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“Calabria Ora ” – Lunedì 10 luglio 2006 - pag. 32

 

«L’emergenza è scattata tardi»

Alluvione di Vibo, il j’accuse del commissario dell’Icram Greco


VIBO VALENTIA – «Non esiste alcuna scusante di evento meteorologico straordinario». Così esordisce il professore Silvestro Greco, appena nominato Commissario dell’Icram (Istituto centrale per la ricerca applicata al mare), quando proviamo a chiedere delucidazioni in merito alla grave catastrofe che ha stravolto la provincia Vibonese. Una frase che appare nuova, a quasi una settimana dall’alluvione. Parole dure, ma pronunciate in maniera risoluta, con rammarico per le vite che hanno pagato questa tragedia. Rabbia e delusione per una terra che continua a pagare errori, superficialità, disattenzioni. Poteva essere evitato. Poteva prevedersi. Chissà. Alcuni interrogativi non avranno mai una risposta. Ma i dubbi resteranno sempre tanti, anche se ora la cosa più importante è guardare al futuro. Organizzarsi per prevenire. Rinascere scrivendo nuove leggi. «Il nubifragio – ha continuato Greco – che ha colpito la provincia vibonese è iniziato a San Nicola da Crissa alle due di notte, mentre a Vibo verso le 8,50. Si doveva essere più veloci, l’allerta doveva essere resa nota molto prima. Soprattutto da parte di chi conosce bene il territorio e ne conosce le carenze strutturali. Tutto quello che è accaduto accentua ed evidenzia il totale abbandono in cui versa il territorio collinare e la rete delle acque reflue cittadine. Ad esempio, cosa molto grave, non esistono canalette per convogliare le acque nei pozzi, non ci sono tombini funzionanti, L’acqua non avendo altro sbocco si è icanalata nelle strade. Ecco perché tanta distruzione e violenza». Una denuncia grave, che il professore Greco non vuole tacere, perché se anche la natura ha la sua imprevedibilità, l’uomo ha gravi responsabilità. «Altro punto fondamentale – ha continuato a spiegare – è la totale assenza di qualsiasi pianificazione urbanistica. Costruzioni fatte senza alcun criterio, senza il minimo rispetto della natura e della sua conformazione. Basti pensare al fatto che si è costruito su greti dei torrenti. Un concetto che spiega già da solo con quanta noncuranza e superficialità l’uomo troppo spesso ritiene di essere superiore ad ogni cosa». Una forte delusione emerge da queste parole, che spiegano in cosa si poteva evitare la tragedia, comunque in merito ai soccorsi Greco continua: «Non è concepibile che gli interventi post-evento siano stati così lenti, con una pioggia che batteva da più di tre ore. Questo indica come la situazione sia stata sottovalutata. E calcolando che al sesto giorno ancora c’è fango è necessario che la Protezione civile intervenga con mezzi ancora più massicci. Per quanto riguarda i fondi invece, ritengo che innanzitutto è necessario trovare la strada da intraprendere. Verificare le criticità, le priorità intervenendo con mezzi e progetti idonei».
Questa la posizione del tecnico che da sempre vive a contatto con la natura, per la quale dimostra profondo rispetto. Un rispetto che lo costringe a fare questo appello rivolto alle forze competenti che dovranno procedere, ora con cautela, senza presunzione e con dati tecnici che supportino ogni intervento di risanamento. Ma in questo quadro disastroso, c’è un altro aspetto che bisogna considerare, il “fattore ambientale”, che sicuramente costituirà l’emergenza più grave nella fase di ripristino di quella “normalità” di cui oggi si parla tanto.
«Per il Golfo di Lamezia – ci spiega chiaramente Greco – questo evento è una catastrofe ambientale. A mare è arrivato di tutto, fango, rifiuti di ogni sorta, composti chimici dai campi coltivati, farmaci, metalli pesanti. E questo rappresenterà, anche, un problema di tipo sanitario per la balneazione, di tipo commerciale per la pesca e più in generale di tipo ecologico per le reti trofiche e marine. Urge perciò – continua – un piano di caratterizzazione delle matrici ambientali, quindi del sedimento marino, della colonna d’acqua e della zona che va dalla battigia ad almeno mille metri verso l’interno della costa, ossia sulla terraferma». Una proposta pratica per intervenire, un monito affinché si eviti di procedere in maniera frettolosa e senza le giuste risorse.
Un ultimo appello, infine, Greco lo rivolge all’azienda sanitaria locale: «si pensi bene a monitorare le pozze retrodunali per scongiurare il pericolo di emergenze sanitarie e soprattutto si faccia molta attenzione all’individuazione dei siti e al trattamento dei fanghi. Perché è necessario e doveroso capire che questi fanghi non possono essere considerati rifiuti normali».

Stefania Marasco

 

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