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Intanto a Roma Lentulo e gli altri capi della congiura, preparate, come sembrava, ingenti truppe, decisero che, non appena Catilina fosse giunto con l'esercito nel territorio di Fiesole, il tribuno della plebe L. Bestia, convocato il popolo, avrebbe denunciato le azioni di Cicerone, e avrebbe incolpato l'eccellente console dell'odiosità di un conflitto tanto grave; a quel segnale la notte successiva la folla dei congiurati avrebbe eseguito il compito assegnato a ciascuno. Gli incarichi, si diceva, erano distribuiti così: Statilio e Gabinio con un ingente manipolo avrebbero simultaneamente incendiato dodici luoghi della città ben scelti, affinché nel tumulto fosse più facile arrivare al console e agli altri cui si preparava l'attentato: Cetego avrebbe tenuto a bada la porta di Cicerone e avrebbe sferrato l'assalto; altri avrebbero avuto ciascuno il suo, i giovani delle famiglie, la maggior parte dei quali apparteneva alla nobiltà, avrebbero assassinato i padri; subito dopo, tra la costernazione di tutti per il massacro e l'incendio, avrebbero rapidamente raggiunto Catilina. Mentre si ordivano e preparavano tali cose, Cetego si lamentava sempre dell'ignavia dei compagni: esitando e aggiornando il loro piano, sprecavano grandi occasioni; in una situazione del genere c'era bisogno di fatti, non di discussioni; in quanto a lui, purché alcuni lo aiutassero, mentre gli altri se ne stavano con le mani in mano, avrebbe assalito la Curia. Fiero di natura, impetuoso, era pronto di mano, e riteneva che il punto chiave fosse la velocità.




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