ROMA - Sono le cinque di pomeriggio ma ad Oslo, dice, è già notte da tre ore. Oltre il vetro ci
sono 14 gradi sotto lo zero. Laura Pausini parla al telefono e intanto si gode il tepore della
sua stanza d'albergo anche se, commenta, "questo freddo mi piace, è secco, bello da respirare. A
New York invece si battevano i denti". La cantante, di ritorno in Europa dagli Stati Uniti dove
sta promuovendo il suo primo album in inglese, è in una pausa dopo l'ennesima prova con l'orchestra:
stasera l'attendono al teatro Spektrum per il concerto, che sarà presentato da Anthony
Hopkins e Jessica Lange, in onore dell'ex presidente Usa Jimmy Carter, premiato con il Nobel per
la pace. Si esibiranno anche Carlos Santana, Willie Nelson, Michelle Branch e Angelique Kidjo, e
alla fine tutti insieme canteranno Imagine di John Lennon: "L'ho già cantata con altri, e
so quant'è bello condividere una canzone così" dice la Pausini, "a me è toccata la strofa che
inizia con le parole You may say I´m a dreamer e ne sono felice: mi rappresenta, sono
ancora istintiva e sognatrice". Cosa si prova alla vigilia di un concerto così speciale? "E' una
serata importante e mi sento onorata di rappresentare in qualche modo la mia terra. Canterò in italiano
E ritorno da te e in inglese Surrender, il singolo dal mio nuovo disco in inglese
From the inside, che in Italia uscirà a fine gennaio. Questa serata sarà tra l'altro in tv
anche in America, dove ho appena partecipato al mio primo show televisivo, quindi si aggiunge allo
sforzo che sto facendo intorno al progetto del mio album americano. Che è strano". Perché lo definisce
strano? "Perché credo di essere la seconda italiana ad accettare una proposta del genere dopo la Premiata
Forneria Marconi: uscire con un disco totalmente in inglese, dedicarmi poi alla promozione in Nord America,
come sto facendo da quattro mesi, e quindi vivere per un certo periodo là. Ed è strano perché è anche un
grande rischio: vuol dire allontanarsi da tutte le cose per le quali vivo, le priorità che per me sono
state valide per dieci anni, le mie certezze". Come fosse un nuovo inizio... "Assolutamente. In Italia,
avendo vinto il Festival di Sanremo, ho avuto il privilegio di poter saltare certi piccoli passi obbligati
nella promozione di un artista. In Europa e poi in Sudamerica la mia canzone è diventata famosa prima che
io ci andassi. In America io arrivo come un'esordiente e devo fare cose alle quali non ero abituata, come
incontrare i giornalisti delle radio, ricominciare a fare certe interviste per spiegare chi sono e perché
faccio questo lavoro e soprattutto perché voglio fare questo disco in inglese. Molti di loro mi chiedono:
"Ma non ti basta aver venduto venti milioni di copie?". Rispondo che non mi voglio per questo sentire arrivata,
sarei poco utile a me stessa se mi fermassi a questo punto. E' importante imparare un nuovo modo di lavorare.
E' difficile, non nascondo che in certi momenti vorrei tornarmene a casa, ma non voglio cedere, sento la stessa
atmosfera di quando il mio disco è partito in Europa e in Sudamerica. Come minimo ci devo provare". Mina,
invitata varie volte, non ha mai voluto tentare negli Stati Uniti per paura degli aerei. Se lei riuscisse,
sarebbe il primo caso di una cantante italiana che si fa largo in quel difficile mercato. "Questa da un
certo punto di vista è la mia energia, la ragione per cui ho accettato. Me lo chiedevano da quattro anni ma
ho aspettato, un po' per approfondire l'inglese e un po' per la paura di lasciare le cose certe per quelle
incerte. Forse non ero matura. Poi il mio ultimo disco è andato molto bene in Italia e questo mi ha dato
la spinta. Qualcuno tra i miei colleghi continua a dirmi che sono pazza". Nel disco colpisce la sua pronuncia:
gli americani, che in questo sono selettivi, colgono inflessioni nel suo modo di cantare? "Tutti sono meravigliati,
è la prima domanda che mi fanno. Ma mi sono data da fare in questi quattro anni, ho studiato. Ad aprile sono
stata un mese a Los Angeles: ogni giorno con il mio zaino a scuola alle sette di mattina. Nelle interviste ho
ancora un po' di accento italiano, ma quando canto diventa musicale".