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“Corriere
della Sera” – Giovedì 8 febbraio 2007
- pag. 1 e 23 |
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Cinquanta
pagine inviate a Romano Prodi e al ministro Pecoraro Scanio:
41 dipendenti fantasma, parcelle pagate ad avvocati amici, bilancio
su foglietti
Calabria
e ambiente: il gioco degli 864 milioni
Denunce
e accuse nella relazione del commissario Antonio Ruggiero. Che
ha lasciato
di
Gian Antonio Stella
ROMA –
Credevano di giocare coi soldi finti dei Monopoli, al Commissariato
per l’Emergenza Ambientale in Calabria. Scrivevano su
un foglietto: entrate. Su un altro: uscite. Fine. Senza «un
bilancio vero e proprio». Senza una «documentazione
giustificativa». Senza un controllo della Ragioneria.
Hanno speso così, in otto anni, 864 milioni di euro.
Lo dice la relazione finale, esplosiva, dell’ultimo commissario.
Che se ne va con una chiusa amarissima: «E molto altro
ancora potrebbe essere illustrato, se valesse la pena di raccontare,
avendo tempo e modo. E soprattutto scopo».
Questo è il punto: c’è ancora un senso,
nel radiografare una situazione amministrativa di confine tra
la sciatteria e la criminalità? La denuncia, 50 pagine
da far ribollire il sangue, è stata mandata al premier
Romano Prodi, al ministro dell’Ambiente Alfonso Pecoraro
Scanio, al governatore Agazio Loiero e al capo della protezione
civile Guido Bertolaso. Ed è firmata da Antonio Ruggiero,
un prefetto che da anni viene sbattuto qua e là per l’Italia
a farsi carico delle situazioni più rognose. Come quella
di Isola Capo Rizzuto, dove il comune era andato in bancarotta,
un terzo dei dipendenti municipali aveva precedenti penali o
era stato indagato, il 93% non pagava la tassa sui rifiuti,
il 97% non pagava l’acqua, il 30% non pagava l’Ici
ed erano abusive perfino alcune tombe di famiglia costruite
a ridosso del cimitero.
Insomma: stiamo parlando di un funzionario che dalle bombe ai
tralicci in Alto Adige ai primi sbarchi di albanesi a Brindisi
ne aveva viste tante. Come al Commissariato per l’emergenza
ambientale in Calabria, però, mai. O almeno così
pare di capire dal rapporto con cui, dopo due mesi e mezzo,
ricostruisce la sua esperienza alla guida dell’organismo
voluto nel ’97, dopo l’ennesima emergenza, per mettere
ordine nel caos totale in cui agonizzava il mondo dei depuratori,
dei rifiuti, delle discariche.
Sette capi ha avuto, in una manciata di anni, quel Commissariato.
Quattro presidenti regionali e tre prefetti. Con proroghe su
proroghe di poteri speciali usati, stando anche all’inchiesta
giudiziaria intitolata a «Poseidone», malissimo.
Al punto che un anno e mezzo fa, tra i numerosi indagati per
una serie di reati che vanno dalla truffa aggravata all’abuso
d’ufficio, finì anche l’ex governatore Giuseppe
Chiaravalloti. «Avete rilevato interessi di politici nazionali
nella vicenda?», chiesero i membri della Commissione parlamentare
d’inchiesta sul ciclo dei rifiuti ai giudici titolari
delle indagini, Salvatore Murone, Isabella De Angelis e Luigi
De Magistris. La risposta dei giudici fu eloquente: «Prima
di rispondere vorremmo disattivaste il circuito audio-visivo
interno».
Come finirà l’iter processuale si vedrà.
Ma il rapporto di Ruggiero, al di là degli aspetti penali,
dice già tutto. Dal 1998 al 2006 il Commissariato figura
aver avuto entrate complessive per 692 milioni e mezzo di euro
e uscite per quasi 645 milioni, tanto che al passaggio di consegne
fu detto al nuovo commissario, con una «certificazione
da parte della Tesoreria provinciale dello Stato» (sic)
che c’era perfino un saldo di cassa di 45 milioni di euro.
Una bufala: neanche il tempo di metter mano ai conti e saltava
fuori «una pesante situazione debitoria»: oltre
223 milioni. Che non figuravano «né nei vari passaggi
di consegne né nelle precedenti rendicontazioni».
Possibile che non se ne fossero accorti? Ma certo che se n’erano
accorti. Solo che tutto era stato occultato in una inestricabile
selva contabile. «Lo scrivente ha rilevato la mancanza
di un bilancio vero e proprio e la distinzione delle somme in
soli tre capitoli di contabilità speciale che rende oltremodo
difficoltosa la verifica dell’andamento delle spese relative
ad ogni singolo intervento, perché di fatto la gestione
delle suddette contabilità è tipo conto corrente
finalizzato», accusa il prefetto, ricordando di aver denunciato
tutto alla Corte dei Conti.
Per capirci, c’erano solo dei «foglietti»:
di qua le entrate, di là le uscite. Fine. Si trattava
di «emergenze», perché tener nota di tutto?
Le «emergenze» sono «emergenze», no?
Lo dice la parola stessa…
Ed ecco centinaia di migliaia di euro (quanti? «non siamo
ancora riusciti a fare le somme») dati ad avvocati amici
infischiandosene della regola che ogni vertenza doveva essere
passata all’Avvocatura dello Stato. Ecco i buchi nel bilancio
lasciato dai comuni calabresi in larghissima maggioranza riottosi
a pagare al Commissariato quanto dovevano per la gestione dei
depuratori dato che nessuno di fatto chiedeva loro i soldi,
parzialmente recuperati solo adesso con la creazione di 127
commissari ad acta che sono riusciti a rastrellare in 127 comuni
21 milioni di euro mai versati. Ecco la scoperta che «il
programma di elaborazione dei dati contabili» è
di fatto inutilizzabile e non ha neppure un contratto di assistenza:
anzi, non si trova più manco il «carteggio relativo
al contratto a suo tempo stipulato». Ecco infine i ritardi
dovuti a una prassi burocratica che, nel casino totale di competenze
e priorità, era «sostanzialmente finalizzata a
ritardare tutto il ritardabile».
Insomma, un disordine tale che nel settore dei rifiuti (che
vede la Calabria buttare in discarica ancora il 50% della spazzatura!)
«non si è ancora riusciti ad accertare una situazione
complessiva e analitica dei debiti pregressi delle gestioni
precedenti sulle quali non esiste una contabilità sistematica,
né relazioni tecnico-economiche». Per non dire
del personale. Oltre ai 64 dipendenti in organico, compresi
contrattisti ed esperti, il prefetto ha scoperto che c’erano
a carico del commissariato 41 fantasmi di cui non sapeva assolutamente
nulla. Mai visti in faccia. Mai impegnati in una pratica. Assunti
con «contratti stipulati da dirigenti del Ministero dell’Ambiente,
nei quali è espressamente stabilito che il corrispettivo
per la prestazione resa sarà corrisposto dal Commissario
delegato dietro attestazione del committente che il lavoratore
ha regolarmente adempiuto agli obblighi contrattuali».
Traduzione: ogni mese arrivava da Roma l’ordine di pagare
quegli sconosciuti senza che il Commissariato fosse in condizione
«di indicare l’attività prestata dai dipendenti
in questione».
Domanda: ma nessuno controllava? Risposta, no: «Non risultano
allegati né gli atti che avrebbe dovuto produrre il servizio
di controllo interno né i verbali della verifica amministrativa
e contabile». Peggio: «Le pezze d’appoggio»
a giustificare i conti, da parte della Ragioneria competente,
«non è stata mai richiesta».