rassegna cinematografica 2001

LA LEGGENDA DEL SANTO BEVITORE

Il cineforum, come abbiamo detto la volta precedente, è incentrato sul significato della parola libertà. Sabato scorso, come ricorderete, abbiamo cercato di rispondere innanzitutto alla seguente domanda: che cos’è la libertà. E abbiamo detto, per prima cosa, che la libertà è la capacità di scegliere in modo consapevole; vi ricorderete gli esempi contrari della digestione e della vendita della motocicletta fatta perché minacciati (esempi di atti non liberi).

Poi, ci siamo chiesti come, in base a cosa esercitare la nostra libertà, cioè in base a cosa scegliere. Infatti, prendendo spunto dalle due protagoniste del film ‘La vita sognata degli angeli’, ci siamo accorti che esiste una stretta relazione tra il modo con cui noi esercitiamo la nostra libertà e le conseguenze a cui andiamo incontro. Vi ricordate l’esempio dell’amico? Riprendiamolo brevemente: poniamo che un vostro amico vi riveli un segreto di decisiva importanza, un segreto cui tiene moltissimo. E poniamo anche che voi siate posti di fronte a questa alternativa: mantenere il segreto oppure rivelarlo e beneficiare di un grande vantaggio economico. Voi siete liberi. Cioè, applicando quanto detto prima, potete scegliere se mantenere il segreto oppure rivelarlo e avere il vantaggio economico. Questo è senza dubbio vero. Ma soffermiamo la nostra attenzione su un altro aspetto, molto importante: cosa accade in noi nel momento in cui decidiamo di tradire l'amico? Quando decidiamo di tradire l'amico, sentiamo dentro di noi, e non possiamo non sentirla, una grande tristezza, cioè noi sentiamo che la scelta fatta ci ha fatto non solo tradire l'amico, ma innanzitutto tradire noi stessi. E' come se la nostra scelta si fosse rivoltata contro di noi.

Questo esempio ci fa comprendere molto bene una cosa decisiva per la nostra vita: ossia che ci sono due modi di essere liberi, cioè due modi di esercitare la nostra libertà: un modo che possiamo definire giusto e un modo che possiamo definire sbagliato. Seguendo il primo, cioè esercitando la nostra libertà nel modo giusto, ci accorgiamo di realizzare noi stessi e quindi di essere effettivamente liberi; seguendo il secondo, invece, ci accorgiamo di andare contro noi stessi, di tradire noi stessi. Dunque, possiamo concludere dicendo che ci sono due tipi di libertà: una libertà vera e una libertà apparente, falsa e ingannatrice.

Proviamo a pensare, come esempio di una libertà falsa — e delle sue estreme conseguenze —, alla celebre notte dell’Innominato, al momento in cui egli fa il bilancio di tutta la sua vita. Ecco cosa succede nel suo cuore: "Indietro, indietro, d’anno in anno, d’impegno in impegno, di sangue in sangue, di scelleratezza in scelleratezza: ognuna compariva all’animo consapevole e nuovo, separata da sentimenti che l’avevan fatta volere e commettere; ricompariva con una mostruosità che que’ sentimenti non avevano allora lasciato scorgere in essa. Eran tutte sue, eran lui: l’orrore di questo pensiero, rinascente a ognuna di quelle immagini, attaccate a tutte, crebbe fino alla disperazione. S’alzò in furia a sedere, gettò in furia le mani alle pareti accanto al letto, afferrò la pistola, la staccò, e ... al momento di finire una vita divenuta insopportabile, il suo pensiero sorpreso da un terrore, da un’inquietudine, per dir così, superstite, si slanciò nel tempo  che pure continuerebbe a scorrere dopo la sua fine" (cap. 21).

A questo punto, abbiamo introdotto una terza domanda: come facciamo a sapere quale è il modo giusto di essere liberi? Abbiamo detto che occorre guardare dentro al nostro cuore, occorre interrogare la nostra coscienza, perché nella nostra coscienza è scritta, in maniera oggettiva e immutabile, la strada che ci conduce ad essere effettivamente liberi, cioè la strada che porta alla realizzazione di noi stessi. Si tratta di ciò che la tradizione cristiana chiama Comandamenti e che la tradizione laica chiama valori: il buono, il giusto, il bene. Noi, allora, possiamo dirci interamente liberi, quando seguiamo cosa è scritto nella nostra coscienza, cioè quando facciamo il bene. Siamo così giunti ad una diversa e più profonda definizione di libertà: libertà come capacità di operare il bene, il giusto.

Questa mattina è necessario fare un ultimo passo, traendo spunto dal film di oggi, ‘La leggenda del santo bevitore’, film che il regista Ermanno Olmi ha tratto da un libro di Joseph Roth del 1939.

Il punto dal quale occorre partire è l’ultima definizione di libertà che abbiamo dato; abbiamo definito la libertà come la capacità dell’uomo di perseguire ciò per cui è fatto — libertà come dimensione dell'essere —, cioè il bene. La domanda alla quale cercheremo di dare una risposta oggi è la seguente: l’uomo è capace di realizzare il bene con le sue sole forze? Noi siamo capaci di realizzare ciò per cui siamo fatti soltanto con le nostre forze?

E’ questa la domanda che voi dovete tenere sempre presente nel vedere il film di oggi. E’, infatti, questa la chiave interpretativa di tutto il film. Proviamo a vedere cosa ci dice, al riguardo, ‘La leggenda del santo bevitore’. Andreas, il protagonista del film, è un vagabondo ubriacone che vive alla giornata e dorme sotto i ponti della Senna. Un giorno un distinto signore gli offre 200 franchi. Andreas accetta a patto di poter restituire il prestito. Il signore accetta a sua volta e insiste perché il debito sia adempiuto nei confronti di Santa Teresa di Lisieux: Andreas dovrà restituire la somma nella chiesa di Santa Maria di Batignolles, dove si trova una statuetta di Santa Teresa.

E’ questo l’episodio dal quale occorre partire: un debito da adempiere. In altri termini, tutto il film si snoda, si sviluppa su questo tema centrale: il compimento di un’opera giusta. Il protagonista del film, Andreas, è l’archetipo dell’uomo, di ogni uomo, di ognuno di noi. Con lui, il regista vuole rappresentare l’uomo che cerca di compiere il giusto e, quindi, come abbiamo in precedenza detto, di realizzare se stesso.

Da questo momento in poi, la vita di Andreas è tutta un avvicinarsi e un perdersi sulla strada di quella Chiesa, cioè un tentare di realizzare il giusto — ciò che la sua coscienza gli comanda — e l’impossibilità di riuscirci del tutto. Più volte è pronto a pagare il proprio debito, più volte si trova già all’interno della Chiesa, intravvede nel buio la statua della Santa, ma basta poco perché si ritrovi fuori, in compagnia di vecchi amici o di donne. Ripetiamolo: la vita di Andreas è un tentare di realizzare il giusto e l’impossibilità di riuscirci.

Ora, lasciamo per un momento da parte il film, e pensiamo alla nostra esperienza quotidiana: fin dalle più piccole cose di tutti i giorni, in famiglia, a scuola, sul lavoro, con gli amici, cosa sperimentiamo? Noi sperimentiamo la nostra incapacità di fare il bene pienamente, di compiere il giusto, la nostra incapacità di obbedire a ciò che la nostra coscienza comanda.

Guardate, che quanto ho appena detto, e che forse alcuni di voi hanno riconosciuto vero in quanto già sperimentato, è stato stupendamente descritto. Pensiamo, ad esempio, a S. Paolo, il quale nella lettera ai Romani (7,15) afferma: "Io non riesco a capire neppure ciò che faccio: infatti non quello che voglio io faccio, ma quello che detesto". Ma anche un autore pagano, Ovidio, nato nel 43 a.C., dichiara la stessa cosa; nelle Metamorfosi, infatti, dice: "vedo ciò che è bene e lo approvo, ma poi seguo il male" (video meliora proboque, deteriora sequitur). S. Paolo, un cristiano, e Ovidio, un pagano: il loro pensiero sta a dimostrare che l’esperienza appena descritta appartiene a tutti gli uomini, al di là del credo e delle circostanze storiche.

"Riandiamo a vedere che cosa succede dentro di noi: vedo il bene e faccio il male. Analizziamo questa affermazione. Anzitutto, vedo il bene. Cioè, conosciamo e riconosciamo che cosa è bene/che cosa è male. Che cosa significa questa conoscenza? Significa che noi conosciamo che cosa ci è chiesto dalla nostra dignità di persona; vieniamo a sapere la verità sul bene della nostra persona, cioè su ciò che la realizza. Infatti, appena noi vediamo che cosa è bene/che cosa è male, sentiamo sorgere dentro di noi una "re-azione" a questa visione. Ci sentiamo come mossi a, come spinti dal di dentro, come attratti interiormente verso quel bene che abbiamo conosciuto. E’ una attrazione, una spinta fortissima. Essa è come un appello, un invito rivolto alla nostra libertà.

Prendiamo ora in esame la seconda ipotesi: noi conosciamo il bene e lo approviamo e poi facciamo il male. Poi, faccio il male. Cioè, la nostra libertà non è capace di realizzare quel bene che vediamo. E’ una libertà ferita, ammalata: è come se fosse legata. Ha bisogno di essere slegata: è una libertà che ha bisogno di essere liberata. In che cosa consiste questa liberazione della nostra libertà? Guardiamo dentro di noi, ancora una volta. Chi non sente in sé l’aspirazione verso tutto ciò che è bene, il desiderio profondo di tutto ciò che è giusto, la nostalgia del bello? Eppure, ecco che non siamo capaci di realizzare tutto questo. E ci rendiamo conto a volte che stiamo dilapidando il nostro essere. Che cosa è la liberazione? È una ‘capacitazione’, un renderci capaci di adempiere interamente i desideri più profondi del nostro cuore" (C. Caffarra, Cristo ci fa liberi, 16 novembre 1996, 4 ss.).

A questo punto, due sono le principali proposte che oggi ci vengono prospettate. La prima può essere riassunta citando il poeta Orazio il quale, rivolgendosi alla sua donna, Leucanoe, scriveva: "… Accetta quello che ti capita, sii saggia e non illuderti. Mentre parliamo il tempo invidioso scivola via. Goditi l'istante presente, infischiati del domani, e abbrevia la tua troppo lunga speranza". Abbrevia la tua troppo lunga speranza. Ecco la prima proposta: restringi i desideri del tuo cuore, decapitali. Goditi i beni presenti, fai uso delle creature e inebriati di vino e di profumi (cfr., da ultimo, U. Beck, I rischi della libertà, ed. Il Mulino, 2000).

La seconda, invece, è la proposta cristiana. Duemila anni fa un uomo, sceso sulla terra, ha detto di essere il figlio di Dio e di rendere capaci coloro che lo avrebbero seguito — ieri come oggi — di realizzare i desideri del loro cuore. "Nel vocabolario cristiano quest’ultimo intervento di Cristo dentro alla nostra libertà di scelta si chiama grazia. Che cosa è la grazia? È la forza che libera la nostra libertà e la rende capace di realizzare i desideri più profondi del nostro cuore, cioè di realizzare la nostra persona: di amare, di essere giusti, di lavorare con passione, con gioia, di vivere con dignità, di affrontare la sofferenza non con disperazione.

Perché il termine grazia? Perché questa liberazione avviene in un incontro fra due persone: l’una — quella di Cristo, che ti chiama — e l’altra — la nostra persona — che si lascia attrarre, perché ‘sente’ che in Lui trova pienezza ogni suo desiderio. La grazia è questo incontro con la Persona di Cristo" (C. Caffarra, Cristo ci fa liberi, cit., 7 ss.).

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Queste sono le due proposte. Quale di queste è più ragionevole seguire e verificare? Io sono convinto che il vostro cuore vi ha già dato la risposta, ma se questa dovesse tardare, proviamo a pensare a questa situazione: una persona amica vi dice che sotto uno dei ponti di Ferrara si trova un sacchetto contenente 100 milioni. Quale è la scelta più ragionevole: andare a verificare oppure dire: "ma no, cosa vuoi mai che ci sia. Non ci sarà nulla, accontentiamoci". La scelta più ragionevole è quella della verifica, perché essa viene incontro a tutte le tue esigenze, senza decapitarne alcuna. Pascal direbbe: "Sì, ma scommettere bisogna: non è una cosa che dipenda dal vostro volere, ci siete impegnato. Avete due cose da perdere, il vero e il bene, e due cose da impegnare nel giuoco: la vostra ragione e la vostra volontà, la vostra conoscenza e la vostra beatitudine; e la vostra natura ha da fuggire due cose: l’errore e l’infelicità… Pesiamo il guadagno e la perdita… Valutiamo questi due casi: se vincete, guadagnate tutto; se perdete, non perdete nulla. Scommettete, dunque, senza esitare" (Pensieri, nn. 161 ss.).

Per questa ragione, perché in gioco c’è tutto, cioè la nostra libertà, Dostoevskij, ne I Demoni, scrive: "Su Cristo potete discutere, non essere d’accordo... Tutte queste discussioni sono possibili, e il mondo è pieno di esse e a lungo ancora ne sarà pieno. Ma io e voi sappiamo che sono sciocchezze; che Cristo, se fosse solo uomo non sarebbe il Salvatore e fonte della vita; che la sola scienza non completerà mai ogni ideale umano, e che la pace e la gioia per l’uomo, la fonte della vita per l’uomo, la salvezza dalla disperazione per tutti gli uomini, la garanzia del significato dell’intero universo, si racchiudono in queste parole: E il Verbo si è fatto carne".

Arriviamo alla conclusione di questo percorso: se è vero che la nostra libertà è una libertà ferita, e se è vero che Qualcuno — Cristo — ha promesso di ‘guarirla’, di ‘liberarla’, è ragionevole verificare la veridicità della Sua promessa, così come ha fatto Tommaso.


Caravaggio, L’incredulità di S. Tommaso

Detto questo, ritorniamo al film. Abbiamo detto che l’episodio dal quale occorre partire è un debito da adempiere. In altri termini, tutto il film si snoda, si sviluppa su questo tema centrale: il compimento di un’opera giusta, la realizzazione di una cosa che la mia coscienza mi dice essere giusta. Infatti, se noi leggiamo il libro di Roth, da cui è tratto il film, troviamo un esplicito riferimento alla coscienza (pag. 12: "... non appena avrà i miseri duecento franchi, se la sua coscienza la spingerà a non rimanere in debito di questa somma...") e nel film Andreas, se avete prestato attenzione, si dichiara "uomo d’onore" (anche in seguito, afferma: "... lei non mi conosce, io sono un uomo d’onore, un lavoratore onesto; guardi le mia mani... mani sporche, callose, ma mani oneste di lavoratore"), cioè un uomo che sa cosa è giusto e cosa è sbagliato, cioè un uomo consapevole di cosa la propria coscienza gli comanda. Dunque, possiamo concludere dicendo che Andreas è l’archetipo dell’uomo, di ogni uomo. Con lui, il regista vuole rappresentare l’uomo che cerca di compiere il giusto, e quindi, come abbiamo in precedenza detto, di realizzare se stesso.

Da questo momento in poi, la vita di Andreas è, se ripercorrete con la memoria il film, tutta un avvicinarsi e un perdersi sulla strada di quella Chiesa, cioè un tentare di realizzare il giusto — ciò che la sua coscienza gli comanda — e l’impossibilità di riuscirci del tutto. Più volte è pronto a pagare il proprio debito, più volte si trova già all’interno della Chiesa, intravvede nel buio la statua della Santa, ma basta poco perché si ritrovi fuori, in compagnia di vecchi amici o di donne. Ripetiamolo: la vita di Andreas è tutta un avvicinarsi e un perdersi sulla strada di quella Chiesa, cioè un tentare di realizzare il giusto e l’impossibilità di riuscirci del tutto.

Proviamo a ripercorrere, in estrema sintesi, questi vari momenti: inizia a spendere i 200 franchi nel bere, continuando ciò che già prima era solito fare; la mattina seguente, si reca in un caffè migliore, poi dal barbiere per farsi fare la barba e, quindi, di nuovo nel caffè, dove incontra un opulento signore che gli offre esattamente 200 franchi per aiutarlo in un trasloco; Andreas accetta e nei due giorni successivi esegue con puntualità e scrupolo il lavoro. Terminato il lavoro, svegliato dal rintronare delle campane di una chiesa vicina, si ricorda del debito verso Santa Teresa. Mentre sta per entrare, la folla esce perché la Messa è finita. Si informa della Messa seguente e attende in un bar. Dopo aver bevuto vari bicchieri, esce e "proprio quando sta per muovere il primo passa verso la cappella... udì all’improvviso chiamare il suo nome". Era una donna, la donna per cui era stato in prigione (Caroline). Abbandona la Chiesa e prende un taxi in compagnia della donna. Si recano in un ristorante. Dopo aver pagato il conto, Andreas si accorge di non avere più il denaro da restituire alla Santa. Dopo aver passato la notte con la donna, ricomincia la sua vita, tra bicchieri di vino e taverne. Dopo aver sognato la piccola Teresa, si accorge una mattina di non avere più denaro, ma soltanto un portafoglio acquistato il giorno precedente e in cui trova una banconota da 1000 franchi. Cambia il denaro e riconosce una foto di un amico d’infanzia, ora pugile famoso. Decide di andarlo a trovare. L’amico insiste perché Andreas rimanga in albergo e qui incontra una giovane ballerina, la quale, al termine di una breve relazione, gli ruba un po’ di soldi, lasciandolo solo con 250 franchi. Andreas ritorna alla Chiesa. Sono ancora le dieci e deve aspettare. Si rifugia nel solito bistrot, dove incontra un vecchio amico minatore (Woitech) che, quando già i due sono all’interno della Chiesa, riesce a convincerlo a dargli 200 franchi, spesi poi in bere e in donne. Ritornato sotto il ponte della Senna, incontra di nuovo il distinto signore disponibile a dargli 200 franchi. Dopo aver bevuto e aver speso più soldi di quanti avrebbe potuto spendere, torna alla Chiesa, pur sapendo di non poter adempiere per intero il suo debito. La Messa delle dieci è finita ed il consueto fiume di gente gli viene incontro. Prende la via del Bistrot, ma si sente chiamare: è un poliziotto, che gli consegna un portafoglio appena perduto. Andreas entra nel bistrot, trova l’amico, apre il portafoglio e vi trova esattamente 200 franchi. A questo punto, mentre sente un forte dolore al cuore e al capo, entra nel locale una giovane ragazza: è Teresa. E’ Teresa che lo cerca e gli offre del denaro, ma nell’ultimo gesto di restituire i soldi, Andreas muore.

Ripercorsi in sintesi i vari momenti della vita di Andreas, proviamo a darne un giudizio e a riflettere sul loro possibile significato. In primo luogo, abbiamo detto che Andreas rappresenta l’uomo, ogni uomo, ognuno di noi. In secondo luogo, abbiamo detto che Andreas — e, con lui, tutti noi — è chiamato a realizzare il bene, il giusto, ovvero ciò che la coscienza comanda.

A questo punto, possiamo notare due cose: innanzitutto, Andreas viene messo continuamente nella condizione di pagare il suo debito, una volta con l’offerta di un lavoro, un’altra volta con i soldi trovati in un portafoglio acquistato, un’altra volta ancora con i soldi trovati in un portafoglio consegnatogli da un poliziotto. Cosa può significare tutto questo? Con tutta probabilità, ciò sta a significare che ognuno di noi ritrova in sè della capacità, delle attitudini, delle doti. Capacità che oggettivamente sono in noi, indipendentemente dalla nostra volontà (il caso del portafoglio) oppure che possiamo sviluppare e ottenere attraverso la cooperazione della nostra volontà (pensiamo al lavoro offertogli).

Tuttavia, a fronte di queste capacità sta l’assoluta incapacità di Andreas di pagare il proprio debito. In altri termini, l’uomo che cerca di raggiungere il bene, sperimenta, verifica la sua connaturata incapacità di raggiungerlo pienamente.

Arriviamo così alla fine del film e alla fine di questo percorso sulla libertà. Andreas si trova nel bistrot in compagnia dell’amico Woitech, pronto, verosimilmente, a spendere i 200 franchi nel bere. A questo punto cosa accade? Accade che S. Teresa entra nel bistrot, viene incontro ad Andreas, rendendo possibile ciò che, altrimenti, non sarebbe stato possibile (successivamente viene trasportato, da quattro uomini, nella sagrestia della Chiesa).

E’ questa la visione cattolica, di cui Olmi è senza dubbio un fine interprete. All’uomo, segnato dal peccato, dotato di una natura ferita ed incline al male, Dio viene incontro, concedendogli (attraverso i sacramenti) la facoltà di realizzare il bene, di realizzare se stesso e, quindi, di essere effettivamente libero.

Forse, questo aspetto si può scorgere anche nel film. Talvolta, Andreas ricorda il passato in cui appare del tutto diverso: i capelli sono puliti e pettinati, i vestiti stirati e in ordine, la barba tagliata. Poi, un fatto, l’uccisione di un uomo e l’esilio obbligatorio. E’ questa, a ben vedere, la situazione dell’uomo, al quale Dio viene incontro e gli concede la grazia per essere pienamente libero, cioè la capacità di realizzare ciò che altrimenti non sarebbe in grado da solo di realizzare.

Concludiamo con le parole di Joseph Roth, che descrive questo incontro: "In quel momento — cioè quando Andreas e Woitech erano pronti ad iniziare a bere — si aprì la porta e, mentre avvertiva un terribile dolore al cuore e una grande debolezza al capo, Andreas vide che era entrata una ragazzina e che si sedeva proprio di fronte a lui, sul sedile imbottito. Era giovanissima, giovane come gli pareva non fosse mai stata nessuna ragazza veduta prima, ed era completamente vestita di colore blu cielo. Era blu come lo può essere solo il cielo in certi giorni, e soltanto in quelli benedetti... Andreas le chiese: "Come si chiama?". "Teresa" rispose lei. "Ah," esclamò Andreas "ma questo è bellissimo! Non avrei mai pensato che una così grande, così piccola santa, una così grande e così piccola creditrice mi concedesse l’onore di venirmi a cercare, dopo che io ho tardato tanto ad andare da lei".


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