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“Calabria
Ora ” – Lunedì 5 giugno 2006 - pag.
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Prodi
promette chiarezza sull’assassinio di Ilaria Alpi
Dopo 12 anni si attende una sola risposta
LA
VERITA’
E’
di ieri la notizia che il presidente del Consiglio Romano Prodi
nei prossimi giorni incontrerà Giorgio e Luciana Alpi,
genitori della giornalista Rai assassinata a Mogadiscio nel
’94.
L’annuncio è stato dato durante la serata finale
della XII edizione del Premio Giornalistico Ilaria Alpi, a Riccione
(Rimini). Giorgio Alpi ha riferito di aver ricevuto una telefonata
di Prodi poco prima dell’inizio della premiazione, in
cui il presidente ha detto che «investirà il Governo
per lavorare nella ricerca della verità sul caso di Ilaria
Alpi e Miran Hrovatin». Inaugurando la serata di premiazione
Giorgio Alpi ha ringraziato il presidente per l’attenzione
dimostrata e tutte le persone che in questi anni li hanno appoggiati
nella loro lotta per ottenere finalmente quelle risposte che
attendono da 12 anni. Una notizia accolta con entusiasmo dagli
organizzatori del Premio che proprio il giorno prima avevano
inviato una lettera a Prodi chiedendo al Governo di attivarsi
per fare piena luce sulla morte di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin.
Durante la serata, inoltre, il sindaco di Riccione, Daniele
Imola, ha espresso l’intenzione di chiedere al Consiglio
Comunale di concedere la cittadinanza onoraria agli Alpi da
anni presenti a Riccione per partecipare al Premio intitolato
alla figlia.
Nell’edizione di oggi Calabriaora riporta alcuni estratti
della copiosa relazione stilata dalla commissione parlamentare
di indagine presieduta dall’avvocato Carlo Taormina. Un’indagine
che tra mille ipotesi e ricostruzioni di scenari, motivazioni
e mandanti non è però approdata a nulla di significativo.
L’impressione è che l’indagine non sia andata
al di là di una mera constatazione della situazione ed
alla raccolta del materiale ufficiale. Senza scavare, fermandosi
in superficie.
CHI
ERA ILARIA ALPI
Il
20 marzo 1994 in Somalia a Mogadiscio Nord, vengono barbaramente
assassinati Ilaria Alpi (32 anni, giornalista Rai) e il suo
operatore Miran Hrovatin. In Rai dal 1990 Ilaria Alpi aveva
già lavorato a Parigi, in Marocco, Belgrado, Zagabria.
Era la settima volta che veniva inviata in Somalia dal settembre
1992. Era in atto la missione “Restore Hope” in
ambito O.N.U., vi prendevano parte anche le truppe militari
italiane. Nonostante ciò i soccorsi sono stati tardivi,
non si sono accertate immediatamente le responsabilità
dell’accaduto, anzi, il tutto è avvenuto con modalità
contraddittorie e inquietanti. Basti dire che non si sono trovati
i quadernoni su cui Ilaria Alpi era solita annotare le sue attività
giornalistiche.
PERCHE’
FU UCCISA?
L’ipotesi
è che Ilaria Alpi fosse venuta a conoscenza di un traffico
di armi o di scorie radioattive provenienti dall’Italia
o dall’Europa più in generale, e questo deve avere
“infastidito” qualcuno. Come nel caso Ustica le
autorità militari, almeno finora, non hanno brillato
per chiarezza e disponibilità. Un processo si è
già celebrato, ma non è giunto a nulla di significativo.
GIORNALISTA
SCOMODA
«Dai
filmati emerge un’attività professionale volta
a testimoniare la complessa realtà di un paese travagliato
dalla guerra civile e da miseria e fame nel quale le forze internazionali,
ivi comprese quelle italiane, cercano di riportare la pace con
l’operazione Restore Hope, avviata nel dicembre 1992…
Attraverso la meticolosa analisi incrociata di documenti, block
notes, filmati, testimonianze, la Commissione ha potuto ricostruire
tempi e luoghi degli spostamenti dei due giornalisti in Somalia
e dei loro incontri, definire con esattezza le date del viaggio
a Bosaso, le date delle interviste lì effettuate, l’identità
ed il ruolo di gran parte delle persone presenti nei filmati».
LA
“pista calabrese”
Hanno
deposto i Pm Neri e Greco
«L’interesse
della Commissione per tale vicenda, nasce nel mese di gennaio
2005 a seguito dell’uscita dell’articolo intitolato
“Intrigo Rosso” sul settimanale l’Espresso
del 16 dicembre 2004 a firma del giornalista Riccardo Bocca.
In tale articolo si ripercorre la vicenda relativa allo spiaggiamento
della motonave Rosso ed alle inchieste che ne sono seguite ad
opera dei magistrati della Procura di Reggio Calabria e di Paola;
prendendo le mosse dalle audizioni rese all’epoca alla
Commissione sul Ciclo dei Rifiuti da tali magistrati, viene
ricostruito un presunto intrigo internazionale comprendente
politici, faccendieri, criminali, al centro del quale si pone
la figura dell’ingegnere lombardo Giorgio Comerio, evidenziando
poi collegamenti con l’omicidio di Ilaria Alpi e Miran
Hrovatin… Il dr. Francesco Greco, in servizio presso la
procura di Paola, ha illustrato le risultanze delle indagini
condotte sulla nave Jolly Rosso. Quindi, premettendo di non
avere “nel modo più assoluto e neanche in termini
di mera possibilità” elementi di collegamento tra
la morte di Ilaria Alpi e l’indagine da lui coordinata,
ha spiegato come nel corso delle indagini fosse emersa la figura
di un certo Giorgio Comerio, un ingegnere che aveva elaborato
un progetto per lo smaltimento di rifiuti tossici denominato
“Odm” ed indicato da più parti come persona
dedita a traffici di rifiuti radioattivi. Secondo il magistrato
audito l’ing. Comerio aveva sicuramente interessi economici
in Somalia, come dimostravano i documenti acquisiti presso la
sua abitazione a seguito di una perquisizione domiciliare disposta
dalla Procura di Reggio Calabria… Lo stesso giorno è
stato sentito dalla Commissione il dr. Francesco Neri, in servizio
a Reggio Calabria e titolare negli anni passati della principale
indagine su Comerio, che ha presentato Comerio come un abile
e pericoloso faccendiere, operante a livelli istituzionali altissimi
e responsabile dell’affondamento di più navi trasportanti
materiale pericoloso (fenomeno delle cd. “navi a perdere”)
(…)
La Commissione ha ritenuto quindi, di approfondire il tema,
pur se i primi scambi informativi con il Pm dott. Francesco
Greco avevano portato ad escludere che vi fossero, almeno allo
stato, elementi di collegamento tra l’inchiesta e il duplice
omicidio. Per non lasciare peraltro nulla di intentato, la Commissione,
il 25 gennaio 2005, ha proceduto alle audizioni dei magistrati
interessati alle indagini: il dott. Greco ha confermato quanto
già anticipato, ossia l’assenza di un collegamento
tra la sua indagine e il caso Alpi (…). Il dott. Neri,
invece, ha dichiarato che, quando era in servizio presso la
Procura circondariale di Reggio Calabria, tra i documenti sequestrati
all’ing. Giorgio Comerio (nel corso di una perquisizione
effettuata nell’ambito dell’inchiesta sul traffico
internazionale di rifiuti di cui egli ha chiesto l’archiviazione)
era stata rinvenuta una cartella relativa alla Somalia contenente
corrispondenza in fax intrattenuta dal Comerio con Ali Mahdi
ed il suo plenipotenziario. In tale cartella sarebbe stato inserito
anche copia del certificato di morte di Ilaria Alpi… La
Commissione ha pertanto delegato un’acquisizione documentale
tramite i propri consulenti, che, peraltro, recatisi il 21 gennaio
2005 presso gli uffici giudiziari di Reggio non hanno rinvenuto
negli atti messi a disposizione dalla Procura né la copia
del certificato di morte della Alpi né la copia della
lettera di trasmissione al Pm di Roma».
L’IPOTESI
SMALTIMENTO RIFIUTI
«La
Commissione ha diffusamente approfondito la tematica del possibile
traffico di rifiuti verso la Somalia… Tale possibile connessione
è stata valutata da più di un organismo parlamentare.
Parimenti sono state effettuate dalla magistratura inquirente
italiana numerose indagini in materia di esportazione di rifiuti
dall’Italia alla Somalia senza, peraltro, giungere a risultati
significativi. La materia dei rifiuti è stata spesso
posta in strettissima connessione con quella delle armi inizialmente
per l’esplicito riferimento a scorie nucleari o radioattive,
con l’ovvia possibilità di un utilizzo civile,
e poi per una possibile esistenza di un accordo criminoso per
cui le fazioni somale in guerra tra loro accettavano i rifiuti
tossici in cambio di armi (…). A conforto di ciò
la giornalista Rita Del Prete, amica di Ilaria Alpi (…)
ha riferito di aver incontrata la Alpi per l’ultima volta
il 2 marzo 1994, proprio alla vigilia dell’ultimo viaggio.
Riferisce la Del Prete che nell’estate del 1993 Ilaria
Alpi le raccontò “una storia che l’aveva
sconvolta, una storia che aveva sentito dire: si costruivano
strade che partivano dal nulla e finivano nel nulla, fatte apposta
per scavare e mettere dentro detriti tossici”… In
precedenza, sentita dalla Digos di Roma il 18 novembre 1997
aveva precisato: “Ricordo infatti che una volta, nel 1993,
mi parlò di una strada, sita nella zona di Garoe, che
secondo lei cominciava e finiva nel nulla e che serviva probabilmente
ad occultare delle scorie radioattive. Non mi ha mai riferito
però in particolare di indagini che pensasse potessero
metterla in pericolo. Ricordo però che, durante l’ultimo
periodo dei suoi viaggi, cioè nel 1994, Ilaria mi disse
che non voleva parlare di lavoro per telefono perché
non si fidava delle linee. In tale occasione io la presi anche
in giro, pensando che esagerasse”. Nel procedimento di
primo grado la difesa dell’imputato Hashi Omar Hassan
(unico componente del commando identificato e condannato) ha
chiesto di assumere la testimonianza di Fadouma Mohamed Mamud,
datrice di lavoro di Hashi (…). La donna ha dichiarato
di aver conosciuto la giornalista nel dicembre ’92…
e le aveva riferito di indagare su un traffico di scorie radioattive
scaricate davanti alle coste somale, chiedendole cosa sapesse
e come si potesse intervenire: “Ilaria mi aveva dichiarato
che seguiva una certa pista abbastanza pericolosa, mi aveva
detto che era una questione delicata, di cui io non dovevo parlare
a nessuno… mi aveva parlato che lei si interessava a certe
cose orrende che venivano fatte sulle nostre coste, sulle coste
della Somalia, che esattamente, che venivano scaricate sulle
nostre coste, sul mare dei rifiuti tossici, cose che noi sapevamo
già, io l’avevo dichiarato che era una cosa che
noi sapevamo, ma eravamo impotenti».
E
QUELLA TRAFFICO DI ARMI
«Sia
la sentenza di primo grado che quella di appello (con cui la
Corte d’assise e pervenuta alla condanna di Hashi Omar
Hassan) mettono in evidenza come negli interessi giornalistici
della Alpi e di Hrovatin e nei risultati del viaggio a Bosaso
vadano ricercate le motivazioni del duplice omicidio. Su tale
punto si sofferma in particolare la sentenza di appello, che
insiste sulla non casualità del viaggio a Bosaso (programmato
dalla Alpi prima della partenza dall’Italia) in ragione
delle indagini che aveva intenzione di effettuare per approfondire
temi legati al traffico di armi, all’intreccio con la
mala cooperazione e il traffico di rifiuti tossici, nonché
sui successivi approfondimenti effettuati a Bosaso dalla Alpi
e da Hrovatin in merito al sequestro della nave della Faraax
Omar, al tentativo di salire a bordo della nave per intervistare
l’equipaggio e i sequestratori, ai carichi trasportati
dalla nave in sequestro e dalle altre navi della Shifco, alla
ricerca di riscontri agli ipotizzati traffici illeciti, ai contenuti
dell’intervista al sultano di Bosaso e agli argomenti
ivi trattati, alle domande poste al capitano del porto e al
responsabile Unosom di Bosaso.
La successiva sentenza di Assise d’appello, conseguente
alla pronunzia della Cassazione, espungeva dall’accertamento
processuale la certezza del mandato omicidiario conferito ad
Hashi Omar Hassan e indicava come temi di approfondimento da
effettuarsi in altra sede quelli del movente e degli eventuali
mandanti. La sentenza in questione ha posto una serie di interrogativi,
relativi alle minacce che potevano aver subito in Bosaso Ilaria
Alpi e Miran Hrovatin, emergenti da un appunto del Sismi, agli
ipotizzati (e non provati in sede processuale) coinvolgimenti
di numerosi soggetti, al contesto e alle motivazioni in cui
l’omicidio poteva essere maturato, non senza omettere
di porre l’accento sul lavoro svolto dai due giornalisti
a Bosaso».
L’AGGUATO
LA
DINAMICA
«La
ricostruzione della dinamica dell’agguato poggia sulle
risultanze degli accertamenti peritali e sulle dichiarazioni
di tre testimoni oculari offerte nel corso della vicenda giudiziaria
direttamente agli organi inquirenti ovvero, nel solo caso dell’autista
Abdi, anche in sede dibattimentale. Circa le testimonianze utili
ai fini della ricostruzione non si può prescindere da
quella dei due cittadini somali la cui veste di spettatore ai
fatti non è in discussione, trattandosi dell’autista
Abdi e della scorta Nur dei due giornalisti, scampati all’agguato
e, dei quali la presenza sul luogo è resa certa dalle
riprese effettuate nell’immediatezza. Vi è poi
la testimonianza di una terza persona, Gelle, la cui effettiva
presenza sul luogo dell’agguato è stata revocata
in dubbio.
Nonostante gli sforzi intrapresi la Commissione non ha potuto
risentire né Nur né Gelle (essendo nel frattempo
deceduto l’Abdi) per la impossibilità di rintracciarli».
IL
LUOGO
«Il
luogo dell’agguato viene generalmente identificato con
l’ubicazione dell’hotel Hamana, dove normalmente
soggiornavano tutti i giornalisti italiani… L’edificio
dell’hotel, la cui proprietà era riconducibile
ad Ali Mhadi, era una sorta di villa privata, organizzata all’occorrenza
per la ricezione di persone; infatti “vicino a quella
villa si trovavano le palazzine nelle quali avevano alloggiato
tutti i componenti della missione diplomatica”. Di fronte
all’hotel Hamana, sulla parte opposta della strada a circa
60 metri è ubicato l’edificio già sede dell’Ambasciata
d’Italia dall’altro l’edificio dell’ex
Centro culturale francese. Nelle immediate adiacenze dell’edificio
della ex Ambasciata italiana vi era dislocato un villino che
in precedenza era stato preso in affitto dal personale del Sismi,
che “confinava con il muro di cinta dell’ambasciata”».
L’ORA
«Innanzi
tutto appare utile ricostruire l’orario in cui Ilaria
Alpi e Miran Hrovatin vennero uccisi. Testimone diretto dell’agguato,
seppur limitatamente alla acustica percezione dei colpi d’arma
da fuoco sparati nell’occasione, è l’allora
capitano dell’esercito Ferdinando Salvati, in servizio
presso il Comando Unosom 2, Divisione Informazioni Militari
– Sezione Target, il quale, al momento del fatto, si trovava
all’interno del cortile dell’ex ambasciata italiana
distante un centinaio di metri. Secondo il suo ricordo “era
intorno alle 15,00 e udii due o tre brevi raffiche”.
Sempre secondo Salvati alcuni poliziotti somali riferiscono
in un primo momento di uno scambio di colpi e di un tentativo
di rapina (per sottrarre l’auto), solo successivamente
lo informarono che erano rimasti uccisi due italiani».
CHI
L’HA UCCISA
IL
COMMANDO
«L’approfondimento
della questione relativa alla composizione del commando omicida
si è rivelato particolarmente critico. Gli accertamenti
compiuti in merito prima della istituzione della Commissione
erano assai limitati: nel corso delle indagini alcuni testimoni
avevano fornito delle indicazioni, ma esse erano rimaste prive
di riscontri e mai confrontate le une con le altre. Le verifiche
più significative furono quelle compiute in ordine alla
presenza fra gli assalitori di Hashi Omar Hassan, l’unico
soggetto identificato e concretamente individuato, il quale
come è noto è stato condannato per aver partecipato
(pur senza sparare) all’agguato. A differenza, poi, di
quanto accaduto con riferimento all’accertamento della
dinamica dei fatti – sulla quale un importantissimo ausilio
è stato dato dalla disponibilità dell’autovettura
a bordo della quale viaggiavano i due giornalisti, che ha consentito
un approfondito esame balistico – con riferimento agli
autori dell’omicidio, gli unici dati disponibili sono
le testimonianze, dirette o de relato, di chi era presente o
ha appreso notizie da presenti».
I
MANDANTI
«Di
mandanti, in relazione al duplice omicidio di Mogadiscio, si
è iniziato a parlare subito dopo il fatto, in base alle
prime informazioni trasmesse dai servizi di sicurezza e comunque
a seguito delle voci che descrivevano l’agguato come premeditato
e mirato contro i due giornalisti italiani, per la loro nazionalità
o per motivi legati alla loro attività professionale.
Successivamente, è stata l’attività della
Digos di Udine, con le notizie raccolte dalle sue fonti confidenziali,
a dar corpo all’ipotesi che ad organizzare il delitto
fossero state persone ben individuate. Tali informazioni, tuttavia,
pur confluendo nelle indagini che la magistratura stava svolgendo,
non trovarono alcuna utilizzazione processuale, dal momento
che provenivano da fonti rimaste anonime. Esse però continuarono
a formare oggetto di approfondimenti e inchieste, soprattutto
da parte dei mass media… La Commissione non poteva esimersi
dal trattare l’argomento e lo ha fatto in maniera particolarmente
approfondita, rintracciando e interrogando tutti i soggetti
in qualche modo indicati come “mandanti” o “organizzatori”
dell’omicidio (almeno quelli identificati o identificabili)
e analizzando le tematiche che potevano costituire le “causali”
dell’agguato, cioè le ragioni più nascoste
per le quali qualcuno poteva avere interesse ad eliminare i
due giornalisti, in quanto testimoni scomodi o in quanto italiani…
Pur senza anticipare le conclusioni finali, può sin d’ora
rilevarsi che nessun collegamento significativo è dimostrabile
tra i soggetti che verranno indicati, le loro attività,
i loro interessi ed il fatto delittuoso di cui si tratta».