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THE WILD BUNCH - IL MUCCHIO
SELVAGGIO
Mi trovo imbarazzato a parlare del film di
culto di Sam Peckinpah cercando di renderne merito
alla bellezza, all'importanza, alla complessità: si
tratta di un'opera carica di vicende, persone, significati,
colori e immagini. Troppo per parlarne in una pagina.
Che impressione rimane di un simile capolavoro?
Le tinte forti dei paesaggi, i cieli limpidi accompagnano
un branco di fuorilegge che fuggono da una strage; l'incipit
troverà simmetria nella terribile carneficina finale.
Situazioni da cinema classico sfociano in soluzioni estremamente
moderne, sia a livello tecnico (fermo immagine, ralenti, zoom,
montaggio alternato impregnano gli eventi, dilatando e frantumando
la temporalità), sia nei confronti del genere western:
ciò che vi era connaturato (lotta, violenza, morte),
unitamente a quanto era latente nel periodo crepuscolare (stanchezza,
vecchiaia, disgregazione del mito), esplode ora fragorosamente.
Si è teorizzato di western sporco, definitivo, eccetera,
tuttavia con Peckinpah non ha senso discutere di eroi, antieroi,
buoni, brutti o cattivi.
I destini umani vengono a essere al centro
del quadro: indimenticabili le facce di William Holden, Ernest
Borgnine, Robert Ryan, Warren Oates. Sono banditi, eppure
("noi non impicchiamo nessuno") antitetici ai delinquenti
coperti da leggi e istituzioni. Il termine misfits
indica che "non calzano": disadattati, in definitiva,
outsider perennemente in fuga. Uomini rozzi, violenti, fracassoni,
di cui si sottolineano i difetti e pure le cadute da cavallo.
Gli atteggiamenti, le emozioni, le confidenze, l'amicizia,
il tradimento, la vita di gruppo rendono credibili questi
personaggi, ognuno con le proprie specificità. Tra
le pieghe dei loro volti si celano insicurezza, angoscia,
e soprattutto nostalgia: il rimpianto di ciò che poteva
essere e non è stato, il senso di precarietà
della loro esistenza. La consapevolezza della morte è
la cifra stilistica entro cui agiscono. Nessun futuro, nessun
ideale è loro consentito, non resta che continuare
a combattere contro fantasmi e ossessioni personali. L'istinto
li guida e li conduce allo scontro finale, in quattro contro
un esercito, per riavere il corpo dell'amico moribondo. "Why
not ?", già, perché no: i diecimila dollari
intascati non contano più, la rabbia disperata si esplica
con la vendetta, un istante di gloria, stupore e divertimento;
dopodiché riaprono il fuoco e la violenza diventa massacro
apocalittico. Gesto irrazionale, inspiegabile e inspiegato.
Nessuna connotazione morale, l'autore lascia aperti gli interrogativi
e non risolve le contraddizioni: istinto incontrollabile,
idealismo oppure l'unica maniera in cui sanno vivere?
Consci di soccombere, non si negano tuttavia
di fare a modo loro, con una vittoria parziale e un'azione
esaltante che dia loro soddisfazione; non rinunciano alla
loro libertà, ma restano degli emarginati e non sposano
nessuna causa. Le questioni sociali e politiche vengono dopo,
prioritario è il desiderio dello spirito. "E'
triste vivere senza amore", dirà il protagonista
del film seguente, lo stupendo La ballata di Cable Hogue.
Ecco allora perché diventa ricorrente, nella filmografia
di Peckinpah, la parentesi di serenità e contatti umani,
l'isola felice priva di guerra e dolore. Rimane indelebile
la sosta nel villaggio messicano, con la festa notturna dal
sapore idilliaco, il vino, i canti, i balli, le donne.
Ugualmente indelebili rimangono le sequenze
più spassose e spettacolari: la scoperta di avere rubato
rondelle d'acciaio anziché oro, Emilio Fernandez che
semina il panico sparando all'impazzata con la mitragliatrice
che non sa usare, la locomotiva lanciata all'indietro contro
il treno, l'esplosione del ponte ripresa da quattro angolazioni,
una bottiglia di whisky fatta girare per festeggiare e già
vuota quando arriva a Warren Oates. Davvero nel Mucchio non
mancavano le occasioni di grasse risate.
Davide tognola
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