Home Page              Una fiction sulle foibe.

 

  Sommario.

-A Tivat, sul set di "Il cuore nel pozzo" (da "Panorama" del 22 luglio 2004).

-Ecco il cast italo-iugoslavo di "Il cuore nel pozzo" (da "Panorama" del 22 luglio 2004).

-Leo Gullotta, nei panni di Don Bruno, racconta la sua esperienza in Montenegro (da "Panorama" del 22 luglio 2004).

-Foibe - Viaggio sul set del film che rievoca la tragedia negata (dal "Corriere della Sera" del 12/07/'04).

-Foibe - Sabbatucci: atroce, ma i torti non furono da una parte sola (dal "Corriere della Sera" del 12/07/'04).

-Rizzoli: ho scelto le foibe non per calcolo politico (da "La Stampa" del 15/07/'04).

-Polemiche suscitate dalla fiction.

-Bufera al Congresso di Rifondazione: contestato Leo Gullotta (4 marzo 2005).

-Tiepida reazione del governo sloveno sulle foibe di Andrej Brstovsek, giornalista del quotidiano di Ljubljana "Dnevnik" (10 marzo 2005).

 

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A Tivat, sul set di "Il cuore nel pozzo" (da "Panorama" del 22 luglio 2004).

 

Foto scattata sul set di "Il cuore nel pozzo" - Luglio 2004

Una scena di rastrellamento in Montenegro, fra divise di Tito e stelle rosse da "Il cuore nel pozzo".

Una ferita profonda e sessant’anni di silenzi. Una tragedia rimossa costata non meno di 20-30 mila vittime, uccise dalla feroce repressione del regime di Tito. Un massacro e una persecuzione di massa con un solo obiettivo, ancora attuale: la pulizia etnica. Tutto nel fondo di una foiba, una gola di terra e fango, stretta e buia. Sullo schermo sarà profonda decine di metri moltiplicati grazie agli effetti speciali.

Sul set di Il cuore nel pozzo, film prodotto da Angelo Rizzoli che Alberto Negrin sta girando per Raifiction, in realtà quei metri sono appena una decina, ma a entrarci dentro sono agghiaccianti proprio come il buco nel terreno e nella memoria collettiva che tra l'autunno del 1943 e la primavera del '45 ferì a morte il candore asciutto delle terre carsiche.

Mentre l'Italia viveva la fine della guerra, i partigiani iugoslavi con la stella rossa di Tito eliminarono con ferocia intere famiglie, uomini e donne e spesso, con loro, i bambini, solo perché oppositori, dichiarati o anche solo potenziali, della slavizzazione dei territori. Almeno 10 mila i “desaparecidos” di un massacro sul quale per mezzo secolo è calato il velo della storia, ma anche delle complicità: la lista delle sparizioni, sulle quali calò anche il silenzio dei comunisti togliattiani di allora si allungò anche per quel regolamento di conti personali o etnici che ha moltiplicato, alla fine, le cifre dei morti, reali e presunti. Film ad alto tasso spettacolare ed emotivo, “Il cuore nel pozzo”, destinato ad andare in onda su Raiuno in due serate a partire dal 10 febbraio 2005 (nella prima Giornata della memoria per le vittime delle foibe), è stato scritto da Massimo e Simone De Rita con la consulenza storica di Giuseppe Sabbatucci. Inequivocabile nel giudizio, ma che “va al di là di una lettura schierata, di parte” come dice subito Alberto Negrin. “Per un regista come me, uno che racconta solo storie destinate a far riflettere ed emozionare, non ci sono riserve né condizionamenti, ma solo il dovere di raccontare una tragedia dimenticata”. Ebreo, autore di film televisivi forti, come Il sequestro dell'Achille Lauro del 1989 e soprattutto Perlasca (2002), che ha appena conquistato ben 5 mila spettatori della Comunità ebraica di Toronto, Negrin si muove sul set come un generale: sposta camion e artificieri, comparse e vivandiere, costumisti e assistenti. Per trasformare ogni pagina di sceneggiatura in un racconto avvincente. Sotto le tende militari infestate dalle cavallette o sul tetto della fortezza austroungarica ancora perfetta nella sua granitica struttura, dà l' “azione!” e comunica attraverso l'interprete le emozioni di ogni scena da girare.  

In un luglio con il termometro a 48 gradi, 150 comparse perfette nella povertà degli anni Quaranta reinventata dalla costumista di Marcinelle, Mariolina Bono, lo seguono come un pifferaio: piangono di disperazione i bambini che stanno per essere separati dalle famiglie, gridano i vecchi spintonati dalle divise verdi con la stella rossa, si difendono dalla violenza e dalle torture uomini e donne condannati a essere “infoibati”. La storia è quella di don Bruno, in fuga nelle campagne istriane per mettere in salvo, tra i bambini, Carlo e Francesco. Carlo è figlio di un'italiana, violentata dal capo partigiano Novak. E Novak va a caccia di quel bambino per eliminarlo. Il prete lo difenderà fino al sacrificio, in un racconto epico nel quale si muovono altri personaggi, il reduce alpino Ettore (Giuseppe Fiorello), la sua fidanzata Anja, i genitori del piccolo Francesco (Marta, che è l'attrice Mia Benedetta, fa l'insegnante, Giorgio, Cesare Bocci, è il medico del paese). C'è, ancora, Marcello Mazzarella, il giovane Walter, militante del Cln che sarà sacrificato, alla fine, dai soldati titini nonostante sia dichiaratamente comunista. Leo Gullotta è l'eroico don Bruno che, sotto la tonaca di un mite sacerdote di frontiera, ha il cuore di un leone mentre salva i bambini in fuga dalle fiamme che i titini hanno appiccato all'orfanotrofio. Dragan Bjelogrlic, invece, è il crudele Novak: quarantenne di punta del cinema iugoslavo, è il più cattivo: “La crudeltà efferata del mio personaggio? Potrei dire che forse per un serbo che ha sofferto le guerre recenti non è poi tanto difficile immedesimarsi in uno sloveno così negativo... In questi luoghi nessuno è sopravvissuto indenne alla sofferenza delle violenze etniche”.

Facce datate, e look perfettamente in sintonia con la povertà, l'arretratezza, la fame del tempo nel colpo d'occhio delle famiglie ammassate come bestie sui camion in viaggio verso la deportazione: si squaglia, sotto il sole, il trucco di Sonia Aquino, la madre di Carlo, E suda, in divisa, Giuseppe Fiorello, Beppe ormai solo in famiglia che, dopo Salvo D'Acquisto, ha una certa familiarità con i successi in grigioverde. Antonia Lìskova (in Italia ha lavorato in Don Matteo, Sospetti 2, Incantesimo e, con Nino Manfredi, in Le notti di Pasquino) è Anja, in coppia con Ettore Fiorello.

Quando Negrin grida “Azione!” il racconto diventa storia: giovani e vecchi si cercano gridando i loro veri nomi, suggestionati dal clima emotivo che il regista ha creato mentre i soldati titini strattonano i bambini. Volano calci, pugni e gli stuntmen si confondono con le comparse per rendere meno pericoloso il realismo delle scene. Il calcio di un fucile sfiora l'orecchio del piccolo Carlo, che ha gli occhi azzurri di Gianluca Grecchi, un bambino che già la sa lunga e sogna di diventare, domani, una star della fiction come Alessio Boni. Il più grande, Adriano Todaro, spia con attenzione Gullotta e Fiorello ma in realtà vorrebbe essere Negrin: “Perché” dice “ti dà sicurezza”. Ne ha data, e non poca, a Roberto De Laurentiis, che guida localmente in partnership con Piero Amati l'organizzazione di otto settimane di rovente passione montenegrina, ma soprattutto al gran capo di Raifiction, Agostino Saccà, e a Rizzoli, che ha investito in questa produzione 4 milioni e mezzo di euro. “Negrin è un grande regista e solo un buon film può riannodare i fili della memoria spezzata” dice Saccà. “Quest'anno su Raiuno la fiction ha battuto anche il calcio”. “Per me” aggiunge Angelo Rizzoli “Il cuore nel pozzo è insieme coraggio e coerenza. Il coraggio di rompere un tabù. La coerenza di una linea editoriale che ha prodotto successi come Marcinelle e Al di là delle frontiere con Sabrina Ferilli partigiana innamorata di un nemico in divisa nazista”. E se fosse, per dirla con Negrin, “soprattutto buona televisione?”.

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Ecco il cast italo-iugoslavo di "Il cuore nel pozzo".

 

Antonia Lìskova Sonia Aquino Giuseppe Fiorello Mia Benedetta Dragan Bjelogrlic Leo Gullotta
Antonia Lìskova Sonia Aquino Giuseppe Fiorello Mia Benedetta Dragan Bjelogrlic Leo Gullotta

 

-Antonia Lìskova: è Anja. Con Ettore e Don Bruno salva i bambini dal rogo dell'orfanatrofio.

-Sonia Aquino: inseguita dal crudele Dragan, violentata, è la mamma del piccolo Carlo.

-Giuseppe Fiorello: è un reduce alpino. Ama Anja. Aiuterà Don Bruno nella fuga dalla morte.

-Mia Benedetta: interpreta Maria, insegnate: è la mamma coraggiosa di Francesco.

-Dragan Bjelogrlic: è Novak, spietato ufficiale titino deciso ad eliminare il figlio avuto da un'italiana.

-Leo Gullotta: è Don Bruno, prete coraggioso che cerca di salvare il piccolo Carlo.

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Leo Gullotta, nei panni di don Bruno, racconta la sua esperienza in Montenegro.

Leo Gullotta-don Bruno è il prete coraggioso che ha il compito di portare in salvo dalle foibe un gruppo di bambini destinati a una fine orrenda.

Un bel ruolo da protagonista. È il debutto in tonaca?

No, sono già stato prete almeno altre due volte. Diciamo che qui mi sento a metà tra il sacerdote di io speriamo che me la cavo e il preside di Cuore.

Due film affollati di bambini. Come avete spiegato le foibe a tanti piccoli protagonisti?

Ci abbiamo provato insieme, Negrin e io. Con la leggerezza di una favola, ma con la grande onestà di svelare subito che qui il lieto fine non ci sarà. Proprio com'è stato nella vera storia delle foibe.

La storia, Il silenzio, la memoria dimenticata: che cosa dice la sua coscienza civile sulle foibe?

Ho cercato di capire, di saperne di più, di immergermi nella confusione storica di quel periodo. Dar voce a una tragedia dimenticata è la prima ragione che mi ha convinto ad accettare. Questo non è un film schierato, ma un atto di doverosa civiltà. E rompere il silenzio aiuta sempre. In questo caso, io spero, a non ripetere gli errori del passato.  

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Foibe, viaggio sul set del film che rievoca la tragedia negata (dal "Corriere della Sera" del 12/07/'04).

Il regista Alberto Negrin sta girando in Montenegro la fiction per Raiuno «Un dramma umano che ha sullo sfondo gli scontri politici e ideologici».
DAL NOSTRO INVIATO 

TIVAT (Montenegro) - La memoria negata è una buca profonda otto metri realizzata in un capannone di Budva, un paesino sulla suggestiva costa montenegrina, dagli artigiani italiani e jugoslavi che stanno lavorando a una delle più importanti e controverse produzioni Rai del momento: «Il cuore nel pozzo», un film di due puntate da novanta minuti ciascuno realizzato dalla Rizzoli audiovisivi, racconterà a milioni di telespettatori una delle tragedie più atroci del Novecento ma di cui fino a pochi anni fa non si occupavano nemmeno i libri di storia. Quasi gli studiosi obbedissero a una consegna del silenzio che per mezzo secolo ha circondato le migliaia di vittime italiane della repressione titina nell’autunno del ’43 e, soprattutto, nella primavera-estate del ’45. Quando nel resto dell’Italia si festeggiava la fine della guerra, fra Trieste e l’Istria i partigiani jugoslavi, obbedendo a un preciso ordine di Tito, eliminavano chiunque si opponesse alla «slavizzazione» dei territori. 

Agli italiani, ma anche agli jugoslavi che non condividevano la ferocia dei metodi, poteva capitare di morire di stenti in un campo di concentramento o, più facilmente, essere gettati vivi in una delle foibe che sono caratteristiche di quelle zone. Fenditure strette e buie del terreno in cui si poteva scomparire per una motivazione politica ma anche per una vendetta personale ai torti subiti dai carnefici durante il periodo fascista o, semplicemente, per avidità. In quelle buche ora ricostruite a Budva con il corpo della vittima scompariva anche la prova del delitto ed era più facile impadronirsi di case e terreni. 

DIECIMILA VITTIME - Delle circa diecimila vittime di quella tragedia si è mantenuto sempre un vivo e partecipe ricordo locale ma a livello nazionale se ne è parlato poco. Per una serie di motivi, dall’appoggio dato da Togliatti alla politica di occupazione jugoslava dei territori italiani alla necessità politica da parte dei governi occidentali di non mettere in imbarazzo il maresciallo Tito dopo la clamorosa rottura con Stalin nel ’48. Sicché l’argomento è diventato scomodo, «politicamente scorretto». Condizionati da questo pregiudizio, come ci racconta il regista Alberto Negrin, conosciuto dal grande pubblico per una serie di film storici come «Perlasca. Un eroe italiano», del 2002, e «Il sequestro dell’Achille Lauro», dell’89, sono stati due o tre attori che «si sono rifiutati di partecipare al nostro film per una questione ideologica, per paura di eventuali reazioni. Convinti che questo film sia figlio della stagione berlusconiana, in realtà hanno rinunciato a pensare di testa propria». 

RACCONTO EPICO - Ma la complessità del tema proposto, tiene a spiegare Negrin, fra una pausa e l’altra di una scena girata attorno a una vecchia fortezza che gli austroungarici avevano costruito a metà dell’800 sul confine con il Montenegro, «non deve far pensare a un film di ricostruzione storica».  «Questo è un racconto epico - aggiunge il regista - dove in primo piano non sono gli scontri politici e ideologici, ma il dramma umano di persone normali nel momento più difficile del Novecento».  Il film, su soggetto di Massimo e Simone De Rita, racconta la storia di una piccola comunità istriana sconvolta dalla guerra civile. Come avvenne nella realtà, le vicende private si intrecciano con quelle pubbliche. 
Il capo partigiano titino Novak, interpretato dal popolare attore serbo Dragan Bjelogrlic, è alla ricerca del figlio avuto dall’italiana Giulia, la bella Sonia Aquino, che per non consegnare il piccolo Carlo (un simpaticissimo ragazzino milanese, Gianluca Grecchi) all’uomo che l’ha violentata, lo affida alle cure di don Bruno, interpretato da un umanissimo Leo Gullotta. La storia può essere così semplificata: la fuga del prete attraverso le campagne dell’Istria verso il confine con l’Italia per mettere in salvo il piccolo Carlo e il suo compagno Francesco (interpretato da Adriano Todaro). Attorno a questi personaggi ruotano le figure del reduce alpino Ettore (Beppe Fiorello), della sua fidanzata Anja (Antonia Lìskova), dei genitori di Francesco, Marta, insegnante, e Giorgio, il medico del paese (interpretati da Mia Benedetta e Cesare Bocci), di Walter (Marcello Mazzarella), rappresentante del Cln che sarà sacrificato dai titini nonostante la fede comunista. E centinaia di comparse, o meglio sarebbe dire coprotagonisti di una storia dimenticata, vestiti con sapienza dalla costumista Mariolina Bono, che questo film di Alberto Negrin vuole sottrarre all’oblio. 

LE TESTIMONIANZE - «Come molti italiani di media cultura - racconta Negrin - anch’io non conoscevo bene la vicenda delle foibe. Sapevo della tragedia ma non l’avevo mai approfondita. Quando mi hanno proposto il soggetto, mi ci sono appassionato e ho cominciato a leggere quasi tutti i libri sull’argomento, dal romanzo di Sgorlon al saggio di Gianni Oliva, al libro autobiografico di Anna Maria Mori. E poi le testimonianze pubblicate dalle associazioni locali. Mi sono così convinto che è un nostro dovere raccontare questa tragedia, non per entrare nella disputa politica e ideologica ma per far conoscere una tragedia dimenticata. Questo è il primo film che parla delle foibe e credo sia un bel modo di far televisione».  La prima puntata del «Cuore nel pozzo» sarà trasmessa da Raiuno il 10 febbraio, giornata della memoria per le vittime delle foibe. 

SULLO STESSO PIANO - C’è stato chi ha criticato l’istituzione di questa giornata della memoria, quasi che si volesse mettere sullo stesso piano della giornata delle memoria dell’Olocausto. 
«A me ebreo - dice Negrin - queste polemiche non interessano. Non mi piace la retorica delle celebrazioni, mi interessa invece che ogni giorno sia buono per ricordare. E per pensare fuori dagli schemi ideologici». 
Dino Messina 

La storia e il cast

IL FILM La Rai e la Rizzoli Audiovisivi hanno prodotto «Il cuore nel pozzo», film tv in due puntate di 90 minuti ciascuna sulla tragedia delle foibe 

PROTAGONISTI 
Il regista Alberto Negrin («Perlasca. Un eroe italiano», «Il sequestro dell’Achille Lauro») dirige il film con soggetto di Massimo e Simone De Rita. Tra i protagonisti Beppe Fiorello, Leo Gullotta, Antonia Lìskova, Sonia Aquino.

LA TRAMA 
«Il cuore nel pozzo» racconta la storia di una piccola comunità istriana sconvolta dalla guerra civile. Leo Gullotta è don Bruno, il sacerdote del paese, mentre Beppe Fiorello è il reduce alpino Ettore.

10 FEBBRAIO 2005 
La prima puntata andrà in onda su Raiuno il 10 febbraio 2005, giornata della memoria per le vittime delle foibe.

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Sabbatucci: atroce, ma i torti non furono da una parte sola (dal "Corriere della Sera" del 12/07/'04).

«Un film sulle foibe? Perché no?». Ecco quel che ha pensato Giovanni Sabbatucci, docente di Storia contemporanea all’Università La Sapienza di Roma, quando gli è stato proposto di fare da consulente scientifico alla fiction Rai. «È evidente - avverte Sabbatucci - che il ruolo del consulente arriva sino a un certo punto. La responsabilità del racconto è dell’autore del film, in questo caso di Alberto Negrin, regista che stimo molto. Per quel che mi è stato possibile, ho cercato di evitare alcune incongruenze, fare in modo che l’azione fosse il più possibile realistica. Per esempio, che il viaggio del prete con i due ragazzini non fosse, com’era nella prima stesura, eccessivamente lungo». 
E poi, anche se è un film di ambientazione storica, ma non di ricostruzione, c’è il problema dell’obiettività e dell’equilibrio... 
«Il fenomeno delle foibe è stato uno dei più agghiaccianti del Novecento ma non si è trattato di un genocidio totale paragonabile a quello dell’Olocausto degli ebrei. Così come nel racconto bisogna tener presente che non tutto il negativo era dalla parte degli jugoslavi e il positivo da quella degli italiani. Non dobbiamo dimenticare i disastri provocati dal governo fascista in quei territori e da una politica di discriminazione etnica negli anni Trenta, cui seguì nell’autunno del ’43 e nella primavera estate del ’45 una reazione feroce».  Uno dei problemi posti implicitamente da questo film, il primo sull’argomento, è quello della «memoria negata». 
«Sappiamo - risponde Giovanni Sabbatucci - dei manuali di storia che non dedicavano nemmeno una riga all’argomento, ma tutti siamo stati in qualche modo vittime e partecipi di questa dimenticanza collettiva, frutto di un clima culturale». 
«Anch’io devo ammettere che nella prima edizione del mio manuale di storia, che fu pubblicato da Laterza nell’88 si parlava poco delle foibe. Ho aggiunto delle pagine nelle edizioni successive». 
(d. m.) 

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Rizzoli: ho scelto le foibe non per calcolo politico (da "La Stampa" del 15/07/'04).

IL PRODUTTORE DEL «CUORE NEL POZZO»: «AMO LA STORIA» 

Respinge le accuse di avere avuto l’incarico perché vicino a An «Ho fatto “Marcinelle” e una storia di partigiani con la Ferilli realizzerò un film tv sulla morte nel lager di Mafalda di Savoia». 
ROMA - A produrre «Il cuore nel pozzo», il film-tv sulle foibe con Beppe Fiorello e Leo Gullotta, è il produttore Angelo Rizzoli che da da quindici anni si occupa di fiction. Il tema è spinoso. Negli ultimi giorni di guerra i partigiani comunisti di Tito gettarono nelle foibe centinaia di italiani con l’accusa di essere stati fascisti e di aver perseguitato la popolazione slava. Ai morti, nel dopoguerra, seguirono i profughi: migliaia di italiani lasciarono le loro case nell’Istria e nella Dalmazia per tornare in Italia, spesso senza una lira e senza un tetto. Adesso che per ricordare quei morti innocenti è stato istituito il Giorno della Memoria, la Rai ha deciso di girare un film-tv sull’argomento. E’ naturale che «Il cuore nel pozzo» stia a più a cuore a quelli di An, in qualche misura eredi del fascismo, che non ai ds, in qualche misura eredi dei comunisti di allora. Qualcuno, perciò, ha insinuato che Angelo Rizzoli abbia avuto l’incarico di produrlo perchè vicino ad An. Il giornale «L’Unità» lo ha anche scritto, avvicinando il contratto da 100 milioni di euro che la Rai avrebbe dovuto fare alla società LDM ma che invece è stato bloccato per le proteste dell’associazione dei produttori, al contratto di sei anni che la Rai ha firmato con Rizzoli per assicurasene la collaborazione, sempre che i suoi lavori continuino ad ottenere buoni ascolti. Rizzoli se n’è dispiaciuto. «E’ una cosa ridicola pensare che io abbia accettato di produrre “Il cuore nel pozzo” per motivi politici. Ho fatto “Marcinelle” sulla tragedia dei minatori in Belgio. Ho fatto “Al di là delle frontiere” in cui Sabrina Ferilli è una partigiana. Sono attento e interessato alla nostro passato più recente. La Rai mi ha chiesto di seguire questo progetto e io ho accettato. Non c’è altro». Si aspettava le polemiche? «Mah. Ho voluto un gruppo di sceneggiatori molto equilibrati capeggiati da Massimo De Rita, uno che ha collaborato anche con Tornatore. Ho chiamato Alberto Negrin, un regista che sa far bene i film d’ambiente storico e l’ha dimostrato con quello su Perlasca. Abbiamo scelto di raccontare un gruppo di profughi senza addentrarci troppo nello scontro politico di quegli anni. La mia famiglia produce cinema dal 1933 quando non c’erano né An né i ds. Forse la polemica non è giustificata». Sotto accusa c’è anche il contratto che la lega alla Rai. «Anche questo è impreciso. La mia società produce tanto per la Rai quanto per Mediaset. Facciamo cinque, sei cose l’anno che vanno su entrambi i network. Non mi sembra di fare favori e neanche di essere oggetto di favori». E Rizzoli cita i prossimi progetti. Per Mediaset riprende «Le stagioni del cuore» andato in onda quest’anno su Canale 5 con Alessandro Gassman, la Valli e Martina Stella. Prepara una serie poliziesca. Ha in mente di realizzare «La donna della domenica» dal romanzo di Fruttero e Lucentini già trasformato in un film con Jaqueline Bisset e Mastroianni da Comencini. Comincerà a ottobre le riprese di un film-tv su Mafalda di Savoia, la principessa italiana morta in un lager in Germania. Per la Rai, invece, nei prossimi due anni girerà tre cose. «Il bell’Antonio» da Brancati su cui Bolognini fece un bel film con Mastroianni e Claudia Cardinale. «Le ragazze di San Frediano» da Pratolini, portato sul grande schermo da Zurlini nel 1954 con Giovanna Ralli e Rossana Podestà. «La provinciale» da Moravia che Soldati diresse negli anni cinquanta con Gina Lollobrigida. Tre titoli, dice Rizzoli che uniscono il suo interesse per la letteratura e quello per la nostra recente storia. Inoltre per la Rai è in fase di scrittura una lunga serie su Capri immaginata da Carlo Rossella, divino mondano prima che direttore di «Panorama». Niente film per le sale, neanche oggi che il cinema italiano va meglio? «Quando ho smesso di fare l’editore ho cominciato a fare film. Ma i film sono rischiosi. PHo una società da 50 milioni di euro e non ho una lira di debito con le banche. Non voglio correre pericoli».

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Polemiche suscitate dalla fiction (agosto 2004).

1) Foibe, la fiction riaccende lo scontro (Beatrice Ottaviano) - Tratto da "L'Eco di Bergamo del 13/08/'04;

2) "Il dramma delle foibe un ricordo che divide ancora" (tratto da "Il Giornale" del 21/08/'04).

3) Il Ministro degli esteri sloveno Vajgl: «Il film offende gli sloveni» (tratto da "Il Piccolo" del 19/08/'04).

4) Gasparri difende lo sceneggiato che sta creando un caso diplomatico con la Slovenia (tratto da "La Repubblica" del 23/08/'04).

5) Agenzia Italpress - Foibe - Pagliarulo: Gasparri fomenta incidente diplomatico (23/08/'04).

6) La fiction della Rai sulle foibe alimenta nuove polemiche. E Spadaro replica a Gasparri (tratto da "Il Piccolo" del 24/08/'04).

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1) Foibe, la fiction riaccende lo scontro (Beatrice Ottaviano) - Tratto da "L'Eco di Bergamo del 13/08/'04.

Stampa serba e croata all'attacco del film della Rai: «Vendetta cinematografica di Berlusconi su Tito» Quasi ultimate le riprese di «Cuori nel pozzo». Il regista Alberto Negrin: non è un'opera politica.
Che fosse un film destinato a suscitare polemiche era prevedibile, data la delicatezza dell'argomento trattato, ma che queste si sarebbero scatenate oltre frontiera e ancor prima del ciak finale, forse il regista italiano Alberto Negrin non se lo aspettava: Cuori nel pozzo , la sua ultima fiction realizzata per la Rai e dedicata alla tragedia delle foibe jugoslave, è stata accolta con irritazione dalla stampa croata e serba.
Il film, girato alle Bocche del Cattaro, in Montenegro, ripercorre attraverso gli occhi di un bambino, Francesco Bottini (interpretato da un bravo Adriano Todaro) la tragedia delle foibe istriane del 1945, nella quale i partigiani di Josip Broz Tito uccisero fra i 10 e i 15 mila italiani: feroce anteprima di un concetto, quello della pulizia etnica, poi portato alle estreme conseguenze negli anni '90 con il crollo della Jugoslavia socialista e le guerre balcaniche.

Una fuga disperata.
Francesco è figlio di un medico e un'insegnante, Giorgio (Cesare Bocci) e Marta (Mia Benedetta), che verranno infoibati per ordine di un crudele comandante partigiano, Novak, interpretato dal bravo attore serbo Dragan Bjelogrlic. Affidato a un prete, don Bruno (Leo Gullotta), il bambino sarà protagonista, assieme a dei coetanei, di una disperata fuga complicata dall'accanimento del bieco Novak. Il comandante partigiano ha motivi squisitamente personali: il suo odio etnico è legato all'abbandono da parte dell'amante italiana, Giulia (Sonia Aquino), che gli ha anche sottratto il figlio nato da quella relazione, Carlo (il piccolo Gianluca Grecchi), anch'esso affidato a don Bruno.
È proprio la figura del crudele Novak a irritare la stampa croata e i nostalgici serbi: «Vendetta cinematografica di Silvio Berlusconi su Tito», pubblica in prima pagina il belgradese «Svedok», che riporta integralmente il duro articolo dedicato al film dal settimanale croato «Globus», secondo il quale la fiction della Rai «è destinata a complicare i rapporti fra Italia e Slovenia», la Repubblica ex jugoslava in prima fila nella vicenda delle foibe. Più moderato il quotidiano «Blic», che pur saccheggiando a piene mani da «Globus», punta più sull'intensità e l'importanza del ruolo affidato al serbo Bjelogrlic. Ma anche «Blic» non si lascia scappare l'occasione per un titolo a effetto: «Partigiani brutti sporchi e cattivi», una citazione da Sergio Leone, che con Federico Fellini è il regista italiano più amato e imitato in Serbia.

La Guerra fredda e l'eterno tabù.
L'orrore delle foibe d'altro canto è stato uno dei grandi tabù della Guerra fredda, una strage che per decenni ha unito in un disagiato silenzio carnefici e vittime. Ma Negrin non sembra imbarazzato dalla delicatezza del soggetto: «Il mio mestiere - aveva detto recentemente all'Ansa - è di raccontare storie e sono uno che lo fa credendo che valga la pena, perché sono avvincenti, interessanti, doverose. Non ho mai girato, neppure in questo caso, per motivi politici».
Il film è stato girato nella storica cittadina di Kotor, la cui architettura veneziana ben si adatta all'ambientazione istriana, e sulle montagne circostanti, che hanno lo stesso tipo di terreno carsico. Non tanto per ragioni diplomatiche - anche se la reazione della stampa ex jugoslava è indicativa del fastidio con cui viene accolta oltre Adriatico ogni rivisitazione della vicenda delle foibe - quanto per motivi di bilancio. «Serbia e Montenegro stanno diventando una nuova Mecca per la cinematografia occidentale - sottolinea il produttore esecutivo Piero Amati, che opera da anni a Belgrado con la sua casa "Film 87" - perché offrono un'ampia gamma di ambientazioni e alta professionalità a costi contenuti: basti ad esempio l'ottima performance della squadra di stuntman che si sono fatti "infoibare"».
Le foibe stesse sono state ricostruite, scavate per un breve tratto nella roccia e rese poi più profonde con effetti speciali al computer: «Non che le cavità carsiche manchino nei dintorni - si schermisce Amati - ma questa soluzione ci ha semplificato il lavoro e ha ridotto i rischi per la troupe».

L'invasione delle cavallette.
Nei due mesi circa di lavorazione, un solo incidente ha rallentato le riprese: «Una invasione di cavallette di proporzioni bibliche - rivelano gli addetti alla produzione esecutiva - per la quale ci preparavamo a mettere in piedi una massiccia disinfestazione. Ma sono sparite da sole in un paio di giorni».

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2) " Il dramma delle foibe un ricordo che divide ancora" (tratto da "Il Giornale" del 21/08/'04).

Nella vicenda del film-tv il cuore nel pozzo di Alberto Negrin, che Rizzo gira per la Rai a Tivat, la prima considerazione è geografica: Tivat è in Montenegro. La seconda considerazione è storica: ancora due anni fa la Serbia-Montenegro era nota come Repubblica federale jugoslava. Che dunque proprio l'erede più strenuo della Federazione voluta da Tito, il governo serbo, si regge tuttora grazie ai voti del partito di Milosevic, cioè di Tito conceda il suo territorio per un film che racconta le foibe, non è solo questione di location, cioè di luoghi da film. E' anche questione politica. Uno Stato non dà il suo territorio per girare un film che diffami, anche indirettamente. Come saperlo prima che il film sia girato? Dalla sceneggiatura. Evidentemente a Podgorica, se non a Belgrado, qualcuno l'avrà letta e approvata, magari trovando che ciò che avrebbe irritato Lubiana

e Zagabria non era poi così male, tanto più se andava a vantaggio di chi, come Roma, difende la residua presenza serba nel Kossovo.

Lo «sdegno» contro Il cuore nel pozzo è stato prevedibilmente del governo sloveno. L' ha anticipato un giornale di Lubiana due settimane fa; l'ha poi ripreso un giornale di Belgrado, come è lecito che accada in un Paese, la Serbia Montenegro, dove non solo si gira il film italiano, ma dove dopo la morte del croato Tito, cioè del principale responsabile delle foibe con lo sloveno Kardelj si vota liberamente alle elezioni e quasi tutti guardano sia la Rai Tv, sia le reti berlusconiane.

Lenin diceva: "Si vota anche con i piedi"; oggi direi che si vota anche con le mani: sul telecomando. I fatti narrati dal film-tv di Negrin indispettiscono il governo sloveno perché evocano fatti del 1943-45, relativi dunque al mito fondatore della Federazione Jugoslava (comunista) sulle rovine del Regno di Jugoslavia. Logico che a certi ex jugoslavi  ora sloveni, ora croati spiaccia vedere tornare quel passato remoto di dieci mila morti italiani proprio sulla tv italiana, dopo che su tv di tutto il mondo s'era appena smorzata l'eco del passato prossimo dei duecentocinquantamila morti del 1992-1995.

Memoria selettiva? L' hanno anche gli italiani, sebbene il ministro Gasparri, per una volta, abbia più di una ragione di dire quel che dice. Le foibe furono un orrore, ma prima neanche i plotoni di esecuzione del Regio Esercito erano stati una delizia per gli sloveni scontenti che Lubiana fosse diventata un capoluogo italiano o per i resistenti croati. A essere precisi, il Regio Esercito non era caro nemmeno agli Ustascia, visto che proteggeva gli ebrei da loro e dai tedeschi, ora protettori di nuovo proprio di sloveni e croati... Quanto ai serbi, la macelleria contro di loro fu una delle maggiori vergogne tedesche nei Balcani. Ora così attenti al passato jugoslavo, i secessionisti sloveni e croati se ne erano però dimenticati quando gli arsenali della ex Ddr, spediti da Kohl e Genscher, avevano salvato

la Croazia dalla vittoria serba già guadagnata sul campo.

E ancora: l'ex presidente della Repubblica italiana Cossiga ha invocato un monumento a Tito proprio a Trieste, non per le foibe, ma perché la Jugoslavia è stata per mezzo secolo l'antemurale della Nato. Provocatoria l'idea di fare il monumento proprio a Trieste, ma vero il resto. A proposito di monumenti, però, ricordiamo il monumento che i croati hanno già eretto per Genscher.

E ricordiamo ai comunisti italiani apologeti del Tito precedente a quello caro a Cossiga, il partigiano infoibatore le stragi subito seguenti di migliaia di Comunisti stalinisti, anche italiani, a Goli Otok.

 

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3) Il Ministro degli esteri sloveno Vajgl: «Il film offende gli sloveni» (tratto da "Il Piccolo" del 19/08/'04).

Foibe: «Il film offende gli sloveni»

CAPODISTRIA La Slovenia non ha intenzione di reagire per vie diplomatiche ma «Il cuore nel pozzo», la fiction della Rai dedicata alle foibe, e che dovrebbe essere trasmessa il prossimo 10 febbraio, in occasione del Giorno della memoria, agli sloveni non piace proprio. Dopo che nei giorni scorsi, alla fine delle riprese in Montenegro, del film ha parlato praticamente tutta la stampa nazionale, ieri è intervenuto anche il ministro degli Esteri Ivo Vajgl. La diplomazia non reagirà, in quanto «le opere d'arte non possono essere oggetto di rapporti internazionali», ma è comunque preoccupante, ha precisato Vajgl, che «in un'istituzione parastatale, come la Rai, venga prodotto un film che è una provocazione e un'offesa per il popolo sloveno», nonché un «falso storico, che trasforma in colpevole un popolo che per tutta la sua storia è stato invece sottoposto all'aggressività dei popoli vicini». Nel film, le cui riprese sono state ultimate alcune settimane fa, appare come protagonista della persecuzione degli italiani un feroce comandante sloveno, di nome Novak, interpretato dall'attore serbo Dragan Bjelogrlic. Il problema di cui parla «Il cuore nel pozzo», aggiunge Vajgl, «non è nato con la Guerra di liberazione in Slovenia, ma con le violenze fasciste sulla popolazione slovena nel Friuli Venezia Giulia». Quello che nel caso del film è particolarmente mal visto da Lubiana è il suo sottofondo ideologico. In altre parole, «Il cuore nel pozzo» non è considerato un film, ma un'operazione di propaganda politica antislovena sostenuta dalle forze dell'estremismo nazionalista. Della posizione slovena su «Il cuore nel pozzo», Vajgl ha annunciato che informerà anche il ministro degli Esteri italiano Franco Frattini, al loro prossimo incontro. Il film è oggetto di polemiche ormai da diversi giorni. Intervenendo a una trasmissione televisiva, hanno chiesto una reazione ufficiale di Lubiana anche gli esponenti dell'Associazione dei combattenti e lo storico triestino Jože Pirjevec, che ha paragonato la vicenda alla propaganda antiebraica condotta dalla Germania prima della seconda Guerra mondiale.

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4) Gasparri difende lo sceneggiato che sta creando un caso diplomatico con la Slovenia (tratto da "La Repubblica" del 23/08/'04).

 

ROMA La fiction della Rai sulle foibe è ancora in fase di montaggio, ma la polemica non si placa. Anzi, per Il cuore nel pozzo, si sta rischiando l'incidente diplomatico. Dopo le aspre critiche sui giornali serbi e croati, il ministro degli Esteri sloveno, Ivo Vajgl ha fatto sapere che chiederà al collega italiano, Franco Frattini, conto e ragione del «falso storico» perpetrato nella fiction e del perché «in un istituzione parastatale come la Rai venga prodotto un film che è una provocazione e un offesa al popolo sloveno».

«Faccia pure, gliene parli, ci mancherebbe. Ma la verità è che gli sloveni non sono disponibili a vedere affrontato questo tema», replica il ministro delle Comunicazioni, Maurizio Gasparri. Nell'estate delle polemiche storico -politiche, An il partito di Gasparri è impegnato sul fronte della tragedia degli italiani inghiottiti nelle voragini titine.

«L'egemonia culturale della sinistra -attacca- ha voluto finora la rimozione».

Ministro Gasparri, lei è sotto accusa per avere sponsorizzato uno sceneggiato sulle foibe che è diventato un caso diplomatico con la Slovenia, paese appena entrato nella Ue: se ne pente?

«Non esageriamo, non ci sono casi diplomatici. Tra qualche mese i telespettatori vedranno uno sceneggiato che racconta una storia mai vista in televisione. Giudicheranno. E comunque, io ho auspicato questa iniziativa perché ci sono pagine di storia che sono state strappate dalla memoria collettiva negli anni passati».

An ha fatto approvare una giornata della memoria delle foibe in Parlamento; la rimozione è quindi finita, non crede?

«Io ho fatto appello alla tv pubblica e a quella privata perché anche con gli sceneggiati si ricordino le pagine della storia come l'Olocausto, l'orrore più grande della storia moderna, e anche le migliaia di persone buttate da Tito e dai suoi seguaci nelle foibe».

La sinistra accusa la destra di usare strumentalmente le foibe per una riabilitazione

del Ventennio.

«Si vergogni chi muove queste accuse. Dimostra dì stare ancora dalla parte degli infoibatori. Quando si è stabilito di commemorare il 10 febbraio la tragedia degli infoibati c'è stato un ampio consenso in Parlamento. Se qualcuno ha il coraggio di dire che lo sterminio di migliaia di persone e la cacciata di centinaia di migliaia dall'Istria e dalla Dalmazia fu ben fatto, si faccia avanti. Basta adesso con le rimozioni».

Lei sostiene che la destra al governo ora pone rimedio alla rimozione culturale della sinistra?

«Sì,l'egemonia culturale della sinistra ha significato anche la rimozione di questa pagina. Ci sono state omissioni nei libri di storia, nel dibattito culturale, nelle case editrici per non parlare di cinema e tv che sono strumenti di divulgazione di massa. Come però Fini e la destra italiana si è recata a condannare l'orrore dell'Olocausto, così tutta la sinistra faccìa con le foibe».

Senza la destra al governo, secondo lei, non ci sarebbe memoria delle foibe?

«L'alternanza politica ha un valore anche per la cultura».

 

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5) Agenzia Italpress - Foibe - Pagliarulo: Gasparri fomenta incidente diplomatico (23/08/'04).

 

ROMA (ITALPRESS) - Il Ministro Gasparri butta benzina sul fuoco attorno all'argomento delle Foibe, fomentando l'incidente diplomatico.

Lo sostiene Gianfranco Pagliarulo, senatore del Pdci, commentando l'intervista rilasciata dal Ministro delle Comunicazioni, Maurizio Gasparri, sulla fiction sulle Foibe prodotta dalla Rai. "Il ministro Gasparri butta benzina sul fuoco, arrivando persino a paragonare le foibe con la Shoa - dice Pagliarulo - evidentemente non bastano le abluzioni di Fiuggi: per quanto Gasparri si sia sforzato di lavare la sua camicia, questa e' rimasta nera coma la

pece". "La Rai come servizio pubblico potrebbe produrre molte fiction di carattere storico - aggiunge il senatore del Pdci - per esempio sulla Resistenza, o sull'uso dei gas di sterminio di massa da parte del fascismo in Abissinia, o sui crimini del fascismo in Libia, o sulla sanguinaria invasione della Jugoslavia da parte di Mussolini, o sulle torture, le violenze e le stragi subite dagli slavi durante l'occupazione italiana". "Produce invece una fiction sulle foibe - conclude Pagliarulo - controverso argomento ove il rispetto per le vittime non puo' diventare strumentalizzazione".

 

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6) La fiction della Rai sulle foibe alimenta nuove polemiche. E Spadaro replica a Gasparri (tratto da "Il Piccolo" del 24/08/'04).

 

l ds: «Giusto ricordare senza fare sconti»

La fiction della Rai sulle foibe alimenta nuove polemiche E Spadaro replica a Gasparri


TRIESTE Sta aprendo nuove polemiche la fiction della Rai «Il cuore nel pozzo», sulla tragedia delle foibe, girata in Montenegro da Alberto Negrin e attualmente in fase di montaggio.
Stelio Spadaro, il diessino che siede nella direzione regionale del Friuli-Venezia Giulia e che anni fa fu il primo a sollevare a livello nazionale le responsabilità del regime comunista di Tito nella tragedia delle foibe e ad ammettere le colpe e le reticenze del Pci, replica all’intervista rilasciata a «Repubblica» dal ministro per le Comunicazioni, Maurizio Gasparri. 
«Giova ricordare che per fortuna non è previsto un ministero dell'Educazione nazionale, né nero, né rosso. La cultura - dice Spadaro - è libera e libere sono le sue espressioni, come dice la Costituzione». Dopo le critiche dei giornali serbi e croati e la protesta del ministro degli Esteri sloveno, che ha parlato di «falso storico», Gasparri ha dichiarato nell'intervista che «non ci sono casi diplomatici. Tra qualche mese i telespettatori vedranno uno sceneggiato che racconta una storia mai vista in televisione e giudicheranno. Comunque io ho auspicato questa iniziativa perché ci sono pagine di storia che sono state strappate dalla memoria collettiva negli anni passati». Il ministro ha anche sottolineato che «l'egemonia culturale della sinistra ha significato anche la rimozione di questa pagina». 
Nella sua replica, Spadaro sostiene che «è bene e giusto che si parli delle vicende della Venezia Giulia e della Dalmazia e dei drammi che hanno sconvolto ripetutamente queste terre. Terre, quelle della costa nord orientale dell’Adriatico, da sempre etnicamente plurali e dove si sono scontrati, dagli ultimi decenni dall' 800 in poi, due contrapposti progetti statali nazionali, quello italiano e quello sloveno-croato, e due nazionalismi che i totalitarismi, quello fascista prima e quello comunista poi, hanno ulteriormente e tragicamente esasperato con la loro cultura della distruzione violenta dell'altro, del nemico. Da ciò - continua, ancora, Spadaro - le repressioni, le distruzioni di uomini e di cose, le foibe, gli esodi forzati». Il diessino aggiunge che quel capitolo della storia italiana ed europea «va recuperato alla memoria in tutte le sue pagine e senza fare sconti o tacere sulle responsabilità del fascismo nazionalistico italiano, nè sulle responsabilità del comunismo nazionalistico jugoslavo. È una storia dunque che richiede sensibilità e attenzione. Oggi, con la comune cultura dell'Europa, siamo in grado pienamente di farla». La conclusione? «Spero che la fiction sarà all'altezza di questo compito. Se, invece, si ridurrà a poco più di un fotoromanzo sarà un'altra occasione perduta e un'offesa innanzi tutto agli istriani e dalmati, ma - dice Spadaro - sono sicuro che in questo caso sarebbero le associazioni degli esuli per prime a protestare». 

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Bufera al Congresso di Rifondazione: contestato Leo Gullotta (4 marzo 2005).



Dopo l'interessante dibattito sull'abolizione della proprietà privata (obiettivo da raggiungere un po' più in là nel tempo), il Congresso di Rifondazione ha oggi offerto un'altra perla. L'attore Leo Gullotta, salito sul palco per un breve intervento, è stato duramente contestato con una bordata di fischi da un non troppo piccolo gruppo di delegati.
Il motivo? Alcuni dei presenti non hanno gradito la partecipazione dell'artista nel film sulle Foibe (Il cuore nel pozzo), che la Rai ha mandato in onda alcune settimane fa. Dalla platea è infatti partito il coro "venduto, venduto", che ha provocato una dura reazione da parte dello stesso leader di Rifondazione: "In questo partito - ha tuonato Fausto Bertinotti - c'é un grado di intolleranza che è insopportabile".
Per nulla intimorito dalla contestazione, Gullotta ha immediatamente replicato: "Chi è venduto e perché? Io sono limpido e onesto: la fiction ha fatto sapere a dodici milioni di italiani che cosa sono state le foibe".

Tratto da www.centomovimenti.com

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Tiepida reazione del governo sloveno sulle foibe di Andrej Brstovsek, giornalista del quotidiano di Ljubljana "Dnevnik" (10 marzo 2005).

Ljubljana, Slovenia – Un film italiano, massicciamente pubblicizzato, sulle uccisioni di civili italiani alla fine della Seconda Guerra Mondiale in quella che allora era la Jugoslavia ha irritato molti in Slovenia e rendendo tesi i rapporti tra i due Paesi. "Il Cuore nel Pozzo" è stato largamente condannato in Slovenia per il suo rappresentare i partigiani jugoslavi come criminali, senza considerare le circostanze in cui avvennero i fatti.
Il dibattito che si è innescato a causa del film mostra che i due Paesi non hanno mai raggiunto una vera riconciliazione e non riescono neppure ad avere una visione concorde su quanto esattamente accadde prima, durante e dopo la Seconda Guerra Mondiale.
"Io volevo fare una semplice storia. Il fine non era quello di dare un messaggio politico," dice il regista, l'italiano Alberto Negrin. Il film mostra immagini di famiglie messe davanti ai plotoni d'esecuzione dei partigiani italiani e jugoslavi, bambini italiani che strillano per essere stati separati dalle madri e civili uccisi che vengono gettati nei pozzi carsici della Slovenia e della Croazia, le fojbe o foibe.
Il film non parla dei crimini commessi dai fascisti in quelle zone.
Una nuova vacanza romana
Se Negrin voleva fare un film non-politico, ha ottenuto il risultato opposto. In Italia, il film ha ricevuto l'esplicita approvazione di Alleanza Nazionale, partito della coalizione di governo del Primo Ministro Silvio Berlusconi, che affonda le sue radici nei fascisti di Mussolini. "Dobbiamo estrarre da un abisso di menzogne una verità nascosta dall'imposizione di un pregiudizio culturale", ha detto il ministro italiano delle Comunicazioni Maurizio Gasparri, membro di Alleanza Nazionale, come riportato dalla Reuters.
Il film, in due parti, è stato trasmesso in prima visione sulla televisione di Stato italiana appena prima del 10 febbraio, una nuova festività nazionale che commemora le vittime delle foibe. Milioni di Italiani lo hanno visto – e anche un buon numero di Sloveni si sono sintonizzati.
La reazione politica da parte dei vicini ad est dell'Italia è stata immediata e decisa.
Tra i primi a replicare sono stati i veterani sloveni e croati della Seconda Guerra Mondiale, che hanno accusato il regista Negrin di essere prevenuto e di cercare di dipingere l'Italia come vittima mentre in effetti essa fu l'aggressore.
"Le forze d'occupazione italiane uccisero e violentarono, ciò che causò rappresaglie. Le vendette sono sempre state cieche," ha detto Janez Stanovnik, presidente dell'associazione slovena veterani della Seconda Guerra Mondiale. Ha detto che era una "enorme menzogna" sostenere che gli Italiani furono uccisi per il solo fatto di essere Italiani.
Anche senza il film, la nuova festività italiana avrebbe creato qualche perplessità in Slovenia. È probabile che il parlamento sloveno risponderà proclamando una nuova festività slovena, che celebrerà l'annessione alla Slovenia della regione costiera di Primorje, che un tempo era italiana.
È un fatto storico incontrovertibile che molti Italiani furono uccisi in Slovenia e Croazia dopo la guerra – le stime sul loro numero variano da 1.700 a 10.000. Molti Italiani abbandonarono il territorio anche per paura di rappresaglie, oppure perché non volevano vivere in uno Stato comunista.
Ma sia i veterani che gli storici sostengono che, mentre è importante ammettere ufficialmente le uccisioni e le espulsioni, bisogna anche considerare le circostanze in cui ebbero luogo. Già prima della Seconda Guerra Mondiale, l'Italia perseguiva una politica d'aggressione verso l'Istria (ora divisa tra Croazia e Slovenia) e la Dalmazia (oggi parte della Croazia) e poi occupò la maggior parte di quei territori durante la guerra.
Nel dopoguerra, diversi trattati tra Italia e Jugoslavia affrontarono il problema dei cittadini italiani fuggiti alla fine della guerra. Gli accordi obbligavano il governo italiano a rimborsarli delle proprietà abbandonate in Jugoslavia; questi rimborsi erano considerati altresì come un indennizzo italiano per i danni di guerra in Jugoslavia.
Ma nonostante la definizione legale della questione, l'argomento non trovò mai un accomodamento politico.
Di fronte alla minaccia italiana di porre il veto all'inizio dei negoziati per l'adesione della Slovenia all'UE, a metà degli anni '90, la Slovenia dovette firmare uno speciale accordo con l'UE con il quale apriva i suoi mercati immobiliari ai profughi italiani.
Nello stesso periodo, sia la Jugoslavia che la Slovenia (che divenne indipendente nel 1991) tentarono di occuparsi della minoranza italiana rimasta sul territorio. Uno dei 90 seggi nel parlamento sloveno è riservato ad un rappresentante della minoranza italiana (un altro è riservato ad un rappresentante della minoranza ungherese), e l' Italiano è lingua ufficiale nelle aree dove vive la minoranza italiana.
Jansa in una difficile posizione
Ma la questione va oltre i diritti di una minoranza o i risarcimenti per le passate ingiustizie, e per la perdita di proprietà immobiliari, benché tutti questi aspetti siano stati sollevati dalle famiglie di coloro che furono uccisi o abbandonarono il Paese. In questo caso si tratta anche di ricostruire correttamente questa pagina di storia – e di essere capaci di superarla e passare oltre.
Mentre l'attuale governo italiano di centro-destra, che ha sostenuto il film, raccoglierà probabilmente dei benefici dal rivisitare il passato, la nuova coalizione di governo di centro-destra in Slovenia si trova in una situazione scomoda. Non è più solo una questione di rapporti bilaterali, ma anche di politica interna. I critici accusano il governo sloveno di essere stato lento nel reagire perché la sua posizione anticomunista gli rende difficile difendere i partigiani comunisti.
Un certo numero di personaggi pubblici hanno fatto pressione sul Primo Ministro Janez Jansa e sul Ministro degli Esteri Dimitrij Rupel perché replicassero al film. Il leader dei Socialdemocratici, all'opposizione, Borut Pahor, ha suggerito di inviare una nota diplomatica a Roma. Il governo dapprima ha sostenuto che un film non poteva essere una base per discutere di relazioni bilaterali, ma ha cambiato atteggiamento dopo che la televisione slovena ha deciso di trasmettere il film – ed ha riportato un record di ascolti.
Il governo ha emesso una dichiarazione che esprimeva il desiderio che l'Italia si confrontasse in maniera critica con il suo passato, e riaffermava che il governo rifiutava ogni interpretazione della storia recente che fosse pregiudiziale o politicamente motivata. Questo poteva anche essere visto come una critica del regime comunista jugoslavo e della sua versione dei fatti.
Il tono conciliante sembra avere avuto qualche effetto. Un sottosegretario del Ministero degli Esteri italiano ha menzionato la possibilità che rappresentanti dei tre Paesi possano firmare una "riconciliazione simbolica", presumibilmente nel corso di un summit tra Berlusconi, il Presidente sloveno Drnovsek, e il Presidente Croato Stipe Mesic.
D'altra parte, come ha detto Stanovnik della associazione slovena veterani, la riconciliazione è una questione di coscienza personale. E se a questa coscienza non è stato fatto un esame negli ultimi sessant'anni, è poco probabile che ciò possa accadere ora.

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