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L'Imperatrice Zoì
“Mi chiedi, Markos, di narrarti un apologo su una donna grande e famosa, esempio di ciò che non deve essere una donna secondo la nostra santa filosofia. Non c’è esempio più grande di quello di Zoì Dalasséna. Ella nacque a Delos nel terzo giorno del primo mese di primavera dell’anno 411 P.F. da una famiglia nobile dell’Impero. Trascorre l’infanzia e la prima adolescenza nelle belle tenute di suo padre sulle pendici del Massiccio di Elis, un luogo ove le stagioni scandiscono i ritmi della vita semplice, secondo natura, e dove l’operoso lavoro dei contadini significa secondo la materia l’incessante fatica del mondo e degli Dei secondo la forma. A 16 anni, nel 427, quando ormai è una bellissima ragazza bruna, dagli occhi vivaci e profondi, ritorna nella Capitale, dove era nata, e sconvolge d’un tratto i cuori di tutti i maggiorenti della Corte e dei giovani generali. Altro però meditava il grande Pyros nel suo inconoscibile consiglio. Su di lei posa gli occhi nientemeno che il piacente giovane appena proclamato Imperatore: Aléxios Komnìnos (colui che persino i Tarraconesi conoscono, con il nome di Alexander Halmaster), uno dei nostri più grandi sovrani e certo il più grande dalla caduta di Turn, che ancora veglia sulle nostre sorti infelici. Per dieci anni l’Imperatore Aléxios e la sua sposa ampliano e rafforzano le strutture dello Stato, donando ai sudditi pace e prosperità. Nel 435, come tu sai, il loro figlio Michaìl, l’erede al trono, il Porfirogénito, sposa la figlia del Granduca di Greyhaven. Nella primavera del 437 però un disgraziato incidente di caccia strappa la vita al giovane sovrano; a ricordarci che neanche i giusti, messi di Pyros, sono immuni alla morte. Il tredicenne Michaìl è proclamato Imperatore dal Senato, dal Patriarca e dal popolo, ma la reggenza è affidata a Zoì, all’Imperatrice. Già un anno dopo ella convola a nuove nozze con il fascinoso Stratego di Adàlia, Romanòs Pyroghénes, e in quello stesso inverno muore per gravissime febbri il piccolo Michaìl. Zoì convince il Senato a proclamare Imperatore il nuovo marito Romanòs ma veementi sono le proteste del Patriarca di Pyros di Delos Adamandios. L’Imperatrice lo fa destituire e fa nominare, soffre la mente a ricordare, il più arrendevole Eustatios. Romanòs Pyroghénes è il nuovo Imperatore. Il potere però è saldamente nelle mani di lei, che governa tramite gli Incantatori Bòrilos e Ghermanòs, ministri dell’Imperatore. Di questi uomini è inutile che ti parli, perché il loro carattere è ben descritto nelle Storie del nostro Zonàras. Nel 443 però scoppia la guerra con il nuovo feroce popolo degli Abbuliti, convertiti alla falsa religione di Zedghast, ma anche usurpatori di molte terre dell’Emiro. Essi dilagano nella parte orientale dell’Impero fino alle sponde dell’Histron. Qui Romanòs respinge la cavalleria del Sultano, ma cade egli stesso nello scontro. Tu sai dei grandi prodigi che si avverarono in quella battaglia. Mentre le trattative di pace venivano portate avanti saggiamente, e fedelmente, da Niképhoros Briennios, il Duca di Dyrrachion, l’Imperatrice Zoì fa allontanare lestamente Bòrilos e Ghermanòs e sposa il Protospatario Grigòrios Pakurianòs, elevandolo al soglio imperiale nel 444 P.F.. Se non sai del regno di Pakurianòs, ti dirò in breve che il suo governo si mostrò decadente e dissoluto, quando meno poteva essere tollerabile per il nostro popolo. Nel 449 P.F. Zoì fa accecare il marito, lo fa rinchiudere in un monastero e si fa proclamare unica Imperatrice dal Senato, un Senato, bada bene, minacciato dalle alabarde dei Varanghi della Guardia Imperiale, e infine dal Patriarca Eustatios. Nel 452 però la Chiesa di Maers e quella di Pyros, insofferenti per l’arrendevolezza del Patriarca, premono per la convocazione di un Sinodo; la Chiesa di Pyros scongiura il gravissimo rischio, che pure corremmo, di una sconfessione del proprio Patriarca da parte delle altre Chiese e depone Eustatios, sostituendolo con l’irreprensibile Michaìl Ephesìnos. C’erano, è vero, ancora uomini santi in quei tristi tempi. A questo punto Zoì, l’unica Imperatrice, comprende che la situazione non è più sostenibile e si affretta a sposare e a far assurgere al trono Andronìkos II Katakalòn: la ribellione scoppia in tutto l’Impero. Come gli Dei si fossero adirati finalmente e fossero scesi sulla terra assumendo umane sembianze, ecco da occidente scende in campo Niképhoros Briennios, l’autore della pace con il Sultano, e mi parve Dytros l’Invitto, dal mare Nikétas Melixénos, lo Stratego di Rhodos e Drungarios della Flotta, furioso e impetuoso come Maers, da settentrione Ghiannis Dunchas, il Prostàte dei Confini, con le schiere dei Nani e la fanteria pesante degli akrìtai; in lui riluceva, non mi vergogno a dirlo, la luce rossa e furente di Pyros. Mentre Niképhoros Briennios sconfigge sul campo le truppe del Katakalòn, come poteva essere altrimenti?, e quest’ultimo è costretto a rifugiarsi nella Capitale, la Capitale stessa è poco dopo presa d’assedio dall’esercito del Dunchas da terra e dalla flotta del Melixénos dal mare. Zoì, la nostra donna, riesce allora a fuggire attraverso un pertugio delle mura, travestita da mendicante, e si rifugia nei recessi dell’Impero, ai suoi punitori nascosta, per sempre. Questo vollero gli Dei nella loro infinita prescienza. Ghiannis Dunchas penetra in Delos, è proclamato Imperatore dal Senato e dal Patriarca Michaìl Ephesìnos, è acclamato dal popolo. Nikétas Melixénos gli giura fedeltà e poco dopo anche Niképhoros Briennios. Correva l’anno 454 P. F.. Come tu hai potuto vedere nulla io ho aggiunto del mio giudizio su questa donna, la vita di lei come in una pagina di Zonàras così tutta ti si squaderna; nulla aggiunsi di falso, tutto ciò che mi era noto io scrissi. Sul suo destino, sulla giustizia del Dio, sul perché fu donata, come bellissimo infausto monile, ai Troni di Dagor e di Iudianos, interrogarsi non è lecito, mio Markos. A noi resta sancire che cosa debba essere e come debba comportarsi una donna dotata di ragione, secondo giustizia e secondo natura, e vedere a quale funereo e doloroso disordine conducano gli eccessi, manifestati in tanto fragile sesso e tanto potente!”
(Dalla Quarta Lettera sull’Etica di Petros Monoblépes, monaco di Pyros, composta nell’anno 498 P.F.)
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