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  Laura e il teatro
Paolo Topa

 

 


Da parecchi giorni la stavo osservando con discrezione.
Era così strano vederla passare - ogni volta alla stessa ora - con quell'insolito ingombrante fardello, con quell'atipica sensazione di smarrimento.
Buttavo lì uno sguardo di tanto in tanto e la coglievo sempre nella stessa posizione mentale, quasi come se si fosse abituata ad una situazione a lei non gradita.
Buttavo lì uno sguardo e mi sentivo colto da un sottile malessere, una sorta di infelice coinvolgimento, un male leggero ma terribilmente più infido di quello che ogni giorno insanguina le nostre realtà.
Ah!… sono attratto profondamente dalle persone che soffrono pur non avendo nessun motivo materiale per essere in tale situazione.
Troppo facile soffrire nei momenti bui.
Troppo semplice gioire in quelli meno difficili.
Occorre fare attenzione.
Ecco, forse ci vuole un punto di osservazione più distaccato per sintetizzare il mondo delle cose.
Laura ce l'aveva.
Aveva un punto di osservazione privilegiato, una sorta di osservatorio marziano usato per scrutare noi piccole formichine nel nostro caotico alveare, costruito sull'asfalto del benessere e imbottito di sorrisi da riciclaggio del denaro sporco.
Oh sì, Laura aveva questo dono e io glielo invidiavo profondamente.
Mi ricordo che una volta l'avevo vista passare tra la folla di un triste locale pieno di gente che finge di divertirsi.
Come al solito ci eravamo scambiati il saluto e nulla di più ma quella volta mi aveva guardato in modo strano.
QUELLA volta le sue pupille mi provocarono strane escoriazioni.
Me le ricordo bene.
Mi guardò con sufficienza, la testa in chissà quale dimensione parallela, la voce stanca e ripiegata su se stessa.
Stava male, lo avevo capito.
Avrei voluto sussurrarle "Ehi… ci sono anch'io… Ti capisco… Ho capito chi sei ma non so come arrivare lì dove sei tu… guidami!"
Avrei voluto chiederle di farmi partecipe dei suoi pensieri.
Cazzo.
Ma naturalmente non siamo fatti per comunicare emozioni.
Come tutti gli esseri umani ho forti difficoltà a realizzare una comunicazione priva di ipocrisia e retorica.
Così abbassai lo sguardo, la salutai con quel mezzo sorriso ebete che mi ritrovo e ripresi in mano il bicchiere che per un attimo avevo appoggiato al bancone.
Una sicurezza…
Il problema è che non riuscivo più a disfarmi di quell'imbarazzante senso di soffocamento, di radicale frustrazione che quel veloce sguardo mi aveva regalato.
Decisi di bere tutto d'un fiato.
Picchiai forte il bicchiere sul tavolo come per sfidare la sorte e decisi di seguirla.
"Ma si, mi sono rotto di stare con le mani in mano in questo posto, voglio scoprire qual è il suo segreto, la sua formula magica, dove si procura i liquidi vitali che la rendono così speciale".
Era passata da poco più di un minuto ma la ressa mi impediva di vedere dove in quel momento si trovasse.
Mi infilai tra la folla.
Poi ne uscii e mi riportai in prossimità del bancone.
Presi un'altra volta da bere, sapevo che da lì in poi si sarebbe scatenato il pandemonio.
I miei incubi a stretto contatto con la persona in grado di guarirli o per lo meno di indicarmi la fonte da cui questi hanno origine.
Ne ero sempre più convinto.
Finii in un attimo l'ennesima birra e mi rimisi nel flusso della gente.
Cercavo di vedere dove fosse ma la calca era così aggressiva che era già qualcosa riuscire ad intravedere l'uscita.
Mi sentivo perso.
Mi guardavo in giro. Non conoscevo nessuno.
Sentivo qualcuno ridere ma non sapevo chi fosse né cosa volesse da me, semmai centrassi qualcosa con quelle grasse risate.
Mi stavo lentamente estraniando da tutto ciò che mi circondava.
L'amaro in gola e quella strana sensazione di fatica alle gambe.
Poi ad un certo punto mi sentii strattonare i pantaloni.
"Si può sapere cosa vuoi?"
Di nuovo: "allora?!? Perché mi cerchi? Cosa ti ho fatto?"
Ero completamente spiazzato, mi aveva preso alla sprovvista.
Era come se il sipario si fosse aperto all'improvviso.
Le luci si erano spente e io mi ritrovavo protagonista di una farsa.
Anzi no, una tragedia. Dopotutto non c'è una grossa differenza…
Feci finta di niente e mi avvicinai a lei.
"No… niente volevo solo fare quattro chiacchiere…"
"Facciamole ma non ti assicuro niente".
La seguii verso l'uscita ma prima le feci cenno di aspettarmi.
Avevo assoluto bisogno di qualcosa che mi rendesse più malleabile.
Passai al bancone e presi una birra che ebbe vita assai breve.
La trovai fuori dal locale con la testa tra le gambe.
Seduta su un piccolo muretto.
Notai che era vestita diversa dal solito... c'era un po' di disordine in quello che indossava. I capelli sciolti e bellissimi.
Tutto aveva una sua logica, era chiaro.
Proprio come quando mi accorsi che il silenzio dei nostri corpi iniziava lentamente a oscurare e a farsi beffe del frastuono insopportabile del locale.
Attaccai io deciso: "Anche se è piena estate sto morendo di freddo. Tutte le volte che tento di chiudere la porta sento che gli spifferi non mi daranno tregua per tutta la notte."
"Io non sento più neppure quelli. Non sento più niente.", mi rispose.
E ancora: "Sono come in un campo di sterminio.
Non m'importa quanti giorni ci starò.
Dopotutto è solo quello che sono riuscita ad ottenere".
"Come ci sei arrivata? è stata forse colpa di…"
"NON ME NE SONO ACCORTA lo vuoi capire CAZZO!"
E ancora: " Capiterà anche a te, stanne certo.
Si finisce così non c'è scampo.
Sei un invasato e un pervertito. Non crederai di passarla liscia, sei solo un piccolo stronzo alla ricerca della verità.
Al posto di masturbarti il cervello masturbati qualcos'altro.
Mi fai pena, vattene."
Poi mi sputò in faccia.
… … ..
Non feci una piega.
Girai la testa dall'altra parte e me ne andai.
Aveva ragione.
Stava solo cercando di rendermi la vita più facile anche se sapeva che non ci sarebbe stato nulla da fare.
Mi voleva bene, Laura.
Mi voleva davvero bene, me lo dimostrò in modo inequivocabile quella sera.
Cercava di tenermi lontano dai suoi pranzi fatti di pasta scotta e ragù industriale. Di tonno scaduto e uova avariate.
Cercava di tenermi lontano dalle sue notti insonni, con il solido terrore di riaprire gli occhi la mattina seguente.
Notti in cui l'unica preoccupazione è cercare di ricordarsi di non lasciare a portata di mano una lametta arrugginita.
La noia che ti entra nei polmoni, la quotidianità che ti caria i sensi.
Cercava di tenermi distante dalla sua incapacità di piangere, di avvalersi dell'unica vera liberazione dell'anima.
Per questo la ringrazierò sempre per quello che mi ha detto quella sera.
Mi voleva un bene dell'anima Laura, un bene dell'anima.
E io ne volevo a lei.
Lo scoprii la settimana seguente quando al solito bar, a metà mattina, sentii delle voci a proposito di una giovane ragazza suicida.
Pistola in bocca, si disse.
Quando andai al funerale capii che per Laura quello era un giorno di festa, il coronamento di un percorso ad ostacoli portato a felice conclusione.
Ce l'aveva fatta.
Era arrivata lontano e quindi aveva dovuto pagare dazio ma questo, ne ero sicuro, non le era dispiaciuto.
Insomma qualcuno o qualcosa le aveva scritto il finale e lei non si è potuta esimere dall'interpretarlo.
La farsa si era trasformata in tragedia.
Sipario calato.
Avanti con il secondo atto, la grande giostra ricomincia la sua pazza pazza corsa.
VENGHINO SIGNORE E SIGNORI! … VENGHINO! IL NOSTRO CIRCO RIPRENDERA' A BREVE I SUOI ESILERANTI SPETTACOLI!
NUOVE AVVENTURE ED AUTENTICI PAZZI TUTTI DA COLLEZIONARE…!
Girai le spalle al corteo e calcai bene il mio cappellino sulla testa.
"Oggi è proprio un bel giorno di sole", pensai.
"già, proprio un bel giorno di sole".

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