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Dal Dossier "Mare Monstrum 2008" di Legambiente

5.4 - Calabria

L'assalto alla "Costa degli Dei".

Il caso di Ricadi e la depurazione nel Vibonese (VV)

 

Costa di Capo Vaticano
La Costa degli Dei in provincia di Vibo Valentia, a causa della crescente richiesta di ospitalità alberghiera, negli ultimi decenni ha subito una cementificazione imponente che si è tradotta, per alcune aree, nel completo deturpamento di ampi tratti di costa. L’edificazione massiva ha avuto inizio alla fine degli anni settanta con un apice tra gli anni novanta e i primi anni del 2000. Complici di tale situazione, alcuni piani regolatori e una legislazione regionale a dir poco schizofrenica.
Esempio emblematico delle condizioni di degrado è il Comune di Ricadi che, alla fine degli anni ’90, ha approvato una variante al piano regolatore che consente l’edificazione dei suoli a soli 30 metri dalla battigia e in alcuni casi il raddoppio dell’indice volumetrico. Lo stesso strumento urbanistico individua alcune aree a mare, come in località Santa Maria, come zone di completamento consentendo l’edificazione dei pochi lotti rimasti ancora liberi con le stesse modalità dei centri urbani.

Ovviamente il degrado del territorio di Ricadi parte da lontano, quando negli anni ’80, con la scusa di un Piano di Fabbricazione desueto, venivano autorizzate in deroga centinaia di concessioni edilizie, molte per alberghi camuffati da fabbricati agricoli. Assai grave è il fatto che la Regione Calabria abbia sempre approvato i piani regolatori comunali o le varianti in palese contrasto con la normativa di riferimento sia regionale che nazionale e che molte attività ricettive siano state realizzate usufruendo di contributi comunitari nonostante fossero in contrasto con la normativa regionale.
Oggi molte aree di questo territorio si presentano come una devastante colata di cemento che lambisce le spiagge, che inibisce l’accesso al mare, mentre pullulano gli accessi esclusivi dei villaggi e delle case private.
La costruzione del villaggio Le Capannelle, oggi denominato Borgo di Riaci, a Santa Domenica di Ricadi, ha assicurato negli anni scorsi la bandiera nera di Goletta Verde all’amministrazione comunale di Ricadi. Un villaggio realizzato a pochi metri dalla battigia e che con alcuni interventi ha precluso l’accesso pubblico dei bagnanti al resto della spiaggia (circa 300 metri). Nonostante le denunce, i sequestri e le ordinanze di ripristino dell’area, il terrapieno che ha privatizzato l’area continua a rimanere al suo posto.
Sempre a Ricadi, negli anni scorsi, dopo il deciso intervento del locale circolo di Legambiente e del gruppo consiliare di minoranza, è stata sventata la costruzione di un porto turistico da 500 posti barca in località Porticello di Santa Maria in una delle poche aree ancora quasi indenni dalla cementificazione. Anche questa opera era finanziata con una compartecipazione di fondi pubblici (regionali e comunitari).
A Pizzo, invece, a pochi metri dalla spiaggia, nella foce del fiume Angitola, insiste una vecchia discarica comunale, oramai abbandonata, che rappresenta una vera bomba ecologica: a ogni mareggiata o in occasione di forte piena del fiume, i rifiuti vengono trasportati in mare e sparsi sulla spiaggia. Non indenni dalla devastazione del cemento anche i territori di Zambrone e Parghelia, che negli ultimi anni fanno registrare soprattutto nella fascia a mare un’intensificazione delle costruzioni alberghiere. Nel comune di Parghelia quasi tutti gli accessi al mare risultano privati. Nel comune di Joppolo, a picco sul mare in un’area di rara bellezza, negli anni ottanta è stato realizzato un condominio di vari piani fuori terra adibito ad appartamenti per vacanze. Non indenne dal fenomeno anche il comune di Vibo Valentia, dove alcune situazioni si sono incancrenite negli anni. L’esempio più calzante è il quartiere “Pennello”, costruito quasi interamente su demanio pubblico e nel luglio del 2006 oggetto di pesanti danni a seguito dell’alluvione che colpì la città.
In amara conclusione: quasi tutti gli scempi sulla costa vibonese sono legalizzati grazie a strumenti urbanistici quantomeno stravaganti. Non di rado alcuni costruttori hanno citato in giudizio gli uffici sovracomunali che apponevano il diniego ai pareri di loro competenza, vedendosi riconosciuto anche un indennizzo per danni.
La Regione Calabria, nell’ambito del progetto “Paesaggio e identità”, ha individuato in questa provincia (solo) due ecomostri da demolire, uno nel comune di Pizzo e uno nel comune di Tropea. Ma nonostante i vari proclami e la pubblicità sui media, dopo circa due anni le strutture rimangono integre al loro posto.
Un capitolo a parte merita, infine, la questione depurazione. La costa vibonese è di fatto inglobata all’interno di due foci di fiumi (o fiumare), il Mesima a sud e l’Angitola a nord. Il fiume Mesima sfocia in provincia di Reggio Calabria al confine con la provincia di Vibo Valentia, tra i comuni di Nicotera (VV) e Rosarno (RC). Questo fiume raccoglie i liquami di 18 comuni dell’entroterra vibonese (Valle del Mesima) e di vari altri comuni dell’entroterra reggino, oltre a scarichi non depurati di frantoi e piccole attività industriali. Il fiume Angitola sfocia nel comune di Pizzo (VV) al confine con la provincia di Catanzaro, raccoglie gli scarichi di vari comuni, anche in questo caso in buona parte non depurati. Lungo la fascia costiera esistono poi vari depuratori, alcuni dei quali insufficienti a soddisfare le esigenze dei territori di pertinenza, ma che in alcuni casi le amministrazioni stanno provvedendo ad adeguare alle reali esigenze dei territori. Restano ancora molti i casi di scarichi abusivi in mare scoperti dalle Forze dell’ordine.

 

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