LAVORO
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I contratti d'area

La programmazione negoziata - riconosciuta giuridicamente dalla legge 104 del 1995 e successivamente ridefinita dall'art. 2 della legge 662 del 24 settembre 1996 - ha introdotto un nuovo punto di vista nella pianificazione delle politiche di sviluppo, in primo luogo nelle aree depresse, focalizzando l'attenzione sul territorio e sulle sue reali necessità e potenzialità.

Partendo, infatti, da una ricognizione delle esigenze presenti e delle risorse disponibili, la formula mira a definire un quadro organico degli interventi da realizzare nelle specifiche realtà territoriali, utilizzando una pluralità di strumenti, che - sia pure diversi per obiettivi e modalità d'attuazione - hanno per comune denominatore il collegamento funzionale tra le competenze di ciascuno degli attori dello sviluppo: Amministrazioni pubbliche (centrali e locali), mondo imprenditoriale, forze sociali, sistema finanziario, ecc..

In particolare, così come individuata dalla richiamata legge 662/96, la programmazione negoziata - applicabile in sostanza su tutto il territorio nazionale - è il momento istituzionale di raccordo tra amministrazione centrale e regionale in tema di programmazione strategica dello sviluppo territoriale. Con l'intesa istituzionale di programma, infatti, "sono stabiliti congiuntamente tra il Governo e la giunta di ciascuna Regione o Provincia gli obiettivi da conseguire […] essa rappresenta l'ordinaria modalità di rapporto tra Governo nazionale e giunta di ciascuna Regione o Provincia autonoma per favorire lo sviluppo […]" (art.2 della legge 662/96).

L'intesa va considerata come il cardine della programmazione regionale. Fornisce, infatti, il quadro programmatico di riferimento per le politiche di sviluppo nell'ambito dei rapporti tra Governo e Regione.
In particolare, l'intesa deve contenere:
- i programmi di intervento nei settori di interesse comune e i relativi schemi di accordi di programma quadro attuativi;

- le fonti di finanziamento attivabili, individuate grazie ad una ricognizione, effettuata d'intesa con il Ministero del bilancio, delle risorse disponibili, private e pubbliche;

- le modalità di verifica e di aggiornamento degli obiettivi generali e dei singoli strumenti attuativi, prevedendo la costituzione di un Comitato paritetico di attuazione, in cui sono presenti i rappresentanti delle Amministrazioni interessate e di un Comitato di gestione, composto dai rappresentanti del Governo e della giunta regionale o provinciale.

Prima della sottoscrizione, l'intesa deve essere approvata dal CIPE, che acquisisce il parere della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Provincie autonome.

Con l'accordo di programma quadro viene, invece, predisposto, in attuazione dell'intesa istituzionale di programma, il progetto esecutivo degli interventi da svolgere. L'accordo deve prevedere:
le attività e gli interventi da realizzare, con i relativi percorsi attuativi e con i tempi ridotti per gli adempimenti procedimentali;
i soggetti responsabili dell'attuazione per le diverse tipologie di intervento;
le procedure e i soggetti responsabili per il monitoraggio e la verifica dei risultati.

Intesa e relativo accordo di programma rappresentano dunque il quadro di riferimento programmatico in cui trovano naturale collocazione tutte le altre forme negoziali: contratto di programma, contratto d'area, patti territoriali.

L'innovazione di maggiore interesse introdotta dalla normativa consiste nell'aver delineato un modello di programmazione territoriale che disegna un quadro organico del processo di sviluppo da innescare e ciò consente, tra l'altro, di "migliorare il grado di utilizzo delle risorse disponibili razionalizzando nel contempo il complesso dei progetti di sviluppo sul territorio, che a volte si evolvono in maniera disomogenea". Lasciando da parte i patti territoriali e gli accordi di programma, nel resto del paragrafo concentrerò la mia attenzione sui contratti d'area. Tale strumento, introdotto "per mobilitare tutte le energie disponibili con incentivi, procedure e strumenti anche extra ordinari", è stato individuato dall'Accordo per il lavoro del 1996, che ne ha riconosciuto, insieme ai patti territoriali, le potenzialità in termini di creazione dei posti di lavoro, è diventato giuridicamente operante con la legge 662/96 ed è stato successivamente regolamentato dalla delibera del CIPE del 21 Marzo del 1997. Uno degli obiettivi individuati dai sottoscrittori dell'Accordo del 1996 era quello del rilancio produttivo, e quindi anche occupazionale, delle aree industriali depresse o in crisi del Paese e lo strumento da attivare a tal fine avrebbe dovuto essere quello di un contratto d'area da stipularsi d'intesa tra tutti i soggetti coinvolti nell'azione di rilancio produttivo delle singole aree, come le amministrazioni centrali e locali, le organizzazioni sindacali di categoria, gli imprenditori privati ed altri. Con l'impegno negoziale, le parti avrebbero dovuto indicare le linee guida degli interventi per il rilancio dell'area e gli impegni politici o imprenditoriali che ciascuno dei soggetti firmatari sarebbe stato tenuto a rispettare. All'interno del contratto d'area, le obbligazioni dei contraenti avrebbero poi dato vita a due documenti distinti a seconda della natura degli stessi soggetti coinvolti: tra le amministrazioni pubbliche, gli enti pubblici e le società a partecipazione pubblica, sarebbe intervenuto infatti un accordo di programma quadro, mentre le parti sociali dal canto loro avrebbero stipulato un'intesa. Con l'accordo di programma si sarebbero considerati conclusi ed efficaci tutti gli atti autorizzatori di variazione degli strumenti urbanistici ( ad esempio i piani regolatori ) e di valutazione di impatto ambientale funzionali di sviluppo, anche se adottati in deroga alla normativa amministrativa e contabile vigente. Allo stesso modo, l'Accordo aveva previsto che il regime di controlli si spostasse nella fase successiva all'esecuzione degli atti, allo scopo di verificare esclusivamente la loro congruità con il perseguimento degli obiettivi, degli interventi e degli investimenti previsti nel contratto d'area. Per quanto riguarda le fonti di finanziamento per la copertura degli investimenti programmati, avrebbero dovuto essere rinvenute, oltreché nelle risorse dei privati interessati, nei fondi previsti dalla legislazione ordinaria, la cui erogazione sarebbe stata accelerata mediante una deroga alle graduatorie nazionali e attraverso un meccanismo di anticipazione dei contributi previsti dagli strumenti agevolativi vigenti da parte della Cassa depositi e prestiti. L'intesa tra le parti sociali avrebbe invece dovuto prefiggersi l'obiettivo di concorrere a determinare condizioni vantaggiose per l'attuazione di nuovi investimenti, o ampliamenti di attività produttive esistenti, e di massimizzare gli effetti sull'occupazione. Importanti incentivi allo sviluppo di tale contratto sarebbero venuti dall'impegno che il Governo aveva assunto di stipulare un'intesa con il sistema bancario, grazie alla quale il costo del denaro nelle aree individuate si sarebbe attestato su un livello tale da non scoraggiare gli investimenti produttivi. La trasposizione normativa degli impegni assunti con l'Accordo per il lavoro del 1996 si è avuta con la legge n. 662 del 1996, la quale, peraltro, è stata oggetto di numerose critiche. Secondo il Genovese, "il contratto d'area è stato irregimentato in una disciplina che ne appesantisce, almeno sulla carta, le reali possibilità applicative", i passaggi, infatti, previsti dalla legge per la realizzazione delle azioni finalizzate ad accelerare lo sviluppo e la creazione di nuova occupazione in territori circoscritti sono tanti, molti dei quali dall'esito reso incerto per la presenza di variabili politiche. In una fase preliminare il CIPE, consulta "la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato e le Regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano" e "sentite le Commissioni parlamentari competenti", delibera le modalità di approvazione dei contratti d'area. di seguito, il Presidente del Consiglio indica, su proposta del Ministro del Bilancio, le aree di crisi entro cui attivare il contratto, tale indicazione, però, per essere operante deve attendere il parere vincolante delle Commissioni parlamentari competenti che si pronunciano entro 15 giorni dalla richiesta. La legge ha comunque indicato una serie di aree di sicura applicazione al di là delle indicazioni del Presidente del Consiglio e sono le aree di sviluppo industriale e dei nuclei di industrializzazione situati nelle regioni del Mezzogiorno e le aree individuate dalla Basilicata e dalla Campania durante la fase di ricostruzione immediatamente successiva al terremoto del 1980. Come si vede "alla flessibilità insita nel meccanismo di designazione ad hoc delle aree da parte del Presidente del Consiglio si è contrapposta immediatamente una rigidità con il meccanismo correttivo della preventiva elencazione ex lege". Una volta individuata l'area, il CIPE deve nuovamente pronunciarsi per stabilire quanta parte delle risorse finanziarie stanziate per lo sviluppo delle aree depresse vada destinata al singolo contratto, attivando a tal fine un meccanismo di triangolazione con la Cassa Depositi e Prestiti, cui le somme vanno trasferite perché provveda dal canto suo ai pagamenti in favore dei beneficiari. A questo punto del procedimento, le parti possono stipulare il contratto d'area, assumendo ognuna gli impegni, gli obblighi e responsabilità che da questo derivano. Anche in questa fase, però, la legge ha introdotto delle rigidità che hanno inciso sulla flessibilità originaria: le amministrazioni potranno, infatti, nell'ambito degli impegni assunti con la procedura dell'accordo di programma, si derogare alle norme ordinarie di amministrazione e contabilità, ma non potranno venire meno al rispetto della normativa comunitaria in materia di appalti e di ambiente ed alle esigenze di concorrenzialità e trasparenza; le parti sociali, dal canto loro, potranno si compiere accordi sindacali, ma non potranno in alcun modo toccare i minimi salariali nazionali. Anche il Lambertucci concorda sul fatto che "la norma del 1996 ha ingessato il contratto d'area all'interno di un iter procedurale che ne ritarderà di molto la tempestività di intervento a vantaggio del patto territoriale che, essendo regolato solo con riferimento all'obiettivo perseguito, potrà svolgere un ruolo più incisivo sullo sviluppo occupazionale del territorio". Lo stesso autore rileva come, mentre nell'Accordo del 1996 il contratto d'area si componeva di un accordo di programma quadro e di un accordo tra le parti sociali, la legge n. 626 abbia, invece, posto il contratto d'area come uno strumento a sé stante rispetto all'accordo di programma quadro. La legge ha, infatti, prefigurato come punto di riferimento generale l'intesa istituzionale di programma e da questa possono scaturire o l'accordo di programma o il patto territoriale o il contratto di programma o il contratto d'area. Le maggiori perplessità riguardano, però, quella disposizione della legge che ha imposto che "anche nell'ambito dei contratti d'area dovranno essere garantiti ai lavoratori i trattamenti retributivi previsti dall'art. 6, comma 9, lett. c., del d.l. 9 ottobre 1989, n.338", cioè i trattamenti stabiliti dai contratti collettivi nazionali, che tale legge fissava come base di calcolo ai soli fini della concessione di sgravi contributivi e di fiscalizzazione degli oneri fiscali. Tale previsione suscita diversi dubbi sia dal punto di vista della legittimità costituzionale, sia dal punto di vista della razionalità della scelta operata. Per quanto riguarda il primo profilo, la norma in esame viola l'art. 39 della Costituzione in quanto limita la libera esplicazione dell'autonomia sindacale, che, in sede di autonomo apprezzamento degli interessi collettivi, è sovrana nella disciplina del trattamento economico spettante ai lavoratori. Se poi si considera che il contratto d'area potrebbe riguardare soggetti che non sono direttamente vincolanti all'applicazione dei contratti collettivi, non essendo iscritti alle associazioni sindacali, e che, quindi, verrebbe estesa erga omnes la loro efficacia, le perplessità si fanno ancora più consistenti. Tale impostazione contrasta anche con l'indirizzo giurisprudenziale, che, "riconoscendo ai contratti decentrati (aziendali, provinciali, regionali) natura e dignità di veri e propri contratti collettivi e ritenendo inapplicabile l'art. 2077 c.c. ai contratti collettivi di diverso livello, ha abbandonato ogni criterio di gerarchia tra le fonti collettive ed ha ammesso, sia pure nel rispetto dell'art. 36, la validità di clausole peggiorative rispetto alla regolamentazione di ambito territoriale più vasto". La Cassazione ha, infatti, stabilito, che in termini generali non può ritenersi inadeguata una determinata retribuzione solo perché inferiore a quella prevista dal contratto collettivi di riferimento e, più specificatamente, che i contratti collettivi aziendali possono derogare in peius quelli nazionali. In sostanza vietare alle parti sociali di modificare i trattamenti retributivi dalle stesse definiti, non solo viola l'art. 39 della Costituzione e non garantisce la retribuzione sufficiente, ma contrasta anche con lo sviluppo delle politiche occupazionali che è la finalità prima dei contratti d'area e che il legislatore deve perseguire in base all'art. 4 della Costituzione. Dal punto di vista della razionalità, meraviglia come il rispetto dei trattamenti economici assicurati dal contratto collettivi nazionale non venga richiesto per i patti territoriali, rispetto ai quali. Pertanto, lo strumento del contratto d'area risulta sicuramente depotenziato. Ancora più sorprendente è, poi, il contrasto con l'art. 5 della legge n. 608 del 1996, che, in materia di contratti di riallineamento, autorizza la stipulazione di accordi salariali al di sotto dei minimi retributivi previsti dalla contrattazione di categoria; tale norma ha per di più un ambito territoriale di applicazione che può coincidere con quello proprio del contratto d'area.

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