"La
marea continua a crescere". Non si tratta di un’osservazione
naturalistica, ma del titolo, efficace, scelto dal Cresme per
sintetizzare i risultati di un prezioso lavoro di ricerca, elaborato
come sempre in occasione del Rapporto Ecomafia di Legambiente.
La "marea" in questione è quella dell'abusivismo
edilizio. A percepirne la crescita, negli ultimi sei mesi, sono
gli Uffici tecnici comunali più impegnati sul fronte
del "mattone selvaggio". Non si tratta di una sensazione
isolata. L'incremento del fenomeno dell'abusivismo edilizio
viene segnalato da diversi Uffici giudiziari, nel Mezzogiorno
d'Italia e non solo. La causa è sempre la stessa: il
terzo, sciagurato, condono edilizio. L'esperienza pluriennale
maturata nell'analisi del fenomeno consente al Cresme di definire
addirittura la "ciclicità" di questo "effetto
condono": l'impennata subita prima dell'entrata in vigore
della norma (l'effetto annuncio) e l'ulteriore crescita nell'anno
successivo (effetto trascinamento). Basta leggere i numeri di
questa autentica piaga italiana per trovare immediate conferme:
le nuove case abusive (al netto delle cosiddette trasformazioni
d'uso rilevanti su costruzioni già realizzate) sono state
32.000 nello scorso anno, ovvero 3.000 in più rispetto
al 2003, l'anno dell'impennata. Le stime, prudenziali, relative
al 2005 indicano un ulteriore diluvio di cemento illegale: altre
32.000 nuove costruzioni abusive, accompagnate dalla sensazione
di una "marea che continua a crescere".
Comincia dal ciclo illegale del cemento il nostro viaggio nell'Italia
aggredita, sfregiata dai fenomeni di criminalità ambientale
che vengono analizzati in questo decimo Rapporto Ecomafia. Una
scelta dettata dalla forza dei numeri e dagli innumerevoli episodi
di cronaca raccolti e raccontati nelle 348 pagine del nostro
lavoro di ricerca. Ma anche dall'urgenza di un drastico e immediato
intervento dello Stato, nella sua accezione più ampia,
affinché il trend possa rapidamente invertirsi. Altre
64.000 nuove case abusive costruite in due anni sono un fardello
insopportabile per la qualità dell'ambiente nel nostro
Paese, la tutela della legalità, i legittimi interessi
delle imprese costruttrici che operano nel rispetto delle regole.
Ma non solo: dopo il terzo condono edilizio in meno di vent'anni,
questi numeri mettono in discussione, presso comunità
sempre più ampie di cittadini, la credibilità
stessa delle istituzioni. Serve una risposta immediata e convincente,
magari attraverso la definizione di un vero e proprio Programma
nazionale di lotta all'abusivismo edilizio. Le idee, al riguardo
non mancano (basta leggere, a pagina 310, l'intervento di Luca
Ramacci, Co-presidente dei Centri di azione giuridica di Legambiente,
magistrato oggi in prima fila nella lotta all'abusivismo edilizio).
E neppure i buoni esempi, come quelli di alcune regioni (in
particolare Toscana, Emilia Romagna e Campania) che hanno cercato
di attenuare con legislazioni specifiche gli effetti del condono.
Vanno segnalate, infine, amministrazioni locali come il Comune
di Roma e parchi nazionali come quello del Vesuvio che anche
nel 2004 hanno demolito diverse costruzioni abusive.
Alla raccolta e all'elaborazione dei dati viene dedicato, anche
quest'anno, il nostro impegno di ricercatori sul campo. Un lavoro
reso possibile dal contributo di tutte le forze dell'ordine
(Arma dei carabinieri, in particolare il Comando tutela ambiente,
Corpo forestale dello Stato, Capitanerie di Porto, Guardia di
finanza, Polizia di stato, Corpi forestali delle regioni e delle
province autonome) che ringraziamo. Ecco, allora, i dati più
salienti che emergono dalla lettura di questo Rapporto Ecomafia
2005:
• gli illeciti ambientali accertati
dalle forze dell'ordine nel corso del 2004 sono stati 25.469,
un dato sostanzialmente in linea con quello del 2003, quando
le infrazioni accertate erano state 25.798; resta stabile il
numero dei sequestri effettuati (8.656) e quello delle persone
arrestate (158); cresce, invece, in maniera sensibile il numero
delle persone denunciate: ben 21.707, con un incremento del
10,4% rispetto al 2003 (un dato che risente senz'altro del maggiore
impegno dedicato dalle forze dell'ordine contro fenomeni di
particolare gravità, come il traffico illecito di rifiuti,
che coinvolgono una pluralità di soggetti);
• il 49,1% di questi illeciti si
concentra nelle quattro regioni a tradizionale presenza mafiosa
(Campania, Puglia, Calabria e Sicilia), con un incremento dell'incidenza
percentuale rispetto al 2003 di circa il 6%;
• il maggior numero di illeciti
ambientali si registra in Campania, seguita quest'anno dalla
Sicilia (dove particolarmente intensa è stata l'attività
di repressione svolta dal Corpo forestale regionale) e dalla
Calabria;
• cresce nel 2004 il numero di infrazioni
riscontrate nel ciclo illegale del cemento (più 3,6%
rispetto al 2003) e, soprattutto, quello dei sequestri: 1.675,
con un incremento del 17,7% rispetto al 2003; anche in questo
caso la Campania si colloca al primo posto, come numero di illeciti
accertati, ma sono da segnalare i decisi incrementi delle infrazioni
accertate in Puglia (57% in più rispetto al 2003) e Toscana,
con un aumento del 45% degli illeciti denunciati dalle forze
dell'ordine;
• per quanto riguarda il ciclo illegale
dei rifiuti, le infrazioni accertate nel 2004 sono state 4.073
e 1.702 i sequestri; il 38,3% di questi illeciti si registra
nella quattro regioni a tradizionale presenza mafiosa, tutte
commissariate da diversi anni (un'esperienza di cui anche questi
numeri dimostrano il sostanziale fallimento). La Campania guida,
purtroppo, anche questa particolare classifica dell'illegalità
ambientale, seguita dalla Puglia e dalla Toscana (un confronto
con il 2003 non è possibile, perché quest'anno,
per la prima volta, sono stati inseriti in questa voce specifica,
anche i risultati delle indagini condotte dal Comando carabinieri
per la Tutela dell'ambiente relative all'inquinamento del suolo
provocato da smaltimenti illegali di rifiuti);
• sempre per quanto riguarda i traffici
illegali di rifiuti, ecco i dati aggiornati al maggio 2005 delle
indagini condotte in base all'art. 53 bis del decreto Ronchi:
37 le inchieste svolte dal febbraio 2002, ben 221 le persone
arrestate, 739 quelle denunciate, 213 le aziende coinvolte;
dietro questi numeri si "nasconde" un'altra tendenza
sottolineata con un efficace titolo di copertina da La Nuova
Ecologia dello scorso mese di aprile: il graduale spostamento
dei traffici illeciti verso il Centro-Nord del Paese, la cosiddetta
"ecomafia devolution", che ha avuto con i recenti
sequestri di cave trasformate in discariche abusive in provincia
di Viterbo un'ulteriore conferma;
• continua a crescere quella sorta
di "catena montuosa" di rifiuti speciali prodotti
e finiti nel nulla che viene denunciata ogni anno da Legambiente,
dopo una faticosa analisi dei dati ufficiali disponibili: nel
2002 si è raggiunto il massimo storico di 14,6 milioni
di tonnellate di rifiuti di cui viene stimata la produzione
ma non se ne conosce il destino, equivalenti a una montagna
alta 1.460 metri con una base di tre ettari;
• diminuisce, secondo i dati forniti
dal Comando Tutela patrimonio culturale dell'Arma dei carabinieri,
il numero dei furti di opere d'arte e reperti archeologici (1.190
nello scorso anno, con una riduzione del 7,9% rispetto al 2003),
ma aumenta del 4,7% il numero di opere trafugate (oltre 19mila);
la regione più esposta continua ad essere il Piemonte,
seguita dal Lazio e dalla Lombardia;
• aumenta in maniera significativa
nel 2004 il business potenziale dell'ecomafia, tra mercato illegale
e investimenti a rischio nelle quattro regioni a tradizionale
presenza mafiosa, che passa dai 18,9 miliardi di euro del 2003
ai 24,6 miliardi di euro del 2004, con un incremento complessivo
del 29,8%;
• cresce, infine, il numero dei
clan censiti da Legambiente con interessi diretti nel ciclo
del cemento, in quello dei rifiuti e nel racket degli animali
(dai combattimenti tra cani al fenomeno, sempre più diffuso,
delle corse clandestine di cavalli): sono 25 in più rispetto
al 2003, per un totale di 194 clan.
Fin qui i numeri, perlomeno quelli più significativi.
Ma il Rapporto Ecomafia è anche la cronaca, raccontata
con passione, di un anno di battaglie sul doppio versante della
tutela dell'ambiente e della legalità. Tra le tante storie,
gli innumerevoli episodi raccolti da una vera e propria redazione
(coordinata, come sempre, da Nunzio Cirino Groccia), abbiamo
scelto due vicende che vedono la nostra associazione da sempre
in prima fila:
• i traffici e gli smaltimenti illegali
di rifiuti nell'area compresa tra la zona nord della provincia
di Napoli e l'agro aversano, in provincia di Caserta, con giustificate
preoccupazioni per gli impatti sanitari di queste attività
illecite;
• le attività di estrazione
abusiva di sabbia dall'alveo del Po, che hanno visto nel 2004
un ulteriore allargamento delle indagini, con le ordinanze di
custodia cautelare emesse dalla Procura di Mantova, dopo quelle
della Procura di Rovigo e i sequestri effettuati dalla Procura
di Reggio Emilia.
Nella prima relazione della Commissione monocamerale d'inchiesta
sul ciclo dei rifiuti, dell'ormai lontano 1995, venne ribattezzata
come la "terra dell'ecomafia". Poi è diventata,
per l'evoluzione dei sistemi criminali di smaltimento illecito,
la "terra dei fuochi" a causa degli innumerevoli roghi
appiccati in una sorta d'inceneritore abusivo diffuso sul territorio.
Oggi, questa parte d'Italia devastata da fenomeni d'illegalità
ambientale che hanno il loro epicentro tra i comuni di Giugliano,
Qualiano e Villaricca, attende ancora risposte concrete dalle
istituzioni.
Legambiente, in questi undici anni, non ha mai fatto venire
meno, grazie all'impegno dei suoi circoli e dei suoi dirigenti
che in quei territori vivono, il coraggio della denuncia e l'impegno
della proposta. Anche quest'anno, con la presentazione dei primi
studi effettuati su quest'area in collaborazione con l'Istituto
superiore di sanità e di quelli avviati, su un territorio
ancora più ampio, dall'Organizzazione mondiale della
sanità, cerchiamo di richiamare l'attenzione di tutti
sull'urgenza di rispondere in maniera adeguata alla gravità
della situazione. Lo facciamo con forza, grazie al lavoro di
ricerca condotto da Peppe Ruggiero nel capitolo sul ciclo illegale
di rifiuti; al contributo, consueto e appassionato, di Donato
Ceglie (il magistrato della Procura della Repubblica di Santa
Maria Capua Vetere a cui si deve la scoperta e la repressione
di un'infinita serie di crimini ambientali in provincia di Caserta);
all'intervento di Pietro Comba, del Dipartimento Ambiente e
connessa prevenzione primaria dell'Istituto superiore di sanità.
Si tratta di uno sforzo eccezionale (è in assoluto la
situazione a cui viene dedicato il maggior numero di pagine
di questo Rapporto), dettato anche da un'amara constatazione:
dopo undici anni di denunce, rischia di venire meno anche quel
barlume di speranza che abbiamo contribuito a tenere acceso
tra le comunità locali, tra i tantissimi cittadini onesti
per nulla disponibili a chinare la testa e tapparsi il naso.
E' indispensabile, allora, che si dia corso a quell'azione di
controllo del territorio, coordinata tra le varie forze dell'ordine,
che abbiamo ribattezzato, nella precedente edizione del Rapporto
Ecomafia, come "Operazione primavera". Ed è
fondamentale che proseguano e vengano approfonditi gli studi
già avviati sulle aree di rischio e gli impatti sanitari
degli smaltimenti illeciti. Riteniamo, infine, che questi territori,
inseriti insieme al litorale domizio-flegreo e all'agro aversano
tra i siti d'interesse nazionale da bonificare, debbano avere,
per quanto possibile, la precedenza: sia in considerazione dell'elevata
densità abitativa sia per la presenza, ancora diffusa,
di importanti produzioni agro-alimentari, commercializzate su
tutto il territorio nazionale e non solo.
Accanto al disastro ambientale, perché di questo si tratta,
che si è consumato negli ultimi vent'anni tra le province
di Napoli e Caserta, Legambiente vuole richiamare l'attenzione
su un altro disastro in corso: quello causato dal saccheggio
sistematico e abusivo del fiume Po. Le conseguenze delle escavazioni
abusive di sabbia (la cui estensione e gravità è
stata ulteriormente confermata quest'anno grazie alle indagini
della procura di Mantova) sono ovviamente diverse da quelle
dello smaltimento illecito di rifiuti, ma non meno preoccupanti:
l'abbassamento dell'alveo di magra comporta serie conseguenze
sulla stabilità delle opere di attraversamento e su quelle
di presa dell'acqua per fini potabili, irrigui e industriali.
Non solo: com'è ampiamente dimostrato da studi e ricerche
pubblicate negli anni scorsi, questo saccheggio indiscriminato
di milioni di metri cubi di sabbia l'anno, ha moltiplicato i
rischi di inondazione, per la compromissione delle difese spondali;
ha cancellato biotopi naturali di grande pregio; ha determinato
seri fenomeni di erosione delle spiagge dell'Adriatico. Un danno
enorme per la collettività, a fronte del quale imprenditori
senza scrupoli e funzionari pubblici corrotti hanno accumulato
autentiche fortune: una sola draga impegnata per 150 giorni
l'anno in queste attività abusive può far incassare
ai suoi proprietari 2,5 milioni di euro. Ovviamente tutti in
nero, senza tasse da pagare.
Anche in questo caso è indispensabile uno scatto delle
istituzioni: l'impegno di alcune amministrazioni provinciali,
in particolare quella di Mantova, l'avvio, in Emilia Romagna,
di tecniche di controllo più efficaci (con l'installazione
di sistemi satellitari di rilevamento della draghe) fanno ben
sperare. E così pure le prime riunioni congiunte di presidenti
e assessori all'ambiente delle diverse province colpite da questi
fenomeni criminali, dal Veneto alla Lombardia. Non è
retorico, ma tutto questo ancora non basta: i ladri di sabbia
hanno già studiato i metodi migliori per aggirare gli
ostacoli e non sembrano affatto disponibili a rinunciare ai
loro lauti guadagni. E' per queste ragioni che Legambiente avanza
una serie di proposte specifiche, illustrate nel capitolo 12
di questo Rapporto, che vanno dall'installazione di sistemi
di sorveglianza elettronica, sia a terra che sulle imbarcazioni,
alla creazione di una vera e propria rete di controllo che coinvolga,
in maniera organizzata, forze dell'ordine, polizia locale, comuni,
associazioni del volontariato fino alla promozione di materiali
alternativi a quelli cavati, anche legalmente, come gli inerti
da demolizione opportunamente trattati e riciclati.
Due vicende esemplari, dedicate ai cicli principali dell'ecomafia
(quello dei rifiuti e quello del cemento) per le quali ci auguriamo
davvero che arrivi il momento delle risposte concrete. Ma gli
spunti di riflessione che offre questo Rapporto Ecomafia 2005
sono davvero tanti: le situazioni di vera e propria emergenza
ambientale che si riscontrano nei Comuni sciolti per mafia (analizzati
dal giornalista dell'Avvenire, Toni Mira, nel capitolo 13 di
questo rapporto); la denuncia, ricca di numeri e di casi concreti,
del fenomeno del bracconaggio; la dimensione globale delle ecomafie,
dai traffici internazionali di rifiuti a quelli di specie protette
e di reperti archeologici; i contributi dei nostri Centri di
azione giuridica. Soprattutto, le tante testimonianze concrete
dei risultati che si possono ottenere grazie all'impegno di
tutti, dalle associazioni dei cittadini alla magistratura, dagli
amministratori locali ai rappresentanti delle forze dell'ordine.
L'elenco di questi protagonisti di un'Italia che crede nella
legalità e nella tutela dell'ambiente sarebbe troppo
lungo. E rischieremo di fare torto a qualcuno citando solo gli
episodi che più ci hanno colpito, scrivendo e leggendo
le 348 pagine di questa ricerca. Il nostro, insomma, vuole essere
un caldo invito alla lettura.
Com'è consuetudine, anche la premessa del decimo Rapporto
Ecomafia di Legambiente si conclude con una proposta. Che da
molti anni è sempre la stessa: inserire nel nostro Codice
penale i delitti contro l'ambiente. Quando la formulammo per
la prima volta, undici anni fa, eravamo una voce abbastanza
isolata. Oggi non è più così: il Consiglio
d'Europa ha approvato, da tempo, un importante atto d'indirizzo
che impegna i Paesi membri a introdurre, nella propria legislazione,
adeguati strumenti di tutela penale dell'ambiente; la Commissione
per la riforma del Codice penale, presieduta dal giudice Carlo
Nordio, ha previsto l'introduzione dei delitti contro l'ambiente
subito dopo quelli contro la persona; la Commissione parlamentare
d'inchiesta sul ciclo dei rifiuti, presieduta dall'on. Paolo
Russo, ha approvato, nel dicembre del 2004, una relazione che
sollecita il Parlamento a varare questa indispensabile riforma;
sono diversi i disegni di legge, sottoscritti da rappresentanti
della maggioranza e dell'opposizione (a cominciare da quello
presentato dal presidente onorario di Legambiente, Ermete Realacci)
che prevedono, in maniera sostanzialmente simile, l'introduzione
di nuovi delitti attraverso i quali tutelare meglio il nostro
patrimonio ambientale dai tanti fenomeni di aggressione criminale
che denunciamo ogni anno.
Saremo forse degli inguaribili ottimisti (del resto, senza una
buona dose di ottimismo, sarebbe assai difficile scandagliare
con serenità, ogni anno, il "lato oscuro" del
nostro Belpaese) ma vogliamo credere che in quest'ultimo scorcio
di legislatura le forze politiche di maggioranza e opposizione
trovino, in Parlamento, la determinazione necessaria per approvare
questa riforma di civiltà. Non a caso abbiamo scelto
come distico del Rapporto Ecomafia 2005 la nuova versione dell'articolo
9 della Costituzione, che riconosce in maniera piena ed esplicita
il valore fondamentale dell'ambiente. La sua approvazione, sostanzialmente
all'unanimità (303 voti a favore, 9 contrari e 22 astenuti)
da parte della Camera dei deputati è stato un bel segnale
in una stagione politica segnata da fortissime conflittualità,
soprattutto per quanto riguarda le riforme costituzionali. Dedicargli
la "prima pagina" del nostro Rapporto vuole essere
anche un auspicio: quello di una legislatura che si concluda,
magari l'ultimo giorno utile, con l'approvazione di un disegno
di legge unitario che traduca, concretamente, quell'impegno
alla tutela degli ecosistemi, anche nell'interesse delle future
generazioni, che ha raccolto un così ampio consenso parlamentare.
Esiste già un precedente fortunato: quello dell'articolo
53 bis del decreto Ronchi, diventato oggi uno strumento formidabile
nel contrasto delle organizzazioni di trafficanti di rifiuti,
che venne approvato proprio con l'ultima votazione effettuata
in Senato, l'8 marzo del 2001, il giorno stesso in cui vennero
sciolte le Camere. La materia in discussione oggi è sicuramente
più complessa ma c'è ancora tempo sufficiente
per approfondire, mediare e trovare la soluzione migliore. Basta
avere la volontà politica di farlo.
Il
Rapporto completo può essere acquistato direttamente
presso il Centro di documentazione (06/86.26.83.27) con il contributo
di 10,00 euro + spese di spedizione.
[
31-Mag-2005 ]