Il Reopasso, una montagna di fascino e leggende

La montagna più caratteristica della Valle Scrivia è indubbiamente il Reopasso, la cui vetta nord, detta Carrega del Diavolo, a 957 metri di quota, fa bella mostra della sua imponenza da qualsiasi parte la si osservi.
Il passo reo, cioè infido, malvagio, ha avuto in ogni epoca le sue vittime, talvolta illustri come messer Agosto Spinola e Giovanni de Salvareca, che precipitarono dalle ripide pareti nel 1585, oppure, più spesso, comuni pastori intenti a riordinare il gregge, nel XVII secolo.
Numerose sono le leggende create attorno ai personaggi che hanno legato la memoria della propria esistenza alla montagna. Tra questi, Filippin il suicida, forse vissuto alla fine del medioevo, la cui anima pare vagasse tra l'Incudine e la Carrega. Alcuni carbonai giuravano che spesso, la sera tornando a casa, incontravano un cane dagli occhi roventi, come carboni accesi, che fuggiva alla loro vista, mentre l'eco del suo lamento risuonava contro le Rocche.
Un'altra anima vagante sembra essere quella di Rafaelin, uomo non certo della migliore specie, che lasciò come ultima volontà quella di essere sepolto in un posto inaccessibile: venne accontentato facendone precipitare i resti in uno strapiombo.
Nel bosco del Bellomo si racconta che un boscaiolo, di nome Ometto, abbia chiamato il diavolo in aiuto per risalire i ripidi sentieri con il suo pesante fardello di legna.
Fantasmi, spiriti e fate, invece, si dice che da sempre si diano appuntamento nei valloni del Fobè.
Una notizia certa é che l'ultimo eremita del Reopasso fu sicuramente il Pajarito, uno strano emigrante tornato, senza aver fatto fortuna, dall'America Latina, intorno agli Anni Venti. Visse alla capanna del Romito vestendo pelli di coniglio e nutrendosi di quel poco che la natura gli offriva spontaneamente; di rado raggiungeva il paese per vendere, o forse barattare, funghi, erbe medicinali e conigli. Riportiamo, di seguito, un suo profilo tracciato da don Alberti: Pajarito viveva da eremita nutrendosi di pane che egli cuoceva sulla piastra di pietra e di fette di lardo cotte allo spiedo, ma lo spiedo era rudimentale: un ramo di castagno. Pajarito era innamorato del Reopasso. Aveva una chitarra e durante il periodo estivo cantava per i gruppi di gitani che gli facevano cerchio attorno. Erano semplici versi con la musica primitiva, ma ispirata all'amore per il grande monte, un monte regale: Sua Maestà il Reopasso. La sua canzone incominciava così: " Oh mio grande amato Reopasso...". Verso la fine del 1942 un incendio cancellò ogni traccia dell'eremita e della sua modesta dimora. Il 28 dicembre alcuni cacciatori di volpi videro la sua capanna ridotta d un cumulo di ceneri; del povero Pajarito non furono rinvenute che pochissime ossa portate in paese in una latta da conserva. Aveva 83 anni.

Andrea Repetto