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“Il
Quotidiano della Calabria” – Giovedì
29 luglio 2004 - pagg. 1 e 11 |
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Alziamo
la voce
Gentile direttore,
complimenti. Già tempo fa telefonai al dottor Leporace
esprimendogli la mia gioia per il fatto che finalmente, per
la prima volta in questa vilipesa terra, un organo d’informazione
raccontasse gli scempi, i peggiori, addirittura prima ancora
che venissero perpetrati. Mai ricordo d’aver prima sentito
o letto una parola sulla colata di cemento che, lenta ed inesorabile,
ha coperto la bellezza. Ero bambino quando, ancora in corso
l’ultimazione dell’autostrada, percorrevamo l’alto
Tirreno con la 600 dei miei per recarci a Roma e vorrei tanto
avere la capacità di descrivere quel paesaggio. Spiagge
talmente profonde che in molti tratti il mare s’intravedeva
appena. Non un’abitazione al di fuori dei centri abitati.
Niente mostruosi ipermercati e concessionarie. Minuscoli distributori
di benzina, ridotti all’essenziale d’una pensilina
ed una pompa, presidiavano rettilinei interminabili, sperduti
avamposti in quegli eccessi di colore e di luce. I centri storici,
non ancora aggrediti dalle metastasi d’uno sviluppo turistico
del tutto privo di memoria ed immaginazione, trapuntavano l’immediato
entroterra, a testimoniare i tempi in cui gli uomini erano ben
consci che ciascun bene loro concesso è solo un prestito.
Le isole di Cirella e di Dino guardavano solo il mare ed una
spiaggia intatta. Sopra Scalea solo colline, a maggio interamente
colorate e profumate di fiori e neppure un accenno delle deprimenti
ville a schiera, mattonellate a bidet.
Il suo giornale ci sottrae all’informazione fatta solo
d’ossequio e omertà, ai TG regionali RAI, tanto
distratti sui delitti quotidiani della nostra classe dirigente,
quanto puntuali e dettagliati nell’elenco delle cene di
beneficenza, dei premi di poesia e delle riunioni del Rotary.
Ci grazia, per una volta, dalla prosa affaticata e inconcludente
dei nostri politici, da quelle interminabili frasi infarcite
di termini come “sinergie” o “platea”,
ma inesorabilmente vuote di contenuto. Talmente identiche da
divenire una sorta di rumore di fondo all’interminabile
proiezione delle loro facce. C’è qualcuno, a quanto
pare, che adesso ci parla di quel che accade ed io personalmente
gliene sono grato.
Perché forse ancora c’è il tempo per parlare
di quello che irrimediabilmente abbiamo perso e di quello che
ancora possiamo perdere e non dobbiamo. Di corsi d’acqua
in cui ancora pochi anni fa si prendevano ottime trote (un mio
amico ci riusciva con le mani) e che adesso hanno colore, consistenza
e odore di reflui industriali e liquami. Delle migliaia di imprese
d’inerti che ne devastano i letti, quasi sempre senza
alcuna concessione a farlo e sempre senza limiti e controlli.
Del disboscamento folle delle nostre montagne, che annienta
alberi secolari, per sostituirli con una vegetazione cedua,
inerme a fronte del più lieve smottamento. Forse si può
ancora dire che atti d’imbecillità e barbarie siano
stati l’avere impiantato enormi e mostruosi cementifici
al centro del golfo di Vibo e proprio all’ombra del gigantesco
Dolcedorme. O che la realizzazione delle industrie chimiche,
mai (per fortuna) divenute attive, che hanno devastato la spiaggia
di Saline Joniche e la meravigliosa pineta (ancora recuperabile)
che va da Gizzeria a Pizzo sono stati crimini che meriterebbero
la formulazione di un giudizio politico e storico spietato per
i responsabili. E che l’idea, molto sponsorizzata, di
investire ancora nell’area industriale di Lametia (che
è proprio quella in cui è ubicata la pineta) è
segno d’inarrivabile demenza.
E spero che nessuno venga ancora a dire che tutto questo è
stato fatto per migliorare il tenore di vita dei calabresi:
l’esempio di governo del territorio di regioni come il
Friuli, l’Alto Adige, l’Abruzzo, non più
ricche della nostra nell’immediato dopoguerra e l’implacabilità
delle classifiche che ogni anno ci confermano all’ultimo
posto per reddito pro capite d’Europa ci dimostrano l’esatto
contrario.
Nonostante noi stessi, c’è, però ancora
molto da salvare e la punta di Capo Vaticano diviene inevitabilmente
un simbolo. Diviene una linea, superata la quale probabilmente,
non potremo più tornare indietro.
Ho già ecceduto in aggettivi e, comunque, la mia prosa
non sarebbe adeguata all’elogio di quel mare e di quella
scogliera, dico solo che se ancora in noi calabresi è
rimasta una traccia di memoria e orgoglio, se c’è
ancora fra noi qualcuno che non ne può più di
sentirsi parte d’una stirpe dannata è il momento
d’alzare la voce.
E’ il momento che ogni raggruppamento di persone che abbia
a cuore la salvezza di questa regione si mobiliti, che associazioni,
parrocchie, circoli e bocciofile escano a battersi perché
questo delitto atroce non venga perpetrato. Non possiamo, non
dobbiamo assistere inerti al moto d’indignazione che tracima
sulle pagine del suo giornale, muovendo dalle città del
nord, in cui risiede la gran parte degli entusiasti visitatori
di quei luoghi e dai più remoti angoli del mondo. Spetta
a noi, a noi calabresi, dire questa volta: no!
Per quel poco che può contare la mia opinione, vorrei
invitare chiunque condivida le cose che ho detto ad invadere
(mi perdonerà) le pagine del suo giornale e d’ogni
altro, ad esprimersi pubblicamente, a mettere davvero in mora
l’ente Regione ed il comune di Ricadi, affinché
si fermino. Fermatevi, pensateci. Qualsiasi vantaggio economico
si ritenga, anche in buona fede, possa derivare dalla costruzione
d’un porto turistico a Capo Vaticano sarebbe transitorio
ed irrisorio, rispetto al depauperamento dell’intero circondario
di Tropea che seguirebbe allo sfregio di quel tratto di costa.
I turisti del nord, i tedeschi in particolare (molto sensibili
a questo genere di cose), sempre meno scenderanno in quei luoghi.
Viceversa, riuscire ad impedire lo scempio, riuscire ad imporre
una tutela rigorosa e non suscettibile di aggiramento garantirebbe
ancora al mare di Tropea la palma del più bello e visitato
della Calabria ed agli amministratori che avessero il coraggio
e la forza di farlo la gratitudine ed il ricordo di chi verrà
dopo.
Quella che si chiama “società civile” negli
ultimi mesi ha più volte alzato la testa, a fronte degli
scandali del “concorsone” e dell’aumento delle
indennità ai consiglieri regionali, ma quello che sta
per accadere fa impallidire queste altre vicende, le riduce
a lievi incidenti di percorso.
O questa volta riusciamo a fermarli o dovremmo tutti iscriverci
a corsi di dizione, per cancellare ogni traccia delle nostre
vergognose origini.
Emilio
Sirianni