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“Il
Quotidiano della Calabria” – Sabato 4 giugno
2005 - pag. 16 |
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Dossier
di Legambiente in base ai dati di magistratura, servizi, Dia
e Commissione antimafia
Gli
interessi dei boss dell’ecomafia
Nel
Vibonese la situazione si fa critica, ma lo Stato sembra reagire
L’ECOMAFIA
nel Vibonese esiste, è forte e rischia di causare evidenti
danni a un patrimonio naturalistico ambientale tra i più
preziosi in Italia. Il quadro delineato dal dossier “Ecomafia
2005” di Legambiente, reso pubblico nei giorni scorsi,
non ammette equivoci di sorta. Cemento selvaggio, appalti, gestione
dei rifiuti, inquinamento: tutto sotto la lente d’ingrandimento
dell’associazione ambientalista. «Basti ricordare
– si legge nel rapporto redatto da Legambiente –
che il Corpo forestale dello Stato, nel Vibonese, nel corso
del 2004, ha scoperto ben 426 illeciti ambientali e denunciato
151 persone».
Vengono a proposito citati alcuni esempi: «Il 13 febbraio
2004 a Filandari i carabinieri hanno denunciato il titolare
di una ditta di costruzioni edili con l’accusa di furto
e gestione non autorizzata di rifiuti speciali. Il 13 maggio
è Filogaso – si legge ancora – il centro
dell’attenzione: lì il Cfs ha sequestrato una discarica
di 5mila metri quadri che era utilizzata per abbandonare le
notevolissime quantità di conglomerati bituminosi provenienti
dai lavori di ammodernamento dell’autostrada Salerno–Reggio
Calabria. Il 2 agosto tre imprenditori, soci di una società
addetta allo smaltimento dei rifiuti nella provincia sono stati
denunciati dai carabinieri per violazioni in materia ambientale
e scarico d’acque reflue. All’inizio del 2005, il
5 gennaio, invece in seguito ad alcuni accertamenti compiuti
dall’Arpa Calabria su alcuni fusti trovati nei pressi
della zona industriale di Vibo Valentia e sulle acque del torrente
Trainiti risultate inquinate, sono state individuate due discariche.
La prima conteneva rifiuti speciali, mentre nell’altra
c’erano venti fusti da duecento litri d’oli minerali».
Legambiente rammenta poi come in località Rosco di Vazzano,
lo scorso 11 febbraio, il Cfs abbia sequestrato «la discarica
che serviva allo smaltimento dei rifiuti urbani provenienti
dai comuni di Vazzano, Pizzoni e Vallelonga. La gestione del
sito – si ricorda sempre nel dossier – non garantiva
più le condizioni di sicurezza con rischio d’inquinamento
del suolo, delle falde acquifere e dell’aria. Il 28 febbraio,
un nuovo sequestro, ancora ad opera del Cfs, è avvenuto
a Francica, alla vecchia discarica comunale, dismessa e bonificata.
Aveva subito un processo di degrado soprattutto da quando il
Comune non ha più assicurato il servizio di raccolta
dei rifiuti ingombranti».
Contemplata anche la vicenda relativa alla Ecocall: «E’
del Noe di Reggio Calabria un’altra importante e complessa
operazione. Il 7 agosto scorso i carabinieri hanno infatti sequestrato
un impianto di compostaggio dei rifiuti in contrada Stagliati,
nel comune di Vazzano, l’Ecocall. Controllando l’area
di 46mila metri quadrati, gli uomini del Noe si sono accorti
che c’erano delle irregolarità nella produzione
dei composti. Nel corso dello stesso intervento il Noe ha sequestrato
anche due autoarticolati con rimorchio che provenivano dalla
Campania: trasportavano rifiuti solidi urbani non selezionati
e una miscela d’ammendanti che se utilizzati, anziché
migliorare il terreno sotto l’aspetto nutritivo, avrebbe
potuto provocare effetti nocivi. Un’operazione da un milione
d’euro. L’impianto di Vazzano –ricorda Legambiente
– è stato più volte al centro di attenzioni
da parte della criminalità del Vibonese. In passato aveva
subito due incendi dolosi, mentre il 3 ottobre scorso un commando
ha preso d’assalto l’azienda a colpi di fucile ferendo
due dei venti operai che lavorano all’interno dell’impianto».
I danni dell’ecomafia, sul territorio, si registrano però
soprattutto lungo il litorale. «Sono a rischio le coste
calabresi – si legge ancora nel dossier – aggredite
dal cemento e da chi, gli operatori turistici, dovrebbero fare
di tutto per conservarle. Ciò accade in primo luogo nel
Vibonese, una delle zone di maggiore pregio della regione. Erano
dentro i villaggi turistici di Capo Vaticano, infatti –
prosegue il rapporto – le cinque costruzioni abusive (per
un valore pari a un milione di euro) sequestrate nel febbraio
2004, grazie alle segnalazioni giunte al numero verde di emergenza
ambientale 1515. Il corpo forestale dello Stato, nel corso dell’operazione,
ha anche denunciato nove persone. E si trovavano dentro un’area
a vincolo paesaggistico ambientale, anche queste al servizio
di villaggi turistici, i 20 immobili (il valore è di
cinque miliardi di vecchie lire) sequestrati nel maggio successivo
lungo la Costa degli dei, ancora a Capo Vaticano. L’operazione
anche questa volta del Corpo forestale dello Stato, ha coinvolto
25 persone, imprenditori e liberi professionisti».
In base agli atti acquisiti dalla magistratura, dal Ministero
dell’Interno, dei servizi segreti, della Direzione investigativa
antimafia e delle commissioni d’inchiesta sulla mafia
e sui rifiuti. Legambiente sostiene che il clan principale presente
nel Vibonese, per quanto concerne l’ecomafia del cemento,
è quello dei Vallelunga, i cosiddetti “Viperari
delle Serre”. Gli stessi Vallelunga manterrebbero una
cospicua influenza nell’ambito della “gestione”
degli appalti pubblici, dove però resta dominante la
posizione del clan Mancuso di Limbadi, che estende i suoi interessi
anche fuori dalla Calabria, unitamente ai Mammoliti, ai Piromalli,
ai Molè e alle altre potenti cosche della’ndrangheta
calabrese.
Particolarmente interessante l’elaborazione dei dati in
ordine ai lavori sulla Salerno-Reggio Calabria. «La più
grande autostrada del Sud è nelle mani dei boss –
prosegue il dossier di Legambiente – La stanno costruendo
loro, con materiali scadenti, con le loro aziende consociate,
con le pietre delle loro cave. Lo dicono i magistrati, la Commissione
antimafia, lo raccontano le indagini della Direzione distrettuale
antimafia, lo denunciano le relazioni dei servizi segreti. La
più grande arteria del Meridione è diventato un
puzzle. Ogni pezzo della Salerno-Reggio Calabria, ogni metro
quadrato d’asfalto, appartiene ad una famiglia malavitosa:
la camorra padroneggia nel tratto campano, la ‘ndrangheta
in terra calabrese. Le cosche attraverso un reticolo di subappalti
ed attraverso il nolo a freddo, riescono ad eludere i controlli
dell’Antimafia. Una conferma arriva da un dossier della
Fillea-Cgil, dipartimento sindacale che ha elaborato i dati
dell’Anas. Lungo l’autostrada Salerno-Reggio Calabria
c’è una richiesta di autorizzazione a subappaltare
lavori, mediamente, ogni 472 metri di lavori appaltati. La tangente
è sempre del 3%, tranne dalle parti di Lamezia Terme
e di Vibo Valentia, dove si sale fino al 10 per cento. Il corpo
del reato più lungo d’Italia, lungo circa 443 chilometri.
Un ammodernamento che doveva costare 3.500 milioni di euro,
secondo l’Anas nel 1999. Cifra che anno dopo anno si è
gonfiata fino ad arrivare a circa 7.300 milioni di euro, secondo
le commissioni Ambiente e Lavori pubblici della Camera dei deputati».
Due i dati essenziali, infine, che emergono nel dossier. Il
primo: l’ecomafia nel Vibonese è forte. Il secondo:
lo Stato ha dimostrato di saper reagire.
Pietro
Comito