rassegna cinematografica 1999

THE ADDICTION

The addiction è un film di vampiri, ma, al tempo stesso, non è un film di vampiri. Così Abel Ferrara: "Il genere vampiresco è stato solo uno strumento per esprimere la dipendenza da qualcosa che ci accomuna tutti". Ciò che accomuna tutti è il peccato; la natura umana è ferita: il peccato ci impedisce di amare pienamente e, quindi, di realizzare noi stessi.

Ancora il regista: "La sceneggiatura è stata scritta dal mio amico St. John subito dopo la morte del suo primo figlio. Nel momento più triste della sua vita, egli ha trovato un modo per esprimere l’inesorabile ricerca della verità e della luce in un mondo che spesso ci paralizza con la sua rabbia e la sua oscurità. È un tema che coinvolge persone di ogni età, ma soprattutto quelli della generazione che sta diventando maggiorenne, in quest’epoca di cinismo e confusione morale".

Una sera, mentre sta rientrando a casa, Kathleen, studentessa di filosofia, viene assalita da una donna elegante che, chiedendole invano di mandarla via (è questa l’espressione dell’incapacità di resistere fino in fondo al peccato, da cui la natura umana è segnata), l’afferra e la morde sul collo, lasciandole due piccole impronte sanguinolente. Nei giorni che seguono, Kathleen si accorge di aver contratto un virus che sembra attaccare non soltanto il suo corpo, ma anche la mente. Mentre cerca vanamente di lavorare alla sua tesi di laurea, si rende conto di essere preda di un irresistibile bisogno di sangue, che la spinge alla ricerca di possibili vittime. Conosce poi Peina, il quale le insegna tutto ciò che un vampiro deve sapere per non tradirsi e, grazie ai suoi consigli, si laurea brillantemente. Nel bel mezzo della festa di laurea, che degenera in una sorta di orgia vampiresca, Kathleen si sente male. Trasportata all’ospedale, i medici lottano per salvarle la vita. Ma la salvezza non è nelle mani dell’uomo, non è nella sua natura ferita. Soltanto nell’umile adesione a Cristo — nell’amen, flebilmente pronunciato da una morente Kathleen — si trova la Via per la vita. Si veda, Rom. 7,24 s.: "Misero me uomo, chi mi libererà da questo corpo di morte? Siano rese grazie a Dio per mezzo di Gesù Cristo, nostro Signore".

Si conclude questa sera, con il film The addiction di Abel Ferrara, la rassegna cinematografica Liberi per amare, organizzata dal gruppo ‘La tenda’; al termine del ciclo, quindi, è opportuno riassumere, seppur brevemente, i vari passaggi dell’itinerario proposto.

Film blu (di K. Kieslowski) ha aperto la rassegna. Nell’atmosfera musicale dell’ ‘Inno alla carità’ (I Cor. 13,1: "Se anche parlassi le lingue degli uomini e degli angeli, ma non avessi la carità, sono come un bronzo che risuona o un cembalo che tintinna") si rinviene il punto di partenza: l’uomo scopre di essere costitutivamente fatto per amare; scopre che la realizzazione della propria persona dipende soltanto dal dono di sé, dall’amore.

La vita sognata degli angeli (di E. Zonca) ci ha permesso di approfondire questa parola, oggi così abusata da rischiare di non dire più nulla. Amore può significare ‘amore di appropriazione’ oppure ‘amore di amicizia’ (C. Caffarra, Catechesi 1, 1998). Il primo consiste nell’amare l’altro per ciò che ha, per il vantaggio che può dare (l’altro in funzione di sé); il secondo, al contrario, nell’amare l’altro per se stesso e in se stesso. Due diverse concezioni della parola ‘amore’, che portano a conseguenze diametralmente opposte: disperazione e felicità, morte e vita.

Dunque, una volta appreso che l’unico modo giusto di amare una persona — e, di conseguenza, di realizzare noi stessi — è di volere il suo bene, non ci resta che metterlo in pratica. Tuttavia, in questo tentativo sperimentiamo, ogni giorno, i nostri limiti, la nostra connaturata incapacità (cfr. sussidio allegato: C. Caffarra, Catechesi 2, 1998). Autori pagani (Ovidio, Metamorfosi 7,20) e cristiani hanno stupendamente descritto questa realtà; si legga Rom. 7,18 s.: "... c’è in me il desiderio del bene, ma non la capacità di attuarlo; infatti io non compio il bene che voglio, ma il male che non voglio" (The addiction).

A questo punto, quale è la scelta più ragionevole? La scelta più ragionevole per l’uomo, per ogni uomo, è quella di non decapitare il proprio desiderio di felicità, ma di aprirsi a Cristo, l’unico che rende la persona libera di amare e capace di realizzare pienamente se stessa. Non è ragionevole, infatti, tagliare una parte di sé, facendo della ragione la misura di tutte le cose; al contrario, è ragionevole permettere alla ragione di "aprirsi a tutta la realtà, a tutte le possibilità e verificarle".

Ma come può l’uomo del 2000 incontrare Cristo come persona viva? Con le parole di un grande maestro, S. Agostino (De fide rerum invisibilium): "Volgetevi a me - dice a voi la Chiesa -, volgetevi a me, che vedete, anche se non volete vedere. Coloro che in quei tempi, nella terra di Giudea, furono fedeli, appresero di persona, come realtà presenti, la nascita dalla Vergine, i miracoli, la passione, la resurrezione, l’ascensione di Cristo, e tutte le cose divine da Lui dette e fatte. Tutto ciò voi non l’avete visto; perciò vi rifiutate di crederlo. Guardate, dunque, volgetevi, pensate a ciò che vedete e che non vi è narrato come fatto del passato, né vi è annunciato come evento del futuro, ma vi è mostrato come realtà presente... Tutte quelle cose che riguardo a Cristo sono state già fatte e sono passate, non le avete viste, ma non potete negare di vedere queste che sono presenti nella Sua Chiesa... Come le intenzioni non viste degli amici vengono credute attraverso dei segni visibili, così la Chiesa, di tutte le realtà che non si vedono, è segno di quelle passate e annunciatrice di quelle future".

"Si entra così, vivendo nella Chiesa, nella vita sacramentale, cioè un incontro ugualmente personale e comunitario con il Signore. Concretamente, nella vita cristiana tutto poi si sviluppa in un modo che non è possibile predeterminare. Dio, infatti, non rimane nella pura sfera spirituale, ma è incontrabile negli avvenimenti di questa vita in modi diversissimi e molto concreti" (J. Ratzinger, Desiderio e concretezza).

Chi fosse interessato ad approfondimenti può telefonare allo 0347/9663669 oppure contattare l’associazione ‘La tenda’, Corso Martiri della Libertà 77 (FE), il venerdì (17,30 - 19,00) o il sabato (10,00 - 12,00).


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