rassegna cinematografica 1999

FILM BLU

La rassegna ‘Liberi per amare’ è il modo attraverso cui l’associazione ‘La Tenda’ offre la possibilità di ripercorrere, con le forme e le intuizioni proprie del linguaggio cinematografico, lo stupendo itinerario già proposto da S.E. Mons. Caffarra in cattedrale (Apriti cuore).

Il film di questa sera, Film blu (di K. Kieslowski), è la scoperta della vocazione umana. L’uomo apprende che l’unico modo per realizzare pienamente se stesso è l’amore, cioè il dono di sé.

Il film si apre su una pagina stupenda e terribile. Un rumore infernale; un’auto lanciata a piena velocità su una strada di campagna; a bordo una famiglia, padre (Patrice), madre (Julie) e, sul sedile posteriore, una bambina (Anna). La vettura esce di strada, si schianta contro un albero.

All’ospedale, Julie riprende coscienza: sua figlia è morta e, con essa, Patrice, grande compositore che stava lavorando ad un ‘Concerto per l’Europa’. Un’esplosione di rabbia impotente: fa a pezzi una finestra, tenta di ingoiare un flacone di pillole, allontana, infastidita, un assistente del coniuge venuto a farle visita. Sopravvivere? Perché e come?

La donna, reduce dall’ospedale, è una Julie nuova, indurita dalla prova, terribilmente decisa a liberarsi del passato. Gesti supremi di questa sua scelta di libertà come nuova esistenza in una solitudine orgogliosa: abbandona la bella e superba residenza, in cui abitava; si rifugia in un appartamentino della vecchia e squallida rue Mouffetard; getta lo spartito del Concerto in un camion della nettezza urbana parigina; una sera convoca Olivier: l’assistente del marito le serve, ha bisogno di compagnia, una notte di sesso e, la mattina seguente, il congedo senza tanti complimenti.

Ma le voci del passato e della coscienza non demordono, inesorabili la inseguono: la vecchietta curva che, lenta e silenziosa, le passa accanto con la bottiglia da buttare è la singolare presenza suscitata dal regista a testimone arcano del tormento interiore della protagonista; poi, la musica del marito che ossessiona i suoi silenzi, che irrompe subitanea a violentare i suoi attimi di tranquillità o ad enfatizzare i suoi sussulti emotivi; infine, Olivier che la interpella cortese ma insistente: è l’uomo che la ama davvero e lei lo sente, il suo timido sorriso è un appello discreto, vibrante.

Julie, chiamata nel cuore della notte nel night in cui si esibisce una nuova conoscente, vede le immagini di un documentario sulla vita del marito. Rimane colpita dalla giovane signora che gli sta al fianco: Patrice aveva un’amante? Indaga. Olivier conferma e precisa: fa l’avvocato. Julie la vuole conoscere: è un incontro franco e sereno, la donna è in attesa di un figlio, che chiamerà Patrice. Julie decide di donarle la grande casa con parco, in cui ha vissuto con il marito e la piccola Anna.

Ora Julie ha capito. Non è l’arroccarsi in una solitudine astiosa e illusoria, ma l’amore che la renderà libera dal passato e libera di vivere e di creare. Il concerto per l’Europa s’interrompe su un vuoto da colmare, melodie da inventare. Dalla felicità di Julie zampilla l’ispirazione che sublimerà gli accenti della Cantata per l’Europa, nell’atmosfera musicale dell’ ‘Inno all’amore’: "Quando io parlassi le lingue degli uomini e degli angeli, se non ho l’amore, sono solo un bronzo o un cembalo che tintinna" (Paolo, I Cor.).

Julie è l’archetipo dell’uomo, che scopre, attraverso l’esperienza, di essere costitutivamente fatto per amare. Non in un progetto astratto, ma nella scoperta e nella sequela della propria natura — oggettiva — risiede il segreto di ogni piena realizzazione di sé.

Tuttavia, a questo punto, occorre interrogarsi sul significato della parola amore, parola così inflazionata e abusata da rischiare veramente di non dire più nulla. Il prossimo film [giovedì 18 marzo: La vita sognata degli angeli (1998) di E. Zonca] ci aiuterà a comprenderla.

La rassegna si concluderà martedì 30 marzo, con il film: The Addiction (1995) di A. Ferrara.


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