LA LIETA NOTIZIA SUL LAVORO UMANO

 

“Gen 1 26Dio disse: «Facciamo l’uomo a nostra immagine, secondo la nostra somi-glianza: dòmini sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo, sul bestiame, su tutti gli animali selvatici e su tutti i rettili che strisciano sulla terra». 27E Dio creò l’uomo a sua immagine; a immagine di Dio lo creò: maschio e femmina li creò. 28Dio li benedisse e Dio disse loro: «Siate fecondi e moltiplicatevi, riempite la terra e soggiogatela, dominate sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo e su ogni essere vivente che striscia sulla terra». 29Dio disse: «Ecco, io vi do ogni erba che produce seme e che è su tutta la terra, e ogni albero fruttifero che produce seme: saranno il vostro cibo. 30A tutti gli animali selvatici, a tutti gli uccelli del cielo e a tutti gli esseri che strisciano sulla terra e nei quali è alito di vita, io do in cibo ogni erba verde». E così avvenne. 31Dio vide quanto aveva fatto, ed ecco, era cosa molto buona. E fu sera e fu mattina: sesto giorno. Gen 2 1Così furono portati a compimento il cielo e la terra e tutte le loro schiere. 2Dio, nel settimo giorno, portò a compimento il lavoro che aveva fatto e cessò nel settimo giorno da ogni suo lavoro che aveva fatto. 3Dio benedisse il settimo giorno e lo consacrò, perché in esso aveva cessato da ogni lavoro che egli aveva fatto creando. 4Queste sono le origini del cielo e della terra, quando vennero creati.”

“Questo dominio non si realizza in un ozioso porsi davanti al mondo, bensì in quella cura di esso che è il lavoro. Il primo sguardo che il testo biblico offre sul lavoro è certamente positivo, perché collegato all’idea di una destinazione, di una vocazione che Dio ha conferito all’uomo. Il lavoro è vocazione che Dio rivolge all’uomo come creatura oggetto della sua speciale attenzione e cura. Questo senso positivo del lavoro viene poi ripreso anche dal Nuovo Testamento. Gesù stesso è stato per lunghi anni un lavoratore, e ha svolto il medesimo mestiere del padre legale, Giuseppe. E la considerazione positiva del lavoro attraversa l’intero epistolario paolino, per cui l’apostolo presenta se stesso come uno che provvede alle proprie necessità con il lavoro delle proprie mani. Inoltre raccomanda uno stile laborioso ai cristiani delle comunità da lui fondate, perché in tal modo potranno condurre una vita buona, ordinata, e avranno anche la possibilità di soccorrere le persone nel bisogno. La lieta notizia del lavoro non rende ingenuo il pensiero biblico, il quale è ben consapevole che il lavoro è spesso fatica, sfruttamento, delusione. Infatti l’uomo è fragile, le sue realizzazioni sono precarie e la sua libertà è segnata dal fallimento del peccato. Lieta notizia sul lavoro significa non rassegnarsi ad una visione in cui esso è mera necessità, è duro retaggio della vita, perché questo sarebbe come ritornare nel pensiero antico, che disprezzava il lavoro, specie quello manuale. Lieta notizia sul lavoro significa scoprirvi la possibilità di santificazione personale e di edificazione della comunità, nonché di rendere il mondo davvero abitabile e ospitale.”[1]

 

IL VALORE SOGGETTIVO DEL LAVORO

 

“L'uomo deve soggiogare la terra, la deve dominare, perché come «immagine di Dio» è una persona, cioè un essere soggettivo capace di agire in modo programmato e razionale, capace di decidere di sé e tendente a realizzare se stesso. Come persona, l'uomo è quindi soggetto del lavoro. Come persona egli lavora, compie varie azioni appartenenti al processo del lavoro; esse, indipendentemente dal loro contenuto oggettivo, devono servire tutte alla realizzazione della sua umanità, al compimento della vocazione ad essere persona, che gli è propria a motivo della stessa umanità………..Il primo fondamento del valore del lavoro è l'uomo stesso, il suo soggetto. A ciò si collega subito una conclusione molto importante di natura etica: per quanto sia una verità che l'uomo è destinato ed è chiamato al lavoro, però prima di tutto il lavoro è «per l'uomo», e non l'uomo «per il lavoro». Con questa conclusione si arriva giustamente a riconoscere la preminenza del significato soggettivo del lavoro su quello oggettivo. Dato questo modo di intendere, e supponendo che vari lavori compiuti dagli uomini possano avere un maggiore o minore valore oggettivo, cerchiamo tuttavia di porre in evidenza che ognuno di essi si misura soprattutto con il metro della dignità del soggetto stesso del lavoro, cioè della persona, dell'uomo che lo compie. A sua volta: indipendentemente dal lavoro che ogni uomo compie, e supponendo che esso costituisca uno scopo - alle volte molto impegnativo - del suo operare, questo scopo non possiede un significato definitivo per se stesso. Difatti, in ultima analisi, lo scopo del lavoro, di qualunque lavoro eseguito dall'uomo - fosse pure il lavoro più «di servizio», più monotono, nella scala del comune modo di valutazione, addirittura più emarginante - rimane sempre l'uomo stesso.”[2]

“Il pericolo di trattare il lavoro come una «merce sui generis», o come una anonima «forza» necessaria alla produzione (si parla addirittura di «forza-lavoro»), esiste sempre, e specialmente qualora tutta la visuale della problematica economica sia caratterizzata dalle premesse dell'economismo materialistico.”[3]

“Il lavoro è un bene dell'uomo - è un bene della sua umanità -, perché mediante il lavoro l'uomo non solo trasforma la natura adattandola alle proprie necessità, ma anche realizza se stesso come uomo ed anzi, in un certo senso, «diventa più uomo»”[4]

“La chiesa da sempre sostiene una linea di decisa convinzione del primato della persona sulle cose, del lavoro dell'uomo sul capitale come insieme dei mezzi di produzione.”[5]

 

DIRITTI DEGLI UOMINI DEL LAVORO

 

“Il problema-chiave dell'etica sociale, in questo caso, è quello della giusta remunerazione per il lavoro che viene eseguito. La remunerazione del lavoro, rimane una via concreta, attraverso la quale la stragrande maggioranza degli uomini può accedere a quei beni che sono destinati all'uso comune: sia beni della natura, sia quelli che sono frutto della produzione. Gli uni e gli altri diventano accessibili all'uomo del lavoro grazie al salario, che egli riceve come remunerazione per il suo lavoro. Di qui, proprio il giusto salario diventa in ogni caso la concreta verifica della giustizia di tutto il sistema socio-economico e, ad ogni modo, del suo giusto funzionamento.

Occorre organizzare e adattare tutto il processo lavorativo in modo che vengano rispettate le esigenze della persona e le sue forme di vita, compreso il diritto al riposo…il diritto ad ambienti di lavoro ed a processi produttivi, che non rechino pregiudizio alla sanità fisica dei lavoratori e non  ledano la loro integrità morale”[6]…a organizzarsi in sindacati che si adoperano per il “giusto bene”[7]

 “Sembra che, tanto a livello delle singole Nazioni quanto a quello dei rapporti internazionali, il libero mercato sia lo strumento più efficace per collocare le risorse e rispondere efficacemente ai bisogni. Ciò, tuttavia, vale solo per quei bisogni che sono «solvibili», che dispongono di un potere d'acquisto, e per quelle risorse che sono «vendibili», in grado di ottenere un prezzo adeguato. Ma esistono numerosi bisogni umani che non hanno accesso al mercato. È stretto dovere di giustizia e di verità impedire che i bisogni umani fondamentali rimangano insoddisfatti e che gli uomini che ne sono oppressi periscano. È, inoltre, necessario che questi uomini bisognosi siano aiutati ad acquisire le conoscenze, ad entrare nel circolo delle interconnessioni, a sviluppare le loro attitudini per valorizzare al meglio capacità e risorse. Prima ancora della logica dello scambio degli equivalenti e delle forme di giustizia, che le son proprie, esiste un qualcosa che è dovuto all'uomo perché è uomo, in forza della sua eminente dignità. Questo qualcosa dovuto comporta inseparabilmente la possibilità di sopravvivere e di dare un contributo attivo al bene comune dell'umanità. Nei contesti di Terzo Mondo conservano la loro validità (in certi casi è ancora un traguardo da raggiungere) proprio quegli obiettivi indicati dalla Rerum novarum, per evitare la riduzione del lavoro dell'uomo e dell'uomo stesso al livello di una semplice merce: il salario sufficiente per la vita della famiglia; le assicurazioni sociali per la vecchiaia e la disoccupazione; la tutela adeguata delle condizioni di lavoro.”[8]

LO SVILUPPO UMANO

 

La dignità della persona e le esigenze della giustizia richiedono che, soprattutto oggi, le scelte economiche non facciano aumentare in modo eccessivo e moralmente inaccettabile le differenze di ricchezza [83] e che si continui a perseguire quale priorità l'obiettivo dell'accesso al lavoro o del suo mantenimento, per tutti. A ben vedere, ciò è esigito anche dalla « ragione economica ». L'aumento sistemico delle ineguaglianze tra gruppi sociali all'interno di un medesimo Paese e tra le popolazioni dei vari Paesi, ossia l'aumento massiccio della povertà in senso relativo, non solamente tende a erodere la coesione sociale, e per questa via mette a rischio la democrazia, ma ha anche un impatto negativo sul piano economico, attraverso la progressiva erosione del « capitale sociale », ossia di quell'insieme di relazioni di fiducia, di affidabilità, di rispetto delle regole, indispensabili ad ogni convivenza civile.[9] L'abbassamento del livello di tutela dei diritti dei lavoratori o la rinuncia a meccanismi di ridistribuzione del reddito per far acquisire al Paese maggiore competitività internazionale impediscono l'affermarsi di uno sviluppo di lunga durata. Vanno, allora, attentamente valutate le conseguenze sulle persone delle tendenze attuali verso un'economia del breve, talvolta brevissimo termine. Ciò richiede una nuova e approfondita riflessione sul senso dell'economia e dei suoi fini  [84], nonché una revisione profonda e lungimirante del modello di sviluppo, per correggerne le disfunzioni e le distorsioni. Lo esige, in realtà, lo stato di salute ecologica del pianeta; soprattutto lo richiede la crisi culturale e morale dell'uomo, i cui sintomi da tempo sono evidenti in ogni parte del mondo. [10]

Il mercato è soggetto ai principi della cosiddetta giustizia commutativa, che regola appunto i rapporti del dare e del ricevere tra soggetti paritetici. Ma la dottrina sociale della Chiesa non ha mai smesso di porre in evidenza l'importanza della giustizia distributiva e della giustizia sociale…. È tuttavia da ritenersi errata la visione di quanti pensano che l'economia di mercato abbia strutturalmente bisogno di una quota di povertà e di sottosviluppo per poter funzionare al meglio. È interesse del mercato promuovere emancipazione, ma per farlo veramente non può contare solo su se stesso, perché non è in grado di produrre da sé ciò che va oltre le sue possibilità. Esso deve attingere energie morali da altri soggetti, che sono capaci di generarle.[11]

L'attività economica non può risolvere tutti i problemi sociali mediante la semplice estensione della logica mercantile. Questa va finalizzata al perseguimento del bene comune[12]

 

Le attuali dinamiche economiche internazionali, caratterizzate da gravi distorsioni e disfunzioni, richiedono profondi cambiamenti anche nel modo di intendere l'impresa… la gestione dell'impresa non può tenere conto degli interessi dei soli proprietari della stessa, ma deve anche farsi carico di tutte le altre categorie di soggetti che contribuiscono alla vita dell'impresa: i lavoratori, i clienti, i fornitori dei vari fattori di produzione, la comunità di riferimento…..

Giovanni Paolo II avvertiva che investire ha sempre un significato morale, oltre che economico. Tutto questo — va ribadito — è valido anche oggi, nonostante che il mercato dei capitali sia stato fortemente liberalizzato e le moderne mentalità tecnologiche possano indurre a pensare che investire sia solo un fatto tecnico e non anche umano ed etico. Non c'è motivo per negare che un certo capitale possa fare del bene, se investito all'estero piuttosto che in patria. Devono però essere fatti salvi i vincoli di giustizia, tenendo anche conto di come quel capitale si è formato e dei danni alle persone che comporterà il suo mancato impiego nei luoghi in cui esso è stato generato [97]. Bisogna evitare che il motivo per l'impiego delle risorse finanziarie sia speculativo e ceda alla tentazione di ricercare solo profitto di breve termine, e non anche la sostenibilità dell'impresa a lungo termine, il suo puntuale servizio all'economia reale e l'attenzione alla promozione, in modo adeguato ed opportuno, di iniziative economiche anche nei Paesi bisognosi di sviluppo. Non c'è nemmeno motivo di negare che la delocalizzazione, quando comporta investimenti e formazione, possa fare del bene alle popolazioni del Paese che la ospita. Il lavoro e la conoscenza tecnica sono un bisogno universale. Non è però lecito delocalizzare solo per godere di particolari condizioni di favore, o peggio per sfruttamento, senza apportare alla società locale un vero contributo per la nascita di un robusto sistema produttivo e sociale, fattore imprescindibile di sviluppo stabile.[13]


 

[1] “La famiglia, il lavoro e la festa” programma pastorale della Diocesi di Bergamo. Anno pastorale 2011-2012

 

 

[2] Lettera enciclica  “Laborem exercens” di Giovanni Paolo II. Paragrafo n°6

[3] Lettera enciclica  “Laborem exercens” di Giovanni Paolo II. Paragrafo n°7

[4] Lettera enciclica  “Laborem exercens” di Giovanni Paolo II. Paragrafo n°9

 

[5] Lettera enciclica  “Laborem exercens” di Giovanni Paolo II. Paragrafo n°13

 

[6] Lettera enciclica  “Laborem exercens” di Giovanni Paolo II. Paragrafo n°19

 

[7] Lettera enciclica  “Laborem exercens” di Giovanni Paolo II. Paragrafo n°20

[8] “Centesimus Annus” § 34 – Giovanni Paolo II

[9] Caritas in Veritate § 32

[10]Caritas in Veritate § 32

[11] Caritas in Veritate § 35

[12] Caritas in Veritate § 36

[13] Caritas in veritate §40