giustizia” e nella più remota antichità era considerato oracolare. I tigli possono vivere fino a duemila anni e più.La canna o giunco pianta palustre delle nostre latitudini, era un antico simbolo di regalità. Il Dio del mese della canna è il fabbro Goibniu, che nel mito Irlandese compare spesso accompagnato da due aiutanti. Goibniu tempra armi invincibili e come tutti gli dei connessi col fuoco, ha a che fare con le medicine(infatti è amico del dio medico Diancecht)e sulla trasformazione alchemica interiore. Non a caso, la qualità del tempo in questo mese, è tutta imperniata sull’interiorità, sul rinnovamento di se stessi. Uno degli strumenti di tale rinnovamento interiore è la musica. Sottile ed evocativo il suono del flauto segna il tempo del viaggio interiore, in analogia con il seme che, interrato proprio in questo periodo, germinerà nella segretezza della terra per poi manifestarsi nella sua pienezza a primavera. Il capodanno celtico che apre questo mese è la festa per eccellenza. Samain si dilata in un tempo mitico di almeno 10 gg concludendosi solo a S. Martino, le porte dell’aldilà si spalancano, consentendo uno spazio di visite, informazioni e pronostici tra vivi e morti. Di rigore il banchetto rituale, a base di oca e cinghiale arrosto,mele,noci,castagne,naturalmente innaffiati da birra e idromele. Il corteo di accompagnamento verso i tumuli che concludeva la festa(col viso annerito di fuliggine, tanto per somigliare ai morti e con un lume in mano), continua a vivere nei tipici travestimenti della notte di Halloween. Il sambuco/Ruis (25 novembre-22 dicembre) Parola chiave:Rinascita Divinità:Caillach Nel nostro procedere il sambuco segna il tredicesimo e ultimo mese. Secondo una tradizione , dal legno vuotato del midollo si può ricavare la bacchetta del comando o anche un flauto dotato di magici poteri il cui suono protegge dagli incantesimi. Rappresenta l’albero magico per eccellenza, fornisce il legno per lo zufolo rituale e le bacche alla bevanda druidica sacramentale, racchiude in se tutto il simbolismo esoterico della rinascita. La leggenda vuole che i suoi ramoscelli, intrecciati a corona e portati sul capo la notte precedente il 1° maggio, possano suscitare visioni sovrannaturali. Appeso fuori alle stalle protegge il bestiame, ma portarne il legno in casa, tenerlo in cucina o presso la culla oppure bruciarlo può arrecare sfortuna.Sempre a proposito di culle, quelle fatte di sambuco, vengono accuratamente evitate in Irlanda perché si crede che il neonato possa essere pizzicato a sangue dalle fate. Similmente gli zufoli costruiti con questo legno andrebbero usati con cautela, tanta è la forza magica che potrebbero suscitare. Simbolo del passaggio e del rinnovamento ciclico, il sambuco presiedeva anche ai riti funebri per incoronare il defunto. Chi vuole propiziarsi le creature dell’aldilà non ha che da piantare un sambuco presso la porta di casa e prendersene cura(male incoglierà a chi osi abbatterlo o tagliarlo). La linfa del tronco dona la “seconda vista” a chi se ne ungagli occhi e nello stesso senso agirebbe una corona delle sue foglie posata sulla fronte.I contadini si inchinavano addirittura sette voltedavanti al suo tronco, per ringraziarlo dei suoi innumerevoli doni, bacche, fiori, frutti,foglie, radici linfa e corteccia da cui si traevano impacchi, decotti e vini medicinali depurativi, lassativi, e risolutori nei confronti di raffreddori, infiammazioni, dolori e ferite. La dea del Sambuco è la strega Cailleach, l’oscura signora dell’inverno e del maltempo, che solo durante la festa di Imbolc, ai primi di febbraio, cede il passo alla fata della primavera, spogliandosi dei panni neri e del volto arcigno per trasformarsi in bionda fanciulla. Basta pensare infatti al nero dei frutti, al verde delle foglie e al bianco crema dei fiori, per ravvisare nel sambuco tutti e tre i volti della Dea, al contempo fanciulla, madre e strega. Il Tasso /Idho o Ngetal(23 dicembre per altri al posto del tiglio) E’ l’albero della morte. E’ un albero assai longevo, oggetto un tempo di un antico culto pagano. Fin dall’antichità dal suo legno si ricavano armi, quali frecce, picche,lance, tanto che in molte regioni d’Europa molte specie sparirono rapidamente. I romani avevano dedicato quest’albero a Ecate e alle Erinni(furie), dee degli inferi. Particolarmente caro ai Druidi, che ne aspiravano i vapori per potenziare la veggenza. Tale longevità sinonimo di immortalità lo ha spesso vincolato ai luoghi di sepoltura con tutto il simbolismo che ne consegue L’abete rosso o pino argentato/ailm(24 dicembre) E’ l’albero di natale per eccellenza, ma soprattutto l’albero del parto. In Grecia era dedicato ad Artemide indomabile vergine dalla complessa personalità. Nel Nord Europa era invece considerato l’albero della nascita e per questo motivo gli era riservato il primo giorno del nuovo anno, quell’ della rinascita del sole.(o di Gesù bambino). La ginestra/Onn (equinozio di primavera) E’ un arbusto della famiglia delle leguminose, (considerato l’albero delle streghe in quanto per consuetudine queste utilizzavano scope di questo albero) e quindi l’albero della notte. Il pioppo bianco/Eadha(equinozio d’autunno) Considerato un simbolo di continuità, di sopravvivenza dopo la morte. Secondo una antica tradizione Bretone ai piedi di questi alberi sarebbero celati tesori, ma è possibile cercare di prenderli solo il venerdi a mezzanotte quando un raggio di luna ne illuminerebbe il punto esatto. L’erica/Ura (solstizio d’estate) Quest’albero chiude l’anno Ogam ed è la pianta tradizionale della Scozia. Ha valenze positive e allontana la negatività. Posta sotto l’influsso di Venere per gli antichi greci. Il vischioIL calendario Per Plinio i Celti ritenevano grandemente importante la Luna, tanto da introdurre pesanti procedimenti nel loro calendario, pur di tenere conto del ciclo delle fasi lunari e ci assicura che erano in grado di farlo, infatti un calendario “lunisolare” implica non solo osservazione costante del cielo, ma anche capacità matematiche non indifferenti.Il calendario era quindi diviso in mesi lunari, in anni e in secoli di trenta anni.L’inizio dei mesi avveniva di notte, come testimonia Cesare” I galli dicono di discendere dal padre Dite e che ciò è stato tramandato dai druidi, perciò calcolano il tempo attraverso il numero delle notti. Fissano gli anniversari, gli inizi di mesi e di anni in modo che il giorno faccia seguito alla notte”.Il tempo per noi è visto come una sequenza lineare, una serie di date progressive, il tempo Celtico seguiva invece un modello circolare, come un anello, un serpente che si morde la coda, scandito da un periodico ritornare sulle stesse posizioni.La lunazione, non prendeva avvio nell’istante del novilunio, quando la luna è invisibile e quindi oscura, pericolosa, ma sei giorni dopo, quando la falce lunare, quasi al primo quarto appare manifesta.Era il tramonto e non l’alba il momento iniziale del giorno, per questo ancora oggi, nella tradizione popolare, la vigilia delle grandi festività (Natale, Capodanno) risulta più importante della festa stessa. A questo punto è logico far iniziare l’anno a Novembre, nel cuore della stagione più oscura. Come il mese, scandito dalle fasi della luna in una metà chiara e in una metà oscura, anche l’anno segue la stessa sorte, assecondando i ritmi del sole, che prende gradualmente forza, allungando e illuminando le giornate dalla festa di Beltaine all’inizio della stagione estiva (30 aprile-1Maggio) fino a Samhain (pronuncia Shouin), il capodanno celtico, che coincide con l’arrivo dell’inverno (31 ottobre-1 novembre), per poi perdere progressivamente luce nel ritorno da Samhain a Beltaine. A mezza via tra queste due festività cardine dell’anno celtico rispettivamente il (31gennaio-1 febbraio) e il (31 luglio-1 agosto) si collocano altre due feste intermedie: Imbolc che segna l’inizio della primavera Lammas che coincide con l’inizio dell’autunno Balza subito agli occhi che le quattro stagioni celtiche, si collocano esattamente a metà strada tra gli Equinozi e i Solstizi, i punti iniziali delle nostre stagioni. Cosi Samhain sta a mezza via tra il 22 settembre e il 21 dicembre, mentre Imbolc sta tra il 21 dicembre e il 21 marzo., Belatine sta tra il 21 marzo e il 22 giugno e infine Lammas(o Lugnasad) sta tra il 21 giugno e il 22 settembre. 62 erano i mesi lunari in un complesso raccordo tra anni lunari(354 giorni) e anni solari(365), l’anno lunare però finiva sepre per anticipare il capodanno di 11 giorni Per rimettersi a paro pensarono di introdurre un mese supplementare ogni due anni e mezzo, in modo che ogni 30 anni(un secolo) i due cicli tornassero a coincidere.Vi era poi il problema che il mese lunare è di 28 giorni e mezzo.I celti lo risolvettero alternando nel calendario un mese di trenta giorni, mezzo più del reale, considerato fausto(in celtico MAT) e uno di 29 mezzo in meno(detto ANMAT ossia infausto).La quindicesima notte , che chiamarono Atenoux, il centro, divideva il mese in due parti uguali, una chiara e una scura, come le due metà dell’anno.La prima metà del mese, illuminata dalla luna crescente(ottavo-nono giorno diventava piena) era considerata chiara, seguiva la metàoscura, caratterizzata dalla luna calnte(nuova intorno al 22°-23° giorno) e quindi invisibile e sfortunata.Si suppone inoltre che l’ultimo giorno del mese, definito DVERTMOS, fosse soggetto a prescrizioni particolari.I giorni che si susseguivano nel mese, avevano gli stessi nomi dei mesi e cioè: Samonios(Samhain) - Anagantios - Giamonios - Simivisonnios - Equos - Elembivios - Edrinios - Rivros - Cantios - Duumannios - Ogronios - Cutios - Più il supplementare Ciallos IL calendario di Coligny L’abilità dei Druidi nel campo dell’astronomia emerge in maniera schiacciante dall’analisi di questo calendario. La sua struttura quinquennale, basata su 60 mesi lunari più sessanta giorni supplementari da utilizzare per raggiungere l’accordo tra il tempo scandito dalle fasi lunari e le stagioni dipendenti dal moto del sole, è cosi ingegnosa ed accurata da essere obbligatoriamente frutto di una conoscenza dei movimenti apparenti dei due astri principali del cielo molto profonda. Il cielo dei druidi La capacità di percepire i ritmi della natura e di vivere in armonia con essa fu un fatto essenziale per i Celti, essendo la loro, una società la cui economia era prevalentemente rurale. Il sole e la luna con i loro cicli erano fondamentali dal punto di vista della misura del tempo e per lo sviluppo dei calendari(vedasi calendario). Presso i popoli celti l’osservazione degli astri era una scienza complessa, esclusivo appannaggio della casta dei sacerdoti, che mediante l’osservazione dei corpi celesti stabilivano le date nelle quali andavano effettuati i lavori nei campi, sempre ritualizzati poi da cerimonie religiose. Come racconta Cesare nel suo “de bello gallico”: I Druidi……dissertavano molto degli astri e dei loro movimenti, della grandezza del mondo e della terra, della natura delle cose, della potenza e del potere degli Dei immortali e tramandavano queste conoscenze ai più giovani”. Il fatto che Cesare specifichi che i Druidi osservavano si gli astri ma anche il loro movimento, testimonia una osservazione continuativa e sistematica . Lo studio del moto degli astri implica l’esistenza di riferimenti fissi, senza i quali è impossibile farlo. Conoscere tali riferimenti non è facile e non è certo se fossero artificiali o naturali (vette, valli, o particolari conformazioni lungo l’orizzonte). Anche Pomponio Mela nel “Chrographia” conferma la scienza dei Druidi: “…..sostengono di conoscere le dimensioni e la forma del mondo, i movimenti del cielo e degli astri e la volontà degli Dei”. Plinio il Vecchio, scriverà nella sua “Historia Naturalis” :”I Druidi non hanno nulla di più sacro del vischio e dell’albero che lo porta, purché sia un rovere…..Essi pensano infatti che tutto ciò che spunta su tale albero sia inviato dal cielo…..ma è raro trovare vischio di rovere, e quando lo si trova, lo si raccoglie durante una cerimonia religiosa, il sesto giorno di luna, che per essi segna l’inizio dei mesi, degli anni e dei loro secoli di trent’anni. OSSERVATORI DI STELLE Le feste erano, come si riportato in altro capitolo, stagionali, ma collocate in corrispondenza di quattro date intermedie rispetto ai solstizi e agli equinozi, quindi non era solamente il sole l’astro di riferimento, bensi anche quattro stelle luminose visibili ad occhio nudo il cui sorgere stabiliva le date in cui i Druidi celebravano le feste. Addirittura era stata stabilita una sorta di corrispondenza tra la luminosità di ciascuna stella di riferimento e l’importanza della divinità a cui ogni singola festa era dedicata. Cosi a Lugus pertineva Sirio, ovvero la stella più brillante, a Brigh era collegata Capella nella costellazione dell’Auriga, a Belenos la stella Aldebaran, rossa come i fuochi che ardevano durante la festa di Beltane, inizio della stagione estiva. Alla festa più importante di tutte Trinox Samoni, o meglio Trinuxtion Samoni, letteralmente “le tre notti di Samonios” primo mese del calendario e inizio sia della stagione invernale che dell’anno, pertineva Antares, una stella rossa molto brillante nella costellazione dello scorpione. L’osservazione permetteva di prevedere con molto anticipo le date per pianificare i riti da svolgere, era quindi fondamentale la conoscenza del punto esatto dell’orizzonte in corrispondenza del quale ciascuna stella sorgeva e tramontava. Questa esigenza spinse i Druidi a disporre nei santuari e nei templi coppie di pali in legno infissi nel terreno al fine di stabilire gli allineamenti tesi a marcare le direzioni importanti. Attualmente a causa del fenomeno della precessione, le stelle, dopo 2500 anni non sorgono più nei punti indicati, ma l’ausilio dei moderni computer per i calcoli ha permesso di ritrovare le corrispondenze tra le stelle e i punti ove erano infissi i pali. Non solo, poi i santuari erano costruiti nei luoghi decisi dopo accurati studi dai Druidi, ma a volte anche gli stessi Oppia, soprattutto dove era presente una classe druidica più avanzata. Va notato poi che spesso i celti usavano raffigurare sulle monete il sole, la luna e le stelle, comprese le comete visibili in quel periodo. STONEHENGE Si trova al centro delle modeste colline di Salisbury, la “foresta di Pietra” come la chiamavano i Sassoni.Goffredo di Monmouth nella sua History of the Kings of Britain del 1136 chiama questo monumento “la Danza dei Giganti” riferendosi alla dimensione delle pietre. Egli racconta che fu Merlino a trasportarle, grazie alle sue arti magihe, dall’Irlanda con lo scopo di onorare un centro Funerario dei Britanni., ed in effetti si può dire con certezza che il monumento è inserito in una vasta area sepolcrale a cui appartengono numerosi tumuli funerari. L’affermazione di Monmouth, oltre che fantastica, riporta una certa realtà, le pietre turchesi, disposte a ferro di cavallo provengono dalle Prescelly Mountains nel Galles Sud-occidentale, ed esse furono probabilmente trasportate su zattere attraverso il canale di Bristol e lungo il corso dei fiumi Avon per terminare il loro viaggio trainati su rulli di legno. Questo percorso si sovrappone quasi integralmente all’antica strada commerciale che univa il sud dell’Inghilterra proprio all’Irlanda. Nel XVII secolo si affaccia per la prima volta l’ipotesi che si trattasse di un tempio druidico. Fu John Aubrey a mettere in relazione il circolo di pietre con i Celti, e questa ipotesi per quanto errata ha comunque qualche collegamento con la realtà. Durante l’ultima fase costruttiva o stonehenge IV, , che oggi possiamo collocare con certezza a ridosso del 2300ac, nella piana si affermava la florida civiltà del Bronzo, che parlava una lingua riconosciuta come antenata di quella celtica. Gli ultimi costruttori sarebbero dunque, i padri dei Celti. Stonehenge è un monumento megalitico. Un anello di monoliti di arenaria, collegati da poderosi architravi a cinque metri di altezza, un circolo di pietre dette “turchesi” per il colore che assumono sotto la pioggia, un ferro di cavallo fatto di 5 gigantesche “porte” trilitiche, al cui centro è coricato un grande masso !la pietra dell’Altare” sono racchiusi da un fossato e da un argine, aperto in un viale di accesso orientato in direzione del punto in cui sorge il sole nel giorno del solstizio estivo. Le sue origini si perdono nella notte dei tempi, circa cinque millenni. Nella disposizione delle pietre sono state riconosciute quattro distinte fasi costruttive: Stonehenge I, realizzata tra il 2950 e il 2900 a.c. era un semplice recinto del diametro di 100 metri, delimitato dal terrapieno e dal fossato ancor oggi visibili; due monoliti eretti fungevano da ingresso e una terza pietra, la Heel Stone, tutt’ora al suo posto, era situata all’esterno del circolo. Stonehenge II, nella cui fase furono scavate 56 buche, dette Aubrey Holes (dal nome del loro scopritore), lungo il margine interno del terrapieno: la loro funzione è rimasta ignota(si è pensato che vi fossero infissi dei pali o che vi venissero conservate delle derrate alimentari, quel che è certo è che sono state rinvenute nei livelli superiori delle buche e nel fossato, ceneri di corpi umani). Stonehenge III, di questa fase non rimangono oggi elementi visibili, ma è confermato che in quella fase vennero collocate al centro del recinto 80 pietre “blu” disposte su due file a ferro di cavallo. Stonehenge IV, il monumento assume il suo aspetto definitivo, le pietre blu vennero rimosse, sostituite da un circolo di trenta monoliti in Sarsen (si tratta di un tipo di arenaria comune nell’Inghilterra Meridionale e presente anche nella piana di Salisbury ) sormontati da blocchi trasversali e ricollocate in numero dimezzato, all’interno del poderoso recinto di arenaria. La doppia circonferenza cosi creata conteneva, a sua volta, un ferro di cavallo formato da cinque possenti Triliti(tre pietre, due verticali infisse nel terreno collegate nella parte superiore da una terza pietra orizzontale che fa da architrave), uno degli elementi più suggestivi dell’ultima Stonehenge. Infine all’interno dei triliti a ferro di cavallo furono collocati 19 delle restanti pietre turchesi, a ripeterne la disposizione e al cui centro fu posta la Pietra dell’Altare, probabilmente in posizione coricata fin dall’inizio. Una nuova tecnica di datazione, recentemente sperimentata ha stabilito che i lavori di costruzione dell’osservatorio, iniziati come detto nel 2950 a.c. si sono conclusi entro il 2300 a.c. e non nel 1700/1400 come si pensava sinora. Nel 1963 gli studi di Gerald Hawkins, portarono a evidenziare che il monumento offriva la possibilità di seguire e quindi di prevedere, accuratamente i movimenti del sole e della luna oltre che delle maggiori stelle nel corso dell’anno. Coloro che lo progettarono dovevano avere nozioni di matematica e di astronomia che non si pensava potessero essere già acquisite in tempi cosi remoti. Il grande astronomo Fred Hoyle confermò inoltre attraverso complicati calcoli connessi con la posizione reciproca degli astri nel terzo millennio A.c., che lo scopo del monumento era quello di predire con sicurezza le eclissi. Ciò non toglie che l’osservatorio astronomico avesse un valore religioso, anzi che fosse un vero e proprio tempio dedicato all’osservazione del cielo. Ha scritto lo stesso Hoyle: Se la religione della gente di Stonehenge era dedicata al culto del Sole e della Luna, le eclissi dovevano essere eventi di grande importanza. Le predizioni fatte con successo in anticipo, avrebbero conferito potere e prestigio a coloro che sapevano come le predizioni dovevano essere fatte. Il mistero però rimane fitto, ad esempio la presenza delle pietre blu, le uniche fino a Stonehenge III e il loro smantellamento, i megaliti di arenaria del peso di 25 tonnellate, trasportati dal nord del Wiltshire, senza impiego di zattere, per prendere il posto delle pietre turchesi; la messa in opera che dovette avvenire con un sistema di impalcature, leve e funi(si calcola circa 30 milioni di ore di lavoro). A proposito, la quantità di forza lavoro necessaria presupponeva un’organizzazione sociale molto articolata e complessa, capace di darsi un progetto e di portarlo a termine, anche distogliendo un numero consistente di individui dalle normali funzioni produttive. FESTE CELTICHE Samhain Samhain (pronuncia Shouin), il capodanno Celtico, che coincide con l’arrivo dell’inverno (31 ottobre-1 novembre). Riunione oppure raccolto, fine e riinizio di un nuovo ciclo.Infatti il fuoco rituale, acceso, spento e nuovamente acceso solo l’indomani, sottolinea l’idea del Capodanno come giorno chiuso, statico, fuori dal tempo dinamico del divenire. Nel tempo del mito, il tempo dell’eternità che si ritualizza ogni anno a Samhain, hanno luogo tutti quegli avvenimenti magici, leggendari che costellano la mitologia celtica. Spiriti disincarnati, fate,folletti e ninfe dei boschi, che abitano una dimensione atemporale, conoscono il futuro e lo rivelano ai mortali, attra verso i vari rituali divinatori praticati per l’occasione.Di più, li invitavano a trascorrere un anno intero in loro compagnia sulla collina delle delizie che chiamano Sidhe. Trovarne l’ingresso non è facile, occorre percorrerne nove volte il perimetro,in rigoroso silenzio, a partire dal tramonto. In senso inverso agivano i Druidi, che scrivevano messaggi per i defunti e li affidavano al fuoco, perché bruciandoli, li trasportasse con sé nell’al di là. E con il cibo e le bevande dell’al di là vino birra e idromele, bevute dentro un teschio, si banchettava ritualmente nel corso della festa che copriva da un minimo di tre giorni a un massimo di sei settimane. Inoltre si compivano sacrifici per la fertilità della terra, in onore del panciuto dio Dagda e della sua sposa Morrigan. Samhain ricorda nella struttura e nel contenuto i Saturnali romani, celebrati in ricordo della mitica età dell’oro con banchetti, giochi d’azzardo e uno scambio rituale di doni. Imbolc (31gennaio-1 febbraio) Letteralmente latte di pecora, era la celebrazione della dea Brigit, signora della medicina, delle arti e della profezia, trasformata poi dalla chiesa cattolica in Santa Brigida e festeggiata il 1 febbraio, in concomitanza con la festività romana dei Lupercali. E’ la festa femminile della maternità degli ovini, della primavera che vince l’inverno(in Irlanda impersonato dalla strega che si trasforma in fanciulla) e della luce che cresce di giorno in giorno, incoraggiata dalle corone di candele sul capo delle ragazze. Da qualche settimana il giorno si va allungando, l’inverno è ancora qui, ma intanto cominciano a spuntare le prime gemme. Un gruppetto di persone vestite di bianco si apre un sentiero tra le ginestre, sino ad arrivare ad una conca popolata da grandi alberi, querce, tassi,betulle. L’uomo più anziano, in testa al gruppo, ritma la marcia con il suo bastone di nocciolo, un passo lento cadenzato, ma sicuro.Il suo respiro forma piccole nuvole di vapore e i fili argentati dei suoi baffi di imperlano di minuscole gocce. Il drappello si arresta nel cuore della radura dove è stato già eretto un falò, attorno al quale vengono disposti una spada ad Est, una lancia di bronzo a cinque punte a Sud, un Menhir ad Ovest e un calderone sempre in bronzo a Nord.Compiono tre giri intorno alla pira, ad una distanza di nove passi, seguendo il corso del sole.L’anziano avanza fino alla fontana inondata dei pallidi raggi del sole d’inverno si abbassa e immerge le mani, si asperge il viso, i piedi e subito dopo i partecipanti dicendo “che quest’acqua vi purifichi!” Pronuncia poi le frasi di benedizione che vengono ripetute dai presenti.Dopo che il più giovane ha acceso il fuoco centrale e che una ragazza con la fiamma del fuoco-padre ha incendiato la fascina posta a pochi passi dal falò centrale, verso Ovest, il celebrante riprende”Brigantia, sorgente di ogni vita,proteggi oggi e per sempre e custodisci nei tuoi fedeli il dono prezioso dei tre Candori” Gli altri rispondono “Madre del nostro popolo, Ana la potente, fa che i nostri Druidi siano eruditi, i nostri bardi eloquenti, i nostri veggenti ispirati, i nostri capi munifici, i nostri guerrieri eroici, i nostri artigiani abili. Conduci i tuoi verso la terra dei Giovani, dove non ci sarà più morte, crimine,errore, ma soloaccordo eterno tra essi senza contestazioni o liti. Cosi sia per sempre!”Imbolc è la seconda festa cronologica del calendario celtico, cade dopo Samain. La festa di Imbolc al termine dei duri mesi dell’inverno segna la tappa finale della GRANDE NOTTE, prefigura il sorgere del giorno, è la festa delle abluzioni e delle lustrazioni che viene ricordata nell’etimologia latina di Febbraio=februatio=purificazione. Il termine Irlandese Imbolcderiva dal celtico antico Ambivolcios, letteralmente “attorno alla lavanda o alla pulizia” Il Glossario di Cornac, elenca gli obblighi: gustare ogni cibo secondo l’ordine. Lavarsi mani e piedi.I piedi rappresentano la funzione terza, quella degli artigiani, contadini, e l’insieme dei produttori;le mani rappresentano la funzione guerresca e sovrana;la testa simbolizza la casta sacerdotale.Contrariamente a samain , periodo che secondo la tradizione annovera numerosi fatti epici, Imbolc ne conta pochissimi. Imbolc è dedicata principalmente alla dea Brigantia. Essa è uuna dea triplice, padrona dei poeri, dei fili e delle arti dello spirito. In Irlanda viene identificata con Boand(la vacca bianca, il fiume Boyne), come Etain-Eithnè(la poesia, figlia dei cavalli dell’Oceano9 com Tailtiu(la terra) o Eriu(l’Irlanda) E’ conosciuta anche con il nome di Morrigan(la grande regina), come la sposa del dio Dagda, il dio buono di cui è contemporaneamente figlia.Rappresenta poi l’aspetto celeste dela grande dea Ana la madre degli dei Irlandesi dei Thuata de Dana(il popolo della Dana-Ana).Trasformata dai Cristiani in Brigit. Belatine (30 aprile-1Maggio) La festività sacerdotale di Belatine, che riecheggia ancora nella tradizione contadina dell’albero di Maggio, si impernia sulla figura del dio Belenos, divinità della luce e del fuoco. Letteralmente “fuoco di Bel” da Belenos che è una raffigurazione di Lug nel suo aspetto di luce. Per l’occasione si accendevano fuochi rituali, chiamati fuochi della necessità, al centro di una griglia composta da nove riquadri (simbolo della completezza) e utilizzando tassativamente legname di sette tipi diversi. Per l’occasione era tradizione scambiarsi beni e regali, tra cui la ghirlanda infilata in un paletto(evidente allusione all’atto sessuale) e consumando ritualmente carne di maiale, altro evidente simbolo di fertilità. Sempre in questo giorno, affinché un desiderio potesse avverarsi entro l’estate, si immergevano in acqua di fonte il pollice e l’indice della mano destra e con queste ci si segnava la fronte, passando poi velocemente la mano nel fuoco. Si conducevano inoltre le greggi affinché esse passassero in mezzo ai fuochi per proteggerle magicamente dalle epidemie. Festa della metà temporale, lo è anche della metà spaziale. In questa occasione gli uomini e le donne dei clan devono riunirsi presso i “Mediolanon”, i centri più importanti del culto Druidico. Come importanza per i celti questa festa viene subito dopo Samain.Elemento essenziale è il fuoco, elemento druidico per eccellenza.L’assenza alle quattro feste principali veniva punita con la morte e la follia, proprio a Belatine si bruciavano poi immensi manichini di vimini riempiti di prigionieri di guerra o di criminali comuni(meno apprezzati dagli dei). Questa è una notte pericolosa, nel corso della quale vengono liberati tutti i demoni e gli spiriti dell’altro mondo. Barman, fra questi, la vecchia che simboleggia l’inverno, può prosciugare il latte delle vacche e distruggere ogni premessa di raccolto.Ma anche le “Uoberii”(in vecchio celtico) o “fomoire”(in Irlandese), creature malefiche che vengono a tormentare gli uomini e i loro animali. Per gli Irlandesi in questa data (1 maggio)si spalancavano le porte dell’altro mondo,occasione favorita per il passaggio del popolo minuto dei “fairies”. Erano tanti i pericoli per i quali era necessario premunirsi, magari evitando di scopare la casa dopo la veglia della sera, o accendere il camino, si doveva diffidare di ricci e lepri, metamorfosi preferite delle fairies, appendendo bacchette di nocciolo o di dsorbo alla coda delle vacche, particolarmente esposte ale marachelle delle creature della notte.I vegetali giocano un ruolo fondamentale nel rito di protezione.Ancora oggi si ornano di rami di betulla o di faggio con le prime foglioline le finestre, le sorgenti e i pozzi, le stalle e la cuccia del cane. I ragazzi dei villaggi decoravano le finestre delle giovani donne con “i rami di maggio”, di faggio o betulla, sui quali a volte posavano dei nidi di merlo riempiti di uova Succede a Beltaine Le semine primaverili sono terminate. L’estate si annuncia a tutti gli effetti. Le gemme scoppiano come migliaia di soli, sui rami degli alberi da frutta e le fronde si vestono di un verde tenero da sgranocchiare. I primi alberi a sfoggiare la loro tenuta estiva sono le betulle e i faggi.E il sole spande ovunque la sua benedizione e i suoi benefici raggi carichi di ogni promessa di feconda messe e abbondanti fienagioni. Sull’altra collina, coperta di tassi e di quercie, si innalzano le fiamme di cinque falò.Al centro la figura del druido; un grande fuoco che profuma di tasso, di quercia e betulla illumina la notte. Ai quattro punti cardinali, gli altri piccoli fuochi di erica e di ginestra delimitano il “Nemeton”, l’area sacra. Sorgendo dalle tenebre della notte, nove guerrieri nudi, seguiti da altri nove, cominciano a girare nove volte intorno alla quercia più grossa, dedicata al dio Taranis:l’Asse del Mondo. Cantano un inno selvaggio in onore di Kamulos, il dio guerriero, affinchè egli protegga i raccolti dalle influenze della vecchia Karman(l’Inverno) in questa notte densa di pericoli. Danzano lanciando in aria, per poi riprenderle tra le mani, le loro lunghe spade di ferro. I capelli ondeggiano al tocco leggero di Gwalarn che spira da Nord-Ovest, e sembrano incendiarsi davanti al Tan-Tad. Mentre un rauco canto esce da ogni petto. All’unisono. “Tan, tan!Dir o dir!Tan, tan,dir ha ta,tan!gwin ha korol d’it hell! Gwad, gwin ha korol”. Ciò significa qualcosa come “Fuoco, fuoco, acciaio, o acciaio, fuoco, fuoco, acciaio e fuoco. Sangue e vino e danza per te, sole! Sangue e vino e danza!” Una processione di uomini e donne vestiti di bianco raggiunge la cima del Tuchenn Kador(la collina della battaglia). Non appena il sole tramonta, nel momento in cui appare Merzin-Myrddin, la prima stella, gli uomini in bianco compiono tre giri asttorno alla grande pira. Mentre l’uomo più giovane accende il fuoco, il più anziano, rivolto verso Est, declama”O fuoco, Signore supremo che ti ergi sulla terra e la cui fiamma raggiunge il cielo, proteggici! Fuoco con la tua fiamma scintillante, tu fai luce nella dimora delle tenebre, liberaci dai malefici! Tu stabilisci il destino per tutto ciò che porta un nome, colui che mescola il rame allo stagno, sei tu; colui sconvolge di terrore il cuore del malvagio, nella notte, sei tu….. Ricaccia le vili entità nel loro infetto regno” A questo punto, le greggi e le mandrie del vicinato vengono fatte passare tra i fuochi per proteggerle dalle epidemie. Prima le pecore piccole palle di grasso e lana dal colore bruno, testa e zampe di carbone. Poi i buoi di Scozia, dal lungo pelo rossiccio e infine i cavalli dal manto grigio. L’uomo anziano, dai lunghi baffi d’argento, sempre rivolto a Levante, riprende la parola dicendo”O Kamulos, guerriero divino, noi ti irngraziamo di impiegare la tua forza e il tuo vigore per proteggere i nostri campi e i nostri frutteti. Noi ti ringraziamo d’aver vegliato sulle nostre terre, ma anche quando i combattimenti occuperanno le tue energie, pensa ancora alle nostre piante e alle nostre bestie.” Alcune ragazze vanno a gettare al grande fuoco centrale dei pani rotondi e delle gallette decorate con ruote solari, dei mazzetti di tre piante, betulla, quercia e tasso, del vino di betulla e della resina di pioppo. Le cerimonie propriamente dette sono terminate.Allora possono cominciare i divertimenti, corse dei cavalli, di uomini e di donne………. Lugnasad o Lammas (31 luglio-1 agosto) In gaelico significa Assemblea del dio Lug, dispensatore di luce e saggezza e contrassegnava il culmine del raccolto. Era il momento della tregua militare, allietata dai giochi, fiere, musiche e dalla celebrazione delle nozze che duravano tradizionalmente un anno e un giorno, al culmine del quale i patti potevano essere rinnovati. Litha celtico Conosciuta dai cattolici come la festa di S. Giovanni, un vecchio adagio recitava ”San Giovanni col suo fuoco, brucia la strega, il morto e il lupo”. E’ l’ennesima trasposizione cattolica di feste pagane, in questo caso la festa del sole, la glorificazione della natura nella sua manifestazione stagionale. E’ il 24 giugno, festa di mezz’estate, il momento culminante della luce, prima che imboccasse il cammino discendente verso il buio dell’inverno. Il solstizio d’estate, insieme con quello invernale e con i due equinozi, occupa un ruolo secondario tra le feste celtiche, dove il primato spetta naturalmente alle quattro festività principali. Resta il fatto che tutte le feste celtiche sono ritualizzate mediante l’accensione di fuochi. I falò, infatti adempiono alla triplice funzione di sostenere magicamente il sole, imitandolo, di stimolare le correnti energetiche della terra(come se le si praticasse una sorta di agopuntura) e di allontanare le forze del male nascoste dall’oscurità. E’ questo il momento magico dell’anno in cui le erbe, vivificate dal potere maschile del sole e da quello fecondante e femminile delle acque e della rugiada, esprimono il massimo delle loro virtù terapeutiche e magiche. Raccolte all’alba, prima che il sole le sfiori e riunite in mazzetti che ne contengano tassativamente nove specie diverse(perché nove è il numero della sapienza e della completezza), tra cui non devono mai mancare il Timo,la menta, il prezzemolo e il fiore giallo dell’Iperico (cacciadiavoli), si trasformano allora in un potente strumento magico. Può essere un amuleto magico, da conservare essiccato per il ciclo annuale a venire, oppure di un infallibile mezzo divinatorio, una spia dei sogni da porre sotto il letto per conoscere in dettaglio il futuro. In questa data si può tagliarsi ritualmente i capelli perché crescano più folti, lavarsi con la rugiada per una pelle sempre più splendente, concepire bambini dotati di magici poteri. Poi naturalmente si può entrare in comunicazione con elfi, folletti, ninfe, fate, tutto quel popolo minuto e giocoso che in queste notti magiche, quando le maglie della rete tesa tra l’al di là e l’al di qua si allargano un poco e si lasciano contattare dalle anime più semplici e sagge. L’antica cerimonia druidica del solstizio si svolgeva in due tempi, all’alba e a mezzogiorno. La prima celebrava l’arrivo del giorno più lungo, la seconda, dopo un grazie all’astro, glorificato come donatore di luce, bellezza, giustizia e verità, prevedeva l’incoronazione di un membro della comunità che si era distinto nel corso dell’anno per il proprio talento. A mezzanotte precisa poi, non bisognava dimenticare un ringraziamento particolare a tutte le pietre segnaletiche, i macigni e i picchi rocciosi, dove l’energia femminile della terra si sposa con quella maschile del cielo. In questa stessa notte la tradizione vuole che i druidi si procurino l’irrinunciabile verga di nocciolo, simbolo celtico della sapienza e della divinazione, consacrandola con tre gocce di sangue del dito mignolo. Per non parlare poi del leggendario fiore roso della felce, che sboccerebbe a mezzanotte precisa arrecando felicità, ricchezza e fortuna a chi sappia osservarlo in silenzio e senza mai voltarsi indietro, insensibile ai rumori e alle voci prodotti da spettri apposta per spaventarlo e invalidare l’incantesimo. La festa di S. Giovanni(per i cristiani) si conclude con la fabbricazione rituale del nocino, che si dice di origine celtica. Si prepara con 39 noci, non una di più ne una di meno, perché 39 è multiplo di 13, il numero delle lunazioni dell’anno celtico. La seconda tradizione di questa data è il salto magico attraverso il fuoco, con la mano stretta in quella della persona del cuore, per assicurarsi un amore luminoso e duraturo. Si stringono poi fortissimi patti di alleanza(i comparatici).Un patto che rende più che amici, più che sposi,più che amanti. Nel momento preciso delle nozze cosmiche, quando il sole del Solstizio, entrando nel segno femminile del Cancro, si sposa con la Luna, ciascuno trova nell’altro il proprio complementare. Si accendono quindi in questa notte i falò, ritualmente con sale,erbe,vino e incenso, i simboli dei quattro elementi cosmici, per alimentare simbolicamente la terra e sostenere il sole. E’ anche il periodo in cui si congedano i vecchi pensieri, vecchi amore e per trasportare verso l’alto, come solo il focosa fare, nuovi propositi, idee, sogni. E’ bello immaginare gruppi di persone raccolte in cerchio intorno ai fuochi di S.Giovanni, con lo sguardo rivolto alla nuova era e il cuore rivolto alle antiche radici. |
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Numeri sacri |
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| INIZIO | DRUIDI | BARDI | LINGUE | SCRITTURA | ARTE | MEDICINA | CALENDARIO | NUMERI SACRI | ANIMALI SACRI | DEI ED EROI | SOCIETA | NAZIONI | SPIRITUALITÀ |
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1 L’uovo del Serpente Non è un semplice uovo di uccello quello che scatena la fantasia dei celti, ma il più misterioso uovo di serpente, simbolo della sapienza magica e dell’eterno fluire del tempo. Nei motivi decorativi celtici compare spesso sotto forma di cerchio forato al centro, sia singolarmente sia accoppiato alla sagoma della serpe, una linea perlata o ondulata e talvolta sorprendentemente associato alla testa di altri animali, come il cane, il cavallo e il toro. Non fa eccezione l’uomo, che conserva nel suo cervello qualche traccia primordiale della sua origine serpentina, della quale i poteri extrasensoriali che alcuni possiedono sono l’eredità più manifesta. Un classico celtico è il serpente con la testa da ariete. Anche l’idea dell’Androgino, l’uomo perfetto che ha cioè portato a piena maturazione dentro di se il maschile e il femminile, è rappresentato presso i celti come un cerchio o un globo, trapassato da uno stelo(forse il serpente fuoriuscente dall’uovo), lo stesso che sottoforma di ghirlanda infilzata al palo augura fecondità e fortuna a tutta la comunità durante la festa di Calendimaggio. 2 la falce Lunare La luna è l’occhio notturno del cielo, il perno del calendario celtico. Compare spesso come falce o semicerchio, sia isolata che inserita in altri motivi decorativi, per esempio come bocca,occhio,orecchio o ricciolo dell’acconciatura. Dalla più remota antichità dissimulata sotto forma di corna, orna il capo delle divinità femminili e notturne. Questo perché, le corna sono la fecondazione, quindi la testa cornuta diventa l’emblema delle potenzialità, il pensiero in grado di tradursi in realtà. Alle immagini della luna a volte si accoppiano quelle di animali simbolo della ciclicità lunare, il serpente che come la luna muta ciclicamente pelle, il cervo perché con il tempo muta le sue corna, l’orso perchè durante il periodo invernale va in letargo e quindi come la luna nuova si nasconde alla vista degli uomini, il cinghiale per la sua proverbiale fecondità, sulla quale la luna ha giurisdizione, il salmone, messaggero degli dei, per le sue migrazioni stagionali. 3 Il SoleE’ il simbolo della vittoria degli dei della luce e del cielo su quelli oscuri della profondità della terra. Però poiché accompagna le anime dei defunti nell’aldilà, si assimila anche alla morte. E’ quindi il simbolo dell’oltretomba e della rinascita. Questo spiega la presenza dei tre cerchi di sole, allineati e disposti a triangolo, graffiti sui dolmen come suggello per il passaggio all’al di là. Similmente le tre corna animali fanno riferimento alla natura celeste e solare della divinità, spesso disposte in una triade. Il grande dio Dagda , può per esempio avere tre volti, e lo stesso avviene per le tre Matres, divinità femminili delle acque e della fecondità. Il simbolo del sole si presenta poi con le figure animali ad esso attinenti, l’aquila, la gru,la cornacchia, signora dei campi di battaglia, il gallo, che al mattino saluta la ruota solare. Inoltre in tutti le immagini formate da tre oggetti identici disposti simmetricamente, tre rami di un albero, tre dita di una mano,tre frecce,tre lame di spada. Ma l’emblema solare per eccellenza resta la famosa Triskele, una sorta di ruota uncinata a tre raggi, che simboleggia, tra l’altro le tre grandi categorie dell’universo, spazio,materia, energia, nonché la costituzione dell’uomo, corpo, mente,spirito. 4 Il quattro Simbolo della terra e della materia, allude ai quattro elementi cosmici , alle quattro fasi lunari, alle quattro regioni d’Irlanda alle quattro festività principali, all’inizio delle stagioni (che per i celti coincidono con i punti centrali delle nostre) Samhain (inverno), 31 ottobre-1 novembre; Imbolc (primavera) 31 gennaio-1 febbraio;Beltaina(estate) 30 aprile-1maggio; Lammas (autunno) 31 luglio-1 agosto. Quando poi il quadrato, che è la rappresentazione geometrica del numero, viene scomposto in nove quadratini, diviene la diffusa “griglia del nove” simultaneamente simbolo del sole e della Luna. Per questa ragione il quadrato magico, tracciato in terra per accendere i falò di Beltaine , era costituito di nove riquadri. Gli otto più esterni, dovevano essere cancellati, mentre in quello centrale, il nono, veniva acceso il fuoco rituale, chiamato fuoco della necessità, con sette tipi diversi di legname. Analoga al Triskele è la Svastika, poco diffusa tra i celti ma talvolta stilizzata in immagini a base quadrata. Entrambi i simboli, possono essere orientati a destra o sinistra, nel senso del cammino del sole, sempre propizio o contrario a esso, sfortunato e malefico(come i nazisti). 5 Il cinqueSomma del due lunare, e del tre solare, è il numero celtico dell’eternità e della resurrezione. Non a caso il vischio, specie nella varietà a cinque foglie, è considerato il rimedio universale, che infonde tranquillità e benessere. Anche le mani e i piedi, spesso incisi sulle rocce, sono da ricondurre al simbolismo del cinque, Per non parlare poi dell’alfabeto dell’Ogham, le cui lettere stilizzate e composte da uno a cinque trattini orizzontali od obliqui, rispetto a una linea verticale che funge da guida, possono essere riprodotte e trasmesse gestualmente con le cinque dita.
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| ANIMALI SACRI | |||||||||||||
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Simbologia animale celtica Cervo Orso e Cinghiale presso i celti erano i simboli del potere, cosi come gli uccelli erano le manifestazioni dello spirito. Nell’arte e nelle religioni antiche, le corna degli animali hanno sempre rappresentato un segno distintivo della forza e della capacità riproduttiva del maschio. Animali simbolo in questo senso furono sempre il cervo per i popoli dediti alla caccia, mentre il Toro per quelli dediti alla primordiale agricoltura. Bue, toro, montone Rappresentavano la fecondità e il potere della natura Serpenti e draghi Talvolta identificati con i draghi sono la manifestazione del potere ctonio della madre terra L’Orso In particolare era il simbolo solare della classe guerriera e dei monarchi. In alcuni casi l’orso è assimilato alla Lune(associato dai celti alla dea Berne) perché scompare in inverno e ricompare in primavera, indicando così i suoi legami con i ritmi della natura e di conseguenza con i cicli lunari. L’alito misterioso dell’orso emana dalle caverne in cui si rifugia; e questo ne fa un’espressione dell’oscurità e delle tenebre, rafforzandone la sua funzione di “iniziatore” nei riti dei guerrieri. Dotato di una forza mostruosa e misteriosa, proprio per queste sue valenze ctonie, l’orso è un simbolo potente di forze elementari profonde, suscettibili di crescita e di tenacia, ma anche di terribili esplosioni di violenza primordiale. Per i Druidi l’orso rappresentava dunque la manifestazione del potere temporale del re, cosi come il leone lo era nei paesi meridionali. E come tale si opponeva istituzionalmente al cinghiale, simbolo del potere religioso dei Druidi. Il nome dell’orso nelle lingue celtiche Artos (arth in gallico, art in Irlandese, Arzt in Bretone) è facilmente identificabile con Artù (re Atthus, Arthur). La tradizione ci parla d’altronde delle costellazioni del grande e Piccolo carro come del Cerbyd Artos (il carro d’Artù) o piccola e Grande Orsa. Può essere interessante notare come un tempo la costellazione della Grande Orsa fosse simboleggiata dal Cinghiale, per essere poi sostituita dal simbolo dell’orso., quindi la sostituzione di immagine nella costellazione della Stella Polare, può rappresentare simbolicamente la sconfitta del cinghiale e l’acquisita supremazia del potere temporale del sovrano su quello spirituale dei Druidi Il Corvo Raffigurato su elmi e scudi, compare spesso nelle leggende celtiche con un ruolo profetico o di messaggero dell’aldilà. Se è tutto nero è di cattivo auspicio, ma con una penna bianca diviene simbolo di buonaugurio.Nell’antica Gallia il nome celtico di Lione, Lugdunum, fu interpretato sia come “altura, fortezza di Lug”, sia da parte di alcuni autori antichi come lo pseudo Plutarco, come “collina dei corvi”, in quanto secondo la leggenda, proprio un volo di corvi avrebbe indicato ai Druidi il luogo in cui erigere la città. Cosi il nome di una divinità locale della Gallia ai tempi di Cesare, Cathubodua, può essere tradotto come “corvo della battaglia”. Cornacchia Bodbh, è in Irlanda il nome della dea della guerra, la quale potendosi trasformare a suo piacere in qualsiasi animale, compare spesso sotto le nere sembianze del corvo. Manifestazione della Grande Dea, la Morrigan, era onorata presso i Celti come dea della Guerra e dell’Amore. In Irlanda fu sovrapposta e confusa con Bodbh, e anch’essa rappresentata come un corvo che vola ad ali distese sui campi di battaglia. Nel tain Bo Cualngè, la Morrigan ci viene descritta mentre si trasforma in corvo, in giovinetta innamorata di Cuchulainn, in lupa grigia, in giumenta rossa e in una vecchia sdentata. Alla morte degli eroi la Morrigan-Bodbh-Brigit compare sotto forma di tre corvi, rappresentanti le tre funzioni, tipicamente celtico-indoeuropee, della dea. Attributo delle dee della guerra e della fertilità, il “corvo benedetto” ha valenze contrastanti di simbolo al tempo stesso solare e tenebroso. Per i celti il volo del corvo segnalava l’avvento della battaglia, talvolta nunzio di morte, talaltra simbolo di protezione. Lo stesso Dio Lug è descritto come accompagnato da due corvi magici e il corvo è pure il simbolo di Bran il benedetto del cui lungo e giusto regno ancora oggi sono famose le leggende Il Toro Presso i celti è stato intenso generalmente come il simbolo per eccellenza della virilità. Infatti viene spesso identificato con la fecondità e la forza creativa del Sole, ma quando è cavalcato da dee femminili o dalla Luna stessa, il toro , o più spesso la vacca, detiene allora il simbolo del potere della Madre terra, la forza racchiusa nelle essenze umide e segrete della natura. L’uccione del Toro per l’avvento dell’anno nuovo, indicava la fine dell’Inverno e del regno delle Tenebre, propiziando l’avvento della Luce e la rinascita delle forze rigenerative della Primavera. Presso i celti il sacrificio dei tori veniva utilizzato nei momenti di massima sacralità. Plinio il Vecchio, nel suo Naturalis Historia, descrive accuratamente il sacrificio di tori bianchi collegato alla raccolta del vischio, mentre nelle antiche epopee Irlandesi il guerriero è indicato metaforicamente come “toro della battaglia” e il sacrificio di un toro è base fondamentale del rito di incoronazione degli ARD-Ri di Tara, i supremi Re d’Irlanda. Ritrovamenti in Gallia fanno inoltre pensare che i tori avessero per i Galli una valenza religiosa persino indipendente rispetto a quella di altri esseri antropomorfi, numerosi sono infatti i ritrovamenti di statuette di tori a tre corna. Il terzo corno doveva essere collegato alla valenza guerriera del simbolo. Questo corno delle statue rituali galliche presenta una palese affinità con l’Irlandese “lon laith”(la luna dell’eroe) descritta nelle saghe epiche come “una aura sanguigna che sgorga dalla cima del cranio dell’eroe in stato di eccitazione guerriera”. Simbolo celebrativo della fertilità e della forza virile, forse accresciute dal terzo corno quindi. Il toro rappresenta dunque un simbolo zoomorfo largamente diffuso in tutto il mondo celtico. Numerose statuette e bronzetti di 5 o 6 centimetri di altezza ne indicano l’uso come amuleto atto a favorire la forza e la potenza virile degli uomini che se lo portavano al seguito anche nella tomba. Anche se gli studiosi tendono ad escludere valenze totemiche tribali per i simboli zoomorfi per i celti, per questo animale si può ipotizzare la sua ascendenza da un mito molto antico derivato dalle prime popolazioni indoeuropee. Il Cervo L’importanza del simbolo del cervo risale sicuramente molto addietro nel tempo, sino al Mesolitico, dove nelle sepolture, corna di cervo venivano poste sul capo dei defunti. Per alcuni studiosi, si ritiene che in epoca remota al centro dell’europa si siano sovrapposti due diversi flussi culturali, quello del toro mediterraneo e quello del cervo artico. Questo spiegherebbe le parziali sovrapposizioni simboliche dei due animali ancora cosi ben attestate in epoca celtica e romana. Nelle incisioni ritrovate nelle Grotte dei “tre fratelli” risalenti a cromagnon 30.000 a.c(rappresentanti un dio con corna da cervo ornato da un collare o torc celtico risalenti al V/VI secolo a.c.) le rappresentazioni di un dio cornuto risalente a millenni precedenti e questo filo conduttore sembra non essersi mai interrotto, tanto è che probabilmente gli indoeuropei, ossia i successivi invasori, ne assorbirono il culto. In epoca celtica esistono numerose rappresentazioni di un dio cornuto, misterioso ed estraneo a tutte le classificazioni. Per i suoi palchi di corna che periodicamente cadono e ricrescono, il Cervo viene spesso associato simbolicamente all’albero della vita e come esso rappresenta la vita, la morte e la rinascita. Per alcuni il Cervo mantenne presso i celti la funzione di guida per i morti nel loro viaggio verso l’aldilà, presente sin dall’origine a fianco di quella di propiziatore di fertilità e abbondanza. L’importanza del cervo sia simbolicamente che culturalmente, presso i celti è attestata sia dai ritrovamenti archeologici che dalla sua frequente presenza nei racconti storici ed epici. Nell’epopea dei Fianna Irlandesi, il cervo è ancora come 3000 anni prima la preda più ambita del guerriero, ma esso è spesso anche messaggero dell’aldilà e guida magica verso i siti nascosti. Nelle saghe celtiche i cervi divengono bestie sovrannaturali del mondo della magia. Cuchullain, ancora giovanissimo, nel corso si una sua incursione nel nemico regno dell’Ulster, cattura un folto gruppo di cervi e li costringe a seguire il suo carro. Il cervo è anche un simbolo solare di potere risanatorio e di forza virile, e da questo prende la giustificazione il rituale di iniziazione del guerriero che beve il sangue caldo del cervo appena cacciato, come viene descritto anche nelle saghe di Finn Mac Col. Il cinghiale Antico simbolo indoeuropeo, possiede un carattere primordiale(iperboreo) che rappresenta il potere scatenato del lato selvaggio della natura. Animale sacro ai celti, il cinghiale era venerato per la sua forza e il suo coraggio. Figura frequentemente usata per le insegne militari galliche, come poi secoli dopo ancora negli stemmi dei nubili del Galles, Cornovaglia, Scozia e Irlanda, il cinghiale venne usato anche nella vita quotidiana come amuleto portafortuna, in sculture votive, sulle monete e perfino sui pettini dei corredi funerari delle grandi dame celtiche. Protettore della comunità, è il simbolo potente della forza vitale, della fertilità, della salute e del legame con la natura. Usato a protezione del guerriero, esso impersona il potere spirituale in contrapposizione all’Orso, che rappresenta il potere temporale. Gli stessi Druidi venivano talvolta indicati come “i cinghiali” per la loro attitudine a vivere da soli nei boschi e forse perché i cinghiali sono mangiatori di ghiande, frutti delle querce , alberi sacri proprio ai druidi. Artisticamente il cinghiale è spesso rappresentato dai celti in maniera altamente stilizzata, ma comunque sempre caratterizzata dalla presenza del pettine setoloso, chiaramente presente sul dorso. E’ proprio questo il simbolo della sua sacralità, e nessun Celta , nei tempi in cui le antiche tradizioni erano ancora vive, avrebbe mai rappresentato un cinghiale senza il suo pettine di setole ben alto sulla sua schiena ingobbita. Animale mitico dell’altro mondo, nelle leggende del “Mabinogi” si narra di come fu rubato per essere donato al popolo dei Gael. I celti allevano maiali e cinghiali allo stato brado apprezzandone altamente sia la carne, sia l’utilità pratica di ogni sua parte. Il cinghiale rappresenta il tradizionale cibo sacrificale della festa di Samain , oltre ad essere anche, con il corvo, l’animale consacrato a Lug . Contrariamente a quanto avvenne nella tradizione Cristiana dove il cinghiale o il maiale selvatico, è visto come una delle manifestazioni del demonio, presso i celti esso non assunse mai valenze negative o maligne, conservando anzi sempre un simbolismo positivo anche nelle leggende più tarde.
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Il Litha Celtico |
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| INIZIO | DRUIDI | BARDI | LINGUE | SCRITTURA | ARTE | MEDICINA | CALENDARIO | NUMERI SACRI | ANIMALI SACRI | DEI ED EROI | SOCIETA | NAZIONI | SPIRITUALITÀ |
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Brian Boru Brian Mac Connedi, conosciuto come Brian Boru, capostipite della casata degli O’Brian, fu uno dei più grandi eroi d’Irlanda. Si trattò del primo re che seppe, anche solo momentaneamente riunire l’intera isola sotto un unico potere Irlandese. Se la sua lotta era iniziata per cacciare gli invasori Vichinghi dall’Irlanda, alla fine egli seppe governare su tutti, in quanto comprese che i Vichinghi, stanziati da più di tre generazioni, e dopo vari matrimoni misti, erano ormai Irlandesi anche loro. Brian Boru, Ard Ri degli Irlandesi e re del Munster, cadde insieme a suo figlio maggiore nella famosa battaglia di Dublino del 1014, che spezzò il potere militare norvegese in Irlanda. La sua morte , non lasciando eredi diretti, ripiombà l’Irlanda nel caos delle guerre tribali tre i cinque regni. Gli eredi di Brian Boru regnarono sul Munster sino alla conquista inglese che mutò definitivamente il corso della storia Irlandese. Cuchulainn Da tutte le versioni della sua saga, per quanto riassunto e ridimensionate, emerge, potente e sanguinaria, la figura tempestosa di un eroe di portata semidivina. Guerriero Ariano (Roma non era mai riuscita a conquistare l’Irlanda ), splendidamente armato in bronzo e ferro, spesso mostrato su di un carro da guerra guidato dal suo auriga, che ama la musica e i racconti dei bardi, che sfida a singolar tenzone il suo nemico invece di sommergerlo sotto un’orda di anonimi soldati disciplinati, che si vanta delle proprie imprese con roboanti spacconate, che si ubriaca in compagnia e si batte a morte per la conquista del miglior pezzo di arrosto, detto appunto “la porzione dell’eroe”. Tali figure si sono quindi conservate in Irlanda più che altrove e ci sono state tramandate attraversoi racconti epici delle gesta di eroi come Cuchulainn e Finn Mac Col. La saga di Cuchulainn viene narrata nel “Tain Bo Cualnge” e in molti altri racconti minori tramandati parzialmente dall’opera di monaci amanuensi spesso poco rispettosi dell’originale ricchezza simbolica e pagana della storia, ma troppo affascinati da esse per non tramandarne almeno una versione addomesticata. Il Tain Bo Cualge, la “storia della razzia di bestiame nella contea di Cualge” che nella sua stesura più arcaica può essere fatta risalire al V o al VI secolo D.C., si rifà quasi certamente a una tradizione orale più antica. La vita dell’eroe dell’Ulster ci viene descritta nella sua breve e splendente parabola, dalla profezia che ne annunciò la nascita miracolosa, fino alla sua morte nella piana di Murthemme, ove, ferito, Cuchulainn si legò con la sua stessa cintura a un’antica pietra eretta per morire in piedi affrontando la moltitudine dei nemici. Battessato dalla nascita con il nome di Setanta, e sospettato di essere figlio dello stesso Lug, il Dio Luminoso, ancora bambino egli uccise a mani nude il feroce cane da guardia di Culann il Fabbro. Pentitosi del gesto, per penitenza Setanta, si offri di sostituire il mastino sino a che un nuovo cucciolo della stessa prodigiosa razza non fosse cresciuto e addomesticato a quello scopo. Sentendo tale profferta, quello stesso Druido Cathbad che ne aveva profetizzato la nascita proclamò che da quel momento il nome del fanciullo non sarebbe più stato Setanta, ma Cuchulainn, ossia”il cane da guardia di Culann”. Cathbad profetizzò inoltre all’eroe una vita breve, ma di grande fama e a tale affermazione Cuchulainn ancora bambino rispose “se sarò famoso ne sarò felice, anche se dovessi vivere un giorno solo” Per l’etica fdel guerriero Celta, la vera vita di un uomo dura sino a che sopravvive il ricordo della sua fama e in tale filosofia era già immerso il giovane Setanta, totalmente dedicato al suo destino di eroe.
Myrddin Myrddin-Merlino, rappresenta il Mago e Saggio, dai forti connotati druidici, egli è anche il “folle” toccato dagli dei con il dono della profezia. I tratti oggi comunemente noti del personaggio ci vengono dall’opera di Goffredo di Monmouth che li descrisse nel suo Vita Merlini(1149 d.c. circa) e pi nelle numerose citazioni sul personaggio che compaiono nella sua più famosa “Historia Regum Britannia”(1134 d.c. circa). Ma la figura del mago Merlino ha origini molto più lontane e affonda le sue radici nelle più antiche leggende dell’immaginario celtico. Già in alcuni dei primi racconti scozzesi si parla di una figura tradizionale di uomo dei boschi, un “uomo selvaggio” o “uomo verde” che nel nord della Scozia veniva chiamato Lailoken, mentre nel sud e in Galles il suo nome divenne Myrddin. Egli viveva da eremita nel cuore della foresta, descritto comeun vecchio vigoroso, con capelli e barba incolta, vestito con una lunga tunica bianca o grigia.Nella leggenda più diffusa egli è originario di Caerlon, antica sede delle legioni romane, poi chiamata Caermyddin, oggi Carmathen. Di Merlino si disse che fosse il frutto di un legame proibito tra un Incubo(demone notturno) e una nobildonna gallese. In seguito altre versioni o varie integrazioni andarono a completarne la storia. Nel “libro di Taliesin”(1300-1325) un antico manoscritto poetico che raccoglie brani della più antica tradizione bardica, troviamo il poema “la profezia di Britannia” in cui, per accreditare la veridicità della visione, la si attribuisce al profeta Myrddin, evidentemente già all’epoca conosciuto e rispettato. I vari segnali fanno effettivamente pensare ad un personaggio storico realmente esistito nel V secolo, sopravvivenza quasi certamente di una locale tradizione druidica e che all’epoca della stesura del poema era ormai già entrato nella leggenda accogliendo su di se varie simbologie mitiche. Numerosi poemi attribuiti al bardo Myrddin compaiono poi nel “libro nero di Carmarthen”(1250) come in altri manoscritti gallesi più tardi, che raccolsero la tradizione poetica dei bardi, ormai in via di dispersione. Fu proprio Goffredo di Monmouth nella sua opera che collegò per la prima volta la leggenda di Merlino con quella di Artù, facendone il mago e consigliere del più grande re di Britannia. Chrètien de Troyes riprese poi la leggenda arturiana cercando di trasferirla dalla Bretagna Inglese alla Bretagna Francese, dando inizio al famoso filone della “materia di Bretagna”. Da allora tutta una serie di reinvenzioni cortesi della leggenda situano Merlino e le sue vicende nella foresta di Brocelande. Sul versante Inglese, verso il 1485, Thomas Mallory, scrisse “La Mort Dartur”, ampliando la fama e la strutturazione classica della leggenda.Oggi Merlino rappresenta un simbolo unico e multiforme, mago, Saggio,dai forti connotati dr uidici, egli è il “folle” toccato dagli dei con il dono della profezia. Odiato dai Cristiani per il suo potere sull’immaginario popolare, è marchiato dal segno sotterraneo di una sua origine oscura quale figlio di un demone,ma è al contempo l’uomo dei boschi, in sintonia profonda con la Natura, buon saggio amico degli animali e medico insuperabile nella conoscenza di rimedi naturali. Taliesin Uno dei più grande bardi che la storia celtica ricordi,nessun dato storico conferma la sua vita leggendaria, druido, bardo e principe guerriero, ci viene riportata la sua esistenza solo da varie leggende. Si trovano dei canti bardici a lui attribuiti nel “libro di Taliesin”, un manoscritto del XIII secolo d.c. ritrovato in Galles e poi ricopiato più volte in epoche successive. Nei suoi poemi ci parla dell’eccellenza dei bardi e ci fa intendere di essere un iniziato ad un sapere multiforme. Egli di certo fu discepolo dei druidi e onorato del titolo di Penn-Bardd. Secondo la leggenda, fu un trovatello, gettato dal mare nella rete di un capo tribù. Educato dai druidi, imparò da essi la magia della natura e della musica. Visse attorno al VI secolo alla corte di re Uryen e dei suoi figli Owein e Elphin e combattè al loro fianco numerose battaglie. Spesso la sua figura si sovrappone e si confonde con quella di Merlino e in molte vicende i loro nomi si alternano quali protagonisti delle stesse situazioni. Un racconto narra più in dettaglio le circostanze miracolose della sua nascita. Il nano Gwion Bach lavorava un tempo come garzone presso una potente sacerdotessa, la maga Keridwen. Dopo aver indebitamente bevuto la bevanda della conoscenza, mentre sorvegliava la bollitura per conto della druidessa ne venne rincorso. Per sfuggire alla caccia della maga, Gwion si trasformò in diversi animali, rifugiandosi alla fine in un chicco di grano. Ma Keridwen, sotto forma di una gallina nera, lo raggiunse e lo beccò mangiandoselo. Dopo nove mesi la maga partorì il ri-nato Gwion, un bambino che è subito in grado di parlare e di profetizzare. Incapace ad un tempo di perdonarlo, come di uccidere il proprio figlio, la maga lo gettò nell’acqua tumultuosa di un fiume rinchiuso in un sacco di cuoio, lasciandolo al suo destino. Un giorno, il primo di Novembre, e cioè il giorno di Samain quando le barriere fra il nostro mondo e l’aldilà si fanno più sottili e i due mondi si avvicinano il sacco con il neonato cadde nella rete del figlio di un re e da questi fu adottato cone Taliesin. Lug Presso i celti il “padrone” del sole era Lugh”il luminoso”, l’”inventore di tutte le arti” il principe degli dei. Era il sovrano della natura, del cielo e della terra, l’arbritro ultimo della vita e della morte.La sua festa era la “Lugnasad”, il primo giorno del mese di agosto, la sua insegna cosmica il sole raggiante, il suo simbolo iconografico il cerchio. Esus? Taransi? Teutates? Tuatha de Danann Dei luminosi d’Irlanda
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| POLITICAMENTE DISUNITI | |||||||||||||
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| Nella
storia questo o quel popolo viene spesso additato come incivile solo
perché il punto di vista di chi giudica è diverso dal loro modo di
concepire la civiltà. Questo ad esempio vale per i celti che pur
progrediti in alcuni campi e con conoscenze tecniche superiori ai loro
contemporanei, non si dotarono mai ad esempio di strutture
architettoniche quali i greci e i romani.Ma la storia delle civiltà non
è uguale per tutti, con una partenza ed un arrivo prefissato, con tappe
intermedie standard.La vastissima terra da loro occupata era allora per
due terzi coperta da foreste, il rimanente era in buona parte occupato
da paludi e da vasti acquitrini.Tuttavia i galli, trovarono in questi
ambienti le necessarie fonti di vita.Nelle foreste praticavano
agevolmente la caccia, mentre nelle paludi erano infallibili
pescatori.Gradatamente abbandonarono il nomadismo e divennero
agricoltori, coltivavano soprattutto grano e vite. Qualche goccia di
sangue celtico scorre nelle vene dei popoli Europei, che secoli più
tardi, daranno origine alle varie particolarità, compresi i paesi
dell’Europa Orientale e finanche quelli dell’Asia minore. In linea di
massima però in molte zone i Celti erano frammisti all’elemento locale,
con cui si integrarono, ed è quindi difficile parlare di pura razza
celtica. Il crogiolo di tribù, circa una sessantina, molto bellicosi, si
può dire fosse unificato da pochi elementi, quali usanze, costumi,
credenze religiose e soprattutto la lingua.I celti concepivano il
rispetto di un sistema di autorità allargata solo quando questa era
legata ad un sistema di vincoli familiari, tenendo quindi saldo un
sistema di contatto personale con chi deteneva il potere.Difficilmente i
focosi celti sarebbero venuti meno all’istinto di libertà,
sottomettendosi ad un potere centrale, lontano e che avrebbe governato
per mezzo di una burocrazia di forestieri.Gli stessi re erano dei capi
tribù che non godevano affatto di un potere assoluto e insindacabile.
Essi dovevano mostrare il loro valore in battaglia ponendosi alla testa
dei loro guerrieri, mentre in talune questioni dovevano rimettersi al
giudizio dei sacerdoti che avevano anche il compito, nei casi più
importanti di amministrare la giustizia. Alla morte del sovrano, il
nuovo re veniva scelto dall’assemblea degli uomini liberi all’interno
della sua famiglia. Non necessariamente si trattava del primogenito,
anzi se si conveniva che all’interno del gruppo parentale del defunto
non vi fossero candidati provvisti delle necessarie qualità, non si
esitava ad investire della suprema autorità un aristocratico
appartenente ad un’altra famiglia.. Mentre in Irlanda la forma
monarchica si conservò per secoli, in gallia, come riferisce cesare,
l’aristocrazia assunse sempre maggiore influenza fino a giungere ad
impadronirsi direttamente del potere e a governare attraverso dei
rappresentanti. La società era fondata su una divisione abbastanza
rigida tra uomini liberi, semiliberi, e veri e propri schiavi.
Gli uomini
liberi della comunità si riconoscono dai “Tòrques”, collari di metallo
ritorto.Gli schiavi, invece, portano anelli di ferro sagomati in modo
che l’uno si possa agganciare a quello di un ‘altro durante le marce,
quando li si porta a vendere al mercato. In Irlanda il raggruppamento
comunitario era costituito dal “tùath”, una parola che originariamente
significava popolo e in seguito passò a indicare il concetto di località
o regione. Si trattava di entità piuttosto piccole che di fronte ad
esigenze particolari, come ad esempio i conflitti si associavano ad
altri gruppi simili. Le comunità erano ripartite secondo i tre gradi
funzionali delle società indoeuropee. Funzione religiosa(druidi),
funzione guerriera(re e uomini liberi adatti al combattimento), funzione
produttiva(artigiani, agricoltori e pastori). La vera e propria unità di
base nella Tùath era la famiglia intesa in senso allargato e diretta da
un capofamiglia che viveva con una o più mogli ed eventuali concubine.
Un sistema abbastanza ramificato di relazioni univa gli aristocratici
agli uomini di condizione libera ma che rappresentava la classe
popolare. I signori più importanti radunavano intorno a sé una
clientela di uomini appartenenti ai ceti inferiori in un rapporto di
scambio reciproco di protezione e di prestazioni politiche(il voto nelle
assemblee) e militari (l’affiancamento in battaglia9. L’interpretazione
della legge nella comunità poggiava sull’interpretazione della legge
consuetudinaria. Come detto però spesso toccava ai Druidi, nelle loro
assemblee “nazionali” cioè allargate a tutte le tribù stanziate nella
regione territorialmente omogenea, emettere le sentenze di carattere
generale. Sembra accertato ormai che esistessero anche dei giuristi
“laici” i quali dovevano trascorrere un periodo di studi in cui
imparavano a memoria una gran quantità di cognizioni riguardanti il
diritto.
LA TRIBU'CERCA IL SUO TERRITORIO Quando la tribù raggiungeva una certa dimensione, un gruppo di famiglie guidate da un “Brenno” (Brenno è appunto un nome ricorrente nella storia dei Celti e si pensa che non si tratti appunto di un nome proprio quanto di un appellativo, starebbe ad indicare il “condottiero” o “Re-capo militare”) si metteva in marcia verso nuovi territori.Piccoli resistenti cavalli trasportavano i guerrieri, che comunque alla bisogna combattevano sempre a piedi,mentre carri a quattro ruote trasportavano donne bambini e masserizie. Marciavano su malcerte piste che attraversavano i fiumi e raggiungevano pianure boscose che poi iniziavano a diradare. In prossimità vi era sempre una collina e dove potevano si facevano spazio tra la vegetazione con l’aiuto del fuoco. In cima alla collina cominciavano a scavare un fossato e con la terra di riporto costruivano il bastione difensivo. I druidi poi con i vari riti ne tracciavano il perimetro dove dovevano poi sorgere le mura difensive. Quindi facevano scavare delle fosse dove seppellivano le carcasse degli animali sacrificati agli dei, spesso tra questi corpi vi erano anche quelli di giovani prigionieri di guerra. Il passo successivo era la costruzione delle capanne.(vedere urbanistica) URBANISTICA ICelti non costruivano grandi città, popolarono il loro paese di numerosissimi casali e villaggi, i maggiori dei quali venivano cintati a scopo difensivo, con mura di pietre e palizzate. La casa era in genere a pianta circolare co copertura conica. Più che di casa vera e propria, si trattava di una semplicissima capanna. Per costruirla essi conficcavano nel terreno, lungo il perimetro, dei tronchi, che poi univano con un traliccio di rami. Sulle pareti applicavano infine uno strato di fango, e questo era l'intonaco che a volte veniva anche colorato. Le pareti interne potevano però essere abbellite con l'applicazione di pelli di animali. Non vi erano finestre, sulla porta, che era l'unica apertura era posto a guisa di ornamento e di .....ammonimento, il cranio di un nemico. Particolare tecnico caratteristico, era l'esistenza, all'interno di una buca funzionante da "pozzo perdente", ove si smaltivano, assorbiti dal terreno , i rifiuti liquidi della casa. Più tardi, le mura perimetrali furono costruite in pietra, mentre il tetto era sempre in argilla e rami intrecciati. Presso le dimore, dei capi famiglia venivano scavate buche circolari, rivestite di paglia, in cui si suppone venissero conservati chicchi di grano e orzo, necessari alla sopravvivenza dell'intera famigliaL'ERA GALLO-ROMANA Le città vengono notevolmente ampliate e arricchite di monumenti, assumono la tipica impronta romana, sorgono ovunque i grandiosi templi, i teatri, anfiteatri, circhi, terme, basiliche, archi, acquedotti, e ponti, nei quali nulla rimane delle precedenti espressioni artistiche celtiche. La caccia La caccia nell’antichità metteva di fronte uomo e preda, portando l’eroe al confronto oltre che con le sue forze, anche con quelle del mondo animale.Ci sono qualità che l’animale possiede in misura maggiore rispetto agli uomini e che il combattente aspira ad assimilare, per esempio, la forza dell’orso, l’astuzia del lupo, l’irruenza del cinghiale. La caccia, in quanto presuppone l’individuo solo nella selva, riveste la funzione di cerimonia iniziatica, quale prova che apre al guerriero le porte di una nuova realtà, ed è il fulcro di un immaginario iniziatico.L’immagine di iniziazione Indoeuropea prevede infatti il soggiorno nella selva, la vita di caccia e di rapina, la lottacontro un animale feroce, solo dopo un fanciullo diviene guerriero o puramente uomo.Di una caccia iniziatica è protagonista anche Re artù che deve combattere con la Twrch Trwyth, un’enorme cinghiale femmina che nei periodi di crisi del potere regale, rappresenta il potere spirituale contro il quale lotta Artù quale simbolo di regalità.Ciò è confermato dal fatto che la caccia veniva praticata non casiualmente, am secondo regole che nel loro insieme esprimevano un linguaggio simbolico. La caccia è anche necessaria per la sussistenza, e comunque rimane fonte di pericolo in quanto si tratta di un affronto alla natura e alle divinità. I celti pertanto non agiscono mai senza l’assistenza divina e qundi per questa come per tutte le altre attività richiedono l’approvazione e l’aiuto delle divinità. L’attività venatoria esige quindi, prudenza rituale e con le trombe da caccia, con cui viene chiesto l’assenso della divinità o della vittima che la rappresenta, si annuncia l’imminente sacrificio. Divinità celtiche della caccia sono Abnoba, padrona della foresta, Arduinna, divinità delle ardenne rappresentata nell’immaginario popolare a cavallo di un cinghiale con il coltello da caccia, è il simbolo dello spirito della foresta e dei suoi abitanti, tipico esempio di ambiguità celtica, protegge sia i cacciatori che le prede.Rigide regole quindi disciplinano questa attività, si narra che un uomo, avendo compiuto la criminosa azione di aver ucciso un’anatra posata sull’acqua di uno stagno invece che in volo, fu messo al bando dalla società(era in suso presso la legislazione celtica nessuno ne il proprio clan ne altri dei clan vicini potesse rivolgere la parola a una persona colpevole di un atto simile) dopo qualche mese fu costretto a scegliere fra l’esilio e il suicidio, l’uomo optò per il secondo. L’imperdonabile sua colpa era quella di aver messo in pericolo l’equilibrio cosmico che regge l’universo. Arriano, uno storico riporta le seguenti pratiche rituali. Vi è una legge secondo la quale alcuni celti devono fare alla dea della caccia sacrifici animali, altri devono offrirle somme di denaro in base alla quantità e alla specie degli animali uccisi. L’anno successivo, nel giorno della nascita della dea, si apre il tesoro cosi accumulato e in base alla somma raccolta viene comprata una vittima degna della grandezza della dea, oltra a questa vengono donate le primizie e i cacciatori offrono se stessi e i cani, incoronati di fiori, in quanto la festa è anche in loro onore. Si caccia di tutto, in alcune zone vengono però prevalentemente cacciati lepri, cervi, caprioli, questo perche la caccia prima di essere un piacere corrispondeva alle necessità di preservare le coltivazioni che questi animali devastavano. Si cacciava poi l’alce,l’uro o il grande bufalo(neolitico), come animali da pelliccia vengono cacciati volpe, tasso, martora,puzzola,lontra,faina,ermellino, donnola, lupo e orso, alcune parti dei quali vrngono a volte usate anche come ornamento.Le tecniche erano basate sullo studio del punto debole dell’animale. Le armi per le battute di caccia sembra fossero lancia e arco, per il quale si racconta che i galli usassero le frecce impregnate di ellaboro, un’erba medicinale in virtù della quale sembra che le carni tagliate attorno alla ferita fossero più tenere. A volte o forse spesso le battute si concludono intorno a banchetti dove l’esaltazione della preda e della sua pericolosità si manifestano pubblicamente e ne è diretta conseguenza l’esaltazione dell’eroe. Il coraggio “I Celti, sono sempre pronti alla lotta, essi prediligono la guerra sopra ogni cosa” così lasciò scritto il grande geografo romano Strabone(66ac-24ac). Gli scavi archeologici hanno confermato il giudizio dato da Strabone, infatti le armi e armature, costituiscono la maggior parte del materiale rinvenuto. I romani quando entrarono in contatto con questi popoli ne riportarono alcune impressioni. Eccezionale era secondo questi il loro spirito bellicoso. In tempo di guerra, si tingono la faccia e le membra con colori e disegni terrificanti, tre i quali predomina il colore blu, tratto dalla pianta detta “guado”si “ingessano” i capelli con vero e proprio gesso biancastro, che rende i capelli cosi irti che una mela vi rimarrebbe conficcata contro. Tutto ciò serve a spaventare il nemico prima ancora di affrontarlo. Questi soldati si lanciano all’attacco correndo all’impazzata e lanciando urla selvaggie. Il loro tipico armamento consisteva in una spada di ferro e in una o due lance anch’esse di ferro. Di solito erano anche miniti di di un corto pugnale per i combattimenti corpo a corpo, frequentissimi. I grandi scudi di legno o di bronzo erano gli unici mezzi di difesa di cui disponevano. Il capo ha un carro,in genere a due ruote trainato da due cavalli e solo a lui in genere è riservato il possesso di una corazza e un elmo complicato. Prima dell’attacco, passa e ripassa a gran velocità col carro davanti allo schieramento nemico, urla il suo valore, racconta le sue passate prodezze, annuncia con terrificante minuzia di particolari che cosa farà ai nemici vinti, sfida i “campioni” avversari a uno scontro individuale. Poi c’è lo scontro, anzi gli scontri. Un vero celta affronta da solo un solo nemico, è da vili affrontare in tanti un solo avversario. I migliori combattono addirittura nudi, con i colori magici sparsi sul corpo, il grande scudo di legno rinforzato di bronzo e soprattutto l’incredibile coraggio, sono una protezione più che sufficiente contro le armi nemiche. Capita di soccombere, certo, ma un eroe non muore sul serio. Da sempre i sapientissimi druidi ripetono che in fondo “la morte è solo un punto a metà strada”, tra la vita di qua con gli umani e la vita di la con gli Dei. I celti hanno l’abitudine di decapitare il nemico in battaglia.
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| LE SETTE NAZIONI CELTICHE | |||||||||||||
| INIZIO | DRUIDI | BARDI | LINGUE | SCRITTURA | ARTE | MEDICINA | CALENDARIO | NUMERI SACRI | ANIMALI SACRI | DEI ED EROI | SOCIETA | NAZIONI | SPIRITUALITÀ |
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Gàlizia Si tratta di una regione dell’attuale Spagna. All’angolo Nord-Ovest della penisola Iberica. Galicia in Spagnolo, Callaecia in Latino Questa zona fu colonizzata nel VI sec a.c. IN Spagna una serie di parole celtiche sono sopravvissute anche grazie al latino Celtico Spagnolo/Latino Camicia Camisa Capanna Banana, Cerevisia(oggi Cerveza, ossia birra) Leuca(misura agraria) Legua(lega) Betulla Abedul Alauda Alondra (allodola) Salmo Salmòn (salmone) IL nome della città di Lugo, è un toponimo celtico che significa Bosco sacro. Vi sono similitudini tra Deva(nome di una popolazione basca e del fiume che scorre li vicino) e Dee(fiume Scozzese di Aberdeen) Deva e Dee avrebbero origine comune nel nome Dive(divinità celtica delle fonti e delle acque fluviali) Di derivazione celtica è anche il fiume Duero(Durius o Duria) visto che in gaelico la parola Durlus significa Acqua. E’ interessante vedere quanto la zona Galiziana, bassa e delle Asturie, sia diversa oggi dal resto del paese. La sacralità dei boschi, delle fonti, dei fiumi, delle danze, le musiche, le leggende, i riti funebri e i culti si conservano a tutt’oggi in questa terra. In Galizia la notte della vigilia di San Giovanni, il 24 di Giugno, viene onorato il sole accendendo fuochi fino al mattino. Pur se celata dietro iconografie cattoliche, l’anima celtica continua a sopravvivere in questa celebrazione del culto solare.I riti elaborati dai celti per affrontare la paura della morte, sopravvivono nelle cerimonie di veglia funebre enella celebrazione della vigilia del giorno dei morti.In questa occasione spesso i Galiziani usano organizzare i Mugostos, feste in cui si arrostiscono le castagne mentre si raccontano storie e indovinelli. E’ probabile che derivi dall’usanza celticaannerirsi , nei banchetti funebri, con le castagne bruciate, simbolo dellincenerazione del defunto. Durante la veglia funebre invece si esegue una danza in cui i partecipanti presi per mano, formano un circolo e girano per tre volte intorno al cadavere simulando il ronzio dell’ape. Successivamente cominciano a raccontare al defunto indovinelli, giocano e scherzano per distrarsi e scacciare la paura della morte che assume in metamorfosi la forma di ape. I celti infatti credevano che le anime dei morti a volte tornassero sulla terra sotto forma di api. Diqui il proverbio “colui che uccide un’ape ha cento anni di sofferenza”. Numerose poi sono le leggende galiziane d’amore e guerra che presentan grosse similitudini con quelle Irlandesi. St. Patrik Day Storicamente si sa molto poco di lui. Pare che sia nato in BRITANNIA MAIOR(Inghilterra) attorno al 390, figlio di un diacono di nome Calpurnio. Alla nascita fu battezzato con il nome di SUCCAR e solo in seguito assunse il nome di Patrizio. Ancora molto giovane, sui sedici anni, fu rapito e fatto prigioniero dagli corridori vikingo-irlandesi che a quei tempi razziavano periodicamente i regni costieri d’Inghilterra. I pirati lo vendettero come schiavo in qualche centro delle coste irlandesi e qui rimase per sei anni a lavorare come mandriano. Quando infine dopo una rocambolesca fuga, si fermò a casa solo per breve tempo sentendo ben presto la vocazione al sacerdozio e andò a studiare i testi sacri in Gallia continentale, portando con se il sogno di tornare un giorno in Irlanda a portare la luce del cristianesimo. Fu monaco a Tours e poi studiò a Auxerre in francia, quale discepolo di San Germano e qui fu ordinato sacerdote attorno al 416. Nel 431 venne consacrato Vescovo da Papa celestino I e incaricato della missione di evangelizzare i pagani di Irlanda. Quando infine nel 432 tornò a posare il piede sull’isola, invece che a Dublino, per un errore di rotta, giunse al largo delle coste orientali, vicino alla contea di Down, ancora oggi detta la St. Patrick Country. Il suo successo è ancora più encomiabile se si pensa che non fu il primo a tentare di introdurre il cristianesimo in Irlanda. Via aveva provato Palladio, ma stentava a prendere piede e l’sola era in tutto e per tutto legatissima elle antiche tradizioni pagane Celtiche. In seguito Patrizio svolse opera di apostolato nelle regioni dell’Ulster, del Meath e del Connaught, fissando la sua sede episcopale ad Armagh, dove nel 444 aveva fondato un monastero. La tradizione vuole che abbia eretto la sua prima chiesa proprio a Downpatrick, nel cuore della regione dove pose piede la prima volta come evangelizzatore e dove oggi sorge la St Patrick’s Cathedral, la Cattedrale Nazionale Protestante Irlandese. A tre km da li nel villaggio di Saul , nel 1932 in occasione del 500 anniversario dello sbarco, fu ricostruita la copia di una chiesa celtica con torre circolare, si dice che li ebbe la sua prima predica e li sarebbe morto nel 461, mentre secondo altri sarebbe vissuto sino al 493. Anche la scelta del trifoglio, the Shamrock, come simbolo dell’Irlanda, viene attribuita a St. Patrick che lo considerava la sua pianta sacra. Pare che per convertire l’Hard Ri, il Re Supremo, e i suoi nobili alle dottrine cristiane, il santo abbia utilizzato proprio l’esempio del trifoglio per spiegare in modo figurato il concetto della SS Trinità. In qualità di Vescovo e Primate , si adoperò per formare una chiesa di collaboratori cercando di amalgamare e unificare le varie comunità. La leggenda vuole che durante il suo apostolato abbia ordinato ben 300 vescovi e 3000 sacerdoti. Il suo maggior successo politico fu la convocazione nella sede reale di Tara di un comitato autorizzato a discutere di religione cui parteciparono tre re, Laoghaire, l’Ard Ri di tutta l’Irlanda, Corc Ri del Munster, Daire Ri dell’Ulster, tre Brennos ossia Bardi-giudici-notai, depositari della legge antica, tra cui Fergus il poeta, tre vescovicristiani. In tale occasione fu preso in esame il corpo delle leggi irlandesi noto come SENCHUS MOR e ci si accordò per una revisione, soppiantò in quella occasione il tradizionale ruolo che era stato sino a quel momento dei Druidi. Pur scontrandosi con reticenze legate al paganesimo alla fine ebbe successo, tanto che dopo gli anni bui delle devastazioni barbariche proprio dall’Irlanda partì uno stuolo di sacerdoti che riportarono nei monasteri del continente copie di antichi manoscritti salvatesi grazie all’isolamento dei monaci isolani. Nel 441 St Patrick Sali sulla cima del monte della contea di Mayo, il Croagh Patrick, che sorge a sud-ovest dell’odierna Westport.Perfettamente conico, alto 765 mt, era da tempo immemore venerato luogo di culto pagano, ove l’ultima domenica di Luglio, veniva celebrata la festa celtica di Lughnasa. Forse fu proprio per questa sua sacralità pagana che lo scelse per dedicarvi 40 gg di preghiera e di digiuno, quale modo migliore di combattere il paganesimo di quello di sovrapporre il cristianesimo ad esso.In seguito a questa emulazione di Mosè al monte fu cambiato nome in Croagh Patrick. Attualmente la cima viene considerata sacra da molti Irlandesi e meta di pellegrinaggio. Ogni anno nell’ultima domenica di luglio migliaia di pellegrini raggiungono la vetta in processione alcuni anche scalzi.Del Santo sopravvivono anche alcuni suoi scritti quali la “Confessio”, una narrazione autobiografica della sua vocazione missionaria e la “Epistola ad Coroticum”, il re gallese di Stathclyde a cui rimprovera le scorrerie piratesche in Irlanda.A lui viene inoltre attribuita la famosa preghiera in Gaelico Irlandese FAED FIADA (Il grido del Daino9, che ricorda per struttura gli incantamenti della religione druidica. San Patrizio patrono viene festeggiato il 17 Marxo St. Patrick e i serpenti La chiesa tradizionale Irlandese ha spesso riconosciuto ai Santi Celti poteri magici sugli animali o sul tempo, e numerose sono sorte le leggende sulla loro capacità di uccidere destie pericolose con la preghiere, cosi come come un tempo questo era stato un potere specifico dei Druidi. Una antica leggenda(che simboleggia la cacciata dei pagani) ci narra che St. Patrick, tra le altre reliquie possedeva un sacro pastorale donatogli dallo stesso Gesù Cristo. Percuotendo con esso il suolo, un giorno scacciò tutti i serpenti liberando per sempre da essi la terra d’Irlanda. E a tutt’oggi non ve ne sono. La leggenda di Oengus A Cashel, una rocca nella piana di Tipperary, giunse un giorno Oengus, il Re del Munster, per farsi battezzare nella nuova religione da St. Patrick. La cerimonia si svolse sulla sacra pietra delle incoronazioni dei re del Munster. Mentre stava pronunciando il sermone sulla pazienza e la sofferenza della passione del Cristo, preso dalla foga della propria eloquenza, il santo battè violentemente al suolo il lungo pastorale colpendo inavvertitamente il piede del re che venne trafitto dalla punta ferrata del bastone. Al termine della cerimonia St. patrick gli chiese” che cosa puoi dirmi di ciò?”, facendo riferimento al sermone, “ credevo si trattasse solo di un rito religioso” rispose il re confuso, St Patrick con le sue preghiere guari subito il piede del sovrano. La vittoria di St. Patrick St. Patrick portò in Irlanda il Cristianesimo con il suo Dio di bontà, i suoi monaci disarmati e i suoi cori di voci bianche in chiesa, riuscì dove altri avevano fallito, sconfiggendo i mitici Keniani, i mitici guerrieri di Fionn, il simbolo guerriero della vecchia Irlanda pagana e celtica. L’elogio a Fion, che segue è l’ultimo lamento del bardo gaelico che vede i miti della sua civiltà sfumare e cedere il passo alla nuova religione che avanza, cancellando grazia, onore, grandezza del mondo degli eroi e da loro un ultimo addio colmo di rimpianto. ELOGIO DI FIONN Patrick, tu chiacchieri troppo rumorosamente e sollevi il tuo crocifisso troppo in alto il tuo bastone sarebbe presto esca per il fuoco se mio figlio Osgar fosse qui
Se mio figlio Osgar e Dio Lottarono la fuori sulla collina, e io vidi Osgar andare giù ho detto che il tuo Dio combatte bene
Ma come può il Dio che tu lodi E i suoi dolci preti che cantano in coro Esser migliori di Fion il guerriero Il generoso,senza difetti Fion?
Solo con la forza delle loro mani Le battaglie dei Keniani vennero combattute Senza mai una bugia detta Senza mai una bugia nel cuore
Là nessun preste seduto in chiesa Ad innalzare melodiosi salmi Cantò meglio di questi uomini Sfregiati in mille battaglie
Ciò nonostante voi monaci avete chiamato La legge del re della Grazia Quella che fu la legge dei Keniani Questa terra è la loro dimora
Se una più felice del Paradiso Esiste più in alto o più in basso È la che il mio signore Fionn E i sui guerrieridovranno andare
Ah! Prete, se tu avessi visto i Keniani Riversarsi sulla spiaggia più in basso O riunirsi nella corrente del Naas Tu li avresti lodati con tutto il tuo fiato
Patrick chiedi al tuo Dio Se ricorda la loro potenza O se lui ha visto, a est o a ovest Uomini migliori in uno scontro
O se ha conosciuto nelle sue terre Sotto le stelle e sotto la Luna Per saggezza forza e coraggio Un uomo simile a Fionn? La Musica Irlandese “Di tutte.le tradizioni antiche, l’Irlanda possiede la musica più varia e più bella” Arnold Bax(1853/1953) compositore Inglese. Oggi la tradizione vive con i successori dei Bardi-Gaeli che continuano a ritmare la vita Irlandese. Creata nel 1951 la “COMHALTAS CEOLTOIRI EIREANN”, l’associazione che riunisce i musicisti Irlandesi ha lo scopo di promuovere la musica tradizionale, mediante strumenti altrettanto tradizionali: -Violini di ogni forma, come il FADDLE,che può essere suonato molto velocemente -ARPA, nota già ai Gaeli, oggi è il simbolo d’Irlanda, era suonata dai FILID, sorta di musici-poeti. -UILLEAN PIPES , specie di cornamuse a soffietto suonate con la destra. -BODHRAN, tamburo di pelle di capra tesa su una struttura di faggio. -BONES , ossi battuti tra loro per scandire il ritmo delle ballate. Già nel XII sec. Gli arpisti Irlandesi erano famosi, poi gli Inghìlesi proibirono tale musica ritenut espressione di una cultura Cattolica, quindi potenzialmente ribelle, ma questa arte riuscì a sopravvivere. Nei primi anni ’60 il noto compositore SEAN O’RIADA(1931/1971) con il suo gruppo “CLEOTOIRI CHUALANN” specializzato nel recupero di vecchi brani, rende conosciuti strumenti e arie tipiche, il gruppo diverrà più tardi quello dei “CHIEFTAINS” ancora oggi il più importante gruppo di musica tradizionale, da queste esperienze partirono poi altri come: DUBLINERS/CLANCY BROTHER/PLANXTY/BOTHY BAND/ DE DANANN/MOVING HEARTS. Alla stessa fonte hanno attinto grandi interpreti della musica FOLK come Van Morrison , Enya,Hothose Flowers, Paul Brady, sino ai più contemporanei Clannad, in seguito è stato il momento del ROCK anni 70 con gli irriverenti Poguers, sino agli U, oggi veri ambasciatori del Rock Celtico, tra i principali gruppi Rock a livello mondiale.Ci sono poi i volti nuovi A-House, Scullion,Christy Moore, Gavin Friday,Sinead O’Connor, Altan,Dubliners,Chris de Burgh, Divine Commedie. Vi sono poi i gruppi di tendenza da ascoltare nei vari Pub dal vivo, Stunning, Big Geranium, Housebroken, Pamf, Engine Alley,Frames, Toasted Heretic, The sultans of Ping FC e infine i Committmens xhe si sono esibiti poche volte ma hanno inciso un album che va a rube(colonna sonora del fil omonimo gitato a Dublino). A Sligo, come a Galway può capitare di ascoltare musica di ogni tipo, a Dublino è utile acquistare in edicola “In Dublin”. Il successo della musica tradizionale ha fatto nascere diversi festival, ma il più importante è il FLEADH CHEOIL NA EIREANN, si svolge ogni anno in una città diversa a fine agosto, vi è poi il “FEIS CEOLI” a Dublino a fine Aprile inizio Maggio, mentre a Kinsale a fine ottobre vi è il “Fringe jazz Festival”, infine a ottobre a Cork vi è il “Guinness Jazz Festival”. Per le date precise, Ufficio del turismo Irlandese(Milano 02/8690541 o Comhltas Ceoltoiri Eireann(Belgrave Square, Monkstown 01/2800295 Newgrange Nel nord est dell’Irlanda, una terra ondulata di verdi pascoli il cui antico nome era Muirthemne, abbracciando il corso del Boyne poco a nord di Dublino. Nel punto in cui il fiume forma una grande curva, l’ansa del Boyne, Brugh na Bòinne in gaelico, una necropoli preistorica accoglie più di 25 tombe a corridoio. I tre tumuli principali sono Newgrange Knowth Dowth Essi sono innalzati su di una collina a distanza di pochi silometri l’uno dall’altro. Newgrange è un grande unico tumulo che un tempo si innalzava in ovale per circa 14 metri su di un diametro di 76, occupando un’area di mezzo ettaro. La tomba è fatta di più di 200.000 ciottoli provenienti dal letto del fiume Boyneed esternamente rivestita da blocchi di quarzite. Oggi assomiglia ad un basso tronco di cono dell’altezza di 9 metri, la cui calotta erbosa è trattenuta da un muro perimetrale, rivestito di quarzo lucente, che brilla di bianco splendore lungo la sezione anteriore, quella dove si apre l’ingresso. Qui il candore del muro si spezza nel grigio delle pietre che inquadrano l’ingresso, aperto sotto un massiccio architrave. Un corridoio lungo 18 metri si spinge nel cuore del tumulo, fiancheggiato da poderosi lastroni di pietra e mano a mano che ci si addentra verso il centro del monumento la sua altezza aumenta sino a raggiungere i 6 metri nella camera centrale. Su questa camera si affacciano altre tre celle, due laterali e una nella direzione opposta al corridoio, tre piccole camere contenenti grandi vasche di pietra. Un centinaio di pietrea secco, mirabilmente bilanciate, formano l’alto soffitto a modiglioni, intatto dopo 5000 anni. Sopra la porta di ingresso è praticata un’apertura quadrata, affacciata anch’essa sul corridoio principale, la cui pietra superiore, una lastra che fa da architrave, è incisa a doppie spirali e losanghe. Il vano, un tempo provvisto di porte mobili che potevano essere facilmente aperte e chiuse, è orientato come il corridoio alle sue spalle, in direzione del punto in cui il sole compare sopra l’orizzonte nel giorno del solstizio d’inverno. Nei pochi giorni che precedono e seguono il 22 dicemmbre, il primo raggio di sole del giorno penetra attraverso il corridoio fino alla vasca posta sul fondo della stanza posteriore, la grande camera cruciforme allora esplode per alcuni minuti di un alone magico di luce arancione. Secondo le religioni naturalistiche, il solstizio d’inverno, giorno più corto dell’anno, è il momento in cui la forza vitale del sole ricomincia a infondere energia alla terra addormentata. L’uovo cosmico di Newgrange fecondato dal primo raggio di luce del nuovo anno era il simbolo della continuità della vita e la garanzia della rinascita dopo la morte. La tomba è decorata da rilievi di splendida fattura incisi nella roccia. Di fronte all’entrata è coricato un enorme masso di circa 3 metri di lunghezza per 1.6 di latezza, originariamente posto all’imboccatura del tunnel d’inbgresso, integralmente ricoperto di onde sinuose a bassorilievo. Un anello di massi cinge infine a confine la base dell’intero tumulo, oggi ne rimangono 97 disposti lungo il bianco muro anteriore, e molti di essi sono decorati anche nella faccia nascosta.
GUINNESS E’ il 31 dicembre del 1759, il giovane Arthur Guinness, trentaquattrenne, varca i cancelli di una vecchia e cadente fabbrica di birra affacciata su James’s Street, con in mano un contratto d’affitto per 9000 anni a 45 sterline l’anno! I suoi amici scossero la testa quando vennero a saperlo, perché la vecchia Brewery di mattoni rossi era sul mercato da più di 10 anni senza trovare acquirente. Ma Arthur sapeva il fatto suo e dopo aver iniziato con la tradizionale birra chiara irlandese si dedicò alla porter, una birra contenente orzo tostato che le conferiva una colorazione scura,di recente introduzione in Irlanda. Prodotta a Londra derivava il suo nome dall’mmediato favore incontrato tra i facchini, appunto Porter, delle stazioni Londinesi. Guinness decise di affrontare gli inglesi sul loro stesso terreno e produsse, innovando profondamente i metodi dell’epoca, una porter cosi riuscita da battere facilmente la concorrenza.Inizialmente chiamata EXTRA STOUT PORTER, con il tempo prese ad essere nominata esclusivamente come STOUT. IL segreto della Guinness è oggi svelato, è infatti noto che la produzione della Guinness si basa sulla corretta combinazionew di quattro ingredienti, orzo, acqua,luppolo e lievito, nel corso di un processo fondato essenzialmente sulla trasformazione del primo.I chicchi di orzo vengono inizialmente sottopostoi a un trattamento ambientale che simula le condizioni del terreno in Primavera, è la maltizzazione, ovvero la pratica di far germinare i semi in condizioni controllate. Durante questa fase il seme d’orzo sintetizza gli enzimi necessari a trasformare la sua riserva di amido in zuccheri utilizzabili dalla piantina durante la crescita. L’orzo germinato, o malto, viene triturato grossolanamente e ridotto in farina di GRIST. Nel grist entrano anche una percentuale di orzo e di malto tostati, indispensabili per conferire alla birra la colorazione scura e l’inconfondibile sapore. Un’altra frazione dell’orzo necessario viene ammorbidita a vapore, rullata e ridotta in fiocchi, anch’essa entra a far parte del grist. Queste aggiunte alla miscela di orzo si fanno in una fase di mescolatura dei vari elementi denominata MILLING. Con l’aggiunta di acqua calda al grist, la pura acqua della sorgente St. Jame’s Well nella contea di Kildare, si passa alla fase di MASHING, la macerazione del malto, quella in cui gli amidi del grist vengono trasformati in un processo naturale, in zuccheri fermentabili. Mediante convogliatori a vite, il grist e l’acqua calda vengono mischiati alla temperatura di 65°, ottimale per l’attività degli enzimi e la trasformazione dell’amido, in una proporzione che conferisca la giusta densità all’infuso(MASH). Il Mash caldo viene trasferito in tini di fermentazione chiamati KIEVE. Il kieve è un’enorme pentola di trasformazione e filtraggio, dotata di una raggiera a rastrello che ruota nell’infuso. I materiali pesanti del mash precipitano, formando uno strato sul pavimento del tino, quest’ultimo è fatto in modo da poter essere aperto e lasciar colare la parte meno densa, il cosiddetto mosto di malto o WORT, un liquido nero e dolciastro. Una volta uscito il wort, nuova acqua calda viene immessa dall’alto, essa cola attraverso il letto di mash agitato dai rastrelli, raccogliendo gli zuccheri ceduti dall’infuso, ed esce dal basso. Questa operazione, nota come WORT EXTRACTION, si ripete più volte per lo stesso mash, i primo filtraggi daranno naturalmente un wort ricco di zuccheri, mentre gli ultimi ne daranno una bassa concentrazione, da reimpiegarsi nei successivi mashing. Il wort viene ora pompato alle caldaie di rame(copper o wort kettle) in cui avviene la bollitura. E’ a questo punto che vengono introdotti i semi conici del luppolo, dall’aspetto di piccole pigne, contenenti la puppolina, una resina che bollita conferisce il sapore amaro alla birra. Al termine della vigorosa bollitura il wort viene pompato attraverso dei separatori che trattengono il luppolo e raggiunge le vasche di raffreddamento,dove in circa due ore la sua temperatura viene riportata a 19°. La fase successiva è quella della fermentazione. Durante il passaggio nei tini(tun) di fermentazione, il wort viene moderatamente ossigenato, in modo da favorire la successiva attività di lievitazione. Nei tun l’ultimo elemento della catena di trasformazione dell’orzo, il lievito(yeast) viene aggiunto al termine del processo di mescolatura dei diversi wort, più o meno forti. La fermentazione è dovuta all’azione del lievito che si nutre degli zuccherialcool e anidride carbonica come sottoprodotti. Il processo dura circa 48 ore, dopo le quali il liquido viene separato dal lievito mediante centrifuga. Quella che ormai possiamo chiamare stout viene convogliata nelle cisterne del deposito o VATHOUSE. A questo punto qualunque attività organic cessa, la birra viene conservata sotto anidride caronica e trattata esclusivamente sotto vuoto sino al travaso definitivo in fusto o in bottiglia. Nessun additivo chimico entra nel processo. Il VINO DEL PAESE ome lo chiamava Joyce è pronto. Ha assunto un colore bruno, un gusto corposo e forte in cui troviamo l’aroma amaro del luppolo, il sapore un po’ bruciato del malto tostato, i fermenti zuccherosi dell’orzo, vi is sente l’acqua cristallina della contea di Kildare, vi si respira l’aria pura d’Irlanda.
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| SPIRITUALITA' | |||||||||||||
| INIZIO | DRUIDI | BARDI | LINGUE | SCRITTURA | ARTE | MEDICINA | CALENDARIO | NUMERI SACRI | ANIMALI SACRI | DEI ED EROI | SOCIETA | NAZIONI | SPIRITUALITA |
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L’antica tradizione druidica della visione celtica del mondo e della vita poneva l’uomo all’interno del sistema naturale e riconosceva che egli aveva un corpo, figlio della terra, e un anima, erede del principio del cielo, riservando quindi all’umanità un posto di responsabilità all’interno della creazione. L’uomo era il guardiano del giardino, il sapiente amministratore delle pietre, il curatore delle creature vegetali, il custode degli animali, il fratello delle forze naturali, del vento dell’acqua e del fuoco, il compagno degli Dei e non un povero peccatore schiacciato dal senso di quel peccato che lo costringe a sentirsi distante dalla divinità, come accade per il cristianesimo. Con il cristianesimo infatti questo mondo si stravolgerà, nascerà la mortificazione della carne del proprio corpo e della terra, quest’ultima rappresenterà tutto ciò da cui fuggire per raggiungere la “beatitudine dei cieli”, sarà poi il preludio all’odio verso la sessualità e quindi la donna. Sconfitti dai romani e dai successivi invasori, i celti seppero travasare come popolo, la spiritualità dei loro sacerdoti in un cristianesimo Nordico, visionario e appassionato. Gli alberi sono considerati importanti insegnanti della Scienza dello Spirito, non solo a livello simbolico, allo stesso modo gli animali, privilegiati interlocutori per entrare in contatto con i mondi invisibili. In sostanza era come se un sottilissimo velo separasse la percezione del mondo materiale da quello della Realtà Spirituale, e alcuni individui che hanno per cosi dire allenato le loro capacità di veggenza, hanno la possibilità di penetrare i segreti della natura ascoltandone il sussurrare attraverso gli elementi degli Dei maggiori e minori (piccolo popolo). Gli Dei camminano tra gli uomini e gli eroi possono fare affidamento su aiuti spirituali, i luoghi della terra pulsano di esseri di luce a guardia di sorgenti e grotte, le radure frequentate dai Druidi sono santuari e porte di comunicazione fra i mondi. Per i Druidi infatti laghi, fonti erano porte per l’Altra realtà, soglie attraverso le quali si potevano gettare le offerte di monete, spade, scudi, elmi e ricchezze da donare agli dei. Allo stesso modo venivano considerate le fiamme dei fuochi delle quattro feste più sacre. Anche la terra stessa veniva considerata una porta di passaggio, e molte offerte venivano sepolte in profondi pozzi all’interno delle cinte sacre. L’aria, solcata da uccelli, note di arpe e trombe e da parole di canti e formule rituali era lo strumento di passaggio più sottile. Va detto che i luoghi spirituali non vanno intesi come luoghi materiali, ma soprattutto come stati di coscienza, come mondi interiori. I sogni di un individuo trovavano riscontro nella realtà di tutti i giorni, cosi come alcuni avvenimenti fisici erano la manifestazione di realtà spirituali. OIW I druidi insegnavano che esisteva un solo Dio OIW, irraggiungibile dalla comprensione umana e pertanto era inutile cercare di conoscerlo o invocarne i favori. Egli era talmente distante dalla realtà umana che non se ne interessava minimamente. OIW però si manifestava secondo una triplice energia che prendeva il nome di SKIANT (conoscenza-saggezza), NERZ (forza-volontà), KARANTEZ (amore-creatività) e che forniva tre strade verso il divino, tre sentieri percorribili da tutti. Queste tre energie venivano personificate dai celti con la figura di un vecchio (Skiant), un giovane guerriero (Nerz) ed una bellissima donna (Karantez) che si suddividevano ciascuno in tre manifestazioni(ogni cosa che scende dal piano spirituale a quello materiale ha una triplice forma). I druidi sapevano quindi dell’esistenza di un unico Dio che si esprimeva nella molteplicità, creando gli infiniti Dei che conosciamo,dei numerosissimi esseri di luce preposti alla crescita della vegetazione, al prosperare degli animali, alla salvaguardia dei luoghi naturali e dei filoni di metalli(gnomi, fate, folletti). Ogni cosa rientrava nello schema della divinità e della sacralità. Nel loro insegnamento i druidi non contemplavano la possibilità di una “creazione in atto” e non poteva esistere un momento specifico in cui tutto era iniziato. I druidi avevano organizzato la società celtica secondo tale schema spirituale e le tre classi sociali erano: I druidi: (conoscenza-saggezza) L’insegnamento e lo studio appartengono alla sfera della Conoscenza-Saggezza I Guerrieri:(forza-volontà) all’interno della quale veniva scelto il Re, che nei tempi antichi restava in carica un anno Produttori e uomini d’arte (amore-creatività) Non vi era divisione tra sacro e profano, ogni atto era una manifestazione spirituale. Il sesso apparteneva alla sfera dell’Amore-creatività. In questo modo la spiritualità veniva vissuta quotidianamente, il piano divino di manifestava all’interno della società e per mezzo dei suoi membri. Tale tipo di organizzazione puntava molto sulla dignità di ogni individuo, sulla libertà interiore, sull’onore, sul valore della parola data. Il Sidh Il mondo spirituale era definito “sioh”, “sidh” o Sidhe”, il luogo che sta nel sottosuolo (inteso come al di la del visibile) identificato negli elementi naturali, ma anche appena al di la delle fiamme e delle luci dei fuochi, fra lo scintillio delle armi, nella lucentezza della Luna e delle stelle, nel sapore degli alimenti, nella rapidità del pensiero e del vento, nei moti del cuore, nelle sensazioni e nelle intuizioni, nei mondi interiori degli uomini. Il Sidh letteralmente “pace” o “tumulo divino” era il reame felice in cui non vi erano sofferenze grazie alla ricchezza dei cibi, bevande e gioia che vi si trovavano, ed i cui ingressi comparivano di tanto in tanto sotto la superficie del mare o sul fondo dei laghi, nelle colline o sotto terra . Ma al solito è meglio pensare ad esso a come un luogo senza spazio. I Celti credevano quindi nella vita nell’Altromondo dell’anima (cosa che all’epoca stupì gli autori greci e romani) I Druidi consideravano la morte semplicemente come una porta di passaggio verso una più lunga esistenza e particolari situazioni permettevano al Mondo Spirituale di manifestarsi sulla terra agli uomini. I MONDI INVISIBILI La concezione dei celti a proposito dei mondi invisibili ci proviene da numerose saghe. Gli esseri di luce, gli dei, i Tuatha De Danann, parlavano continuamente agli uomini ed interagivano con la loro storia e quella dell’Irlanda. I vari Mondi Invisibili o Cerchi di Manifestazione non sono quindi luoghi materiali, ma piuttosto stati dell’energia divina, stati di coscienza dell’essere umano. I druidi insegnavano che la manifestazione si esprimeva su diversi piani che potevano essere simboleggiati come una spirale che si svolgeva dall’interno all’esterno, oppure come una serie di cerchi concentrici, uno che conteneva l’altro in una successione inclusiva. Pensiamo quindi a tre cerchi concentrici in cui : -al centro è situato il CEUGANT, il cerchio vuoto, paragonabile all’infinito, la Totalità dell’Esssere. Il Ceugant era il piano divino della manifestazione, la “sede” di Dio, irraggiungibile dall’uomo, il “luogo” dove nulla esiste e tutto è, L’OIW(la divinità unica) assoluto. -Un secondo cercho o “stato di coscienza” era il GWYNVYD , il Mondo Bianco, che rappresentava la purezza, il bene al di la del male, il cerchio dell’immortalità. Esso era il “luogo” della coscienza spirituale. -Vi era quindi il terzo cerchio, l’ABRED, il Mondo della Necessità e della Prova. Esso era rappresentato dalla realtà materiale, dal mondo fisico, ma anche dalla coscienza che attratta dalla terra faceva ritenere all’uomo che la vita fisica fosse l’unica possibile. L’Abred era il luogo ove gli esseri umani, animali, vegetali e minerali nascevano e nel quale trovavano il loro campo di azione per sviluppare, innalzare ed ampliare lo stato di coscienza e giungere agli altri cerchi. L’Abred era la vita quotidiana, l’universo fisico relativo e limitante dove esisteva l’illusione della vita e della morte dei corpi materiali, ma era anche la strada che doveva essere percorsa, rappresentando l’errare sul cammino spirituale. Il cerchio di Abred rappresentava quindi il mondo materiale dove le creature vengono messe alla prova attraverso le esperienze della vita per prendere coscienza della loro costituente divina e spirituale e far evolvere in questo modo la loro coscienza. L’Abred era la via di mezzo per eccellenza. Esistevano alcuni ostacoli nel cerchio di Abred, tra i quali l’ignoranza costituiva l’errore fondamentale. L’unico modo per abbandonare questo cerchio di sofferenza e lo stato di coscienza corrispondente è quello di sviluppare la Scienza-Conoscenza, chiave di accesso al Gwynvyd, il mondo spirituale. Il cerchio di Abred era inoltre costituito da tre ulteriori Cerchi, Gobren, Kenmil e Ankoun, “luoghi” di manifestazione e prova degli esseri viventi. Gobren Era lo stato di coscienza di chi vive nell’Ingiustizia e la cui esistenza era funestata da eventi, personaggi e pensieri-emozioni legati a questa vita negativa. Kenmil Era lo stato di coscienza della Crudeltà, equivalente all’umanità istintiva e animale, questi primi due cerchi formano il mondo visibile , percepibile attraverso i sensi fisici. Ankoun L’evoluzione avveniva nel cerchio di Abred perché Annwn appariva come la periferia di esso, lo stadio più basso. E’ il cerchio del mondo invisibile,soggiorno dei morti, l’Altromondo più vicino alla Terra, . i cui confini non erano ben definiti, era l’ANNWN, il Non-Mondo, l’Abisso, la Sorgente della materia primordiale, il mondo degli elementi allo stato primitivo, della materia inanimata come principio bruto, non evoluto e anche degli esseri decaduti, la profondità oscura e incosciente dell’essere, la notte della coscienza, dove le anime prendevano lentamente coscienza di quello che erano state. Esso rappresenta quello che oggi definiremmo la vita mentale subcosciente. Secondo la tradizione celtica, tutte le cose possiedono un’anima e questo è dovuto al fatto che ogni essere nell’universo è costituito da NWYR, l’etere divino sintetizzato dai quattro elementi Kalas, Gwyar,Fun,Uvel, ossia Terra, Acqua,Aria e Fuoco e animato dal MANRED, il germe di luce, una scintilla divina. Quando sopraggiungeva la distruzione della forma assunta dal Manred, l’avvenimento conosciuto come “morte”(per avvenuta scissione dei quattro elementi detti n precedenza), la scintilla divina passava nel cerchio esterno alla materialità detto Ankoun, il cerchio del rinnovamento, il Mondo degli Spiriti dei Morti. Anche l’Ankoun, come gli altri Cerchi, è uno stato dell’essere, un luogo virtuale formato dalla vita mentale degli individui. Qui il defunto si trovava circondato dalle immagini degli oggetti e delle persone che costituivano la sua vita terrena e non cambiava affatto di condizione o di preposizione d’animo. Il celta che moriva e penetrava nel Cerchio dell’Ankoun, generalmente vi trovava le proprie armi, i propri utensili e vestiva l’ultimo abito portato in vita. Il giorno di Samain i morti facevano ritorno sulla terra attirati dal ricordo della vita e i vivi li accoglievano con serenità. Dopo un periodo passato nell’Ankoun lo spirito del defunto, preso coscienza della propria morte e finita l’illusione di credersi ancora circondato dagli oggetti a lui cari, si spostava nel Gwynvyd Per il celta morto rappresentava il paradiso, raggiungibile dopo aver transitato nel Ankoun. Al termine di un periodo non misurabile in tempo e spazio per l’assenza di tali concetti nei mondi spirituali, ricominciava il suo peregrinare nel cerchio dell’Abred o si innalzava al Ceugant LE TERRE DEI MORTI Per i Celti le Terre dei Morti erano isole poste ad ovest del continente europeo, oltre l’Oceano Atlantico, oppure città sprofondate nelle acque del mare. Questi luoghi erano conosciuti con diversi nomi, come Tir na nOg (terra dei giovani), Tir na mBèo (Terra dei vivi), Tir na mBàn (terra delle Domle), Mag Mell (Pianura dei Piaceri), Mag Mòr (grande pianura), Tir Tairngiri (Terra promessa). Per la letteratura gallese le anime dopo la morte si recavano nell’isola di Ynys Afallach, la mitica Avalon, dove particolari frutti, forse mele, erano in grado di conferire l’immortalità, l’eterna giovinezza e la scienza a chi se ne fosse nutrito. In Irlanda accadeva talvolta che gli abitanti del Sidh, soprattutto le Bansidhe (letteralmente “donne del Sidh”, trasformate poi in streghe annunciatrici di morte con il nome inglese di banshees, rapissero un fortunato mortale meritevole e lo trasportassero nel loro mondo. Queste messaggere fatate apparivano spesso sotto forma di cigni e avevano il compito di creare un legame fra il mondo terreno e il mondo Divino. La reincarnazione Il concetto di reincarnazione è strettamente legato a quello di immortalità dell’anima. Secondo Ammiano, Stradone, e Marcellino i Druidi insegnavano che le anime degli uomini erano immortali come l’Universo. Anche Diodoro Siculo, Lucano, Pomponio Meda, Valerio Massimo e Giulio Cesare riportano che per l’insegnamento druidico l’anima era immortale, aggiungono poi che dopo la morte (punto mediano di una più lunga vita) i Druidi asserivano l’esistenza di un’altra vita, altri corpi, altri mondi, altre realtà. E’ quindi molto probabile che il concetto di immortalità dell’anima faceva parte dell’insegnamento druidico, mentre non è altrettanto certa la credenza nella reincarnazione. Gli autori classici citati chiariscono con certezza che i celti credevano nella trasmigrazione (passaggio di anime dopo la morte da un corpo ad un altro, sia animale che vegetale o minerale), mentre altri hanno sostenuto la credenza nella reincarnazione (l’anima vive più vite in successione, ma sempre in forma umana). Altri hanno negato entrambe le possibilità. Secondo invece le leggende Irlandesi e Gallesi, l’insegnamento druidico a proposito dell’anima e della sua manifestazione in varie forme è da intendersi più come la percezione da parte dell’individuo di uno stato di coscienza differente, piuttosto che del passaggio dell’anima da un corpo a uno nuovo. I Celti, quindi credevano che uomini dalle qualità eccezionali (illuminati diremmo oggi) erano in grado di “ricordare” lo stato di coscienza vissuto dalla loro scintilla divina (il Manred, la loro anima) mentre si manifestava nelle differenti forme viventi, durante il tempo infinito della creazione, oppure erano in grado di essere pienamente coscienti dello stato di coscienza di una goccia d’acqua, di una pietra, di un albero, di un falco nell’istante medesimo di esistenza, nel Presente, nel Qui e Ora, in una sorta di unione spirituale e di coscienza con tutte le cose. Tuttavia vi sono testimonianze di una vera e propria credenza nella reincarnazione. Si possono trovare nella mitologia irlandese numerosi riferimenti al mutamento della forma, ma spesso tali mutamenti avvengono in vita. Si potrebbe ipotizzare che osservando i motivi floreali e animali che si intrecciano ornando i numerosi reperti archeologici, le splendide miniature Irlandesi dei testi sacri e alcune caratteristiche comportamentali della classe guerriera e sacerdotale, che i celti e i Druidi in particolare credevano nella reincarnazione della Vita Unica in innumerevoli forme, di un Fiume Vitale, divino per natura, che per manifestarsi ha bisogno di rivestirsi continuamente di abiti materiali, piuttosto che nella reincarnazione di uno spirito ben determinato in corpi successivi. E’ come se il grande Fuoco della Vita Una, si scindesse in innumerevoli Scintille Fiammeggianti in grado di dare vita a tutto ciò che esiste, conservando in se le caratteristiche del Grande Fuoco da cui derivano. I personaggi mitici che eseguono le varie metamorfosi non sarebbero altro che semplici veicoli per passare l’insegnamento druidico da maestro a discepolo. Gli studenti di una scuola druidica avrebbero avuto le chiavi per “leggere” tali racconti e vedere sotto le coltri del simbolismo le dottrine fondamentali della Vita, mentre la gran parte del popolo le avrebbe sentite cantare e le avrebbe tramandate solo come leggende estremamente affascinanti. Vi è poi la possibilità che un individuo sia in grado di compiere una serie di passi necessari a sviluppare facoltà particolari utilizzati dalla propria coscienza per entrare in contatto sciamanico con altri oggetti. L’ipotesi è che i poemi fondamentali della tradizione siano la descrizione di questi stati di coscienza durante i quali i sacerdoti entravano nelle altre creature vivendone le esperienze.. I fondamenti del druidismo sono riassumendo: -Affermazione dell’esistenza di un Dio unico, da cui si manifesta una gerarchia spirituale che rappresenta le forze della natura. -Venerazione del sole(l’occhio di Dio) come simbolo visibile del principio Unico e Increato, manifestato e rappresentato da tre raggi di luce(trinità creatrice), legati al nome di Dio O.I.W. -Accettazione della materia come elemento dinamico dell’evoluzione, spiritualità incarnata. -Evoluzione spirituale attraverso più vie (cerchio d’Abred, la Necessità). Presenza della Legge di Causa Effetto nell’azione (Kroui celtico equivalente al Karma sancito). Molteplicità dei mondi abitati e dei piani della Manifestazione. -Rispetto della vita universale (rifiuto di uccidere senza necessità). Apertura di spirito, manifestazione della tolleranza, dell’ospitalità, dell’altruismo, dell’amore fraterno, dello spirito di unità. Sentimento acuto di indipendenza legata alla libertà” punto di equilibrio di tutte le opposizioni” -Uguaglianza dei diritti fra uomo e donna, riconoscimento delle loro funzioni reciproche 3e complementari. -Spiritualità razionale, assenza di dogmi rigidi:gli insegnamenti trasmessi oralmente sono destinati ad essere compresi e non appresi. Primarietà dello SPIRITO in rapporto alla LETTERA . Comprendere e spiegare il mondo che ci circonda, nel quale e per il quale viviamo, ricollegandolo alle cause invisibili del piano spirituale. Metodo pedagogico del dialogo. -Successivo uso di massime e leggende (triadi bariche) per insegnamenti destinati alle masse. II culto dei morti era notevolmente evoluto e conseguentemente l’idea dell’oltretomba, ciò è testimoniato dai più antichi monumenti archeologici megaliti (romlech, Dolmen, Menhir ), associati più o meno a ragione anche ai sacerdoti celti, i quali li avrebbero usati anche per la divinazione, i sacrifici e lo studio delle stelle.
Sacrifici Stando ai cronachisti latini i celti praticavano rituali di torture e sacrifici degni della peggiore barbarie. Nella realtà in alcune paludi situate in territori abitati anticamente dai celti sono stati ritrovati i cadaveri di persone strangolate con una corda preziosa. Si ritiene che questa fine toccasse a personalità importanti, presumibilmente a capi tribù di popoli nemici, che prima di essere gettati nella melma e con ciò consacrati alle divinità usufruivano di questo “privilegio”. Secondo alcune testimonianze nel corso di cerimonie destinate a propiziare un raccolto abbondante, erano addirittura i bambini ad essere sacrificati. Ma la crudeltà non si limitava solo a questo, anche l’arte divinatoria ne faceva uso. Uno dei metodi più apprezzati per interpretare il futuro consisteva nel pugnalare un uomo un poco sopra il diaframma ed osservare le contrazioni mortali e l’efflusione del sangue per trarne gli auspici. Tutte le religioni a ben vedere hanno avuto una componente legatala sacrificio, è bene non dimenticare che anche se si tratta di soli sacrifici di animali, la crudeltà non è solo appannaggio del mondo antico. Tagliatori di teste I comportamenti anche se a prima vista truci, vanno osservati nel contesto che li ha prodotti, evitando il rischio di facili demonizzazioni. Del resto per uno straniero vedere appese alle porte delle casa o esposte nei santuari, in appositi”appenditori di crani”, le teste mozzate dei nemici doveva procurare uno shock non indifferente. Ne poteva risultare particolarmente gradita un’accoglienza in cui il padrone di casa, tanto per mettere a suo agio l’ospite straniero, mostrava con orgoglio la propria collezione di teste imbalsamate, vantandosi del fatto che non le avrebbe cedute nemmeno per la più favolosa delle ricompense. In questo caso però l’antica usanza, certamente truce, non va confusa con la semplice crudeltà d’animo. Nella cultura celtica la testa di un uomo morto possiede una rilevanza. Possedere la testa di un uomo ucciso in battaglia, significava infatti avere il dominio della sua componente spirituale ancora presente nel mondo. Per questo a volte si tagliava la testa del proprio compagno caduto in battaglia, per evitare che se ne impadronissero i nemici.
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