LAVORO
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Il part-time

Fin dall'inizio (1984) il part-time è stato visto come uno strumento utile per l'aumento dell'occupazione: con la Legge 863/84, infatti, il part-time veniva introdotto come una delle "misure urgenti a sostegno e incremento dei livelli occupazionali".

Oggi, abbiamo una nuova disciplina per il part-time: il Decreto legislativo n.61/2000 più flessibile rispetto alla citata legge dell'84; tale D.Lgs permette: - di applicare orari più elastici se il lavoratore dà il suo consenso scritto - di chiedere lavoro supplementare rispetto all'orario stabilito (straordinario)

In dottrina e in giurisprudenza si è consolidato l'orientamento per cui lavoro a tempo pieno e lavoro a tempo parziale hanno in comune la stessa causa giuridica, differenziandosi soltanto per la riduzione quantitativa della prestazione lavorativa e della correlativa retribuzione, di conseguenza si è ritenuto che al part-time fossero applicabili le disposizioni legislative e contrattuali dettate per il lavoro a tempo pieno, sia pure riproporzionate, ove necessario, alla minore durata dell'attività lavorativa. Per quanto riguarda la retribuzione, il D.Lgs.n.61/2000 ha sancito "il principio della non discriminazione nei confronti del lavoratore a tempo parziale", e all'art.4 troviamo "il diritto alla parità di retribuzione oraria rispetto al lavoratore a tempo pieno".

Nel lavoro part-time alla riduzione dell'entità della prestazione corrisponde una proporzionale riduzione della retribuzione. Tale riduzione non entra in contrasto con i principi l'art.36 Cost. perché "la sufficienza deve essere proporzionale al minor lavoro prestato, per cui la valutazione va operata in linea teorica con riferimento non agli importi corrisposti ma a quelli che sarebbero stati corrisposti ove il dipendente avesse lavorato a tempo pieno".

È impensabile che il datore di lavoro deve garantire integralmente la copertura retributiva anche in presenza di una significativa riduzione della prestazione.

Le maggiori difficoltà hanno riguardato l'individuazione delle voci della retribuzione suscettibili di riproporzionamento. La regola generale è che sono riproporzionabili tutte quelle voci riconducibili alla durata della prestazione lavorativa ed aventi un'effettiva natura retributiva, ossia oltre alla paga base e alla contingenza, le mensilità aggiuntive, i superminimi, gli scatti d'anzianità, nonché alcune indennità, come quella di presenza. Dovrebbero, invece, essere corrisposte per intero le indennità di trasporto, di trasferta e di mensa, cioè quei compensi che non siano riconducibili alla durata della prestazione o che abbiano natura di rimborso spese.

La maggiore produzione giurisprudenziale si riscontra in materia di scatti di anzianità, però, l'orientamento prevalente dichiara la legittimità della riduzione proporzionale degli scatti. Per quanto riguarda l'applicazione degli istituti normativi nel part-time, la giurisprudenza, in materia di contingenza, regolata dalle Leggi n.38/86 e n.191/90 è orientata per la legittimità della riduzione in misura proporzionale, ritenendola un elemento della retribuzione complessiva. Per l'indennità di maternità, prevista dall'art. 17 della legge n.1204/71 la giurisprudenza, meno recente, limitava il diritto della lavoratrice occupata con rapporto di lavoro a tempo parziale annuo.
Tale interpretazione restrittiva non è stata condivisa dalla giurisprudenza che ha ritenuto di dover sollevare la questione di legittimità costituzionale della normativa citata, che poi è stata dichiarata illegittima dalla giurisprudenza costituzionale con il conseguente riconoscimento del diritto della lavoratrice, occupata a tempo parziale annuo, alla detta indennità, ancorché assente e non retribuita nei periodi dell'anno per i quali il contratto no prevedeva lo svolgimento di attività lavorativa.

Il criterio di riproporzionamento è stato accolto dalla giurisprudenza anche in materia di permessi retribuiti per i lavoratori studenti, di cui all'art. 10, legge n.300/70.

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