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Shellac of North America. Per molti queste
parole possono dire poco, per altri possono significare quanto
di meglio ci può essere oggi nella musica noise, nella
musica indipendente americana.
Shellac ha scritto dischi (su tutti "At action park")
che hanno segnato indelebilmente la musica Indie accanto a
nomi come Fugazi e Sonic Youth. Stasera gli Shellac suonano
a Verona in un posto da 300 persone scarse e tutti quelli
che sono lì non stanno più nella pelle.
Per la maggior parte si tratta di musicisti (nel mio gruppo
5 su 5, il 100%) e questo lo noto guardandomi attorno... tutti
vanno a curiosare vicino al palco per vedere la strumentazione...
riconosco tra il pubblico persino Xabier Iriondo degli Afterhours
e Paolo Cantù dei Six Minute War Madness.
L'apertura è affidata agli Infranti, gruppo di Verona
che mischia in modo assai convincente hardcore, rumorismi
noise e cantato in lingua madre. Semplicemente fantastici,
grande coinvolgimento e ottima musica.
Rimango quasi sbalordito che un gruppo di queste dimensioni
non mi sia ancora capitato per le mani, che non ne abbia mai
sentito parlare seriamente. A tratti mi ricordano i Three
Second Kiss, a tratti i De Glaen (soprattutto per il cantato)
e a volte i Jinx prima maniera. Da promuovere senza riserve.
Quando finiscono mi spello le mani.
Sul palco si crea spazio per nuovi strumenti: la batteria
viene portata davanti al palco in linea con basso e chitarra.
Un solo tom completamente perpendicolare al terreno, due crash
su altrettante aste senza microfono alte almeno 1,5 metri
(che Todd Trainer abbia le braccia lunghe 2 metri?). Albini
si presenta con una chitarra fissata alla cintura e Bob Weston
arma di basso la sua enorme pancia.
L'inizio è da senza parole: guardo gli altri miei compagni
di viaggio e mi chiedo come sia possibile suonare in modo
così allucinante. Rabbia, precisione, suono elettrico,
velocità, coinvolgimento.
Se continuano a martellarmi con dosi così alte di adrenalina
non riesco ad arrivare a fine concerto, questo è sicuro.
La prima mezz'ora è indescrivibile, dico sul serio.
Da restare a bocca aperta. Mi ricordo "Watch Song"
con Weston che "gira" di basso con la testa infilata
nella maglietta e "The Crow" con Albini che si contorce
sul palco e predica al microfono chissà che cosa. Ho
visto parecchi concerti ma i primi 30 minuti sono stati da
panico assoluto... fortunatamente i tre si sono calmati nel
finale inanellando pezzi lunghi e minimali, scarni e lamentosi
che hanno stemperato un po' la tensione. Verso la fine i tre
di Chicago interrompono un pezzo a causa di una telecamera
poco gradita e impostano un finale sicuramente soft, pescando
quasi certamente dal loro secondo album "Terraform"
che non possiedo.
Alla fine qualche autografo di Weston sui vinili e sui CD
del pubblico, niente bancarella con le magliette e loro stessi
che si smontano gli strumenti sul palco con la faccia da strinati
che si ritrovano (su tutti uno stralunato Trainer).
Me ne torno a casa quasi basito, non capendo come sia possibile
suonare così bene e con tanta intensità e creatività.
Meglio tornare a casa e non pensarci, non pensarci...
Paolo T.
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