la Locanda 'il Gallo d'Oro' di Vintenberg


Mastro Barahir

mi chiamo Barahir, faccio botti



Mastro Barahir è un nano gaudente.
Da quando ha abbandonato le sue terre, molti anni or sono, per ragioni che solo lui e il suo compagno Balan conoscono, ha lavorato a lungo come cuoco, come aiutante birraio, come carpentiere, per poi diventare un mastro bottaio noto e apprezzato.
Pacifico e sereno, e di buon carattere, vive in una casetta sopra alla sua bottega di bottaio a Tiler, assieme Balan, suo grande amico e compagno di infanzia.
Il rispetto che Mastro Barahir si e’ conquistato tra i suoi vicini in diversi anni di tranquilla vita cittadina ha superato di gran lunga l’istintivo sospetto che la sua razza desta normalmente tra genti non abituate alla compagnia di un nano. Ha molti amici e fedeli clienti.
Mastro Barahir e’ infatti un nano molto rispettabile, pacato e assai riservato, cordiale con tutti quando si tratta di abbuffarsi di goloserie di ogni sorta, e ben schivo nel narrare ad altri del proprio passato.
Lui stesso non ripensa con piacere, essendo di natura poco incline alla nostalgia, alla sua vita trascorsa, e non si sofferma quasi mai a ripercorrere con la memoria il lungo viaggio che lo portò via dal suo villaggio, assieme al fido compagno Balan, fino alle lontane terre del Granducato.
Cio’ che adesso interessa Barahir e’ di poter costruire botti sempre piu’ belle e stagionate, di abbellire di insegne intagliate l’accesso della sua bottega, di scoprire nuove e piu’ ghiotte ricette da cucinare per la gioia del palato proprio e altrui.
Nulla potrebbe distogliere Mastro Barahir dalla felice conduzione della propria bottega, tranne un suo vizio, un tarlo che da generazioni si tramanda nella sua famiglia: la curiosita’.
Come lui stesso racconta, se qualche boccale di buona birra ammorbidisce il suo riserbo, il ramo materno della sua famiglia e’ sempre stato curioso e ficcanaso. Un po’ svitato.
Suo trisnonno materno Daiur, pregevole inventore, dopo avere elaborato un sistema innovativo per scavare nella roccia utilizzando una grossa vite come ariete girevole, era morto in una esplosione causata dal suo tentativo di utilizzare il gas sotterraneo come fonte di illuminazione.
Sua bisnonna, la vecchia Ugola, grande sarta ed egregia ricamatrice, aveva terminato i suoi giorni sbranata da un orso, dopo esserglisi avvicinata incautamente per prendere le sue misure per un cappotto di pelliccia.
Il nonno Restur il Calvo, combattente nell’esercito del villaggio, era invece morto sfracellandosi contro una torre, dopo essersi fatto catapultare oltre le linee nemiche, in un tentativo da lui stesso escogitato di vincere un assedio.
Infine sua mamma, la bella Marilla, aveva incontrato una prematura morte, assieme a suo marito e ad un suo figlio neonato, in un incendio propagatosi dal forno, da lei accuratamente modificato per ottenere temperature molto elevate, sotto vuoto, tali da cuocere rapidamente e in modo pregiato i cibi, in particolare le verdure.
Con la risata fragorosa e il boccale levato, talvolta Barahir scommette che anche la sua fine sara’ causata, un giorno, dalla sua curiosita’. E che contro la memoria del sangue non si puo’ nulla.
Non che sia superstizioso, Mastro Barahir, anzi e’ assai scettico su qualsiasi cosa non sia composta da viti e bulloni, non sia scolpita nella pietra o intagliata nel legno.
A parte un vago senso religioso ereditato dal suo passato al villaggio, e un rispetto personale nei confronti di Ilmarien ( un dio-collega ), Barahir non ha interesse negli affari della religione.
Tanto meno si interessa di magia, essendo convinto che ogni cosi’ detto incantesimo possa avere una sua spiegazione naturale, sia pure difficile da studiare.
Tra l’altro non e’ che lo studio di simili "magie" lo appassioni piu’ di tanto. Il piu’ delle volte, e di questo Barahir ne e’ fermamente convinto, si tratta di illusioni, di giochi di prestigio. E nulla di interessante sul piano pratico.
Accanto al suo amore per la buona tavola e per la birra pregiata, Mastro Barahir si diletta di suonare la sua tromba, uno strumento musicale simile alla zampogna da lui stesso costruito.
L’unico suo rimpianto e’ di non essere un bravo ballerino, e per questo si limita a suonare mentre i suoi compagni danzano e si divertono.
Di tanto in tanto, quando se ne presenta l’occasione, Mastro Barahir si allontana dalla sua bottega per qualche settimana, accompagnandosi a viaggiatori occasionali che gli propongono interessanti girate. Lascia la direzione della bottega al fido Balan, e con la sicura scorta di una solida ascia bipenne, Mastro Barahir se ne va all’avventura.
Ogni volta torna con qualcosa di interessante.
Utensili dall’uso sconosciuto, ricette di cucina o nuovi aromi da aggiungere alla gia’ ottima sua birra. Rare volte qualcosa di valore, e sempre nuove storie da raccontare la sera in locanda ai compagni di banchetti e bevute.
Non e’ la ricchezza ad interessare Barahir, quanto la possibilita’ di sfogare, sia pure saltuariamente, la propria innata curiosita’.
Per poi tornare, serenamente, alla propria bella bottega.