Giunto a Delfi, (Eracle) chiese1
al dio dove avrebbe dovuto dimorare. La Pizia lo chiamò Eracle allora
per la prima volta: invece in precedenza veniva chiamato Alcìde. Gli
rispose di stabilirsi a Tirinto, ponendosi al servizio di Euristeo per
dodici anni, e di compiere le dodici fatiche che gli sarebbero state
imposte, e disse che così, dopo aver portato a termine le fatiche,
sarebbe diventato immortale. Udito ciò, Eracle andò a Tirinto e
compiva quanto gli veniva imposto da Euristeo. Per prima cosa dunque gli
comandò di portargli la pelle del leone Nemeo: questo era una belva
invulnerabile, generata da Tifone. Giunto a Nemea e messosi in caccia
dal leone, dapprima (gli) scagliò una freccia; ma quando s'accorse che
era invulnerabile, afferata la clava, cominciò ad inseguirlo2. Poiché quello si era rifugiato nella sua
grotta a due uscite, (Eracle) sbarrò un'uscita ed attraverso l'altra
giunse fino alla belva e, dopo avergli circondato il collo con una mano,
continuò a stringere3 fino a
soffocar(lo), e (poi), caricatolo sulle spalle, portò il leone a
Micene.
Soluzione
dell'esercizio:
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il participio onta,
trovandosi in dipendenza da un verbo di percezione (eiden), ha
valore predicativo. |
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