L'orso Invincibile

Quando era nato, a Milano, pieno di entusiasmo perché il suo primo figlio era un maschio, il padre lo chiamò Orso di primo nome e Invincibile di secondo. Poi, col passare degli anni, di figli ne vennero altri, maschi e femmine e fu un bene perché Orso Invincibile vuoi perché il raccolto quell'anno era andato male ed ebbe poco da mangiare, vuoi perché sua mamma occupata com'era a sfornare bambini aveva poco tempo per occuparsi di lui, cresceva a stento ed era magrolino e piccolo piccolo. Figuratevi i bambini con i quali giocava come lo prendevano in giro quando lo sentivano chiamare per nome! "Orso Invincibileee!" e giù risate… Il piccolo soffriva molto e chiedeva ai suoi di cambiargli il nome, ma all'epoca non si poteva proprio e i genitori dopo qualche tempo decisero di separarsi da lui, anche se con dispiacere, e di mandarlo lontano da uno zio che viveva in campagna, dove nessuno lo conosceva e quindi nessuno avrebbe potuto prenderlo in giro. Orso si allontanò da casa con un piccolissimo zaino, solo soletto, con un macigno sul cuore, ma pieno di speranza in un futuro migliore. Si diresse verso la porta Ticinese, poi camminò per ore lungo il Naviglio, passetto dopo passetto, con tutta la forza delle sue gambine magre. Quando si fece sera si sdraiò per terra sotto un cespuglio e si addormentò. O meglio cercò di addormentarsi perché un suono strano, insistente non lo lasciava chiudere occhio. Quando sorse la luna si accorse di essere circondato da strani animaletti verdi che lo guardavano incuriositi: erano semplici ranocchie, ma lui, abituato a vivere in città, non ne aveva mai viste. Non ebbe paura e loro lo osservavano con interesse. Poi d'un tratto saltarono via. Lui le guardava con attenzione e quando le vide andar via si alzò e le seguì nei campi fino a che tutte si fermarono ed erano diventate centinaia. Orso le guardava con attenzione e si accorse che avevano le zampe più piccole delle sue gambe, ma che saltavano molto alto. Si ripromise di provarci l'indomani quando si fosse alzato il sole. Osservandole ancora si accorse anche che nuotavano benissimo, cioè che si muovevano benissimo nell'acqua, perché un cittadino come lui sapeva pochissimo di nuoto e l'acqua per lui serviva solo per far da fossato al Castello. Era notte fonda quando finalmente riuscì a prendere sonno dopo aver preso alcune importanti decisioni. Dallo zio Edoardo fu accolto con grande affetto, le sue cuginette erano deliziose e i suoi cuginetti degli scavezzacolli come si conviene a bambini nati e vissuti in campagna. Nessuno sapeva quanti anni avesse e non lo trovavano né troppo piccolo né troppo magro: in campagna qualche volta il raccolto non va molto bene e se non c'è molto da mangiare i bambini possono anche essere magrolini. Vivere in campagna gli piaceva e poi il Naviglio era vicino e lui puntualmente tutti i giorni andava a sguazzarci dentro all'inizio e a nuotarci più tardi. Cominciò coll'attraversarlo, che era già un'impresa per un piccino come lui, poi ne percorse un tratto, poi un tratto più lungo fino a che divenne un bravissimo nuotatore. E non aveva dimenticato di imparare a saltare come le sue amiche rane: si esercitava regolarmente tutti i giorni e gli zii e i cugini che avevano preso la sua smania di saltare come allegria un bel giorno lo videro saltare prima oltre il muro di cinta, poi oltre il tetto della casa e poi ancora oltre il fienile. - Si vede che non è un ragazzo di campagna, si vede che è un po' strano, si vede che viene dalla città, si vede che non è figlio mio, si vede che… Ma siccome saltando non faceva male a nessuno e siccome nei campi lavorava bene e non si faceva mai ripetere le cose due volte, e siccome anzi il più delle volte vedeva le necessità prima dei contadini e provvedeva, lo tenevano con piacere. Intanto Orso era cresciuto e vuoi per l'aria buona, vuoi per i cibi sani, vuoi per il continuo esercizio era diventato lungo lungo, ma magrolino era rimasto. Gli era rimasto anche un difetto: soffriva il freddo e girava sempre coperto con tanta lana che la zia tesseva per lui. Così, con un po' di fantasia, visto da lontano poteva anche sembrare un orso. Ora avvenne, per motivi che nessuno di noi conosce e tantomeno Orso, che la città di Milano fu messa sotto assedio. Passava il tempo e i milanesi non riuscivano a liberarsi dai nemici che speravano di prenderli per fame e per sete, visto che come soldati erano molto valorosi. In effetti le provviste cominciavano a scarseggiare e il duca non sapeva come fare. Nella sua tranquilla campagna intanto Orso si preoccupava per la sua famiglia che sapeva in pericolo entro la protezione delle mura del castello dove si erano rifugiati, come tutte le volte che la città era in pericolo. Un bel giorno prese una decisione: sarebbe entrato a Milano e avrebbe verificato di persona come stavano le cose: zii e cugini lo presero per matto, come avrebbe fatto ad entrare a Milano e per di più al castello che era assediato? - Non vi preoccupate per me, rispose Orso, so come fare. Non state in pensiero per me, tornerò presto. La sera avvolse in pelli di pecora del cibo (che idea! Si vede che non è figlio mio!) legò il tutto accuratamente e se ne andò in groppa ad uno dei cavalli della fattoria, un po' vecchio, ma molto fidato e obbediente. Rifece a ritroso la strada che aveva percorso anni prima, ripassò attraverso lo stagno delle rane, proseguì, ma si fermò poco fuori le mura della città. Nascose Hiphip (il cavallo) nei cespugli, gli raccomandò di non andarsene e di aspettarlo, e si gettò nel Naviglio. Fu uno scherzo per lui nuotare fino alle mura della città, fu quasi uno scherzo continuare sott'acqua il suo percorso per non farsi vedere dalle sentinelle nemiche, fu un po' più complicato passare in apnea nei cunicoli che passavano sotto le mura del Castello, ma alla fine si trovò ai piedi del muro. Strizzò bene gli abiti per essere più leggero, si accovacciò per terra, misurò con gli occhi la distanza e con un balzo fu sul bordo del muro. La sentinella che passava si prese un bello spavento a vederselo lì, spuntato da chissà dove, ma non ebbe il tempo di riflettere che Orso, con un secondo balzo e poi un terzo scese nel cortile della Rocchetta e poi sul balcone che era illuminato e sul quale due persone parlavano a bassa voce. Fortuna volle che fossero il Duca e sua moglie. - Mio Signore, disse Orso, non vi spaventate sono un vostro fedele suddito e sono venuto a vedere se avete bisogno di qualcosa e a chiedervi di vedere i miei genitori che sono qui fra queste mura. - Se abbiamo bisogno di qualcosa? Non spaventarmi? I tuoi genitori? Ma chi sei? Sei piovuto dal cielo, cioè sei saltato dal cortile… ma come hai fatto? - E' una storia molto lunga, con il vostro permesso ve la racconterò un'altra volta, ma ditemi cosa vi serve e vedrò di portarvelo. - Ma, figlio mio, ci manca tutto, cibo, frecce, armi in genere, ormai siamo alla fine non resisteremo più molto a lungo. Intorno a noi ci sono molti più soldati di quanti ne possiamo combattere. Credo proprio che siamo vicini alla fine. - Vi aiuterò io, non sono un gran che, ma ho delle risorse e se mi metto in testa una cosa vado sempre fino in fondo: se sono arrivato fin qui, potrò anche tornare indietro e ritornare dentro il Castello. Lasciatemi salutare i miei che non vedo da anni, lasciare loro questo po' di cibo che ho portato e tornerò con quello che vi serve. Dovrete resistere ancora poco, vedrete. Il Duca era un po' scettico per la verità, ma nella situazione in cui si trovava qualsiasi soluzione era come il cacio sul risotto e in fondo quel ragazzo così strano aveva uno sguardo schietto e ispirava fiducia. Acconsentì a tutto quanto Orso chiedeva, fece chiamare dal piazzale dove erano accampati i suoi genitori che lo riabbracciarono con tanto affetto e prima dell'alba con le benedizioni e la speranze di tutti il giovane si rituffò nel fossato e scomparve alla vista dei milanesi. Da quel giorno, per molti giorni percorse a nuoto il Naviglio e si tuffò nei cunicoli e portò un po' alla volta cibo e armi agli assediati che ormai lo aspettavano con riconoscenza crescente e a vederlo così puntuale ripresero fiducia nel futuro. Orso non si limitava a portare roba ai Milanesi. Nelle sue nuotate nel Naviglio faceva attenzione anche a quello che sentiva ogni volta che usciva dall'acqua per respirare. E così scoprì che chi assediava i milanesi era un gruppo di armati provenienti da varie regioni limitrofe. Ogni gruppo aveva una porta da sorvegliare. Ogni gruppo aveva un suo condottiero che tutti i giorni andava al comando a prendere gli ordini e poi tornava dai suoi a trasmetterli. Ogni gruppo parlava la sua lingua: il veneto quelli che venivano dall'est, il bergamasco quelli che venivano da nord est, il dialetto degli Appennini quelli che venivano dal sud, il francese quelli che venivano dall'ovest. Man mano che faceva tutte queste scoperte Orso costruiva mentalmente un piano folle. Finalmente una sera ne parlò al Duca per sincronizzare la sua azione a quella dei soldati del Castello. Era sera quando si tuffò come al solito nel Naviglio, ma questa volta non aveva nessun oggetto con sé. Nuotò sott'acqua fino alla prima porta, Porta Ticinese si chiama oggi. Balzò fuori dall'acqua, e prima che i soldati stupiti potessero reagire con tre balzi afferrò le insegne del gruppo e le portò con sé, di nuovo nel fiume che in quel punto cominciava il suo percorso intorno alle mura della città. Riemerse molto più oltre, all'altezza di quella che oggi si chiama porta Venezia, dov'erano accampati i veneti con tre balzi piantò in terra le insegne che aveva appena sottratto a porta Ticinese e portò via quelle del posto. Sempre con lo stesso sistema prese le insegne di Porta Nuova, quelle dei Bergamaschi, e le portò a Porta Ticinese, poi prese quelle di Porta Romana e così via sino quando tutte le insegne furono spostate. Poi aspettò con calma, nascosto sotto un cespuglio. Usciti dalla solita riunione, i capi dei vari eserciti si diressero ai loro posti ma, un po' perché era sera, un po' perché erano alquanto brilli, un po' perché le insegne non erano più allo stesso posto, quando finalmente credettero di essere arrivati al loro posto, in realtà si trovavano da tutt'altra parte e non capivano un acca di quello che dicevano i soldati che avrebbero dovuto essere i loro e invece erano altri. Proprio in quel momento il Duca dall'interno del Castello diede ordine ai suoi soldati di fare una sortita. Bastò in realtà molto poco perché i soldati nemici, nella più grande confusione, se la dessero a gambe, credendo che stesse capitando chissà quale diavoleria, il tutto con grande sollievo di tutti i milanesi che dall'alto delle mura del castello se la stavano godendo un mondo. Mi pare inutile a questo punto raccontare che Orso Invincibile fu rispettato e riverito da tutti. Il Duca, per ringraziarlo di quello che aveva fatto per la città lo fece Cavaliere e sul suo stemma lo autorizzò a mettere un orso e una rana, anche se in realtà sono due animali che non hanno niente a che fare l'uno con l'altro. I soldati nemici cominciarono seriamente a pensare che forse conveniva parlare tutti la stessa lingua, magari l'italiano. Quanto ci sia di vero in tutta questa storia non si sa con certezza, ma se percorrete il Naviglio pavese, in direzione di Pavia, sentirete le rane gracidare: si, ci sono eccome, e sono le discendenti di quelle che una notte lontana fecero compagnia a Orso. Se poi fate un giro a Milano, troverete porta Ticinese, Porta Romana, Porta Vittoria, Porta Venezia … a fra tutte queste porte il muro di cinta della città o quel che ne resta. Poi potrete vedere il Castello, anche se il fossato intorno non è più come ai tempi di Orso Invincibile, a causa di Napoleone. Ma questa è un'altra lunga storia. Se poi vi rimane ancora un dubbio, andate nella chiesa di Santa Maria delle Grazie (quella famosa dell'Ultima Cena), in fondo alla chiesa, sulla sinistra si esce nel chiostro e là vedrete cosa hanno fatto i milanesi per ringraziare le rane che, senza saperlo, hanno salvato loro la vita: una bellissima fontana.