Il Carnevale
- Cenni storici -
Tempo di allegria e di pubblici divertimenti, con mascherate e balli, tra il
Natale e la quaresima. Questa voce appare formata dalle parole "carne" e "vale",
Addio alla carne e ai piaceri, venendo poi la Quaresima, tempo di digiuni, di
mortificazione della carne; e ciò potrebbe andare se con questa Voce si volesse
intendere propriamente l'ultimo giorno di scialo e di sollazzi, quello cioè
che precede le Ceneri; ma non appare molto naturale che un divertimento sia
nominato dal suo cessare. Qualcun altro lo fa derivare da "Carnis" "levàmen",
Sollievo della Carne, con trasposizione del secondo elemento della Voce Levamen.
Le origini del carnevale risalgono alle ricorrenze religiose latine dei "Saturnali"
e dei "Lupercàli", dalle "Kronia" ateniesi e delle "Sacee" di Babilonia. La
tradizione attuale del Carnevale si deve al Papa Paolo II, che nell'anno 1466
stabilì il calendario delle manifestazioni per ogni giorno della settimana di
Carnevale. Tra gli antichi le feste di carnevale erano particolarmente sentite
e vissute. Erano motivate da diverse componenti: avvenivano in coincidenza con
la fine del ciclo agricolo annuale e quindi con i riti agrari di purificazione,
di rinnovamento e di propiziazione. Folklore Ovunque, lo si rappresenta materialmente
con una figura umana o con animali. A Ripabottoni con un povero diavolo vestito
da spaventapasseri. Più sacco di paglia che uomo. Eufemisticamente chiamato
"RE". Il solo modo, che si presenta, per beffeggiare la casta più abbiente della
società. Ai popolani procurava godimento beffeggiare il "RE", umiliarlo in tutti
i modi, fino a farlo morire in coincidenza con la fine del carnevale stesso;
accompagnarlo simbolicamente in corteo, come ad un funerale, in piazza, dove
si assisterà alla sua volatilizzazione. Nelle sere dei giorni grassi - tutti
i giorni della durata del carnevale, eccetto il venerdì - la confraternita della
Buona Morte girava per i vicoli, recitando i Salmi penitenziali - che volevano
essere un invito per riflessioni religiose. Ma il popolo che a quell'ora era
a cena, non appena la confraternita si allontanava dalla "ruara", urlava: I
makkar'na:r' sònn' pèssat', p'tèm' mègnà..." - I maccaronari sono passati, possiamo
mangiare . Il menù conosceva pochi piatti e tutti di facile preparazione. Quasi
ad evidenziare la volontà di non perdere tempo tra i fornelli. Non era forse
questo il tempo da vivere tra feste e baldorie? "Fèshuòl' ka kòt'k (Fagioli
con le cotiche), Rap' shtrash'nat' - I faf' ku guènchial du p'rchèll' (Fave
con il guanciale del maiale). Per dolci, i skr'ppèll' ku zukk'r' - Dolce sbrigativo
da friggere: niente forno, niente lunghe lievitazioni. Jè karn'val(e), ogn'
skèrz' val(e)! (E' Carnevale, ogni scherzo vale) - Jè karn'val(e), E'rrign't'
a vòkk' d' sal(e). Si rinnova così il rito pagano della gioia, che coinvolge
grandi e piccini e li accomuna nel liberarsi di un fantoccio "Mèrkoffi(e)",
simbolo della tristezza quotidiana. Ma il carnevale ripese è qualcosa di più.
E' la festa antica che rappresenta il risveglio della terra dopo l'inverno,
riaffiorano le tradizioni agricole prese dai rituali propiziatori del raccolto.
Così si spiegano i solenni funerali, che caratterizzano la morte del fantoccio
ed i tradizionali lamenti delle "prefiche" (Uomini mascherati da donne). E'
una tradizione simbolica, cerimoniale. E' la faccia tinta di nero, la pelle
di capra del costume dei satiri impazziti, il rituale della squadra del "Calvario"
o i campanacci dei "Lupi Mannari" della "fontana 'bball' ". Le maschere alla
vigilia della settimana del Carnevale giravano il paese per lungo e per largo
suonando grossi campanacci e tutto ciò che produceva rumore. Indossavano pelli
di capra sopra gli abiti femminili. Alcuni coronavano di corna la testa. Sul
viso una maschera nera ottenuta con la fuliggine dei paioli e con il lucido
per le scarpe. Sul capo un fazzoletto variopinto stretto dietro la nuca... In
gruppi di dodici, procedono a due a due, muovendosi con passo da felino. Preceduti
dal suono dei campanacci, accompagnati da stridule urla, con il lucido da scarpe,
che si portano dietro, imbrattano la faccia degli astanti. I quattro gruppi
(u "Calvario" o Cap(e)mmònt' , i "Lupi Mannari" della "fontana 'bball' ", il
piano della croce, la terravecchia) convergono in piazza dove si abbandonano
a danze tribali. Le maschere sono precedute e accompagnate dal chiasso e da
ogni genere di rumore. Ma esse rimangono mute: - Umbra silentes (Ombre silenziose).
Le maschere cercano di prendere i presenti, i quali si allontanano urlando.
Se prese, pagheranno il riscatto con un bacio. E siccome le maschere sono sporche
di nero, lasceranno sulla guancia della malcapitata segni, che muoveranno i
presenti all'ilarità. Il copricapo dei "fabulosi" compagnoni era un lungo cono
infiorettato, abbellito in punta dal pimaggio del gallo cedrone, mitico volatile
che nel rituale amoroso esprimeva una notevole aggressività e la cui caccia
era una prova iniziatica d'ardimento e decisione per il giovane contadino. Il
capogruppo porta una mazza corta e variopinta. Se ne serve in un momento particolare
della recita, quando cercando tra le donne la propria vittima, la batte ritmicamente
sul palmo della mano, quasi desse il tempo alla sua caccia. La compagnia è preceduta
da un gruppetto di ragazzi che annunciano di casa in casa il prossimo arrivo
delle maschere. La Festa comincia Nelle prime ore della sera i portatori di
torce al vento davano inizio alla festa. Durante la sfilata carcavano di carpirsi
le torce gli uni gli altri. Ne nasceva un pandemonio, con molti osservatori,
dalle finestre e dai balconi, definivano "spettacolo da matti", "pazzie", "carnevalate".
E tra la gente - quasi tutta mascherata - "zampettavano" gli uomini nei sacchi.
Ad ogni capitombolo una marea di risate. Così pure non mancavano la corsa degli
asini "ku spin nu kul". Questo, per i signori, era un giorno a rischio. I contadini
- mascherati - facevano di tutto per sequestrarli, metterli in sella agli asini
"ku spin nu kul" e portarli in giro per il paese, in mezzo a frastuoni di canti
e di strumenti. Questa sorta di "berlina" avveniva con il consenso dei "signori".
Essa era la dimostrazione del loro potere economico. Dopo gli asini era la volta
dei satiri suonatori, che precedevano le donne "assatanate" che portavano in
processione un gigantesco "salsiccione" - simbolo del fallo - Ai due lati due
donne con due meloni - testicoli - Si avanzava tra danze, urla e spasimanti
orgasmi. Dopo il fallo in processione era la volta dei "makkar'nar", detti pure
"chinchinàr'" (gli straccioni) - un gruppo di uomini vestiti di stracci, che
procedono con grossi piatti pieni di bucatini conditi con sugo rosso-sangue.
Mangiano servendosi delle dita. Bevono vino dal pene enorme del fantoccio di
paglia adagiato su un carretto trainato da un asino. Il carrettino viene scortato
da uomini travestiti da donne, che, nelle loro imitazioni, vorrebbero essere
provocanti. Durante il corteo volutamente si scantonava nell'osceno. Si era
nell'ultimo giorno di carnevale. "Tutto era permesso ". Tra gli straccioni c'erano
di quelli che portavano monumentali falli di legno, urlavano frasi scollacciate
alle ragazze affacciate alle finestre e alle donne in carni. Nel colmo della
festa penetravano nelle case per domandare o prendersi liberamente uova, galline,
salsicce, lardo, frittelle, ecc. "n'shun d'chev d'none". L'eiaculazione avveniva
tramite ripetute spruzzate di vino tramite il "pene" del fantoccio. Seguiva
una scena che affondava le radici nei riti orgiastici dei millenni andati. Le
"donne" che seguivano il carrettino eccitate oltre ogni misura si gettavano
sul fantoccio. Tra urla, eccitamenti e l'intervento delle maschere, il carrettino
spariva e avevano inizio le danze in un grande cerchio che si interrompeva al
sopraggiungere delle maschere. Queste a intervalli ritornavano in piazza dopo
aver vagato per le ruare ed essere entrate nelle case. Prima di entrare il capo-compagnia,
dopo aver fatto due o tre piroette, ai presenti chiusi in rispettoso silenzio
dice: "chiedo il permesso di entrare in questo "palazzo" con tutta la mia bella
grande compagnia". Quasi tutte le "recite" venivano create all'istante. Ruolo
di primaria importanza: la scorreggia e gli accessori alle esigenze fisiologiche.
E gli spettatori ne provavano godimento. Ai sarcasmi non era ammesso replica.
Naturalemtne il "capo" era dotato di tale spirito acuto che gli faceva scegliere
"la vittima" giusta: stava allo scherzo e, con la sua insolenza arricchiva di
carica emotiva la scena. Tolta la libertà dell'azione la scena non avrebbe detto
nulla.