FIABE, LEGGENDE, NOVELLE POPOLARI DI VEGLIE.

INTRODUZIONE

Veglie è un piccolo paese della provincia di Lecce, che conta una popolazione di circa 14.000 abitanti. Nonostante la sua economia favorisca l’attività commerciale, fiorenti sono infatti le industrie del gelato e le aziende tessili, non mancano i braccianti agricoli. Questo cambiamento da paese agricolo a paese industrializzato si è avuto soprattutto verso la seconda metà di questo secolo, tutto ciò ha modificato la vita di ogni singolo cittadino, anche se gran parte delle nostre tradizioni e usanze sono rimaste intatte. Ogni città o paese per quanto piccolo possa essere, ha sempre una sua storia. Non è da credere, però, che la storia, la cultura, sia data soltanto dai grandi personaggi o dai grandi avvenimenti di un popolo: storia e cultura sono anche e fondamentalmente, il modo di pensare, il modo di agire, le abitudini, le tradizioni, le scenette popolari; storia e cultura è, anzi, lo stesso modo di esprimersi, ossia la lingua dialettale, sempre caratteristica, con le sue espressioni, le sue frasi, i suoi termini che esprimono, cioè, con il loro stesso suono più efficacemente di qualunque frase ben fatta, quanto vogliono significare. Infatti nella mia raccolta di fiabe, novelle, leggende popolari tutte le storielle sono risultate molto più efficaci e spontanee se venivano raccontate in lingua dialettale.

PARTE PRIMA

Occorre fare una distinzione tra novella, fiaba e leggenda. La novella può essere considerata come un breve racconto di fatti verosimili e fantastici. Distinta dal romanzo per la brevità e il piccolo numero di personaggi, e oggi più spesso chiamata racconto. Raccolte di novelle famose sono il “Decameron” di Boccaccio (XIV sec), le “Novelle esemplari” di Cervantes (XVII sec) ecc. . . La leggenda è un fatto non realmente accaduto, ma tramandato con tutte le alterazioni dovute all’immaginazione, con un fondo, generalmente, morale, cavalleresco, storico o religioso. Ma può considerarsi come un fatto tradizionale, conosciuto senza il conforto di documenti che lo comprovino, ma tale da essere accattato quasi come vero. Sin dai tempi più lontani, si è creduto che le Fiabe, fossero nate presso il popolo come testimonianze delle credenze, e dell’animo dei popoli nelle loro frasi più antiche. E siccome presso tutti i primitivi incontriamo rappresentazioni religiose simili, senza che si possa pensare a influenze reciproche, così la poligenesi delle fiabe parve dimostrata. Il risultato forse migliore di questi studi, fu quello di aver riconosciuto che nella fiaba primitiva si possono trovare credenze antichissime di uomini, animali e oggetti del mondo circostante, operazioni e atti magici, esistenza di spiriti, delle anime sopravvissute dopo la morte, demoni, esseri mostruosi, etc.... I primi studiosi in quest’ambito furono i Grimm, i quali riscontrarono nelle fiabe popoli più diversi pressappoco gli stessi motivi; ma non bisogna però dimenticare che nella maggior parte dei casi ci troviamo di fronte a motivi, non a fiabe, e che sarebbe dunque errore voler dedurre senz’altro dall’affinità o dall’identità dei primi un rapporto di relazione delle seconde, perché la fiaba, anche nelle forme più semplici e popolari, è un’opera d’arte, forma e organismo. Converrà dunque considerare di volta in volta ogni fiaba a se, e valutare criticamente se sia il caso di parlare di derivazione effettiva di una versione da un’altra o non, invece, quello di constatare che la somiglianza si dissolve in una generica affinità di contenuto. La fiaba si distingue dalla favola, in quanto, quest’ultima non può esistere assolutamente e con caratteri precisi e ben determinati non essendo legata ad avvenimenti, a luoghi e a tempi precisi; e dalla novella, perché da essa esula ogni intenzione realistica. La fiaba è, sì, come la novella, un racconto, ma un racconto condotto su un tono di primitività ed ingenua purezza, costruito con personaggi e con un tocco estremamente stilizzati, e appartiene quindi, in quanto viene elaborata artisticamente, a epoche di grande raffinatezza, come si vede dal suo fiorire nell’ELLENISMO, nella Francia della fine del Seicento, e poi, ancora, nel movimento Romantico e Decadente, in un Andersen e in un Wilde. Racconti nei quali siano visibili motivi satirici, ironici e cerebrali, oppure decisamente costruttivi (per esempio, le cosiddette fiabe di Carlo Gozzi, i racconti di Hoffman e di E. A. Poe), non sono fiabe: per l’assenza di questi motivi, per l’esclusivo dominio di una pura fantasia dai modi ingenui e di sogno, fiabesca è invece molta della miglior parte della letteratura per l’infanzia. Dalle ultime indagini sui documenti e raccolte di fiabe, di canzoni popolari, di novelle e leggende, il Salento continua a rivelarsi il territorio di più salda memoria narrativa e anche di maggiore capacità rielaborata. Dall’analisi di questi documenti si è potuto constatare che le diverse rappresentazioni narrative popolari, sono caratterizzate da un codice narrativo primo fra tutti; l’uso del dialetto che va considerato sul piano della potenzialità e resa espressiva. Il linguaggio del narratore popolare ha, dalla sua parte potenzialmente due elementi che lo caratterizzano nei periodi di effettiva funzionalità sociale e culturale dell’attività narrativa a livello popolare. Uno è costituito dall’aderenza al canone del mito come coscienza e regola narrativa. Sin dalla formula iniziale del “C’era una volta’’, finché questa mantiene la sua pregnanza mitica di fatto vero avvenuto una volta e ripetibile tutte le volte che si racconta. Oggi al contrario il “C’era una volta’’, viene ripetuto dal narratore e suona a chi ascolta come il primo segnale d’irrealtà di ciò che sta per essere narrato. L’altro elemento caratterizzante l’oralità del narrare popolare è il gesto, il cui apporto espressivo compensa l’assenza di materia verbale. Entrambi, canone mitico e modo gestuale, colti in condizioni ottimali di impiego, concorrono a ripetere il fatto al momento in cui viene raccontato e rendono superflua la descrizione verbale. Tra i fatti stilistici e linguistici nei racconti pugliesi e in gran parte comuni alla novellistica meridionale di tradizione orale sono: la prevalenza del discorso diretto e il predominio della costruzione paratattica; l’uso ridotto di sostantivi astratti e la personificazione di essenze spirituali, come “Anima’’, che ha il significato di persona; scarso impiego di aggettivi qualificativi, alcuni dei quali sono polivalenti come “Forte’’, che spesso sta per ricco o potente (nu forte tesoru, n’omu forte), dove si noterà come l’estensibilità dell’idea di forza a quella di ricchezza e potenza segue un paradigma ideologico tipico delle classi subalterne meridionali; la forma del superlativo con l’aggettivo ripetuto (puerieddhi, puerieddhi cioè “poverelli, poverelli’’), fitto impiego di dimostrativi; quanto ai verbi e alle forme verbali si notano le stesse caratteristiche del linguaggio popolare d’uso quotidiano con prevalente uso del presente, che assume il valore di futuro con l’avverbi o di tempo (tu mo crai passi cioè “domani passi’’). Se ne può dedurre che il linguaggio dei narratori popolari pugliesi e meridionali in genere non solo è lontanissimo dal linguaggio dei narrativi letterari, ma ha altresì ben poco della convenzionalità rivelata in altre aree e forse eccessiva generalizzata. Ai fini dell’analisi morfologica (scienza grammaticale che studia e classifica le parole), contano, è vero, le azioni, non i personaggi. Ma i personaggi hanno rilievo ai fini di un’analisi sociologica e congiuntamente di una storicizzazione dei testi in fase di creazione e fruizione. La fitta presenza di re e principi come attori di azioni magiche buone e cattive per un verso è coerente con la tradizione medioevale dei maghi e taumaturghi, per altro verso è riferibile alla specifica situazione politica del Regno di Napoli tra quattro e cinquecento e rispecchia le luci e le ombre della monarchia aragonese al suo tramonto e in un momento di forte scollatura fra popoli, intellettuali e potere regio. Re e principi, regine e principesse, compaiono sì ancora in gran numero nelle fiabe meridionali di tradizione orale, ma per lo più non nel ruolo di protagonista il cui ruolo è preso o ripreso o continua ad essere occupato da contadini, pastori e pescatori, eroi del paradigma narrativo evangelico in cui si identificano i personaggi reali da sempre i più rappresentativi del mondo popolare. All’interno delle corrispondenze tematiche e formali dei prodotti di narrativa popolare, tra i diversi territori vi sono spiegazioni di ordine storico non fissabili in periodi cronologici determinati, in quanto dovuti a processi di lunga durata e di ordine culturale, sociali ed economici, che hanno tenuto sia pur relativamente collegate le regioni dell’Italia meridionale. Anche i pellegrinaggi hanno certamente avuto una grande influenza per tale movimento e conformazione della novellistica orale. Attraverso i pellegrinaggi devono essere circolati specialmente i racconti di argomento religioso sulla Vergine e sui Santi. Tra le tematiche che maggiormente riscontriamo nella novellistica popolare troviamo: credenze fatalistiche, tematiche di stampo medioevale come le contese tra la Ricchezza e la Morte, o lo scontro tra la Miseria e la Morte, ritroviamo inoltre folletti magici, spiriti, ecc. . . . Li ritroviamo massimamente attivi nei racconti salentini, in corrispondenza con la credenza radicatissima nel Salento, ma diffusa anche nella Puglia Settentrionale e Centrale, dell’esistenza e dell’azione invisibile di questi piccoli esseri diabolici che fanno favori e dispetti a non finire. Dal loro aiuto dipende soprattutto il ritrovamento di tesori nascosti. E’ interessante osservare il potere metamorfico del folletto, in grado di trasformarsi in qualsiasi altro essere vivente. Altri racconti sottolineano l’importanza del vicinato il cui legame viene codificato in regole di vita comune: la vicina accudiva spesso per molte ore della giornata il bambino che le veniva affidato dalla madre che andava a lavorare in campagna. Il vincolo di vicinato fa sì che le due commari si ameranno come “SUREDDHE’’; ma non è raro il caso che ne scaturiscano tensioni, ostilità, inimicizie, perché dice il proverbio: “quantu cchiui chiove, cchiu mprima scampa”, con duplice allusione all’improvviso sorgere e alla rapida soluzione della lite.

N O T E

1. Giovanni Treccani “DIZIONARIO ENCICLOPEDICO ITALIANO” 1970 Voce: NOVELLA.
2. Giovanni Treccani “DIZIONARIO ENCICLOPEDICO ITALIANO” 1970 Voce: LEGGENDA.
3. ENCICLOPEDIA UNIVERSALE DELL’ARTE Voce: FIABA.
4. Giovanni Battista Bronzini “FIABE PUGLIESI” da pag. 5 a pag. 20