Verso la programmazione modulare
1. Le fasi della
programmazione
Quando nella nostra scuola è stata introdotta la
strategia della programmazione – erano gli anni Settanta,
quelli dei "decreti delegati" e della legge 517 1 – la scelta che si fece fu quella
più semplice e palmare, se si può dir così, quella che venne
poi suffragata del DM 9 febbraio ’79, istitutivo dei "nuovi"
programmi della scuola media. Nel decreto vengono indicate le
fasi della programmazione che riportiamo
testualmente:
- individuazione delle esigenze del contesto
socio-culturale e delle situazioni di partenza degli
alunni;
- definizione degli obiettivi finali, intermedi,
immediati che riguardano l’area cognitiva, l’area non
cognitiva e le loro interazioni;
- organizzazione delle attività e dei contenuti in
relazione agli obiettivi stabiliti;
- individuazione dei metodi, materiali e sussidi
adeguati;
- sistematica osservazione dei processi di
apprendimento;
- processo valutativo essenzialmente finalizzato sia
agli adeguati interventi culturali ed educativi sia alla
costante verifica dell’azione didattica programmata;
- continue verifiche del processo didattico, che
informino sui risultati raggiunti e servano da guida per gli
interventi successivi.
2. La
programmazione curricolare
La valutazione investe e guida tutte le fasi della
programmazione
3. I nodi
fondamentali della programmazione
Le finalità
che la scuola si propone
Gli
obiettivi proposti agli studenti e
realizzati
I livelli
di partenza della classe
I
contenuti disciplinari e
pluridisciplinari
I
percorsi formativi realizzati
I metodi e i mezzi
adottati
La
scansione temporale
La
misurazione e la
valutazione
|
Si trattava – e si tratta tuttora – di indicazioni
forse troppo succinte, ma che derivavano da anni di ricerca
educativa italiana e soprattutto straniera, una ricerca che ha
fatto giustizia di ogni insegnamento affidato alla
episodicità, alla casualità, alla soggettività del docente e
che tenta, invece, di introdurre criteri di razionalità e
oggettività nel complesso sistema dell’apprendimento. In
effetti, alla centralità dell’insegnamento, dei programmi,
delle materie, degli orari, ecc. viene sostituita la
centralità di chi apprende.
Negli anni Ottanta si è operato molto e si è anche
molto discusso in ordine alla programmazione.
Da un lato, gli insegnanti trovavano molte difficoltà
applicative, essenzialmente per due ragioni. Una di carattere
soggettivo: l’adozione della nuova normativa non era stata
accompagnata da nessuna iniziativa di aggiornamento 2 – se non di vera e propria
formazione – dei docenti. La seconda di carattere oggettivo:
si può programmare laddove vi siano ampi margini di
flessibilità; ma allora, in una scuola ancora costruita sui
programmi ministeriali, su quadri orari rigidi e
precodificati, su cattedre orario, su classi d’età, e così
via, una programmazione seria finiva spesso con l’essere solo
un flatus vocis!
Nel 1985 la programmazione entrò di diritto anche nella
scuola elementare in forza dell’adozione di nuovi programmi di
studio. Così la pratica e la discussione della programmazione
fece seri passi in avanti.
Da molte parti si avvertiva una certa rigidità della
programmazione stessa, le cui fasi e il cui sviluppo potevano
apparire come una sorta di percorso obbligato, troppo
tecnicistico, forse più adatto per l’insegnamento superiore
che per un insegnamento di base, in cui le variabili in gioco
in ordine ai campi di esperienza (scuola per l’infanzia) e
all’apprendimento predisciplinare (scuola elementare) sono
molto ampie, numerose e intrecciate, difficilmente
distinguibili e separabili, se le si voglio descrivere con
quella puntualità che una programmazione educativa e didattica
esige. Si considerava anche che centrare tutto sul
raggiungimento di obiettivi predefiniti e misurabili
appiattisse i percorsi formativi e gli stessi esiti educativi,
spesso non leggibili in soli termini di obiettivi.
Si tratta di osservazioni critiche indubbiamente
interessanti ma che, a nostro avviso, non inficiano la
strategia curricolare. Anzi, è proprio grazie ad una attenta
attività di programmazione che tutte le variabili di cui sopra
possono essere considerate ed addirittura
sollecitate.
Di qui, allora, il punto di arrivo di questi ultimi
anni, quello della articolazione modulare della quale ormai
ogni documento normativo e didattico parlano a iosa, spesso,
però, senza dare indicazioni esaustive in merito.
4. Programmare per moduli
Non riproduciamo i termini del dibattito in merito alla
modularità, ma quello che ci sembra utile sottolineare come
premessa è che, soprattutto sulla scorta della strumentazione
informatica e multimediale che sempre più ci aiuta a scoprire
le infinite possibilità di funzionamento e di produzione di
quella macchina per pensare che chiamiamo cervello, molto
schematicamente si può parlare di apprendimento sequenziale e
di apprendimento sistemico.
L'apprendimento sequenziale é quello che investe le
strutture cognitive semplici, ed è quello tipico della scuola
della tradizione. Si tratta di un processo lineare, in cui ad
un dato si aggiunge un altro dato, e così via. I meccanismi
del contare (dopo l'uno viene il due, l'ordine alfabetico),
della comparazione semplice (il tre é più piccolo del quattro,
più grande del due), della competenza testuale elementare (la
sequenza soggetto predicato), dello stesso studio tradizionale
della storia (un evento dopo l'altro, il meccanismo della
causa e dell'effetto), legati a quelli della memoria del dato,
sono tipici di questa modalità di apprendere.
E la stessa strumentazione metodologica (lezione,
studio, interrogazione) e quella tecnologica, se così si può
dire (libro di testo in ordine sequenziale), sono funzionali a
questo tipo di apprendimento.
L'apprendimento sistemico, o modulare è quello, invece,
che si fonda sulle reti concettuali, sulla mappe cognitive,
sulla interrelazione dei dati e delle informazioni, la cui
visualizzazione non è sequenziale, numerica, ma globale,
spaziale. Sono forme più alte di organizzazione del pensiero,
in cui non ci sono un "prima" e un "dopo", posti dall'esterno
a chi apprende e da questi accettato di fatto come una
necessità oggettiva, ma in cui è privilegiata, e sollecitata,
la scelta individuale. L'organizzazione di un insieme di
discipline, o di una biblioteca, o – per farla più semplice –
dell'armadio della camera da letto, possono variare a seconda
di scelte individualmente adottate.
Ma ricorriamo ad un esempio. Quando nelle università
medievali si costruivano repertori gerarchici del tipo
"grammatica, dialettica, retorica", o in età a noi molto più
vicine edifici del tipo "arte, religione, filosofia", si
voleva di fatto costringere ad un struttura sequenziale
"oggetti" che, invece, possono essere disposti solo in
strutture a rete.
Ma vi è un esempio a noi ancora più vicino, che ci è
data dalla differenza che corre tra testo ed ipertesto. E
quando si afferma che un testo si legge e che un ipertesto "si
naviga" (una espressione goffa dal punto di vista testuale, ma
molto efficace dal punto di vista... ipertestuale!), in
effetti si vuole dire che un testo si acquisisce solo a
condizione che si fruisca adattandosi alla sequenza data, e
che ad un ipertesto si accede costruendo dei percorsi, che
varieranno da individuo ad individuo.
Occorre a questo punto dire che le due modalità di
apprendere, di organizzare il pensiero, non sono una migliore
dell'altra, ma interagiscono strettamente tra loro. Il
pensiero sequenziale serve a certe operazioni, quello
sistemico ad altre.
Di fatto, l'emisfero sinistro del nostro cervello
presiede alle operazioni logiche sequenziali, l'emisfero
destro a quelle sistemiche globali. Come se il primo operasse
in scansioni che si succedono nel tempo, in diacronia, e il
secondo operasse in dimensione spaziale, in sincronia. Così
l'azione del vedere che "Antonio mangia la mela" é istantanea,
spaziale, e non c'è un prima e un dopo; ma l'azione del dire
che "Antonio mangia la mela" si svolge nella successione
temporale ed il soggetto, in tale caso, precede il verbo e
l'oggetto.
Il fatto, poi, che nella scuola, stante il fatto che
ciò che sappiamo oggi sull'apprendimento fino a qualche
decennio fa era ancora da scoprire, si privilegiasse il
pensiero sequenziale, magari non stimolando o a volte
castrando il pensiero sistemico, ovviamente è altro
discorso.
Si può, a latere, considerare che le sollecitazioni che
vengono ai nostri bambini – o meglio ai bambini delle società
ad alto sviluppo – dai mass media, dai videogame, dall'uso
abbastanza diffuso del computer domestico, li stimola a
muoversi in "ambienti" non sequenziali ed ipertestuali, più di
quanto non li stimoli la scuola, in cui tali "ambienti"
entrano con molta difficoltà. Chi non ricorda con quale
rapidità i bambini risolvevano qualche anno fa il problema
dato dal cubo di Rubik? Laddove noi adulti con il nostro
pensiero sequenziale non riuscivamo neanche a porci in modo
corretto di fronte alla complessità globale del
cubo!
Quando da certe parti, poi, si afferma che il cervello
sinistro è quello del linguaggio e della matematica, e che il
cervello destro è quello dell'arte e della creatività, in
effetti non si dice il vero, si volgarizza e si banalizza. Non
c'è artista, della tastiera o del pennello, della penna o
della danza, che non debba passare attraverso pazienti e
faticose "esercitazioni" di tipo sequenziale. Il corpo
calloso, che tiene insieme i due emisferi, in effetti coordina
meravigliosamente insieme l'operazione logica, grazie alla
quale diciamo che uno più uno fa due, e l'operazione illogica,
grazie alla quale possiamo anche dire che uno più uno fa tre,
o quattro, o... la prima cosa che "ci viene in
testa"!
Le ricadute che queste modalità diverse ed interrelate
di pensare ed apprendere hanno sui processi di insegnamento e
sui modi di organizzarli sono estremamente
interessanti.
Così, organizzare un'unità didattica – che potremmo
anche chiamare unità minima di apprendimento formalmente
organizzato – significa costruire una unità di apprendimento
di tipo sequenziale. Gli obiettivi, intesi come conoscenze,
competenze e capacità da acquisire da parte dell'allievo, si
succedono da quello tassonomicamente più semplice a quello più
complesso, i contenuti si succedono con il criterio della
propedeuticità. E' un modello di organizzazione di
apprendimento sequenziale. L'organizzazione di più unità
didattiche deve anch'essa corrispondere al criterio della
propedeuticità. Non si può "somministrare" agli allievi
l'unità numero due, se questi non hanno conseguito gli
obiettivi dell'unità numero uno, e così via.
Si tratta di un discorso ormai noto, che corrisponde a
quella che in didattica si chiama programmazione lineare, che
può riguardare certi tipi di discipline, certi percorsi, certi
allievi, e così via.
Ciò significa, in primo luogo, che, quando parliamo di
programmazione lineare, non dobbiamo intendere per esaurito il
discorso della programmazione, anche se – soprattutto quando
la programmazione venne ufficialmente adottata nella scuola
media – una interpretazione rigida, lineare, della
programmazione, spinse molti docenti a considerare che i
giochi ormai fossero fatti.
E significa, in seconda istanza, che occorre tenere
anche conto di una programmazione che potremmo chiamare
sistemica o modulare.
Ricorriamo a qualche esempio. Un adulto deve
trasferirsi nel Regno Unito e vuole necessariamente imparare
l'inglese. Le offerte sono molte e il nostro adulto sceglierà
quella scuola che dà garanzie di serietà, che lo impegnerà per
un certo periodo assicurandogli il raggiungimento di certi
obiettivi, con certi metodi e a certi costi. Un altro adulto
ha tempo libero, è un appassionato dell'aria aperta e vuole
imparare a librarsi con il deltaplano. Un giovane laureato in
medicina viene a sapere che gli specializzati in geriatria
sono molto pochi e che il mercato professionale in questo
settore tira.
Insomma, si tratta di offerte formative che il mercato
propone – a diverso titolo e con diverse forme di
istituzionalizzazione – indipendentemente da proposte
educative più complessive. Di fatto, si tratta di moduli
formativi, indipendenti tra di loro, a cui si può accedere
solo sulla base di determinati prerequisiti.
Il nostro adulto può scegliere indifferentemente di
imparare prima l'inglese, poi il deltaplano, poi di
specializzarsi in geriatria. Ma può anche invertire l'ordine
delle scelte. La struttura modulare è a rete e non
sequenziale. Ciò che conta perché il modulo si attivi, è la
scelta individuale, come abbiamo detto.
Ma il modulo dovrà al suo interno essere costruito,
programmato secondo certe unità didattiche, secondo una certa
sequenza. Tre scuole di inglese offriranno tre diversi moduli,
eventualmente tutti e tre con alti obiettivi di padronanza,
strutturati al loro interno con diverse sequenze didattiche,
ma tra di loro congruenti.
Al di là dell'esempio, potremmo dire allora che un
modulo è un'unità compiuta di contenuto, e che, come tale, è
indipendente da un altro modulo.
Se poi il taglio che diamo al modulo è di tipo
disciplinare, potremmo anche dire che un'unità compiuta di
contenuto per antonomasia è una intera disciplina. Viene con
sé che si può studiare il latino indipendentemente dal greco,
e viceversa, anche se ciò non toglie che, stando proprio
all'immagine sistemica cui più volte ci siamo richiamati, tra
le due discipline/modulo possono trovarsi tutte le possibili
relazioni.
Ma il taglio contenutistico può anche essere
pluridisciplinare (o inter- o transdisciplinare, a seconda
delle scelte che si possono fare quando si costruisce il
modulo), e avere per "oggetto" una realtà concreta, il mare,
un fiume, le vacanze, la città. Ed in tal caso, sarebbe
soltanto ozioso rimarcare quante discipline possono
convergere, laddove si voglia studiare un fiume (geografia,
storia, idraulica, biologia, letteratura, ecc.) o le vacanze
(dalle statistiche sul turismo alle Smanie per la
villeggiatura).
Abbiamo volutamente esagerato nella esemplificazione,
proprio per dimostrare come una ricerca modulare, da parte di
chi insegna, può ristrutturare completamente quel programma di
studio, di ispirazione ministeriale, cui da sempre siamo
portati a pensare.
Apparirà anche chiaro che, nella misura in cui
l'offerta formativa è rivolta ad un pubblico che abbia già
acquisito determinate competenze, la programmazione modulare
diventa pressoché un passaggio obbligato. Ed è per questo che
l'apprendimento modulare si pone in modo sempre più marcato
all'attenzione degli istituti superiori. E' in tale chiave che
andrebbero riletti e... riscritti gli stessi programmi
innovativi proposti, ad esempio, dalla Commissione Brocca.
Guai a leggere con un'ottica sequenziale contenuti che,
invece, vanno proposti ai nostri giovani con un'ottica
sistemica.
Nella misura in cui, invece, si tratti di un'offerta
educativa a tutto campo (intendendo per educazione il processo
globale di acculturazione od inculturazione alle conoscenze di
base ed ai valori condivisi della società democratica),
l'attenzione maggiore va data a strutture di tipo sequenziale,
proprio per la compattezza che certi contenuti hanno e sui
quali la scelta dovrebbe essere a tutto tondo. Ovviamente,
senza con questo togliere nulla alla creatività delle scuole e
degli insegnanti.
5. Struttura di un modulo