Marco e il Mostro della Villa Scoccafreccia

Marco era nato a Milano. Era un ragazzo alto, bruno, con due splendidi occhi azzurri. Da quando era entrato a corte non si parlava che di lui. Cioè, le dame non parlavano che di lui, ai cavalieri non si può dire che ispirasse una particolare simpatia, soprattutto quando si presentava con l'armatura, la spada al fianco, tenendo fiero le redini del suo cavallo e sorridendo a chi incontrava: in queste circostanze le dame si sentivano tutte signorine e disponibili, anche se avevano alle spalle qualche anno di matrimonio e magari qualche figlio. Ecco perché mariti e fidanzati non avevano una particolare simpatia per Marco. A lui tutto questo trambusto non faceva né caldo né freddo: non correva dietro alle dame, non aveva favori da chiedere a nessuno dei cavalieri, viveva la sua vita sereno, certo che un giorno o l'altro avrebbe incontrato la dama della sua vita e con l'aiuto dell'angelo custode il suo futuro sarebbe stato sereno, come quello di tutta la sua famiglia prima di lui. Portava fiero il nome di Marco, e sperava di far rivivere la leggenda che raccontava come un suo antenato avesse domato un leone alla corte del saraceno e per questo fosse stato rispettato e riverito da tutti, veneziani, cristiani, e non. E' ben vero d'altronde che aveva già combattuto con molto coraggio numerose battaglie, malgrado la sua giovane età e che sempre ne era uscito vincitore, come aveva, per conto dei suoi successivi signori, vinto mostri e draghi secondo l'uso di quei tempi. Questo faceva impazzire le dame di corte, che lo trovavano eccezionale e che lo avevano dichiarato "indiscutibilmente il migliore" (per gli intimi Indy, si direbbe oggi). Il Duca se lo teneva ben stretto: la sua fama di cavaliere invincibile era cresciuta con lui fin da quando, ancora bambino, si era tuffato nelle acque gelide del Lago Maggiore per trarre in salvo la sorellina, sotto gli occhi attoniti dei genitori e dei presenti, che si erano guardati bene dall'intervenire a causa dell'enorme luccio che terrorizzava le popolazioni dei luoghi. Si era creata una leggenda secondo la quale un giorno Marco avrebbe vinto il terribile Luccio del lago e così fu davvero: appena quindicenne, durante una delle sue nuotate da una riva all'altra del Verbano, i due si incontrarono sul serio e non solo il ragazzo ebbe la meglio, ma portò fino a riva l'enorme pesce, che risultò ancora più grande di quanto lo avessero descritto i lombardi e con denti ancora più affilati di quanto li avessero descritti i piemontesi. Pensate che era così grande che le sue carni in parte sfamarono la popolazione per settimane (ancor oggi si usa, in alcune settimane dell'anno, organizzare manifestazioni durante le quali si cucinano nei ristoranti gustosi piatti di pesce di lago), ma parte delle sue carni furono seccate al sole in previsione di eventuale mancanza di cibo durante i mesi invernali. Per questo e per altre famose imprese di cui non parleremo qui (forse lo faremo in altre storie), il Duca, dicevamo, se lo teneva ben stretto: coi tempi che correvano, un uomo così era veramente prezioso. Per incoraggiarlo a restare a Milano gli offrì un piccolo castello che egli gestì subito con grane competenza, forse innata, visto che i suoi genitori erano persone modeste. Fece coltivare nei giardini fiori bellissimi che vendeva a tutti i signori della Lombardia, e anche oltre, grazie ad un sistema di conservazione la cui ricetta non ci è stata tramandata; fece crescere degli alberi da frutta strani provenienti dal lontanissimo oriente che fece chiamare "icachi" ( più tardi il nome perse la i iniziale). Questi frutti ebbero un tale successo fra i nobili, che durante la stagione adatta glieli comperavano tutti a peso d'oro. Fece allevare nei suoi prati mucche con il cui latte squisito si facevano formaggi pregiati molto apprezzati da tutti. Insomma i prodotti della sua terra, vuoi perché erano veramente buoni, vuoi perché le donne che andavano a comperarli speravano sempre di vedere Marco, magari di sfuggita, e non sarebbero andate altrove, avevano arricchito la famiglia alla quale lui non fece mai mancare nulla. Fu proprio in questo periodo che si sparse per Milano la voce che nella Villa della famiglia Scoccafreccia c'era un orribile mostro. Gli Scoccafreccia erano sempre stati una famiglia molto riservata ed erano vissuti lontani dagli sfarzi della corte pur essendo di alto grado di nobiltà. Avevano numerosi figli, tutti molto in gamba, che erano andati nella varie corti dell'Europa di allora per imparare a parlare le loro lingue: alcuni erano tornati e si erano impegnati nei ducati vicini per fare da interpreti, altri erano rimasti lontano perché erano molto apprezzati e il lavoro era interessante. A casa, di ritorno da quei paesi, restò solo una figlia, Alba: nessuno l'aveva mai vista a Milano, ma tutti dicevano che era bellissima, sempre allegra e piena di vita e molto competente nel suo mestiere che era quello di aiutare le persone di paesi diversi a capirsi e magari a fare affari insieme. Ma siccome la famiglia non era bisognosa, anche per l'aiuto che i numerosi fratelli mandavano sempre ai genitori, la giovane non lavorava. La serenità degli Scoccafreccia venne bruscamente interrotta durante un inverno particolarmente freddo, quando entrambi i genitori di Alba presero l'influenza e dopo breve tempo la lasciarono sola. Lei perse la sua allegria e non uscì più di casa. Piano piano si sparse la voce che fosse addirittura stata uccisa da quello che divenne per tutti il Mostro di Villa Scoccafreccia. Si trattava di un enorme essere mostruoso che si intravedeva solo nelle notti di luna piena, quando errava nel giardino della casa, tutti dicevano a cercare topi e talpe da mangiare, giacché aveva finito da lungo tempo le riserve alimentari della famiglia. Tutti i servi erano misteriosamente scomparsi, tutti, si diceva, mangiati dal Mostro. Le erbacce prima e i rovi poi crescevano nel giardino, i muri cominciavano a screpolarsi a causa delle piante che vi si arrampicavano, e dopo alcuni mesi non si accese più nemmeno una luce. I giovani della zona prima per scherzo, poi per far vedere chi erano e come erano coraggiosi, cominciarono a scommettere che sarebbero entrati nella casa e avrebbero sconfitto il Mostro. I più coraggiosi si avvicinavano al muro di cinta e urlavano per spaventarlo, dicevano. Poi alcuni, non molti per la verità, si fecero coraggio ed entrarono. E qui succedeva una cosa stranissima: quando entravano parlavano a voce alta un po' per farsi coraggio, un po' per farsi sentire dai compagni ed amici che erano rimasti fuori dal muro di cinta. Dopo alcuni minuti in cui tutto sembrava procedere per il meglio, improvvisamente la voce taceva e si faceva il silenzio più profondo, angosciante. Quelli che si trovavano fuori dal muro scomparivano in gran fretta "perché era tardi" e dovevano andare a casa. Ma ancora più strano era che l'indomani mattina il malcapitato che aveva osato entrare lo si ritrovava in stato confusionale sul sagrato della chiesa parrocchiale, senza che gli fosse stato torto un capello. Invece di rassicurarsi i cittadini si spaventarono ancora di più: si, d'accordo, non erano morti i coraggiosi, non gli era stato nemmeno torto un capello, ma come erano finiti davanti alla chiesa parrocchiale? Il mistero era fitto e poiché quello che si ignora fa ancora più paura di un mostro in carne ed ossa, la paura era ancora cresciuta. E i giovani della zona non misero più piede nemmeno nei dintorni della Villa. I cavalieri di corte, che avevano bisogno di un riscatto agli occhi delle loro donne perse dietro la speranza di interessare Marco, cominciarono a pensare che vincere il mostro sarebbe stato un modo eclatante per dimostrare la loro bravura. Uno dopo l'altro, in pompa magna, si fecero accompagnare nei dintorni della villa, scalarono il muro di cinta, deglutirono con difficoltà, si fecero coraggio, saltarono nel parco ormai invaso dalle erbacce: - Ecco ora sono davanti al grande faggio, ora ho lasciato alla mia destra una quercia, ora intravedo la sie…- e il silenzio improvvisamente regnava terrificante. E l'indomani mattina il Cavaliere veniva puntualmente ritrovato sul sagrato della chiesa parrocchiale, senza che gli fosse stato torto un capello. Cioè, uno solo, l'indomani, fu trovato con tutti i capelli bianchi. Mah, misteri. Nessuno voleva parlare dell'esperienza che aveva vissuto e nessuno chiedeva loro nulla. Solo uno una volta si lasciò sfuggire - enorme,… e poi più nulla. Il Duca, per la verità, all'inizio non fu interessato dall'avvenimento: è bene che i cittadini abbiano paura di qualcosa ogni tanto, si tengono meglio sotto, è più facile comandare. E' un vecchio principio che ha sempre funzionato. Col passare del tempo però, quando la caccia al Mostro divenne popolare fra i suoi cavalieri, la cosa cominciò a dargli fastidio. Il fatto che tutti questi giovani invece di essere sempre pronti a combattere per il loro Signore perdessero il loro tempo a farsi spaventare dal Mostro non gli andava giù. Si perché, una volta spaventati, in battaglia non combattevano più con lo stesso coraggio. E poi la mania di andare sempre di sabato a combattere il mostro non gli piaceva proprio per niente, anche perché i cittadini cominciarono a farne una leggenda, chiamandola la strage del sabato sera. Figuriamoci quando, non trovandosi più nemmeno un cavaliere che osasse avvicinarsi alla villa, ci si misero i conti, i marchesi, e gli altri nobili! - Basta. Chiamate Marco, che metta fine a questa storia, disse il Duca esasperato. - Se per caso venissimo attaccati in questo momento non ci sarebbe un solo soldato in grado di difendere la città. Marco non se lo fece dire due volte, mezz'ora dopo essere stato chiamato era davanti al Duca per sentire i suoi ordini. - Fammi questo favore, liberami da questo mostro o quel che è, e fallo rapidamente perché sono molto in pensiero. Cavalieri, conti, marchesi, e tutti gli altri nobili si fregarono le mani: la fine del mito di Marco, a sentir loro, si avvicinava. Sarebbe finito come tutti gli altri sul sagrato della chiesa, terrorizzato come gli altri e come gli altri senza spiegazioni plausibili. E le loro donne sarebbero tornate ad essere veramente loro. Bene, anzi, benissimo. La sera stessa ( chissà perché nelle storie, e anche nei film, tutte le cose importanti di questo tipo si svolgono di sera) Marco saltò nel giardino di Villa Scoccafreccia. Non si mise a parlare, non si mise nemmeno a cantare per farsi coraggio, si limitò a seguire il sentiero che tutti quelli che lo avevano preceduto avevano tracciato. E poi il silenzio. L'indomani mattina tutta Milano, dal più nobile al più indifeso, era sul sagrato della parrocchia a vedere in che condizioni era Marco: ma Marco non c'era. - L'ho visto io, disse un ragazzino che viveva da quelle parti. E' uscito all'alba dalla Villa ed è andato al Castello. - Ma come stava? Era molto spaventato? Aveva i capelli bianchi? Tremava molto? Era confuso? - No, no, stava benissimo, anzi sorrideva allegramente. A cavalieri, nobili, eccetera, caddero le braccia: non aveva funzionato. Marco quella mattina fu ricevuto dal Duca e i due chiacchierarono per più di un'ora. Il soldato che era fuori di guardia ogni tanto li sentiva farsi grandi risate: non capiva cosa ci fosse da ridere, anche perché lui alla villa c'era andato mesi prima e non ne era tornato tanto allegro. - Si vede che i signori ridono per cose diverse dalle nostre. La notte successiva (sempre di notte, come abbiamo detto più sopra) a Villa Scoccafreccia successe di tutto: entrarono quattro persone, dalla porta questa volta, e ne uscirono due di più, una di taglia normale e una enorme, supina, su un'asse lungo almeno come due uomini. I quattro che trasportavano il corpo facevano una gran fatica e a passetti riuscirono a caricarlo su un grande carro agricolo. Nessuno osava avvicinarsi né scoprire il corpo. Il giorno dopo il Duca riunì la popolazione nel cortile grande del Castello e dichiarò - Cari nobili, cari cittadini, il nostro Cavaliere Marco ci ha definitivamente liberati del Mostro di Villa Scoccafreccia. E' stata un'impresa ardua, ma il Cavaliere ne è uscito vincitore. L'essere è stato sepolto in un cimitero lontanissimo, quindi nessuno ha più niente da temere. Il discorso fu accolto da un'ovazione. Tutto finì qui. Ne volete sapere di più. Bene, ve lo racconto subito come erano andate le cose. Marco era entrato nel giardino ed era stato accolto, come tutti quelli che lo avevano preceduto da un omone. Che fosse bello non si può proprio dire, ma Marco, che aveva combattuto draghi e mostri, si era subito accorto che era una persona qualsiasi. Gli aveva innanzitutto chiesto come si chiamasse e poi che cosa facesse lì. L'omone lo aveva preso per mano e lo aveva introdotto presso una ragazza, bella da togliere il fiato, che aveva accolto il bel Marco con un grande sorriso. Alba Scoccafreccia raccontò che l'omone era da sempre il suo servitore. Era l'unico che era rimasto, dopo che i suoi fratelli avevano diviso i beni dei genitori e si erano portati via tutto, servitori compresi. A lei, figlia femmina, non era rimasta che la casa e il servitore che nessuno aveva voluto perché era troppo brutto. Lui si prendeva cura della sua padroncina e nei limiti del possibile non le faceva mancare nulla: coltivava un piccolo orticciolo, allevava le galline, raccoglieva la frutta quando maturava, faceva insomma tutti i lavori in casa. I primi tempi dopo la morte dei genitori erano stati veramente duri, poi si era resa conto che senza dote nessuno l'avrebbe voluta come sposa e lei non era più uscita di casa. - Ogni tanto nel giardino entrava qualcuno, ma tutti avevano una gran paura di Nicola, il mio servitore, che se li vedeva svenire sotto gli occhi. Non sapendo da dove venivano, avevamo trovato la soluzione di portarli sul sagrato della chiesa: da lì di sicuro avrebbero trovato la via di casa. Nicola li caricava sulle spalle e li deponeva delicatamente per non farli rinvenire prima del tempo. Alba e Marco avevano chiacchierato con piacere tutta la notte e si erano detti cose che nessuno saprà mai: del resto sarebbe indiscreto chiederle. Il resto lo potete indovinare. Il Duca accolse favorevolmente la domanda della mano di Alba da parte di Marco. E accolse anche quanto vi dirò ora: Nicola non meritava certo di morire, anzi meritava qualcosa di buono dalla vita dopo aver dedicato la sua alla padroncina. Già, il poveruomo non era morto: il duca lo aveva fatto uscire sul carro per far credere ai cittadini che era morto, ma in realtà lo fece condurre al castello di Marco dove venne accolto con affetto e anche se non era proprio bello, tutti gli vollero bene, soprattutto i bambini che lui trasportava sulle spalle così in alto che ai piccoli sembrava di toccare le nuvole. La Villa dei Scoccafreccia fu demolita: in essa per Alba c'erano solo brutti ricordi. A corte tornò la tranquillità: Marco sistemato, le dame persero ogni speranza di conquistarlo e tornarono serene ai loro mariti e figli. Anche il bel cavaliere tornò a casa, con i ringraziamenti del Duca. La vita con Alba fu bellissima: non solo lei gli voleva molto bene, ma lo aiutava anche nel suo lavoro, e, conoscendo le lingue di altri popoli gli permise di vendere i suoi prodotti anche molto lontano dalla Lombardia, dando un sostanziale contributo all'arricchimento della famiglia che in pochi anni divenne numerosa con grande gioia di Nicola, che poteva portare sulle spalle una dozzina di bambini, figli della sua padroncina, ormai mamma felice. Marco non aveva domato un leone, ma aveva trovato l'amore, che non è poco. E poi chissà, magari il leone lo troverà e sarà un'altra storia. Quanto di vero ci sia in questa storia non si sa, ma è certo che in Lombardia sono molto diffusi i cachi, frutti che crescono in tanti giardini e che rallegrano col loro vivace colore i rami ormai spogli degli alberi in autunno. È altrettanto certo che da qui partono numerosi saporiti formaggi e che ci sono tanti vivai dove crescono le piante più svariate. E ci sono ancora tante famiglie che li commerciano in Italia e all'estero.