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CARI FRATELLI E SORELLE...
GIANLUIGI PARAGONE [La Padania 20/04/2005]

Ora ci dovremo abituare a chiamarlo Papa. Il Cardinal Joseph Ratzinger da ieri è Papa Benedetto sedicesimo. Il teologo incaricato da Giovanni Paolo II a tutore della fede cattolica è entrato in conclave Papa e ne è uscito come tale. Quella fumata che sbofonchiava biancastra con un’ora d’anticipo, lasciava presagire che i pronostici della vigilia si sarebbero confermati da lì a pochi minuti. Così è stato. Si è presentato alla Chiesa con il nome di Benedetto XVI, come “un semplice e umile lavoratore nella vigna del Signore”. Non sono parole di circostanza. Il cardinale intransigente si calerà con umiltà e semplicità nelle vesti (scomode) del successore di Pietro e, non si può dimenticare, di Giovanni Paolo II.
Umile e semplice, sì, ma Benedetto XVI sarà un Papa fermo, forse addirittura più di Karol Wojtyla. Lo testimonia la sua storia personale e di teologo. Se nelle classifiche dei best seller editoriali, l’ultimo libro di Wojtyla, “Memoria e Identità”, è già schizzato al primo posto; ci sono due recenti libri firmati dal nuovo Pontefice che meritano di essere letti con pari attenzione. Il primo è titolato “Europa. I suoi fondamenti oggi e domani”. Il secondo è “Senza radici. Europa, relativismo, cristianesimo, islam”, scritto a quattro mani con il presidente del Senato, Marcello Pera.
Mi appare fin troppo ovvio - anche alla luce dei titoli sopra citati - che non si può non commentare politicamente l’elezione di Ratzinger a capo della Chiesa. Vi diranno il contrario, ci diranno che non si può sovrapporre Chiesa e Politica: non ci credete perché in Italia da sempre è stato così. Lo fu, lo è e lo sarà. Allora tanto vale svolgere questo esercizio immediatamente, focalizzando l’attenzione su uno degli aspetti più attuali: la scelta dell’Europa di respingere il riconoscimento delle radici cristiane nella “sua propria carta d’identità”, la Convenzione europea.
Non è da oggi che scriviamo quanto segue e non sarà l’ultima. Ci permettiamo di riprendere la recente omelia pronunciata lunedì prima del conclave dall’allora cardinale Ratzinger. L’Europa, ha detto in sintesi il teologo tedesco, è stato il continente che ha portato il cattolicesimo nel mondo, rendendo così universale il messaggio di Cristo e la Chiesa di Roma. Dall’Europa sono partite le strade dell’evangelizzazione. A distanza di secoli quell’Europa che dice di volere l’unità politica, rigetta il suo passato identitario, smonta il proprio dna e s’accoda al relativismo morale e culturale, debolezze diffuse in Italia come in Francia, in Spagna e in Germania.
Durante il rito “pro eligendo Pontifice”, l’attuale Benedetto XVI ha parlato delle onde che agitano la barca di Pietro: includendo appunto il relativismo ma anche il libertinismo, il liberismo economico e la corruzione dei costumi.
In questi giorni di commenti e di analisi, alla vigilia del conclave, analisti e teologi si sono alternati nel dibattito. In molti hanno parlato di “strane” sfide del nuovo Papa; tra queste includevano la modernità. Che significa maggiori concessioni su abitudini sessuali, sul vincolo della famiglia, sulla bioetica, più disponibilità ad affrontare la questione del divorzio o dell’aborto o dell’eutanasia, abolizione del celibato per i sacerdoti. ...Perché alla fine, snocciola snocciola, la modernità si riduce ad abbassare del tutto l’asticella del rigore morale: costume che lo Stato laico ha già adottato in molti Paesi; basti guardare alle tensioni recenti tra Chiesa e la Spagna di Zapatero, il nuovo guru della sinistra, o l’Olanda, o la Francia della legge sul velo a scuola, o la Germania dove i battesimi e i matrimoni sono calati del 43 per cento rispetto a due anni fa.
Questo, insomma, il miraggio laico, o meglio, laicista cui ci vorrebbero portare le nuove sinistre europee che hanno messo firma e faccia sulla Costituzione europea. E questo è l’eldorado di una sinistra con l’orecchino, come ho avuto modo di definirla una decina di giorni fa. Sto mischiando il sacro con il profano? Sto strappando una notizia alta come l’elezione del Papa per parlare di politica? Certo: l’ho detto subito, non me ne vergogno. La scelta di un nuovo Papa coincide con un nuovo tratto di strada che Chiesa e Stato fanno. Se l’Europa che tanto piace a Prodi baldanzosamente respinge le radici cristiane perché poco inclini alla modernità, noi lo diciamo chiaro e tondo: non ci va. E ci rallegriamo per la nomina di Ratzinger al soglio pontificio.
Gli tocca una sfida complicata: rinnovare la Chiesa andando al di sopra dell’emotività. L’eccezionale affetto attorno a Karol Wojtyla non si è sempre tradotto in un impegno di fede, di catechesi, di crescita cattolica. Qualcosa va in cortocircuito se oltre la passione non c’è l’impegno della pratica confessionale. La “carica teatrale” (non sia fraintesa questa mia espressione...) del Papa polacco talvolta ha concesso l’alibi a chi si è ritagliato una fede “fai-da-te”. Bello questo Papa dei giovani, dei grandi raduni, meno bello il Papa quando richiama alla morigeratezza dei costumi o al rispetto verso i dogmi. O alla conoscenza del Vangelo.
...E si arriva così alla parte conclusiva del ragionamento. Una Chiesa ignorante della propria Parola come può culturalmente dialogare con le altre religioni, capirne eventualmente le diverse mistiche? La domanda è pleonastica. Wojtyla come Ratzinger sapevano che questa era ed è la debolezza di fondo della comunità cristiana: altrimenti non avrebbe più volte scritto e predicato oralmente su questi passaggi. Ratzinger passa per un grande inquisitore, definizione che non gradisce affatto. Infatti, detto così, è una “ghettizzazione” culturale. Se Ratzinger è rigido nella lettura teologica, significa che la sfida della globalizzazione non ammette “sporcizie”, non consente di restare in balia delle onde. Non consente che quell’eccesso di dialogo ponga sullo stesso piano la propria fede e le convinzioni di altri, riducendo così la conversione a scambio tra posizioni fondamentalmente paritetiche e perciò tra loro relative con lo scopo di raggiungere il massimo di integrazione. L’evangelizzazione è di più di scambio. È predicazione di una confessione basata su dogmi morali più forti della legge e delle ideologie.
Ps. Mi ero ripromesso di parlare anche della crisi di governo, del comunicato di Fini e di quello che accadrà oggi al Senato. Mi pronuncerò a fumata bianca…

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