Sinistro
Sono il figlio Sinistro di mia madre e sono anche il
fratello Sinistro.
La prima infanzia l'ho passata felice, senza pensieri,
giocavo e crescevo. Alcuni mi dicevano intelligente e
perspicace, per altri, più acuti, ero solamente un
bambino, ma promettevo bene. Giocavo con gli amici del
quartiere, tanti amici che ora non lo sono più; tanti amici
che vedevo andare e venire, passare, mutare, come acqua
che scende lenta aggrappata alla corteccia di un albero.
Tanti volti, tanti sorrisi, alcune liti. Nasceva in me la
superbia, la consapevolezza di essere qualcosa di più
degli altri; non sapevo ancora cosa. Ma era solamente un
dubbio sottile e continuavamo a divertirci insieme, tutto
il giorno e tutti i giorni, e la sera, seduti sul marciapiede,
continuavamo a fantasticare sul futuro e sul passato, a
progettare nuove avventure, nuove giornate, o
semplicemente a raccontarci i nostri pensieri e i nostri
sogni.
Ricordo più di altri un amico insieme al quale ho
affrontato tante e tante avventure; ci accomunava una
voglia di fare, di agire, voglia di vivere avventure ed
esperienze; non solamente di vederle in TV, di leggerle o
di sentirle, più di altri non ci accontentavamo di
quell'immaginazione passiva. Ho passato così l'infanzia
ad esplorare vecchi palazzi signorili, spesso in decadenza,
a visitare boschi intricati, a scavare gallerie nei rovi, ad
impadronirmi di stabili disabitati, a viaggiare fra natura e
storia, fra realtà e fantasia, in una realtà costantemente
trasfigurata dall'immaginazione. Poi anche quell'amico mi
ha lasciato, o io ho lasciato lui, senza nemmeno un
saluto.
Fino all'età di circa undici anni non capivo esattamente
se Sinistro fosse il mio nome, il mio soprannome o il
cognome; poi l'ho scoperto. Con la scuola imparavo tante
cose nuove anche se non mi sembravano utili o vere e le
imparavo solo per fare felici le maestre; imparavo anche
tante nuove parole ogni giorno e quel giorno imparai la
parola Sinistro.
Ricordo che ne rimasi molto colpito ed impressionato,
un po' di sconforto mi prese, turbando la mia felice
infanzia. Non me ne accorsi subito ma da quel giorno la
mia vita fu cambiata. Se ci penso oggi mi pare
sorprendente come una parola può cambiarti. Eppure io
ero il figlio Sinistro, il fratello Sinistro, il nipote Sinistro.
Diventai Sinistro, tetro, cupo, ambiguo strano e sottile.
Ero sempre visto come una persona un poco fuori dal
comune ma questa situazione, alle scuole superiori, iniziò
a giocare sempre di più a mio sfavore. Gli amici si
diradavano sempre più, passavo lunghe giornate da solo
a pensare e di notte, nei sogni, la luce pian piano
scompariva, cambiata in toni oscuri e cupi e questo mi
piaceva. Non potevo sottrarmi a ciò che ero.
Lo studio non mi dispiaceva, vi riuscivo facilmente, non
avendo altre distrazioni; mi interessai presto anche alla
storia, alle matematiche, alla filosofia e alla letteratura,
all'esoterismo e al simbolismo, all'alchimia. Pochi erano
gli amici, poche le distrazioni, se non si contano le
ragazze di cui ero invaghito: un amore confuso, non
condiviso, non compreso, spesso semplicemente non
confessato, forse solamente per la mia timidezza, per la
mia paura di esprimermi, ma ora so che era perchè io ero
e sono Sinistro e loro no. Ho represso così questi
sentimenti rendendomi sempre più degno del mio nome,
ed ora ogni tanto mi lacero ancora nel ricordo e nella
consapevolezza che avrebbe potuto funzionare: destra e
sinistra insieme unite, come le mani di due innamorati
che si stringono. Solo che io questa volta sarei stato la
sinistra.
Ho viaggiato poco; preferivo restare nella mia stanza a
guardare il sole che muoveva veloce le ombre sul muro e
scompariva poi dopo l'ultimo libro della libreria, mentre
leggevo e studiavo di viaggi ben più difficili e affascinanti.
Il viaggiare da solo mi spaventava, non ero ancora pronto
a questo, non ero più pronto, avevo perso il rapporto con
le cose con gli eventi, c'ero solamente io, Sinistro, non più
cose da vivere ma io che sopravvivevo fuori dalle cose.
Iniziai poi ad interessarmi solo di me stesso, della mia
storia, della mia famiglia, di cosa dovevo fare. Interrogati
sui miei problemi i miei genitori, non mi seppero
rispondere; nemmeno mio fratello Destro mi rispose, lui
che era il mio opposto, il mio complementare.
Cominciai a vagare in cerca di parenti e di archivi, per
ricostruire le mie origini, ma nessuno seppe rispondere
alle mie domande; nessuno le credeva degne di risposte.
Non avendo esperienza con gli inganni del mondo rimasi
spesso ingannato anche se sembrava che fossi io ad
ingannarli.
Divenni o mi confermai nuovamente Sinistro, non più
solo per gli altri ma anche per me stesso. Cominciai a
sgretolarmi, tutte le mie convinzioni, la mia cultura, i
miei sogni divennero cenere grigia. Prima ero orgoglioso
della mia situazione, orgoglioso di essere qualcosa di più
della gente comune, colto e raffinato, dai forti sentimenti
nel male e nel bene; poi divenne anche per me una colpa,
una vergogna, ero diverso ed escluso, odiato dall'invidia o
dalla stupidità di altri, amato solamente come idea o
stato mentale; io ero Sinistro e intrappolato in me stesso.
Le mie esperienze amorose furono tutte una catastrofe e
le amicizie non andavano al di là di banali discorsi,
nemmeno la lettura mi dava più distrazione, l'arte
diveniva troppo faticosa. Ma anche questo doveva essere,
solo ora lo so e me ne dolgo maggiormente.
E mentre io cadevo mio fratello Destro si innalzava in
tutto il suo splendore e piegava il suo destino a
piacimento; anche lui soffriva e piangeva, ma riusciva a
vincere, a modellarsi con le mani. Un tempo era per me
un modello di forza, ora invece diveniva un'angoscia e un
tormento; io ero una sua ombra, un suo riflesso, ero
ricordato sempre e solamente come fratello Sinistro di un
fratello Destro. In me cresceva l'invidia. Cresceva anche
l'apatia per tutto il resto.
Venne poi un tempo di grandi fatiche e forse di
eroismo. La mia decadenza era ormai quasi compiuta,
quasi totale, non riuscivo in nessun modo a rialzarmi, ma
provavo continuamente e in questa totale disperazione
trovavo una forza strana, una forza per resistere, per
continuare nonostante, una forza sempre più viva, che
non mi avrebbe certo sottratto al mio destino ma rendeva
più vivo il mio essere, una forza apatica ma persistente;
anche questo voleva dire essere Sinistro.
Le mie indagini sulla mia storia continuavano ma
andavano decadendo come le mie forze; infine come per
caso, giunsero a qualcosa, qualcosa di inaspettato. Me lo
disse un vecchio che non conoscevo, ma suo era lo
sguardo del Saggio quando mi tese una mano sinistra per
chiedere un'elemosina e quando mi parlò. Io e mio fratello
Destro avevamo una sorella, un'unica sorella, anche lei
nostra gemella e si chiamava Elena. Quale dolcezza quel
nome che io non posso esprimere e che tanto bene è
decantato da mio fratello! Elena, destinata a grandi cose,
a cambiare le cose, a divenire sovrana dei voleri degli
uomini che confidavano nel suo amore, per questo
provocatrice di grandi disastri, di guerre, di catastrofi.
Nuvola nera di tempesta vestita di luce e di alba,
inevitabile brama di uomini forti e lungimiranti,
inevitabile compromesso fra Destra e Sinistra, lei era
insieme la mano Sinistra che si stende sul capo del
capretto in segno di sovranità e mano Destra che con il
pugnale sacrificale, decisa e sicura lo sgozza. Il nostro
amore per lei divenne subito grande; ma suoi erano i
voleri dell'uomo, sue le loro lacrime e le loro risa. Io e mio
fratello cercammo altrove.
Nati tutti e Tre da un Uovo dovevamo completare la
volta del mondo spezzato, ricomporre quell'Uovo del
Mondo, culla di noi tutti eppure nostro tormento; nostro
destino era tornare nell'Uovo, ricomporlo, tornare nel
Tutto da cui Tutto origina. L'Uovo come forma
primordiale della nascita, l'Uovo come primo
allontanamento dalla sterile perfezione, ancestrale
accenno di vita.
Per Elena la terra, per noi il cielo, la volta lontana del
cielo.
La notte è Sinistra e cupa, il giorno Destro e luminoso.
Così furono scelti i ruoli da sempre assegnatici. Non ci si
può sottrarre al proprio nome. Tornai nella notte, ma con
l'amore di Elena e la rivalità di mio fratello Destro.
Conobbi molta gente, uomini forti che si alzavano sopra
gli altri e rendevano il mio essere Sinistro sempre più
difficile: non c'era più solamente l'invidia per mio fratello
Destro, ma anche l'invidia per uomini che, senza un
destino, erano più forti di me, uomini attivi, infaticabili, il
cui pensiero faceva scorrere le acque, che potevano
piegare le volontà altrui. Io invece non riuscivo a piegare
nemmeno la mia. Ma nonostante questo erano miei
amici; senza mai sapere che cosa è l'amicizia. Ci
vedevamo spesso e questo mi faceva riflettere; forse
anche loro vedevano in me qualche cosa, non certo
ammirazione, ma qualcosa, forse anche loro cercavano,
sicuramente cercavano e loro potevano trovare; io invece
dovevo solamente portare il mio nome e il mio destino.
Si faceva forte in me la voglia di dominio, di sovranità,
di potere. Con questa persi ancora una volta gli amici che
avevo. Li persi e piansi maledicendo me stesso.
Mi circondai di schiavi, di uomini abbietti che temevano
la mia figura e bramavano il mio potere sempre più
grande sulla notte e sul buio. Mi circondai di un esercito
di uomini pronti a seguire ogni mio passo e iniziai la
crociata contro mio fratello Destro e anche contro nostra
sorella Elena il cui destino era quello di provocare grandi
sofferenze per gli uomini comuni.
La mia tristezza non mi abbandonava mai, un Sole
Nero splendeva sopra di me e spesso tenevo il volto e lo
sguardo raccolti nella mia mano sinistra, chinato sopra
l'abbozzo della mia Opera che sempre mi angosciava.
Ci furono scontri enormi e maestosi sulla terra, gli
scontri e le guerre provocate da nostra gemella, guerre
piene di dolore. Anche nel cielo ci furono guerre e
lacrime, ma essendo nel cielo, furono invisibili agli occhi
di molti. Da questi scontri uscii vittorioso, persi invece la
mia crociata. Ero ormai sovrano degli inferi, ero quanto di
più sottile ed insinuante poteva esistere, traviato e
perverso, maligno ma raffinato, gotico e barocco; eppure,
con tutto questo potere, non riuscii ad evitare le guerre di
Elena che saranno raccontate nelle leggende, non riuscii
nemmeno a scalfire mio fratello Destro; lui potente
evitava lo scontro, defletteva maestoso i colpi, continuava
diritto per la sua faticosa strada, per la Via Breve.
Poi non ebbi più notizie di lui per molto e molto tempo.
E in quel tempo io conquistai ogni potere sulla notte, ogni
potere sinistro e bieco, e molti seguaci, costruii il mio
regno incidendolo nel cielo stellato coperto di nuvole nere;
un meraviglioso regno di luci soffuse, di volti decisi, di
tenui bagliori negli occhi, di lunghi silenzi e attese, di
paure e tensioni nascoste ma sempre palpabili, un regno
di eccessi, di violenze velate, di corruzione delle menti, un
regno di angoscia per tutti, il regno di un mio triste
sorriso alle stelle, sì alle stelle, in quel momento di
grande potere mi prese una nostalgia della luce, della
felice infanzia, di mio fratello Destro che in quell'istante
volli perdonare. Tutto solo per un unico istante.
Ma ancora una volta io ero Sinistro, torvo e ostile:
distrussi tutto ciò che avevo costruito, lo distrussi senza
dire nulla, lo smontai pezzo per pezzo, con gli stessi mezzi
con cui l'avevo costruito. Schierai i miei seguaci uno
contro l'altro, diedi ai miei schiavi il potere di essere liberi
e subito si mossero per creare nuovi schiavi, subito si
scontrarono in battaglie piene di odio e rancore. Ruppi
con la mia mano sinistra il bicchiere di brandy che stavo
bevendo alla salute della città in fiamme: le sue schegge
mi trafissero la mano e persi del mio sangue. L'alcool
disinfettò subito le ferite e non fu così grave, ma fu molto
più doloroso e il segno vi rimase sempre.
Persi tutto, prima fra tutte la fiducia, già scarsa, nel
mio essere.
Non fu difficile uscire dal giro, non fu difficile
distruggerlo, perchè io ero il giro, io ero quel regno che
distruggevo e avevo passato la vita a distruggere. La mia
mano sinistra non si stendeva ora che su di un corpo
fragile e debilitato, mi rimaneva solamente il mio essere
biologico. Dovetti subire la vendetta di tutti quelli che un
tempo comandavo e mi temevano, dovetti subire la mano
sinistra di uomini meschini e fragili, uomini privi di
pensieri e accecati dal potere. Solo uno mi disse:
"Maestro, chi conterrà ora tutto questo male?" Non seppi
rispondere.
La mia sconfitta e realizzazione era ora totale: io,
Sinistro, avevo subito me stesso e il mio destino secondo
la mia volontà, mi ero colpito a morte senza poter morire.
Ogni male era mio e con gesto più maligno lo gettai nel
vento ruvido che mi investiva.
Venne il tempo di silenzi e solitudine. Unici miei
compagni erano un corpo stanco e quella strana forza che
mi permetteva ancora di piangere; era la forza del mio
destino che mi impediva di morire.
Mi misi a vagare e a raccontare di me sotto la luce di
vecchi lampioni, unica luce che riuscivo ancora a
sopportare insieme alla luce delle stelle che mi facevano
spesso compagnia mentre vagavo. Alcuni ascoltavano ciò
che avevo loro da dire, altri invece mi evitavano, nessuno
mai si fermò più di un istante, avevano forse paura del
male che mi avevano chiesto e che io avevo donato loro?
In quel tempo ci fu anche una donna, una donna che
amavo, una donna strana e sinuosa, il cui destino era
invisibile anche a me. Aveva i capelli rossi e intensi e
questo era un segno sinistro e rovinoso, ma mi
tormentavano i suoi occhi color azzurro di un mattino
sereno o del ghiaccio profondo e prezioso. Era l'immagine
di una malvagità dolce, di una tristezza luminosa e vitale,
segno di speranza sinistra; era lo specchio di Elena, sua
immagine e controparte, unica forse che avrebbe potuto
tenerle testa, unica che avrebbe potuto fermarla, era
tramite, non unione, fra luce e tenebra. Era Mercurio che
scivolava veloce sul mio corpo e sulla mano e cadeva a
terra smembrandosi in tanti diversi riflessi d'argento, era
parte del modo ma sembrava non appartenervi, era rilievo
o scultura barocca, era horror vacui, eppure accolse il
mio nulla, era melanconia amena, si chiamava Cinzia.
Non seppe mai nulla da me e mi accolse per pietà o
compassione, ma ne fuggii non appena me ne accorsi.
Ancora una volta il mio nome mi negava ad una donna,
che però rimase sempre per me salvezza e speranza.
Con il suo ricordo vagavo di città in città, solo in
compagnia del silenzio. Vidi molti volti; vidi anche Elena
un giorno, la vidi lontano senza poterle dire nulla, senza
poterla fermare; anche lei mi vide e sorrise. Il resto è ciò
che è raccontato nelle leggende.
Pensavo però a mio fratello Destro, era forse arrivato al
termine del suo destino? Pensai molto, pensai che volevo
incontrarlo, dopo tanto tempo passato a combatterlo.
Infine alla luce di un vecchio lampione, in una notte dal
cielo stellato e con una leggera brezza, lo incontrai. Prima
una figura misteriosa nell'ombra, poi una sagoma
imponente e maestosa, infine un suo volto luminoso e un
abbraccio. Disse che anche lui volle incontrarmi, disse
che pensò molto a me mentre mi risollevava per portarmi
più vicino alla luce. Eravamo molto cambiati entrambi e
sul suo viso ora illuminato da quella poca luce, c'era
qualcosa di nuovo e mai visto, qualcosa di difficile a
credersi: il sorriso era velato, una sorta di preoccupazione
si intravedeva nei suoi occhi profondi. Aveva paura. Sì lui
dubitava ed aveva paura, temeva l'ultimo passo, temeva
la scelta che lo avrebbe reso in eterno figlio del sole, il più
potente fra gli uomini e da loro riverito e temuto, lui che
poteva scegliere temeva di farlo. Seguì un lungo silenzio.
Avevo vinto, la mia crociata aveva portato degli esiti e una
breccia nel suo animo, il male che mi apparteneva e che a
stento riuscivo ora a controllare lo aveva accarezzato con
la sua mano sinistra; non mi rimaneva che affondare il
coltello nella piaga, dovevo solamente insistere e volerlo:
la mia vendetta sarebbe stata grande.
Alzando lo sguardo vidi Orione che vegliava potente e
paziente sopra il mio destino, vidi anche il nero della
notte alle sue spalle. Ancora il silenzio. Mio fratello
Destro, il più potente degli uomini, eletto dal sole, veniva
a chiedere aiuto, chiedeva aiuto a me, il più abbietto e
miserabile, decadenza della decadenza. Fratello Destro,
tu che dovevi rialzarmi dalla tenebra mi hai chiesto un
aiuto. Tu che eri per me modello e invidia ad un tempo,
genio ed eroe, mi hai chiesto aiuto nel momento della mia
sconfitta, della mia decadenza completa, tu sapevi che
non avrei potuto aiutare nessuno eppure ti sei rivolto a
me. Mi hai domandato come controllare il male e la
paura, proprio a me che da sempre fui costretto a
sopportarli. Anche tu hai pianto la notte lacrime di
terrore!
Con l'ultima forza che mi rimaneva, con la mia ultima
determinazione infierii su di te come sull'ultimo dei miei
schiavi di un tempo. Non avrei mai creduto che la
realizzazione potesse essere tanto dolorosa. Non avrei mai
creduto a ciò che era accaduto.
Tutta la strada che mio fratello Destro aveva fatto era
ora cosparsa di nebbia e di tenebra e lui vi si trovava
all'inizio, come ai tempi della nostra separazione.
Ero anch'io però ricaduto nell'abisso e non potevo
rallegrarmene. Solo ora lo capivo: distruggendo me stesso
avevo solamente risalito il baratro, ero quasi diventato un
reietto qualunque, ma in quel momento vi ero tornato, e
solo per aiutare mio fratello. Nel regno degli inferi ero
tornato potente e temuto, nessuno ora poteva reggere il
mio sguardo, nemmeno mio fratello, nemmeno Elena.
Ancora una volta avevo distrutto la mia opera, avevo
distrutto la mia stessa distruzione ed ero rinato al male.
Ancora una volta dovevo piegare il capo al mio nome
Sinistro e seguire il mio destino che mi spingeva a grandi
fatiche da tempo dimenticate. Ora il potere era di nuovo
nelle mie mani e con un unico gesto, in un unico istante
ricostruii il mio regno, più forte e più potente, ignorando i
tempi stabiliti per la creazione, tanto era il mio potere! La
luce infatti percorre veloce il suolo ed il vento, il buio, la
mia tenebra invece è sempre, è immobile e non necessita
di percorrere. Con un gesto lo ricostruii e nessuno poteva
ora contrastarlo: la notte cadeva ormai sul mondo e
sull'Uovo.
Ero di nuovo io a reggere il male, non lui a
tormentarmi, e provai immenso piacere a distruggere e
ricreare come schiavi tutti coloro che inutilmente
tentarono di sostituirmi e che si combattevano fra di loro
come tanti piccoli insetti. Io non avevo più bisogno di
combattere, ora che anche mio fratello era sconfitto.
Dimenticai Elena, la dimenticai e la feci dimenticare ai
miei; questo era ciò che si doveva fare, questo la feriva a
morte, con questo la fermai: lei non poteva vivere se non
nel pensiero di altri. Certo le guerre continuarono e anzi
si intensificarono ma per causa mia, non vi furono più
vittime ignare, ma l'odio cresceva nei cuori della gente
comune.
Dimenticai anche mio fratello Destro che aveva
intrapreso nuovamente l'ormai impossibile via. Lo derisi e
lo abbandonai. Mi dissero anche che Cinzia lo stava
aiutando ed era con lui. Lei fu più difficile da
dimenticare.
Ma la tenebra non è mai soddisfatta di sè e solo quando
viene a contatto con la luce si cambia in ombra e in
penombra e teme questo cambiamento e desidera
oscurare tutto. La luce invece pur essendo sempre
uguale, muta le cose e il mondo, si muove veloce nel
tempo. La perfezione è nell'immobile tenebra o nella
velocissima, mutevole luce? Nell'eterna tenebra o nella
luce senza passato?
Di ciò che accadde dopo ho pochi ricordi: vennero
tempi monotoni e sempre uguali, in cui il tempo scorreva
lento e cadenzato ed io dovevo attendere ed ascoltarne il
fastidioso fruscio. E in quei tempi ripensavo spesso a
tutti i cambiamenti, a tutte le partenze che mi avevano da
sempre separato dal mondo e dalla gente, dagli amici.
Quei cambiamenti avvenivano sempre, come ogni
cambiamento, nei momenti di stasi, in quell'attimo
infinitesimo di pausa dell'azione o della situazione,
quando tutto tace. Ma i miei cambiamenti erano la fuga e
l'abbandono, mai il passo decisivo. Forse per questo che
in quei momenti pensavo spesso alla luce di mio fratello
Destro, a quella di Elena, una luce immediata e senza
passato, per lei non c'era la fuga, non l'abbandono, ma
solamente un velocissimo passare. Solo mio fratello aveva
provato la paura e la fuga quando chiese il mio aiuto,
solo una volta. Non sapevo decidere, non sapevo
decidermi, ogni mia azione mi sembrava inutile o
dannosa, ne temevo sempre le conseguenze, avevo paura
della sconfitta così come del successo, avevo paura di
cose che non avevo mai fatto. Io ero Sinistro e passai
l'infanzia e la vita nel silenzio, nella solitudine e
nell'oscurità, non avevo esperienza delle cose del mondo,
avevo paura di vivere, forse per questo ero male e maligno
o forse questa ne era una conseguenza. Per essere male
occorre temere e soffrire il male.
Fu anche un periodo di grande riflessione, passato a
combattere l'angoscia e il dolore, passato a combattere i
rimpianti, a commiserarmi, a dannarmi. Un periodo di
grande introspezione passato a scavare nel mio animo in
cerca di una risposta al mio iniquo destino, passato
meditando per ore immobile nella tenebra liquida; per ore
interminabili viaggiai nel mio spirito cercando di crearvi
un mondo migliore, per interminati momenti meditavo e
cercavo il mio essere. Negli oscuri recessi trovai infine
una piccola scintilla di luce che un altro Prometeo aveva
rubato per me e mi aveva donato; un dono inutile, una
scintilla mai accesa.
Io ero male ed essendo male ero sfruttato e maltrattato
da chiunque, tutti mi usavano a piacimento per i loro
scopi, nei giochi di potere, nelle liti, nei conflitti armati,
nelle bugie dei bambini, negli scatti d'ira, nei momenti di
follia, nella perversione e nel ricatto, nella sete di potere,
nell'imbroglio e nell'offesa; io ero dietro ad ogni furto, ogni
rapina, a ciò che la gente chiama semplicemente
sfortuna, io me ne stavo ad osservare le lotte degli
uomini, le guerre e i pianti... Per questo io, come un
umile re del male, mi sentivo generoso e magnanimo, mi
sentivo generoso per l'aiuto che davo, mi sentivo generoso
perchè loro chiedevano e io donavo. Passai molti e molti
giorni nel silenzio, io non avevo bisogno di parlare, io che
ero vizio e sua preda ad un tempo; passai molti e molti
giorni a combattere il mio dolore e a donarlo a chi lo
chiedeva. In Silenzio. Il dolore per mio fratello Destro, per
Elena, per Orione e per Giovanni, per Monica e per
Cassandra che per loro volontà divennero miei amici, solo
per loro volontà; e forse se ne dolgono ancor oggi che un
lungo tempo ci separa.
Poi venne da me anche Cinzia. Venne da me quando
non l'attendevo, venne quando non volevo vederla,
mentre ero a crogiolarmi nel fuoco del dolore per provare
la mia purezza, mentre nel cielo si vedevano pian piano
sparire le stelle, mentre il mare lentamente alzava il suo
antico respiro e i marinai invocavano il mio nome per
chiedere pietà; nell'istante in cui l'assassino si accorge di
aver dannato due vite, in quell'istante di stasi, di attesa
da cui non dovevo più scappare. In quell'istante Cinzia
volle incontrarmi, e mi chiese dolore. Anche lei era venuta
per sfruttarmi, per usarmi; anche lei che un tempo mi
aveva confortato e risollevato. Mi supplicò, ma la sua
supplica era una maschera di beffa che in modo subdolo
infieriva e mi logorava, perchè io non potevo rifiutarle ciò
che ero, non riuscii mai ad evitarlo. Mi sentii ancora
inutile e privo di valore, privo di forze per oppormi a ciò
che mi distruggeva, mi sentii svuotato, puro fantasma,
forse violentato; io non sapevo nulla di lei, del suo
passato, del suo futuro, eppure la sua venuta mi mise in
grande sconforto perchè io ero Sinistro e dovevo
continuare ad elargire male, dolore e sofferenza a quanti
me lo chiedevano, rassegnato e silenzioso, e anzi donavo
più di ciò che volevano e infierivo sulle loro azioni senza
tregua, sempre di più; questo a volte mi dava un po' di
sollievo. Ma su Cinzia non seppi infierire; lasciai che
fosse lei a farlo. Il male che mi chiese fu per mio fratello
Destro, che triste e solo risaliva la strada dalla quale lo
avevo rapito un tempo, e come un tempo, ma per volere
di Cinzia, gli gettai quella manciata di dolore e chiusi gli
occhi per non vedere più, per non vedere più mio fratello
piangere, per non vedere più Cinzia ridere. Chiusi gli
occhi; dovevo fare a meno anche di quelli.
Molti ancora, in seguito, vennero da me, molti che un
tempo furono miei schiavi, molti che mi furono compagni,
uomini con grandi destini. Vennero i signori degli
elementi, vennero coloro che reggono gli stati, vennero i
generali e i guerrieri, vennero i poveri, vennero i saggi di
questo mondo, vennero tutti a chiedere la mia ira.
Passarono del tempo in mia compagnia anche gli artisti e
le loro arti, di cui mi piaceva circondarmi per alleviare un
poco il mio stato, per addolcire il luogo della mia eterna
permanenza, per mascherarmi con un maschera colta e
raffinata, una maschera veneziana che nasconde e
traspare al tempo stesso, che lascia immaginare gli
intrighi e i delitti di una città misteriosa. Che lascia
immaginare. Non è forse questo lo scopo ultimo
dell'arte, non è forse nell'immaginazione di chi la ammira
che ogni opera ha la sua conclusione?
Solo Elena non venne mai da me. La vidi alcune volte,
ma lei passava e sorrideva soltanto, non mi chiedeva
nulla, non mi rivolgeva la parola, un sorriso soltanto
dagli occhi castani. Chiusi gli occhi e non vidi più
nemmeno lei. Vedevo solamente una piccola scintilla di
luce nel profondo del mio animo, solamente quella e nulla
più. Non vedevo nemmeno il male, solo il buio ma non il
male; quello continuava ad esistere così come io esistevo,
ed ora era cieco. Ora ero cieco per mia volontà e passavo
tutto il mio tempo a combattere l'oscurità, a coltivare
quella piccola scintilla donatami molto tempo addietro e
speravo di poterla trasformare in fuoco e in luce, ma
quella favilla rimaneva sempre tale e si dissolvevano i
secoli alla sua luce irrisoria. Ma quale miglior guardiano
della tenebra se non un guardiano cieco? Così pensavo e
sognavo, così, cieco e nel silenzio. Pensavo alle mie
vittorie maestose che mi sembravano tanto inutili,
pensavo al mio regno, quel regno ambiguo, quella città di
emozioni distorte e di devozione, un fiore reciso che
stentava a sopravvivere, un luogo a metà fra bene e male,
sul limitare dell'abisso, dove accompagnavo i destini di
molti e poi lasciavo a loro la decisione. Io ero investito di
grande potere, ero burattinaio, ero principe, ero mentore
che sente il peso del compito affidatogli, anche se io non
dove renderne conto a nessuno; io ero il maestro
autoritario e temuto che accompagna ogni musicista, io
suonavo le costole degli uomini come i tasti di un
pianoforte, e suonavo una melodia lugubre e sublime.
Ricordavo quando camminavo non visto e malevolo fra la
gente, quando il vento fischiava con la mia voce e la terra
mormorava con la mia coscienza, ricordavo quando il
fuoco danzava con le mie dita, quando l'acqua e la
pioggia cadevano con le mie lacrime.
Sognavo i giorni del mio vagabondaggio, ai margini del
mondo, così triste e libero, senza nessuna forza nelle mie
aspirazioni, senza paura del futuro, senza una casa dove
sostare senza un amico se non i barboni e gli ubriaconi
che abitano le strade e le bettole più malfamate; avevamo
corpi malati e debilitati, le menti sfatte ed evanescenti, io
per sofferenza e tormento, loro per l'alcool e per la mia
volontà di un tempo. Ripensavo ancora alla mia cecità, ai
giorni passati sotto la violenta pioggia, passati ad
assaporarne la danza sulla pelle; quella era una pioggia
catartica. Pensavo spesso al giorno che sarebbe venuto,
quando la notte abbandona e cede il passo all'alba fredda
e distaccata, quel domani che sempre mi spaventava.
Immaginavo architetture fantastiche, città enormi e
indicibili in cui tutto era compreso, città più alte delle
montagne, oltre ogni altezza; grotte e gole dalle profondità
incredibili, oltre ogni profondità; meravigliosi luoghi
dell'anima dove erano raccolte insieme tutte le sensazioni
delle cose create, dell'Acqua, del Fuoco, del Secco e
dell'Umido; ampie aule luminose dalle strutture
improbabili ma eccelse, lugubri sobborghi dove ogni cosa
aggredisce lo straniero. Immaginavo così il mondo, lo
immaginavo solamente. Sognavo le ampie case di Ade: a
destra c'era una fonte, accanto un bianco cipresso; lì,
scendendo, le anime si raffreddavano, ma a quella fonte e
a quel cipresso non mi avvicinavo nemmeno, di fronte
c'era acqua fredda che scorreva dalla palude, sopra
stavano i guardiani che mi chiedevano: "Cosa cerchi nella
rovinosa oscurità?" Rispondevo: "Sono nato dall'Uovo e
figlio del Cielo Stellato, ho sete e muoio, ma datemi subito
fredda acqua che scorre dalla palude", loro avevano pietà
di me e mi permettevano di bere. Sognavo Elena e
cercavo di distogliere il mio sguardo cieco da lei che era
destinata ad altri e ad altro. Pensavo e sognavo sperando
di far crescere la mia piccola scintilla in quella tenebra
infima e spregevole. Per tanto tempo. Ascoltavo
solamente la voce dei miei pensieri; chi mi circondava e
mi chiedeva aiuto non doveva parlare; sapevo cosa
volevano e sapevo come esaudire i loro desideri. Silenzio e
tenebra al mio cospetto.
Poi sentii la voce di mio fratello Destro. Da tempo avevo
chiuso gli occhi e da tempo avevo affinato gli altri sensi,
avevo imparato ad apprezzare e capire le voci e con le voci
gli stati d'animo e i desideri degli uomini che ancora mi
parlavano, e la voce di mio fratello era una voce ferma,
convinta, profonda e meditata, una voce soddisfatta e
vittoriosa; capii subito che lui aveva raggiunto il suo
destino e la luce e ne fui meravigliato, capii subito che io
avevo irrimediabilmente perso, ero stato
irrimediabilmente sconfitto. Non avrei mai rivisto la mia
luce, e anzi anche quella piccola scintilla, per lo
sconforto, si stava spegnendo. Mio fratello Destro era
giunto infine all'olimpo, aveva superato ogni prova,
sconfitto l'angoscia che mi aveva chiesto, sconfitto quella
di Cinzia. Il suo destino era grande.
Sentii poi le sue mani, un abbraccio fraterno,
l'abbraccio di un uomo forte, del più forte degli uomini.
Questo mi confuse e tornai a guardare la mia anima
spegnersi piano piano come l'ultima brace di un fuoco
mai acceso, ultima brace di un incenso venefico. Ma
quella luce, quella scintilla non diminuiva, non moriva
pian piano con il mio animo ma aumentava di intensità,
aumentava ancora, sempre di più, sempre più luce, più
intensa. Mio fratello destro stava aprendo i miei occhi,
con un tocco gentile apriva i miei occhi; quegli occhi che
avevo chiuso per non vedere il mondo, per non vedere il
mio destino di sovrano sconfitto e sottomesso eppure
ancora sovrano, per non vedere più il male, per poter
combattere quella luce che mi feriva ma che mi attirava
tanto, quegli occhi che un tempo qualcuno diceva
profondi, che avevo chiuso per non vedere più Elena, per
non vedere Cinzia che tanto avevo desiderato, gli occhi
che avevo chiuso per portare a termine il mio nome ed il
mio destino. Ora mio fratello apriva i miei occhi
gettandomi nel dubbio e nell'angoscia. Perchè lo faceva,
perchè si interessava ancora a me, lui aveva ormai
raggiunto ciò che voleva; lui non avrebbe potuto infierire
su di me, perchè allora mi apriva gli occhi?
La luce aumentava e diventava insopportabile,
immensa. Piano piano poche linee si imprimevano sulla
retina a formare immagini. Non potevo credere, non
potevo capire. Ero sull'olimpo, ero al cospetto del Sole,
più in alto di chiunque altro fuorchè di mio fratello
Destro, ero alla fine di un destino che non mi
apparteneva. Affondai il volto e lo sguardo ferito nelle mie
mani magre e piansi. Quella luce che mi piaceva tanto
non potevo sopportarla, mi feriva, mi terrorizzava come la
vita che avevo sempre fuggito, non sapevo cosa fare, cosa
pensare, il nulla si presentava al mio cospetto e io non
seppi riceverlo. Poi mio fratello Destro parlò. Parlò a
lungo e mi raccontò la sua vita e le sue gesta, le sue
imprese e le loro grandi conseguenze; infine mi disse che
il merito del compimento del suo destino e della sua
riuscita era mio, era merito solamente mio. Continuavo a
piangere in preda a confusione, disperazione, terrore.
Ricordò quando venne da me e chiese il mio aiuto,
ricordò come io malignamente infierii sopra di lui e lo
gettai nella tenebra; ricordò anche quando Cinzia venne
da me, quando mi chiese nuovamente di colpirlo ed io
generoso avevo acconsentito. Mi chiamava generoso, mi
dava il merito del suo successo. Disse che quel dolore,
quel terrore, la paura e lo sconforto che io avevo gettato
come velo al suo sguardo servirono per sconfiggere le
paure della vita, o meglio gli servirono per poter convivere
con l'inestinguibile dolore. Disse che ciò che gli avevo
donato gli insegnò a combattere veramente, il supremo
dolore e al paura gli insegnarono a combatterli a non
perdersi d'animo, ad affrontarli. Era quindi mio il merito
del suo destino, diceva. Ma non poteva essere così perchè
io non avevo fatto nulla se non seguire il mio nome ed
infierire maggiormente, ero stato ignobile e vigliacco, non
potevo aver aiutato mio fratello senza l'intenzione di farlo.
Ma lui con sguardo profondo e pacifico continuava ad
insistere, proprio lì, al cospetto del Sole, dove non è più
possibile mentire. Infine mi disse come aveva fatto a
portarmi con lui in quel luogo. E per questo per sempre
maledirò il mio nome. Per salvarmi, per avermi al suo
fianco, mio fratello Destro aveva accettato di passare un
giorno insieme a me negli inferi, dove è pianto e stridore
di denti, paura e dolore senza fine, un giorno nel mio
angoscioso regno dove nemmeno io riuscivo a vivere, un
lungo giorno di tenebra dove mio fratello scendeva per
rapirmi dal trono. Il giorno seguente invece alla Luce, nel
seguito del Sole, sull'olimpo gioioso, noi due insieme, nel
suo regno di beatitudine, noi due insieme, a guardare
fissamente dentro il Sole. Questo era ciò che aveva fatto e
non poteva più essere cambiato, questa era la fine a cui
eravamo giunti. Mio fratello Destro aveva privato il mondo
del male, aveva sconfitto il maligno ed estirpato la sua
radice velenosa, aveva privato il mondo anche del sole e
di se stesso; per gli uomini ora non più luce o paura negli
occhi, ma lucida riflessione, non più credenze e mistero,
non devozione, non più impegno e scura coerenza, non
schiavitù delle menti e dei pensieri, non più guerre di
guerrieri leali e fedeli, non più pianti per grandi princìpi,
non l'intuizione di alti ideali; ma solamente il nuovo male
e il nuovo bene che risiede nel profondo di ognuno. Forse
solo nei sogni vedranno il mondo di un tempo.
Per merito di altri raggiunsi la luce, per la bontà ed il
sacrificio di mio fratello Destro che ancora oggi non posso
comprendere e accettare, per sua volontà salii sull'olimpo
e per sua volontà dovetti accettarlo negli inferi della vita
di altri: così mio fratello aveva cambiato il destino di
entrambi ed io, con lacrime agli occhi, non seppi oppormi
alla sua decisione, accettai ciò che mi donava, accettai il
suo sacrificio pur di arrivare alla Luce, accettai anche il
più grande rimorso per il mio grande tradimento. Ma non
riuscii a sopportare il merito che mi donava, non riuscii
ad accettare la convinzione di mio fratello che ora mi
elogiava; io ero male, non avrei potuto rifiutarmi. Affidai
il merito di quel destino a Cinzia che da sempre, dopo
quell'incontro, mi seguì con lo sguardo, che sempre fu
per me speranza, che mi chiese di colpire a morte mio
fratello. Per merito loro quindi raggiunsi la luce. La luce
intensa può accecare gli animi, può abbagliare le menti e
far dimenticare il passato, la luce che sempre corre può
cambiare le menti di chi la sa accettare: questo è quello
che spero e desidero.
Per merito di altri anch'io ero giunto alla fine, una fine
che mi aveva colto di sorpresa, una fine che non volevo,
che avara lasciato indietro troppe cose che non avevo
fatto, troppe rinunce, troppe fughe, troppe confessioni
non fatte. Troppi sacrifici di altri. Ma mi sto ancora
lamentando della mia vita passata.
Mio fratello Destro dice che un giorno riuscirò anch'io a
guardare il sole nei miei occhi, ed io lo desidero tanto ma
ancora non riesco e quel momento mi sembra tanto
distante. Ho rivisto Elena, molte volte, anche lei mi ha
raccontato la sua vita che molta influenza ebbe nei
destini degli uomini. Un giorno incontrai anche Cinzia
durante il passaggio e infine le confessai la mia anima,
ma ormai era troppo tardi. Lei pianse un poco, non
l'avevo mai vista piangere.
E' quasi giunta ormai l'ora di partire, di ridiscendere
nelle profondità della terra dove nessuna luce può
arrivare, dove io, un tempo sovrano, sopporto il mio
sinistro destino con un sorriso ambiguo sul volto, un
sorriso di speranza sinistra. Per un giorno nella tenebra e
nel pianto, per un giorno alla luce suprema del Sole, per
l'eternità.
I venti del cielo rotondo più non turbano i nostri pensieri,
portati sulle alte arie al di sopra delle nebbie terrene:
questo è il nostro destino per l'eternità e questa è la fine
degli eroi, delle imprese, dei canti e delle leggende.
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