Il
caso di Ricadi e la depurazione nel Vibonese (VV)
La
Costa degli Dei in provincia di Vibo Valentia, a causa della
crescente richiesta di ospitalità alberghiera,
negli ultimi decenni ha subito una cementificazione imponente
che si è tradotta, per alcune aree, nel completo deturpamento
di ampi tratti di costa. L’edificazione massiva ha avuto
inizio alla fine degli anni settanta con un apice tra gli anni
novanta e i primi anni del 2000. Complici di tale situazione,
alcuni piani regolatori e una legislazione regionale a dir poco
schizofrenica.
Esempio emblematico delle condizioni di degrado è il Comune
di Ricadi che, alla fine degli anni ’90, ha approvato una
variante al piano regolatore che consente l’edificazione
dei suoli a soli 30 metri dalla battigia e in alcuni casi il raddoppio
dell’indice volumetrico. Lo stesso strumento urbanistico
individua alcune aree a mare, come in località Santa Maria,
come zone di completamento consentendo l’edificazione dei
pochi lotti rimasti ancora liberi con le stesse modalità dei
centri urbani.
Ovviamente
il degrado del territorio di Ricadi parte da lontano, quando
negli anni ’80,
con la scusa di un Piano di Fabbricazione desueto, venivano
autorizzate in deroga centinaia di concessioni
edilizie, molte per alberghi camuffati da fabbricati agricoli. Assai
grave è il fatto che la Regione Calabria abbia
sempre approvato i piani regolatori comunali o le varianti in
palese contrasto con la normativa di riferimento sia regionale
che nazionale e che molte attività ricettive siano state
realizzate usufruendo di contributi comunitari nonostante fossero
in contrasto con la normativa regionale.
Oggi molte aree di questo territorio si presentano come una devastante
colata di cemento che lambisce le spiagge, che inibisce l’accesso
al mare, mentre pullulano gli accessi esclusivi dei villaggi
e delle case private.
La costruzione del villaggio Le Capannelle, oggi denominato Borgo
di Riaci, a Santa Domenica di Ricadi, ha assicurato negli anni
scorsi la bandiera nera di Goletta Verde all’amministrazione
comunale di Ricadi. Un villaggio realizzato a pochi metri dalla
battigia e che con alcuni interventi ha precluso l’accesso
pubblico dei bagnanti al resto della spiaggia (circa 300 metri).
Nonostante le denunce, i sequestri e le ordinanze di ripristino
dell’area, il terrapieno che ha privatizzato l’area
continua a rimanere al suo posto.
Sempre a Ricadi, negli anni scorsi, dopo il deciso intervento
del locale circolo di Legambiente e del gruppo consiliare di
minoranza, è stata sventata la costruzione di un porto
turistico da 500 posti barca in località Porticello di
Santa Maria in una delle poche aree ancora quasi indenni dalla
cementificazione. Anche questa opera era finanziata con una compartecipazione
di fondi pubblici (regionali e comunitari).
A Pizzo, invece, a pochi metri dalla spiaggia, nella foce del
fiume Angitola, insiste una vecchia discarica comunale, oramai
abbandonata, che rappresenta una vera bomba ecologica: a ogni
mareggiata o in occasione di forte piena del fiume, i rifiuti
vengono trasportati in mare e sparsi sulla spiaggia. Non indenni
dalla devastazione del cemento anche i territori di Zambrone
e Parghelia, che negli ultimi anni fanno registrare soprattutto
nella fascia a mare un’intensificazione delle costruzioni
alberghiere. Nel comune di Parghelia quasi tutti gli accessi
al mare risultano privati. Nel comune di Joppolo, a picco sul
mare in un’area di rara bellezza, negli anni ottanta è stato
realizzato un condominio di vari piani fuori terra adibito ad
appartamenti per vacanze. Non indenne dal fenomeno anche il comune
di Vibo Valentia, dove alcune situazioni si sono incancrenite
negli anni. L’esempio più calzante è il quartiere “Pennello”,
costruito quasi interamente su demanio pubblico e nel luglio
del 2006 oggetto di pesanti danni a seguito dell’alluvione
che colpì la città.
In amara conclusione: quasi tutti gli scempi sulla costa vibonese
sono legalizzati grazie a strumenti urbanistici quantomeno stravaganti.
Non di rado alcuni costruttori hanno citato in giudizio gli uffici
sovracomunali che apponevano il diniego ai pareri di loro competenza,
vedendosi riconosciuto anche un indennizzo per danni.
La Regione Calabria, nell’ambito del progetto “Paesaggio
e identità”, ha individuato in questa provincia
(solo) due ecomostri da demolire, uno nel comune di Pizzo e uno
nel comune di Tropea. Ma nonostante i vari proclami e la pubblicità sui
media, dopo circa due anni le strutture rimangono integre al
loro posto.
Un capitolo a parte merita, infine, la questione depurazione.
La costa vibonese è di fatto inglobata all’interno
di due foci di fiumi (o fiumare), il Mesima a sud e l’Angitola
a nord. Il fiume Mesima sfocia in provincia di Reggio Calabria
al confine con la provincia di Vibo Valentia, tra i comuni di
Nicotera (VV) e Rosarno (RC). Questo fiume raccoglie i liquami
di 18 comuni dell’entroterra vibonese (Valle del Mesima)
e di vari altri comuni dell’entroterra reggino, oltre a
scarichi non depurati di frantoi e piccole attività industriali.
Il fiume Angitola sfocia nel comune di Pizzo (VV) al confine
con la provincia di Catanzaro, raccoglie gli scarichi di vari
comuni, anche in questo caso in buona parte non depurati. Lungo
la fascia costiera esistono poi vari depuratori, alcuni dei quali
insufficienti a soddisfare le esigenze dei territori di pertinenza,
ma che in alcuni casi le amministrazioni stanno provvedendo ad
adeguare alle reali esigenze dei territori. Restano ancora molti
i casi di scarichi abusivi in mare scoperti dalle Forze dell’ordine.
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