Li fichi ti lu Itu Memme

Tanti anni fa, a Veglie, viveva un vecchietto chiamato Vito Spano conosciuto come “Itu Memme”; il quale possedeva con un piccolo orticello che confinava proprio con uno dei muri di recinzione del cimitero del paese. Il piccolo orticello era coltivato a ficheti ed essendo arrivato il periodo di maturazione dei frutti, “Itu Memme” per evitare che questi gli venissero rubati, data la carestia che stava caratterizzando quegli anni, gli anni del dopoguerra, la notte dormiva in un piccolo pagliaio che lui stesso aveva costruito nel suo orto, mentre durante il giorno ritornava nella sua casa. Fu così che un giovane di nome Antonio o meglio “Ntunucciu”, che aveva la casa proprio vicina a quella di “Itu Memme”, giunto a conoscenza della maturazione dei fichi, sempre più attratto da tutto quel ben di Dio, un giorno decise di parlarne con i suoi amici, per progettare il piccolo furto dato che lui conosceva le sue abitudini. I suoi amici però non accettarono subito la sua proposta per paura che Ntunucciu pentendosi avrebbe riferito il fatto. Fu così che i tre un giorno incontrandosi nella piazza del paese, vennero a sapere da Ntunucciu che quella notte Itu Memme non sarebbe andato a dormire nel pagliaio, senza far sapere nulla al loro amico Ntunucciu, organizzarono il furto. Antonio però attraverso i segni che si scambiarono di nascosto i suoi amici, capì quale fosse il loro intento. Così allontanandosi da loro, corse subito a casa, spinto dall’idea di dare una bella lezione ai suoi amici e verso sera con la sua bicicletta raggiunse l’orticello prima dei tre, nascose il suo mezzo di trasporto e si preparò a riceverli, appoggiandosi con la schiena sul tronco di un albero, ed immobile attese i suoi amici, dopo qualche minuto sentì dei bisbigli, erano loro, che silenziosamente, si avvicinavano al delizioso albero. Data l’oscurità, i tre amici non si accorsero della presenza di Antonio, così uno di loro si accinse a salire sull’albero, cercando di afferrare un ramo per aiutarsi nella salita, ma tutto ad un tratto vide focalizzata davanti a sè la figura di un uomo che, chinò di colpo il capo da un lato, come se fosse morto. Data la vicinanza del cimitero e il buio della notte, l’atmosfera divenne talmente suggestiva che a tale visione l’uomo che si accingeva a compiere il furto, lanciò un urlo e iniziò a darsela a gambe. I suoi amici vedendolo così impaurito, capirono che stava accadendo qualcosa di grave e pur non sapendo con precisione di cosa si trattasse, gli corsero dietro. La paura e la fretta di fuggire via, fece dimenticare loro la bicicletta e durante la fuga c’era chi cadeva impigliandosi ai tralci delle viti, chi urlava, chi per la paura non sapeva dove andare. Finalmente riuscirono ad uscire fuori dalla campagna e a gran fretta si recarono verso il paese. Antonio intanto non potendone più per il gran ridere, decise di proseguire lo scherzo ai suoi amici, nascondendo loro le biciclette dentro un piccolo fosso situato nelle vicinanze, poi con la sua si affrettò a rientrare in paese prima dei suoi amici proseguendo verso una strada secondaria, arrivò così a casa della zia Agata soprannominata “ZANGONE” che abitava proprio lungo la strada che stavano percorrendo gli amici di Antonio. Entrando da sua zia e avendole spiegato l’accaduto, si mise dietro la finestra che si affacciava sulla strada e attese l’arrivo dei tre avventurieri curioso di vederne la reazione. Giunsero subito e si fermarono vicino al monumento funebre del paese: “IL CALVARIO”. I tre ansimavano, avevano il volto pallido e sudato e guardandosi tra loro si chiedevano se fosse stato opportuno tornare indietro per riprendersi le biciclette, oppure avvisare le guardie campestri (futura VELIALPOL). Armati di coraggio, decisero infine di tornare indietro, così giunti sul posto iniziarono a cercare le biciclette che dopo un bel po’ di tempo riuscirono a scovare. In seguito riflettendo su ciò che era accaduto quella notte, capirono che l’artefice di tutta quella messinscena doveva essere stato Antonio per il semplice fatto che lui era l’unico che quella sera poteva aver capito quale fosse stato il loro intento. Fu così che pur non avendo mai avuto la conferma dei loro sospetti, i tre amici ruppero l’amicizia con Antonio il quale, era riuscito a dare una bella lezione ai tre furfantelli.

RACCONTO DI QUARTA ANTONIO DI ANNI 63 (residente a Veglie in via Liguria) DATA 14 aprile 1998