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“Il
Velino Calabria” – Anno VIII - n° 18 di
Mercoledì 4 maggio 2005 |
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PONTE
SULLO STRETTO: DAGLI AMBIENTALISTI UN CORO DI NO
Il Ponte
sullo Stretto? Non s’ha da fare. È la conclusione
della tavola rotonda organizzata dalle associazioni ambientaliste
di Legambiente, Wwf e Italia nostra, durante la quale sono stati
illustrati i contenuti delle valutazioni della commissione consiliare
di Messina, sulla sostenibilità ambientale dell’opera.
Secondo il Wwf, infatti, la costruzione di questo ponte è
del tutto carente nella valutazione del rapporto costi-benefici
ma anche nei progetti di collegamento dell’Alta velocità,
delle ferrovie ordinarie e del trasporto merci. Ma anche sotto
il profilo strettamente ambientale e della qualità della
vita per tutti i cittadini che dovranno affrontare la vicinanza
con i cantieri per la realizzazione del ponte. «Ci battiamo
contro quest’opera - sottolinea durante il convegno Roberto
Della Seta, presidente di Legambiente -. Si è detto che
il ponte sarebbe stato pagato dai privati ma non è vero.
I costi finirebbero per pesare sulla collettività e come
se non bastasse, non permetterebbero alcun beneficio per la
situazione critica dei trasporti nel Sud. Un ultimo dato: l’opera
sarebbe pagata dallo Stato con una tassa sulle ferrovie da cento
milioni di euro l’anno».
È stata poi la volta dei dati. Secondo lo studio presentato
da Gaetano Giunta, presidente della commissione consiliare di
Messina, “Sulla sostenibilità ambientale e sociale
del ponte sullo Stretto di Messina” (approvato lo scorso
26 marzo), il costo del ponte è stato «ampiamente
sottostimato» e invece di sei miliardi di euro potrebbe
costare almeno «tra i 7,5 e nove miliardi». «Il
ponte sullo Stretto non è un’infrastruttura strategica
- spiega Giunta -. Si presuppone che tutta la domanda dell’afflusso
di traffico passi per lo Stretto e che questo, nell’ottica,
sia una strozzatura. Ma non è così. Si tratta
di propaganda. Il progetto si basa anche sull’idea che
i pil di Calabria e Sicilia crescano e che il trasporto aumenti
di conseguenza. Ma i dati che abbiamo dimostrano il contrario.
Negli ultimi dieci anni si è registrato un calo del sei
per cento dei transiti degli autotreni e dell’otto per
cento per le autovetture. Cioè, a fronte di un leggero
aumento del prodotto interno lordo, il traffico non è
aumentato. Non si è tenuto conto dell’effetto sostituzione.
Infatti, la tendenza è di utilizzare i mezzi di trasporto
più economici. Per le lunghe tratte si usano i trasporti
via mare e appunto crescono gli approdi al porto di Gioia Tauro,
mentre per le brevi tratte è diffuso il fenomeno dei
“padroncini” cioè dei piccoli trasportatori
che utilizzano i loro camion».
Anche i benefici del ponte sono contestabili secondo i dati
riportati dallo studio: i costi sociali delle percorrenze, con
un incremento delle tratte stradali di 20 chilometri, e un risparmio
di tempo rispetto al traghetto calcolabile in media in dieci
minuti, fanno aumentare i costi unitari calcolati dalla Stretto
di Messina spa (la società concessionaria per la progettazione,
realizzazione e gestione del progetto) del 68 per cento per
i veicoli leggeri e del 17 per cento per i veicoli pesanti.
Per il futuro inoltre, come risulta da un’inchiesta della
cattedra di economia regionale dell’università
di Messina, «oltre l’ottanta per cento dei pendolari
“sponda a sponda” non utilizzerà il ponte
per gli spostamenti - il pendolarismo pesa infatti per il 40
per cento sugli attraversamenti quotidiani - mentre appena il
45 per cento di coloro per i quali il viaggio supera i mille
chilometri l’utilizzo del ponte sarebbe preferibile ai
mezzi marittimi veloci di lunga percorrenza». «Per
questo non si trovano privati disposti a finanziare l’opera
- prosegue Giunta -. E per questo si sono chieste delle “mitigazioni
al progetto”, come il blocco dei progetti per le autostrade
del mare e un aumento da 30 a 60 anni per le concessioni del
ponte. Senza dimenticare che potremmo correre il rischio di
finanziare il debito pubblico. Se dopo 30 anni ci sono debiti
è infatti previsto che sia lo Stato ad accollarseli».
Ma l’analisi dimostra anche altre pecche di cui non si
è tenuto conto. Si tratta dell’aumento dei prezzi
dell’acciaio, che inciderebbero per il 15 per cento sull’aumento
dei costi. Della «sottostima dei tempi dei cantieri»
e della sottovalutazione delle ricadute delle 35 prescrizioni
del Cipe al progetto. Ma anche dell’impatto ambientale
che viene «assolutamente sottovalutato». Secondo
i dati presentati da Giunta verranno, infatti, «movimentati
nove milioni di metri cubi di terra, mentre 70 mila metri cubi
di costruzioni verranno espropriate o demolite e 180 mila terreni
cambieranno destinazione d’uso». Una serie di dati
cui il presidente della commissione ha concluso: «Sembra
un’operazione internazionale di riciclaggio di denaro.
Nessun investitore etico può avere altrimenti interesse
a un progetto simile. E i dubbi vengono ancora di più
leggendo il decreto legislativo 190 del 2002 (per la realizzazione
delle infrastrutture e degli insediamenti produttivi strategici
e di interesse nazionale, ndr), dove al comma 11 dell’articolo
8 si dà la possibilità di ingresso ad “altri
investitori istituzionali” in qualsiasi momento».
(asp)