Dal compositore all’ascoltatore attraverso l’interprete.

 

Premessa.

In alcune delle precedenti edizioni del notiziario presentato dall'associazione “La Spiga” mi sono intrattenuto a tratteggiare lungamente, in astratto, il concetto di “musica”. Nella realtà e nel fatto pratico, tale arte implica quasi sempre tre fattori: il compositore, l’interprete e l’ascoltatore. E’ un triunvirato che non può essere disgiunto. Ho iniziato, in uno dei precedenti notiziari, l’esame dei triunviri dalla “coda” poiché ritenuto più opportuno, in pratica dall’ascoltatore, tracciando anche, in embrione, un metodo per introdursi nella “critica” musicale.

In queste pagine cerco, ora, per quanto ne sia la capace, di delineare la funzione dell’interprete e, particolarmente, del “Maestro concertatore e direttore d’orchestra”.

 

L’interprete: il direttore d’orchestra.

Ritengo tutti siano d’accordo che egli è al servizio del compositore per assimilare e ricreare il “messaggio” di quest’artista. Tale compito non è semplice perché è necessario risolvere alcuni problemi che, immancabilmente, si presentano.

Se per l’ascoltatore è essenziale comprendere il problema dello stile, lo è ancor di più per l’interprete. L’interprete musicale è una specie di mediatore poiché noi ascoltiamo non tanto il compositore ma la concezione che ha l’interprete di questo musicista.

Nelle altre arti, pittura, scultura, letteratura, il diretto prodotto dell’artista, cioè il quadro, la statua, il romanzo, la poesia contiene in sé tutta l’opera d’arte, e non sono necessari ulteriori passaggi, perché essa sia comprensibile e godibile dal pubblico. La “recitazione” che un attore fa di una poesia, pur potendo rendere più perfetta e godibile l’opera letteraria, con il prestare una voce calda ed affascinante e un “consumato” mestiere, non è tuttavia necessaria alla comprensione di essa, che ciascuno, benpensante, può direttamente gustare con la lettura.

I rapporti, in queste arti sono diretti, l’opera del pittore, per esempio, esige solo di essere messa in luce opportuna, ma la musica, che è principalmente “suono” e, con essa il teatro lirico, deve essere re-interpretata per vivere”.

 

I segni apposti dal compositore sul pentagramma sono semplici simboli grafici che rappresentano le note ed anche chi è in grado di interpretarli speditamente, deve pur sempre, per gustare la musica, immaginare, dentro di sé, i suoni simboleggianti quei segni. Non si può cioè accostarsi a quest’arte, per conoscerla e giudicarla, se si prescinde dal suono. Occorre cioè un interprete che trasformi i segni grafici tracciati sulla carta dal compositore e li trasformi in suoni: occorre cioè lo strumentista, il cantante, il direttore d’orchestra; in una parola sola: l’esecutore.

 

Il primo problema interpretativo, quindi, è nella notazione musicale che non può presentare, certamente, un’esatta e completa trascrizione del pensiero del compositore che rimane così indeterminato. Egli, compositore, trascura troppe cose che sono oggetto di gusto e di scelta individuale anche in considerazione all’arco di tempo trascorso tra la stesura della composizione stessa nella partitura e l’epoca dell’esecuzione.

L’interprete è perciò sempre posto di fronte alla lettura della carta stampata ove possono essere presenti delle incertezze sulle indicazioni dinamiche e di movimento. C’è la possibilità di esagerare in due direzioni: di essere troppo ligi al testo o nell’allontanarsene troppo. La musica infatti si presta a numerose interpretazioni diverse.

Una composizione musicale è un organismo, una cosa vivente, non inerte e, pertanto, suscettibile di essere vista sotto varie luci ed angoli di visuale non omogenei da più interpreti o, anche, dallo stesso interprete in tempi diversi.

Il rapporto, quindi, tra l’”esecutore-direttore” e la composizione che interpreta, è molto delicato ed è necessaria una preparazione tecnica esperta ed agguerrita in quanto l’arte, del compositore, in quel momento, non ha alcun’importanza, perché i problemi che l’interprete si trova ad affrontare sono di natura squisitamente filologica cioè relativi allo studio della cultura, della letteratura e della “scrittura musicale” dell’epoca del musicista.

Questa difficoltà emerge, soprattutto, quando il “maestro-direttore” si trova ad interpretare una partitura antica con sistemi di notazione e di dinamiche ben diverse dalle attuali.

Dovrà, quindi, cercare di realizzare un’interpretazione più vicina alle intenzioni dell’autore, ed allora sarà “fedele” oppure sceglierà un’interpretazione più adeguata ai tempi e/o al suo carattere, ed allora “produrrà” un’interpretazione “personale”.

Quando il direttore si accinge allo studio preliminare della composizione, ha innanzi a sé la “partitura”, cioè il foglio “pentagrammato” sul quale è scritto il brano musicale. In essa sono riunite tutte le singole “parti” degli strumenti, delle “voci” e del “coro”. Egli ha così davanti agli occhi tutte le note e le pause che ogni strumento, o sezione di strumenti, è chiamato ad eseguire. Dall’alto verso il basso: i legni, gli ottoni, le percussioni, i solisti, i cori, gli archi.

Con la partitura il direttore ha dinanzi a se le parti di tutta l’orchestra e può così cominciare lo studio preliminare del pezzo che dovrà dirigere.

 

Siamo verso la fine del Seicento allorché il direttore svolge generalmente in orchestra la funzione di primo violino, come nel caso di Arcangelo Corelli, rimasto famoso per essere stato il primo a pretendere dai suoi violinisti un perfetto sincronismo nel movimento di tutti gli “archetti”.

Il primo direttore, veramente moderno, fu Gaspare Spuntini, all’inizio dell’ Ottocento, molto apprezzato da Berlioz e da Wagner, esecutore puntiglioso e preciso, severissimo con i cantanti e gli strumentisti.

Direttore eccelso fu Wagner, dotato di una personalità magnetica che si imponeva con la forza del suo enorme fascino su cantanti e orchestra, trascinandoli in splendide esecuzioni, rimaste leggendarie.

Ma la figura moderna del direttore d’orchestra si delineò in tutta la sua chiarezza con l’apparire della eccezionale personalità di Arturo Toscanini. Egli conosceva le partiture che dirigeva fino ai minimi particolari, e la fedeltà di esse era per lui un credo fondamentale che lo portava ad esecuzioni di una fedeltà spirituale senza precedenti. Severissimo con strumentisti e cantanti, egli li dominava tutti con il suo straordinario fascino e con il suo gesto imperioso.

 

Il direttore, poi, da solo o con i suoi assistenti, sulla base della partitura del brano da eseguire, decide preventivamente l’interpretazione da dare nella esecuzione e, accertatosi che la sua idea non contraddica le intenzioni dell’autore, decide, tra le interpretazioni possibili del pezzo, una scelta di carattere artistico, guidato soprattutto dalla propria sensibilità di interprete. Comunica questa sua scelta interpretativa agli esecutori, - che nel frattempo si erano esercitati per approfondire le “parti” di competenza, prima individualmente e poi, suddivisi per sezione di strumenti, con funzione di “assieme” - durante la “prima prova”, o “lettura”, riservandosi di dare le spiegazioni man mano che sono eseguite le varie fasi del brano, facendo in modo che essi comprendano, alla perfezione, il suo pensiero e le sue direttive. Attua così la “concertazione”, cioè la preparazione ed il coordinamento degli orchestrali per la realizzazione del concerto, dell’opera lirica o di qualsiasi manifestazione musicale. Essa è un atto distinto da quello della direzione che consiste nel guidare l’esecuzione vera e propria. Tale concertazione viene attivata attraverso una serie di prove settoriali o generali.

Ma per spiegare la propria idea interpretativa ha bisogno di alcune qualità molto importanti:

Gli esecutori sono sempre pronti ad una cordiale ed appassionata collaborazione con il direttore, purché questi dimostri serietà, doti artistiche ed una grande preparazione non solo musicale ma anche storico-artistica.

Bisogna considerare che i componenti dell’orchestra sono generalmente dei valenti musicisti, con una profonda preparazione musicale, con larga esperienza esecutiva e, oltre ad essere dei preziosi collaboratori, sono anche dei critici attenti e severi.

E’ in questa fase che la tecnica, la comunicativa e il fascino svolgono un ruolo di primaria importanza.

Gli orchestrali devono comprendere chiaramente ciò che vuole il direttore, il quale impone la propria personalità in modo che l’orchestra diventi l’espressione fedele di essa.

Il gesto del direttore, quindi, assume a questo scopo, una funzione importantissima; quanto più esso è chiaro, imperioso, preciso e fermo, tanto più facile sarà il compito degli strumentisti. Quanto più esso sarà espressivo, tanto più l’orchestra avrà la possibilità di eseguire fedelmente l’idea del direttore.

Generalmente impugna la bacchetta con la mano destra, con funzione di ampliare il suo gesto, servendosi di essa principalmente per segnare il tempo. Una volta i direttori, per questo scopo, battevano, rumorosamente al suolo, un grosso ed arabescato bastone, oppure percuotevano con una verga o con l’archetto del violino un grosso leggio.

La mano sinistra, invece, serve per curare l’espressione; con essa il direttore può far cenno ad un settore dell’orchestra di suonare più piano, mentre ad un altro settore farà cenno di suonare più forte, o ai cantanti di intervenire.

Tuttavia l’azione delle due mani tende spesso ad integrarsi, poiché la bacchetta può influire sulla “dinamica” e la mano sinistra sulle “indicazioni ritmiche”.

Il gesto chiaro è una dei requisiti del buon direttore, di cui esprime, con precisione, le intenzioni. Il gesto confuso o incerto negli attacchi o in certe mutazioni ritmiche, può determinare momenti di panico.

Gli arti inferiori non servono ad un ottimo, cosciente e preparato direttore! E quantomeno un “fioretto” da valente spadaccino o un gesto, con torsioni del busto, da ”flash dance” o il prosternarsi al modo mussulmano!

 

In questa “lettura” il direttore esaminerà, in prima istanza, il problema pratico della “dinamica sonora”. Ogni composizione musicale, infatti, è formata dalle parti di diversi strumenti, che insieme concorrono a formare la frase musicale nella sua forma completa. Tuttavia non tutti gli strumenti svolgono contemporaneamente una funzione di pari importanza.

In ogni frase musicale vi sono strumenti che sostengono la linea melodica ed altri che sostengono parti di accompagnamento. In questo caso la linea melodica è sempre quella che deve avere il maggiore rilievo ed essere sempre chiaramente distinguibile. Se tutti gli strumenti suonassero con pari intensità, il risultato sarebbe estremamente confuso.

Per questa ragione, le sezioni, che in quel momento hanno parti di accompagnamento, suonano, generalmente, più piano di quella che sostiene la linea melodica della frase; esse devono cioè “lasciar suonare” quelle che hanno la parte più importante. In questo caso la sezione che ha il maggior rilievo sonoro, è quella che in quel momento espone il “tema”, cioè quel breve inciso melodico che caratterizza la composizione.

Quando “la voce” o la “sezione” ha completato la esposizione del proprio tema, diminuendo la sonorità, immediatamente cede il campo, alla voce o alla sezione che successivamente può esporre il proprio tema.

Questo sottile gioco di equilibri sonori, studiato preventivamente dal direttore, in teoria sulla partitura, è necessario che venga, in sede di prova, tramutato in pratica.

In questo caso la funzione del direttore sul podio è assolutamente insostituibile, poiché deve rendersi conto dei vari equilibri delle parti coordinando tutte le varie sonorità e risaltando, di volta in volta, le parti che debbono venire in evidenza. Necessariamente coordina gli effetti ritmici, talvolta anche molto complessi quali gli “accelerando” ed i “rallentando”, che richiedono un progressivo cambiamento di ritmo, talvolta improvviso e talvolta graduale, che gli strumenti, solisti o le sezioni o le voci, non riuscirebbero mai a compiere simultaneamente con uniformità senza la guida del direttore.

In questa fase di “lettura”, generalmente, si prova il brano “frase per frase”, interrompendosi ogni volta che qualcosa non vada alla perfezione e ripetendo, poi, ogni frase fino a quando il risultato sia perfetto, passando poi alla frase successiva.

E’ intuitivo che quanto più il gesto del direttore sarà espressivo, ma fermo, e chiaramente interpretabile dagli orchestrali, tanto meno sarà necessario interrompere la prova per dare le spiegazioni a voce.

Se del caso vi sia qualche imperfezione o carenza di tecnica in qualche sezione, il direttore si fa aiutare dai suoi sostituti per una ulteriore preparazione tecnica alla sezione carente.

Quando la preparazione dell’orchestra è completata, il direttore, se la composizione lo prevede, unisce ad essa il coro ed eventualmente i cantanti solisti, o lo strumento solista, conducendo le prove di tutto l’insieme con lo stesso sistema prima adottato, ma badando ora soprattutto a fondere in un tutto omogeneo la massa degli esecutori, solisti, orchestra e coro. In tale fase si corregge le sonorità, ove se ne mostrasse la necessità, e si introduce, se del caso, nuovi effetti necessari ad enfatizzare l’unione dei vari esecutori.

Il direttore è il comandante di una nave in battaglia, ha poteri pressoché assoluti. La storia della sua supremazia, ottenuta dopo lunghe guerre combattute soprattutto con i cantanti, è quella dell’evoluzione della musica lirica e sinfonica. Governare un centinaio di musicisti è orgoglio, esaltazione, gioia interiore, ma per funzionare è necessario respirare assieme.

 

Si giunge così alla “prova generale” nella quale i brani da presentare si eseguono, di norma, dall’inizio sino alla fine senza interruzioni e seguendo l’ordine del programma, come se si trattasse di una vera prima rappresentazione.

Qualora fossero commessi errori, non si interrompe l’esecuzione, ma si seguita fino alla fine del pezzo, annotando però gli errori commessi in modo che, alla fine, si possa procedere alle opportune correzioni.

Nella prova generale tutti gli esecutori si comportano come nel concerto o nella esecuzione teatrale, seguendo cioè la propria parte con la stessa attenzione e tensione emotiva che metteranno nell’esecuzione vera e propria, ed anche il direttore si concentra, in modo particolare, sul proprio compito, cercando quanto più possibile di rendere partecipi del proprio impegno spirituale tutti gli esecutori che collaborano con lui.

L’importanza della “prova generale” è data pertanto dalla sua funzione di effettivo collaudo dell’esecuzione; con essa si può praticamente verificare se il lavoro compiuto ha dato o meno i risultati sperati dal direttore e questi, in caso non rimanga soddisfatto, può correre ai ripari, provando ulteriormente alcune “frasi” non perfettamente riuscite.

 

La “prova generale” serve anche a “provare “ l’acustica della sala o del teatro nel quale sarà effettuata l’esecuzione.

L’acustica è molto importante poiché la sua qualità, diversa dal previsto, può voler significare il cambiamento parziale o totale delle sonorità studiate in sede di prove che improvvisamente risultino inadeguate o inadatte alla resa sonora della sala.

Una buona acustica può contribuire molto alla buona riuscita di un concerto o di un’opera lirica, esaltandone le sonorità ed eventualmente smorzandone i difetti, mentre una acustica scadente può del tutto rovinare una esecuzione perfetta.

 

Se nella prova generale sono commessi degli errori o delle imprecisioni, tutti gli esecutori, in sede di concerto o rappresentazione lirica, staranno attentissimi a che essi non si ripetano, e, di solito, è risaputo, ad una prova generale non perfetta segue un bellissimo concerto o rappresentazione lirica.

Viceversa i direttori tremano quando la prova generale va eccessivamente alla perfezione, perché sanno, per esperienza, che la perfezione dimostrata potrebbe dare un eccessivo senso di sicurezza agli esecutori, causando, in concerto, una caduta di tensione emotiva o una attenzione meno vigile del necessario, con conseguenze molto pericolose per una perfetta esecuzione.

Il concerto, quindi, o la rappresentazione lirica, rappresenta il prodotto di tutto questo processo che è stato descritto, e generalmente, è l’unica fase di esso che la maggior parte del pubblico conosce.

La funzione e la presenza del direttore, per quanto esposto sopra, non è del tutto indispensabile in concerto (è assolutamente indispensabile nelle rappresentazioni di opere liriche) pur tuttavia è assolutamente ineliminabile in sede di concertazione preventiva.

E’ bene però sottolineare che, anche se, teoricamente, si potesse tenere un concerto senza il “direttore presente” sul podio, in realtà basterebbe solamente una piccola incertezza ritmica di una sezione dell’orchestra, od un fraseggio errato, o un’entrata del solista non a tempo opportuno, per mandare irrimediabilmente all’aria tutta l’esecuzione.

 

Conclusioni.

Quanto descritto fa parte dell’etica musicale, ma poiché ora, nel mondo in cui viviamo, tutto è possibile, non mi meraviglierei che qualche direttore si presenti sul podio ed abbia i contatti con gli esecutori solo qualche attimo prima dell’esecuzione del concerto!

Il direttore, in sintesi, grazie alla partitura, è in grado di fornire ad ogni strumento o ad ogni sezione di strumenti o ai solisti, tutte le informazioni e le esatte indicazioni per condurre la composizione. La sua “bacchetta” avverte l’esecutore: quando deve “attaccare”, quando deve “sospendere”, quando deve “rallentare” o “accelerare”, quando deve “aumentare” o “diminuire” il suono. Il suo compito è estremamente difficile, non basta che sappia leggere e tradurre in gesti pronti ed efficaci i complicati segni della partitura: occorre interpretarla, renderla viva, infonderle un’anima. In questo interviene la sua sensibilità, il suo gusto artistico e la sua preparazione musicale.

Deve saper comprendere profondamente il significato di ciò che interpreta, aderire il più possibile alle intenzioni del compositore ed al periodo storico in cui questi visse, intuire i sentimenti che lo hanno ispirato, farli rivivere attraverso la sua mano e la sua bacchetta.

In una parola: ricreare da segni muti una viva musica.

Il punto importante per noi, ascoltatori, e che, per apprezzare un’interpretazione, si deve poter valutare l’azione dell’interprete sulla composizione che egli ricrea. In altre parole si deve diventare più consapevoli della parte dell’interprete, nell’esecuzione che si ascolta.

Due cose sono necessarie a questo scopo:

·        avere come punto di riferimento un concetto più o meno ideale del vero stile del compositore;

·        essere in grado di discernere su quale piano l’interprete lo porta nella sfera della sua personalità.

Anche se non può raggiungere questo ideale è bene che l’ascoltatore lo tenga presente come obiettivo. Con ciò acquista evidenza l’importanza della sua funzione nell’intero processo.

Gli sforzi combinati del compositore e dell’interprete hanno un significato solamente se sono diretti ad un pubblico intelligente. Ciò sollecita la partecipazione, la responsabilità di chi ascolta.

Perché per ascoltare veramente la musica la si deve amare realmente!

Non basta amarla nei suoi aspetti convenzionali; il gusto e la sensibilità sono, fino ad un certo punto, qualità innate ma possono essere considerevolmente sviluppate da una intelligente pratica.

Tale pratica consiste nell’ascoltare musica di ogni tempo e di ogni scuola, vecchia e nuova, tradizionalista e moderna. Ciò richiede un’audizione “spregiudicata” nel senso migliore della parola:

E’ difficile, incomprensibile, inarrivabile. Questo è il concetto espresso da molti sulla musica e, specialmente, sulla musica classica.

Forse nessuno ha mai detto che la pubblicità del detersivo Aiax aveva, come colonna sonora, un brano della “Carmen” di Bizet? O che il romantico spot del brandy Vecchia Romagna era accompagnato dalla “Romanza per violino” di Beethoven? E che la sigla della trasmissione Quark, era in realtà l’”Aria sulla quarta corda” di Bach?

Sono tre capolavori classici ai quali sicuramente ci si è affezionati e che probabilmente sono giudicati piacevoli e “facili”. E quanti altri ne sentiamo ogni giorno!

Tutti possono ascoltare musica classica e appassionarsi.

Ma come rompere il ghiaccio?

E’ presto detto! Ascoltare un brano con la stessa attenzione che si ha verso una persona che ha qualche cosa da dire!

La musica è un linguaggio, come la parola, solamente ha la possibilità di comunicare delle “sensazioni”. Ci porta in contatto diretto con la nostra anima. Sentiamo indirettamente che c’è una parte di noi che non è sottoposta alla legge di gravità e che inizia subito a rivolgersi, quasi automaticamente verso l’alto. E’ una specie di piccolo miracolo che, a quel punto, può verificarsi con i tipi più diversi di musica.

Può dare allegria, spingere a meditare, portare a galla ricordi o accendere entusiasmi!

La musica, linguaggio universale di armonia e pace, crea unione, fratellanza e va al di là delle barriere politiche ed ideologiche. Ad esempio, tanto per presentare un classico, Beethoven è capito in Afghanistan come in America, in India, in Giappone nei paesi di tutto il mondo sia con le registrazioni, sia con la musica viva. Ma soprattutto con la musica sentita dal “vero”, dal “vivo”, dal contatto diretto tra gli interpreti e gli ascoltatori.

E’ il potere straordinario delle “note” ad infondere nell’animo “energia positiva”.

E’ il “tutto” che contiene tante sfere cerebrali, attivate dagli esecutori, per far sentire nell’interno di noi stessi la soluzione alle nostre nevrosi. Ogni brano musicale scioglie un nodo interiore, come una terapia senza tempo, che fluisce nell’anima, carpendone i misteri arcani e dandole una nuova energia.

 

Verona, febbraio 2004

Gino Ferrazzi