Traduzione:
Cirno, con
la mia astuzia voglio apporre un sigillo1
a questi versi [oppure:
mediante questi versi],
e non saranno mai rubati di nascosto,
e nessuno muterà in peggio il buono che contengono2;
e così tutti diranno: “Sono versi di Teognide
di Mègara: famoso fra tutti gli uomini.”
Ma non posso ancora piacere a tutti i concittadini.
Nulla di strano, Polipàide: neppure Zeus, infatti,
piace a tutti, né se fa piovere, né se fa splendere il sole3.
(1) Letteralmente: "da
me che sono accorto sia apposto un sigillo". E' noto
che la natura di questo "sigillo", presunta
garanzia di autenticità delle opere teognidee, è tuttora
oggetto di discussione. V'è chi ritiene che si trattasse di
un sigillo vero e proprio, materiale, in tal caso espediente
davvero ingenuo, destinato com'era a corrompersi in breve
tempo; e chi, più opportunamente, pensa che si tratti di
una "chiave" di lettura cifrata, nascosta nei
versi stessi. Si è pensato al nome di Cirno, il giovane
amato da Teognide, o al suo patronimico Polipàide, che
ricorrono circa 200 volte nel corpus
teognideo; oppure al nome stesso del poeta. Non si vede
però come la presenza del nome dell'autore all'inizio
dell'opera potesse preservarla da successive interpolazioni
(verificatesi in effetti). Infine c'è chi pensa che la sphreghìs
sia costituita proprio dal complesso dei versi 1-5 di questo
frammento, da ripetere forse all'inizio della recitazione di
ogni componimento autentico: in questo caso il senso del
dativo toisd'epesin cambia profondamente, passando
da reggenza del verbo epikeisqw a complemento di mezzo: non
si tratterebbe più, infatti, di apporre un sigillo ai
versi, ma mediante i versi in questione, che
costituirebbero essi stessi il sigillo;
(2) letteralmente: "(li)
muterà in peggio, essendoci (in essi) il buono";
(3) letteralmente: "né
facendo piovere né astenendosi".
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