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“Calabria
Ora ” – Lunedì 10 luglio 2006 - pag.
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«L’emergenza
è scattata tardi»
Alluvione
di Vibo, il j’accuse del commissario dell’Icram
Greco
VIBO VALENTIA
– «Non esiste alcuna scusante di evento meteorologico
straordinario». Così esordisce il professore Silvestro
Greco, appena nominato Commissario dell’Icram (Istituto
centrale per la ricerca applicata al mare), quando proviamo
a chiedere delucidazioni in merito alla grave catastrofe che
ha stravolto la provincia Vibonese. Una frase che appare nuova,
a quasi una settimana dall’alluvione. Parole dure, ma
pronunciate in maniera risoluta, con rammarico per le vite che
hanno pagato questa tragedia. Rabbia e delusione per una terra
che continua a pagare errori, superficialità, disattenzioni.
Poteva essere evitato. Poteva prevedersi. Chissà. Alcuni
interrogativi non avranno mai una risposta. Ma i dubbi resteranno
sempre tanti, anche se ora la cosa più importante è
guardare al futuro. Organizzarsi per prevenire. Rinascere scrivendo
nuove leggi. «Il nubifragio – ha continuato Greco
– che ha colpito la provincia vibonese è iniziato
a San Nicola da Crissa alle due di notte, mentre a Vibo verso
le 8,50. Si doveva essere più veloci, l’allerta
doveva essere resa nota molto prima. Soprattutto da parte di
chi conosce bene il territorio e ne conosce le carenze strutturali.
Tutto quello che è accaduto accentua ed evidenzia il
totale abbandono in cui versa il territorio collinare e la rete
delle acque reflue cittadine. Ad esempio, cosa molto grave,
non esistono canalette per convogliare le acque nei pozzi, non
ci sono tombini funzionanti, L’acqua non avendo altro
sbocco si è icanalata nelle strade. Ecco perché
tanta distruzione e violenza». Una denuncia grave, che
il professore Greco non vuole tacere, perché se anche
la natura ha la sua imprevedibilità, l’uomo ha
gravi responsabilità. «Altro punto fondamentale
– ha continuato a spiegare – è la totale
assenza di qualsiasi pianificazione urbanistica. Costruzioni
fatte senza alcun criterio, senza il minimo rispetto della natura
e della sua conformazione. Basti pensare al fatto che si è
costruito su greti dei torrenti. Un concetto che spiega già
da solo con quanta noncuranza e superficialità l’uomo
troppo spesso ritiene di essere superiore ad ogni cosa».
Una forte delusione emerge da queste parole, che spiegano in
cosa si poteva evitare la tragedia, comunque in merito ai soccorsi
Greco continua: «Non è concepibile che gli interventi
post-evento siano stati così lenti, con una pioggia che
batteva da più di tre ore. Questo indica come la situazione
sia stata sottovalutata. E calcolando che al sesto giorno ancora
c’è fango è necessario che la Protezione
civile intervenga con mezzi ancora più massicci. Per
quanto riguarda i fondi invece, ritengo che innanzitutto è
necessario trovare la strada da intraprendere. Verificare le
criticità, le priorità intervenendo con mezzi
e progetti idonei».
Questa la posizione del tecnico che da sempre vive a contatto
con la natura, per la quale dimostra profondo rispetto. Un rispetto
che lo costringe a fare questo appello rivolto alle forze competenti
che dovranno procedere, ora con cautela, senza presunzione e
con dati tecnici che supportino ogni intervento di risanamento.
Ma in questo quadro disastroso, c’è un altro aspetto
che bisogna considerare, il “fattore ambientale”,
che sicuramente costituirà l’emergenza più
grave nella fase di ripristino di quella “normalità”
di cui oggi si parla tanto.
«Per il Golfo di Lamezia – ci spiega chiaramente
Greco – questo evento è una catastrofe ambientale.
A mare è arrivato di tutto, fango, rifiuti di ogni sorta,
composti chimici dai campi coltivati, farmaci, metalli pesanti.
E questo rappresenterà, anche, un problema di tipo sanitario
per la balneazione, di tipo commerciale per la pesca e più
in generale di tipo ecologico per le reti trofiche e marine.
Urge perciò – continua – un piano di caratterizzazione
delle matrici ambientali, quindi del sedimento marino, della
colonna d’acqua e della zona che va dalla battigia ad
almeno mille metri verso l’interno della costa, ossia
sulla terraferma». Una proposta pratica per intervenire,
un monito affinché si eviti di procedere in maniera frettolosa
e senza le giuste risorse.
Un ultimo appello, infine, Greco lo rivolge all’azienda
sanitaria locale: «si pensi bene a monitorare le pozze
retrodunali per scongiurare il pericolo di emergenze sanitarie
e soprattutto si faccia molta attenzione all’individuazione
dei siti e al trattamento dei fanghi. Perché è
necessario e doveroso capire che questi fanghi non possono essere
considerati rifiuti normali».
Stefania
Marasco