La colonna infame

Il 21 giugno 1630, quando a Milano infestava la peste, da un portone della contrada di S. Bernardino alle Monache sgusciava furtivo un'individuo avvolto in un gran mantello nero e con in testa un grosso cappello che gli copriva gli occhi. La strana figura raggiunse il Carrobbio per poi svoltare nel corso di Porta ticinese e imboccare la Vetra dei Cittadini, una viuzza dirimpetto alle Colonne di san Lorenzo. Ogni tanto l'uomo si fermava a controllare il numero delle porte e segnava degli appunti su una carta che teneva in mano. Il suo nome era Guglielmo Piazza, commissario di sanità per la zona di Porta Ticinese e il suo compito era di provvedere all'allontanamento degli appestati, trasferendo i vivi nel Lazzaretto e i morti nelle fosse comuni. Quella mattina si era svegliato presto per meglio programmare il lavoro della giornata.Una donna di nome Caterina Trocazzani, vedendolo entrare nella Vetra dei Cittadini, pensò che fosse un untore che stesse facendo "unzioni venefiche". La casa del Mora in "punta della Vetra" La Trocazzani denunciò il fatto al Capitano di Giustizia che, rintracciato il Piazza, lo mise subito in prigione. A nulla valsero i suoi reclami di innocenza.I giudici vollero sapere i nomi degli altri suoi complici untori e lo sottoposero più volte a tortura. Il Piazza, sfinito dai tormenti e confidando nell'impunità promessa ai delatori, fece il nome della prima persona che gli venne in mente: Gian Giacomo Mora. Costui era un barbiere che aveva la sua bottega alla "punta della Vetra" e che, per arrotondare i guadagni, vendeva degli unguenti da lui preparati contro la peste. Fu arrestato e stravolto per le torture, finì per confessare ciò che non aveva mai fatto: di aver fornito sostanze pestifere al Piazza per ungere i muri e le porte della città. I due sventurati furono così condannati a morte. Nel punto in cui il Mora fu bruciato sorge ora la statua di S. Lazzaro Il 2 agosto 1630 un lugubre corteo lasciò il Palazzo di Giustizia, lo stesso che ora ospita il comando dei vigili urbani in Piazza Fontana, per dirigersi in Piazza Vetra dove il Piazza e il Mora furono arsi vivi. Alla conclusione del processo fu decretato che la casa del Mora venisse abbattuta e che al suo posto venisse eretta una colonna chiamata infame. La colonna restò in piedi per 148 anni finché, fra la notte del 24 e il 25 agosto 1778, fu abbattuta dal governo Austriaco e quello che rimase fu gettato nella cantina della casa demolita. Alessandro Manzoni espose sapientemente questi avvenimenti nella "Storia della Colonna Infame" e scrisse che la casa del Mora si trovava"allo sbocco di via della Vetra sul corso di Porta Ticinese, la casa che fa cantonata, a sinistra di chi guarda dal corso medesimo". In quel luogo sorse poi una tozza costruzione a un piano, sede prima di un negozio di mobili e dopo di una rivendita di legna e carbone. Il proprietario di questa rivendita un giorno scoprì nel pavimento un buco che comunicava con la cantina sottostante. Qui giacevano dei grossi frammenti di pietra e mattoni e gli parve di vedere qualche logoro avanzo della "infame colonna".