SCUOLA MEDIA STATALE

"GIOVANNI XXIII"

PIETRAMELARA

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Su Giorgio Perlasca Primo Levi i gerarchi di Hitler

I protagonisti
 

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I gerarchi di Hitler

a cura di Francesco Ranocchi

 

JOSEPH GOEBBELS

Nato in Renania il 29 ottobre 1897, si iscrisse al partito nazionalsocialista nel 1924 e ben presto suscitò l’attenzione del futuro fuhrer per la sua straordinaria arte oratoria, che contribuì, non poco, ad aiutare gli uomini in camicia bruna nella loro ascesa al potere. Goebbels può di certo essere considerato come uno dei più grandi talenti propagandisti del secolo: non si spiega altrimenti come un uomo rachitico e storpio, a causa di una poliomielite contatta all’età di quattro anni e dunque debilitato fisicamente, riuscì a convertire folle oceaniche, all’ideologia di una suprema razza ariana, somaticamente a lui lontana per caratteristiche e nella fiducia cieca ad un uomo come Hitler, anche lui, fisicamente, ben diverso dal prototipo geneticamente perfetto esaltato dall’ideologia nazional-socialista e neppure figlio del popolo tedesco, in quanto austriaco di origine. Il suo capolavoro può essere considerato il discorso del 18 febbraio 1943 al Palazzo dello sport di Berlino quando, dopo aver esaltato il sacrificio dei figli del popolo ariano nella lotta al nemico, riuscì ad indirizzare una folla dubbiosa e frastornata dalle prime disfatte delle armate del Reich, verso il sostegno più caloroso e pieno al regime; addirittura al termine del comizio quando Goebbels domandò se si volesse la guerra totale, il boato che ne seguì fece tremare i vetri della struttura. Nel 1931 sposò Magda, anch’essa fervente sostenitrice del nazional-socialismo, dalla quale ebbe sei figli che, in onore di Hitler, furono chiamati con nomi inizianti con la lettera H, ma quella che sembrava un perfetto quadro famigliare, nascondeva una realtà ben diversa in quanto Goebbels, ossessionato dal sesso, era dedito a frequenti tradimenti con giovani aspiranti attrici, ben liete di gettarsi tra le braccia di quello che era, in quanto ministro della propaganda, l’assoluto signore del cinema tedesco. Ma Goebbels per il fuhrer era troppo importante e prezioso, anche per la diffusione dell’antisemitismo che vedeva in lui uno dei più tenaci e convinti sostenitori; fu proprio Goebbels a scatenare, tra il 9 e il 10 novembre 1938, la tristemente nota "notte dei cristalli": con la scusa di vendicare l’uccisione di un diplomatico tedesco da parte di un giovane ebreo, il ministro della propaganda scatenò le SA contro la popolazione di razza semita, i cui negozi, le cui sinagoghe furono distrutti ed incendiati, dalla furia dei paramilitari nazisti, tra massacri e barbarie di ogni genere. La notte dei cristalli segnò in pratica l’inizio della vera e propria opera di stermino nei confronti degli ebrei che, fino a quel momento, avevano subito "soltanto" sanzioni di carattere politico e razziale, come il divieto di matrimonio con persone di razza ariana, o come l’esclusione dalle scuole, dai luoghi di lavoro, dai luoghi pubblici ecc. Quando la Germania si stava ormai avviando alla sconfitta, Goebbels assunse la carica di plenipotenziario per la guerra totale e, con l’Armata Rossa ormai alle porte, quella di difensore di Berlino. Nonostante gli eserciti nazisti fossero allo sbando, Goebbels non si arrese mai all’evidenza e con strenua caparbietà, tentò fino all’ultimo, forte della sua arte propagandista, di incitare i tedeschi alla lotta: proiettò film esaltanti l’eroismo dei popoli, pronunciò discorsi incitanti al sacrificio estremo, avallò l’arruolamento di vecchi e dei ragazzi della gioventù Hitleriana, mandandoli, inevitabilmente, al massacro, nell’estremo tentativo di salvare il suo fuhrer, ma fu tutto inutile; il 1 maggio 1945, a 24 ore di distanza dalla morte di Hitler, dopo aver avvelenato i suoi sei figli con altrettante capsule di cianuro, si suicidò insieme alla moglie Magda, nell’estremo atto di fedeltà ad un ideologia cui aveva dedicato tutto se stesso e a cui restò fedele fino all’estremo sacrificio. Ministro della propaganda, ministro plenipotenziario per la guerra totale, difensore di Berlino, Joseph Goebbels fu l’uomo più fedele di Hitler, fino al punto da seguirlo nella morte insieme a tutta la sua famiglia.

 

RUDOLPH HESS

Fu l’incarnazione della follia, dell’esoterismo, colui che visse ai confini della realtà, attraversando, unico tra i grandi gerarchi, quasi tutto il ventesimo secolo fino alla morte, per suicidio, nel carcere di Spandau il 17 agosto 1987, nel settantesimo anniversario della fondazione della Thule, la setta da cui trasse origine quel partito nazional-socialista dei lavoratori tedeschi, destinato, di lì a poco, a sconvolgere i destini del mondo; quasi un macabro simbolo di lucidità in una mente da tempo assente, sconclusionata, persa nel vuoto. Nato ad Alessandria d’Egitto il 26 aprile 1894, da una facoltosa famiglia di commercianti tedeschi, Hess rappresentò il volto oscuro e misterioso del nazionalsocialismo. Esperto aviatore, partecipò alla grande guerra e, come tale, assistette, impotente, alla fine dell’impero del Kaiser Guglielmo II. Giunto a Berlino alla fine del conflitto, cominciò a dedicarsi all’occultismo, iscrivendosi a circoli esoterici e fu proprio in quel periodo che conobbe l’uomo della svolta, un giovane austriaco dal nome Adolf Hitler, con il quale entrò a far parte del neonato partito nazional-socialista. Nel 1923 prese parte al Putsch di Monaco e, pur riuscito a scampare all’arresto, preferì costituirsi per seguire le sorti del futuro fuhrer il quale, in carcere, gli dettò il Mein Kampf, ossia la bibbia dell’ideologia nazista. Nel 1933 Hitler divenne cancelliere del Reich ed il compagno della prima ora Hess ne condivise l’ascesa, divenendo suo vice, ma quello che però sembrava un idillio indistruttibile finì, invece, ben presto con lo spezzarsi: Hess era sempre meno lucido, praticava occulti riti iniziatici, si circondava di strani talismani, appariva sempre più sconclusionato e distante dalla realtà, come se la sua mente vagasse nel nulla. Allo scoppio delle ostilità Hitler decise, dunque, di declassarlo, nominando Goring come vice-fuhrer; come riferito da molti testimoni del tempo Hess fu sempre più un simbolo e sempre meno un uomo di potere, divenendo un personaggio di facciata che, tuttavia, nella sua lucida follia, stava covando un piano per realizzare quello che credeva essere un desiderio del suo vecchio, inseparabile, camerata. Secondo il suo folle pensiero, Hitler avrebbe voluto la pace con l’Inghilterra, per poi attaccare, il vero nemico della grande Germania, ossia Stalin ed i suoi bolscevichi, al fine di realizzare il dominio dei due grandi popoli del nord, quello inglese e quello tedesco. Alle sei del pomeriggio del 10 maggio 1941, alla guida di un aereo, decollò dall’aeroporto militare di Augusta alla volta della Manica, ancora una volta, nella sua mente e come sempre, al servizio del suo fuhrer, al fine di avviare trattative con i vertici di sua maestà. Fu un viaggio senza ritorno, che gli valse la scomunica di uno sconvolto Hitler e una prigionia che durò diversi anni, finchè, dopo anni di silenzio, smagrito, pallido e smarrito, ricomparve al processo di Norimberga. Durante la sua deposizione fu come se la sua mente si fosse arrestata agli anni del nazismo trionfante, esaltando i trascorsi felici accanto all’amico di un tempo, accanto a quello che definì il figlio più illustre prodotto dal popolo tedesco, manifestando tutto il suo orgoglio per essere stato suo fedele seguace; condannato all’ergastolo passò il resto della sua vita nel carcere di Spandau, totalmente scollegato dalla vita reale, fino all’ultimo, sconvolgente gesto di cosciente follia: il suicidio nel giorno in cui, settanta anni prima erano cominciati i suoi tempi gioiosi, consumati in simbiosi fraterna con quello che fu la persona più importante della sua lunga esistenza, Adolf Hitler, compagno della prima ora e guida suprema del grande Reich destinato, nei progetti, a dominare sul mondo intero. <

 

 

HERMANN GORING

Nato a Rosenheim il 12 gennaio 1893 si affermò, durante la prima guerra mondiale come asso dell’aviazione, combattendo nella squadriglia di Manfred Von Richthofen, il celebre barone rosso ed ottenendo la decorazione al merito per avere abbattuto più di 25 aerei nemici. Camerata della prima ora, prese parte al Putsch della birreria ove rimase ferito e, in seguito al fallimento dello stesso, fu costretto alla fuga all’estero, in Italia ed in Svezia. >Tornato in patria in seguito ad amnistia, si pose nuovamente al fianco di Hitler, contribuendo alla crescita del movimento, prima e dopo l’ascesa al potere del fuhrer. Fu lui, con la sua grandi doti di stratega ad organizzare le SA e la GESTAPO, fu lui, dall’alto della sua grande competenza in materia, a pianificare la creazione della nuova aviazione del Reich, la temibile Lutwaffe, della quale divenne comandante; presidente del Reichstag, maresciallo del Reich ebbe anche la nomina, allo scoppio delle ostilità, di vice-fuhrer, ma, proprio l’inizio della guerra, segnò il momento della svolta nella vita e nella carriera di Hermann Goring: il feldmaresciallo del Reich divenne sempre più l’ombra di se stesso, il pallido ricordo del decorato eroe, dell’abile gerarca di un tempo, che fece le fortune di Hitler; trasformato, dalla lussuria, dallo sfarzo, dalla vita agiata, cominciò a vivere completamente dedito a piaceri e svaghi, coltivando i suoi vizi, tra cui quello della morfina, che lo rese, si dice, sessualmente impotente; sopraffino cultore dell’arte, ebbe, se non altro, il merito di impedire la distruzione delle innumerevoli opere e capolavori, situate nei territori dell’Europa occupata. Ormai sempre più inefficiente, sul piano militare, ebbe sulla coscienza sia la sconfitta nella battaglia d’Inghilterra, ove la Lutwaffe, pur in posizione di superiorità, fu sopraffatta dalla RAF, sia, soprattutto, il disastro di Stalingrado e la distruzione della VI armata di Von Paulus, avendo indotto il fuhrer ad impedire la possibile ritirata e a ordinare il mantenimento delle posizioni, certo di assicurare i necessari rifornimenti agli assediati tramite un utopistico ponte aereo che non fu mai compiuto. Con l’Armata Rossa ormai alle porte della capitale voltò le spalle ad Hitler, tentando di prenderne il posto e dal quale fu, viceversa, rimosso da ogni carica fino ad allora ricoperta. Catturato dagli alleati fu il gerarca più celebre ad essere processato a Norimberga; condannato a morte, quello che fu il vice-fuhrer, il presidente del reichstag, il feldmaresciallo del reich, si suicidò, nella sua cella, due ore prima dell’esecuzione.

 

HEINRICH HIMMLER

Fu l’anima nera del nazismo, il carnefice più spietato, il folle pianificatore dei campi di sterminio; di se stesso amava dire che era "un boia senza pietà". Nato il 7 ottobre 1900, Himmler fu nominato da Hitler, il 6 gennaio 1929, Reichsfurher delle SS, uno sparuto drappello di uomini, inglobato all’interno delle affermate SA, le squadre d’assalto paramilitari del partito nazional-socialista guidate da Rohm, ma ben presto le cose cambiarono: le SS e la loro guida aumentarono sempre di più il loro prestigio e la loro importanza agli occhi del fuhrer, finchè, il 30 giugno 1934, in quella che fu la "notte dei lunghi coltelli", Rohm e i suoi luogotenenti furono barbaramente trucidati, per ordine di Hitler e dietro congiura dello stesso Himmler. Da quel momento le SA furono soppiantate dalle sempre più numerose SS, che sarebbero divenute tristemente note per la loro crudeltà e per le agghiaccianti rappresaglie a cui diedero vita, nel corso del loro operato. Le SS furono, dunque, le milizie paramilitari del grande Reich ed Himmler il loro feroce condottiero: erano soldati necessariamente ed obbligatoriamente di puro sangue ariano, dalle nere uniformi che non smisero mai di seminare il panico nell’Europa occupata. Nel loro cappello era raffigurato un teschio, simbolo di morte e di terrore, nei loro pugnali era inciso il farneticante motto "il mio onore è la fedeltà". Il folle progetto del Reichsfuhrer era quello di fare dei suoi uomini un ordine supremo di guerrieri eletti, votato a far rispettare, nei confronti delle razze inferiori, la sacra legge della superiore razza ariana dominatrice. Nel suo allucinante pensiero Himmler era convinto di essere la reincarnazione di Enrico I e nel castello di Wewelberg, in Westphalia, creò una sorta di tetro santuario delle SS, ove diffuse, tra i suoi miliziani, la pratica di riti esoterici e d’iniziazione, volti all’esaltazione dei grandi combattenti del nord, dei grandi miti teutonici, quasi a voler forgiare una nuova suprema e macabra religione del sacro popolo ariano, destinata a sostituire un cristianesimo simbolo di sentimentalismo e debolezza. Fu una lucida follia, una delirante esaltazione che tuttavia partorì pagine di grande orrore: le SS erano un corpo di pretoriani senza pietà, addestrato ad uccidere, dedito ai rastrellamenti e alle deportazioni e fedele al fuhrer fino alla morte. Ma i giorni dei trionfi erano sempre più lontani e con l’avvicinarsi della sconfitta Himmler, tentò di assicurarsi la salvezza, avviando trattative segrete con gli alleati, che gli costarono la destituzione da parte di un Hitler, ormai seppellito nel suo bunker e ormai prossimo alla fine. Rinnegato da Donitz, catturato dagli alleati, mentre tentava la fuga, a quello che ormai era solo l’ex comandante di coloro che un tempo apparivano come guerrieri eletti, non restò altro che suicidarsi con una capsula di cianuro; era il 23 maggio 1945.

 

MARTIN BORMANN

Fu colui che, da sbandato, squattrinato ed assolutamente anonimo reduce di guerra, seppe trasformarsi nel gerarca più vicino al fuhrer, nel suo esecutore testamentario, nell’oscuro depositario dei suoi più nascosti e reconditi segreti. Nato ad Halberstadt nel 1900 ed iscritto al partito nazional-socialista solo nel 1927, Bormann riuscì a scalare tutte le gerarchie grazie al suo opportunismo senza scrupoli e al suo spietato carattere di calcolatore, abbinato ad uno straordinario senso del dovere, che ne facevano un burocrate modello, devoto, zelante, perennemente rinchiuso nel suo ufficio ; ogni occasione era buona per mettersi in mostra agli occhi dei superiori, a qualunque costo, eseguendo gli incarichi con impressionante meticolosità, ma agendo sempre nell’ombra, silenziosamente, senza apparire. Divenne capo della segreteria di Hess, ma l’ambizioso Bormann aspirava ad arrivare ancora più in alto, senza alcuno scrupolo sui mezzi da perseguire a tal fine. A poco a poco la sua concreta efficienza, la sua cinica diligenza e precisione nello svolgere il compito assegnato, senza guardare in faccia a nessuno, quel suo apparire come un fedele e zelante esecutore, suscitò sempre più l’attenzione del fuhrer in persona, che lo volle accanto a sé, come segretario personale, affidandogli incarichi di grande fiducia, tra il rancore degli altri gerarchi che non sopportavano quel rozzo e mediocre personaggio. Ma Bormann era scaltro e tremendamente furbo: agendo, silenziosamente, sempre dietro le quinte, tanto da essere soprannominato "la grigia eminenza" e dunque sottovalutato da molti, aumentò sempre di più il suo potere, specie quando il fuhrer, dopo le prime grandi sconfitte e con una Germania avviata alla distruzione, cominciò a necessitare, sempre maggiormente, del suo segretario; Hitler, infatti, distrutto nel fisico e nel morale, seppellito nel bunker della cancelleria, era ormai un uomo finito, totalmente sconnesso dalla realtà e dunque sempre più bisognoso di un Bormann divenuto assolutamente insostituibile; era lui, ormai, a prendere le decisioni più importanti assumendo incarichi che oltrepassavano di gran lunga quelle che erano le funzioni di un semplice segretario. Sulla fine di questo oscuro personaggio si è molto detto e scritto: l’unica certezza è che sparì di scena il 2 maggio 1945, mentre, nei pressi della porta di Brandeburgo, tentava, la fuga da una Berlino conquistata dall’Armata Rossa e ridotta ormai ad un cumulo di rovine. La prima versione fu quella della morte, quella stessa notte, a causa di un esplosione ma i dubbi furono tantissimi tanto che a Norimberga fu comunque condannato a morte in contumacia. Fin dalla sua scomparsa si fece strada l’ipotesi di una sua fuga in Sudamerica, avallata peraltro da autorevoli fonti, ma, nell’ottobre del 1972, a Berlino, alcuni operai, nel corso di scavi, riportarono alla luce uno scheletro i cui denti furono sottoposti a confronto con quelli di Bormann. L’esito dell’esame non lasciò dubbi: quelle ossa appartenevano a quello che fu il braccio destro di Adolf Hitler; il giallo era risolto ma non completamente, visto che si ventilò l’ipotesi che quei resti fossero stati posti in quel luogo solo successivamente, dopo una lunga latitanza in Sudamerica. La verità su quella che fu la fine di Martin Bormann resta e forse resterà, dunque, per sempre, un mistero; quel che è certo è che il nazismo riuscì a consegnare alla storia un uomo grigio e di bassa levatura che, partendo dal nulla, sfruttando ogni occasione con cinica perseveranza, con estrema rigorosità e maniacale precisione, seppe farsi potente, raggiungendo un ruolo di grande prestigio in quello che doveva divenire il grande Reich millenario.

Hitler e i gerarchi del nazismo. Le schede provenienti dagli archivi segreti della CIA (in inglese)

Le sentenze di condanna di Theodor Saevecke e di Siegfried Engel (link al sito dell'Ismec di Milano)

Biografie dei nazisti (dal sito olokaustos.org)

 

Su Giorgio Perlasca Primo Levi i gerarchi di Hitler